Ciao a tutti!
- Pg candidato: Leaarhie, livello 4
- Drago Prescelto: Rosso
- Entità: Maschile
- Stirpe di Laegar, l'Orgoglioso
BACKGROUND E STORIA GIOCATA
Dicono che scrivere faccia bene all’anima e che, in qualche modo, aiuti a placare il nostro tormento. Ho deciso di provare e scrivere qualcosa della mia vita… Anche se poi, probabilmente, brucerò queste pagine.
PASSATO
Il mio nome è Leaarhie e sono una mezzelfa, figlia di un’elfa e di un umano. Unico seme che hanno deciso di mettere al mondo e, con il senno di poi, oserei dire per fortuna. Si, la mia famiglia è stata un disastro: un’unione di razze troppo diverse, un amore sbagliato e corrosivo. Cronaca di un fallimento annunciato.
Mia madre è un’elfa dei Ghiacci, probabilmente la più bella che io abbia mai visto: un fiume di capelli biondi, viso disegnato dagli Dei, occhi azzurri dal taglio dolce, corpo perfetto e modi sinuosi, eleganti, impeccabili. Quanto tempo poteva impiegare un umano idiota ad innamorarsi di una come lei? Poco, ovviamente. Ed ecco come un belloccio biondo del Nord, tutto muscoli ed occhi azzurri si è fiondato nella sua vita, facendola innamorare con la sua spensieratezza ed i suoi modi di fare misteriosi e sfuggenti. Lei era composta, rigida ed algida come la sua stirpe voleva: bella e fiera, elegante e sicura. Lui, invece, era completamente distante dal suo mondo: focoso, impetuoso, inarrestabile ed affabile. Una coppia di opposti, destinata a bruciarsi. Infatti, lei se ne innamorò al punto da cancellare sé stessa, arrivando persino a rinnegare i suoi genitori che, ovviamente, erano del tutto contrari alla loro unione. Per questo non ho mai conosciuto i miei nonni. Sanno della mia nascita, ma non hanno mai voluto incontrarmi: per loro, io sono una sconfitta, un abominio nella loro perfetta linea di sangue.
Quando mia madre rimase incinta, lei e mio padre andarono a vivere in un villaggio nel freddo Nord ed è proprio là che io venni alla luce e trascorsi i primi sette anni della mia vita. Amavo mia madre perché, nonostante la sua stirpe, era una donna incredibilmente dolce e profonda. Ricordo il suo sorriso caldo e le carezze, gli abbracci e tutte le attenzioni che mi donava ogni giorno. Mi ha insegnato a leggere, scrivere ed essere curiosa, oltre che a credere nella mia intelligenza. Amavo anche mio padre: come agli occhi di ogni bambina, lui per me era un eroe. Alto, bello e forte; era un guerriero e non aveva paura di nulla. Lui mi ha insegnato a tenere in mano il pugnale, a cacciare ed andare a cavallo. La mia parte ribelle ed irrequieta l’ho indubbiamente ereditata da lui.
Ripensandoci ora, è incredibile come in un giorno tutto possa cambiare.
Ricordo ancora le urla strazianti di mia madre, ricordo ancora le sue lacrime che non riuscivo a fermare in nessuna maniera. La sua disperazione era forte al punto da farmi male, da farmi mancare il fiato.
No, mio padre non era morto. Mio padre se n’era semplicemente andato. Con un inutile, piccolo e stupidissimo biglietto: “Abbiamo fatto uno sbaglio. Non posso darti la vita che cerchi, il mio cuore appartiene alla guerra. Dai un bacio a Lea. Ti amo.”
Mia madre l’ha cercato in lungo ed in largo e più di una volta ha rischiato di giocarsi la pelle nel tentativo. Io ho fatto lo stesso, uscivo e correvo, correvo il più lontano possibile urlando “papà”, sperando che forse si fosse solo perso, che forse prima o poi sarebbe tornato.
Ho visto mia madre morire lentamente, giorno dopo giorno: ha iniziato a mangiare sempre meno, a parlare sempre meno. Si è chiusa gradualmente, dimenticandosi di vivere e dimenticandosi anche di me. Abbiamo iniziato a non avere più cibo in tavola e, così, spesso uscivo e tentavo di cacciare qualcosa nei boschi. Ma siamo sinceri: non avevo nemmeno otto anni, non potevo badare ad entrambe. Saremmo morte di stenti, probabilmente, se i miei zii non fossero giunti a casa nostra pochi mesi dopo; mia mamma e sua sorella, infatti, non hanno mai perso il loro legame nonostante tutto e spesso venivano a salutare. Quando ci hanno trovate in quelle condizioni, ci hanno riportate immediatamente con loro nella città degli elfi dei Ghiacci. Una città alla quale non sono mai appartenuta. So che hanno fatto del loro meglio, ora capisco quanto si siano sforzati di farmi crescere in un determinato modo per il mio bene. Ma all’epoca, io li odiavo. Forse ho sfogato verso di loro tutta la mia rabbia, tutta la mia impotenza. Si, perché crescendo il dolore dell’abbandono si è trasformato in un’enorme rabbia che non sono più riuscita a controllare. Hanno tentato di educarmi come un’elfa; peccato che non lo fossi. Io odiavo le lezioni di buone maniere, odiavo ascoltare quell’odiosa educatrice che tentava d’inculcarmi inutili lezioni di storia. Io volevo imparare ciò che mia madre aveva da insegnarmi, io volevo uscire e vivere il mondo insieme a papà. Nulla, però, di tutto quello era più lì. Lui era sparito, lei era caduta in una profonda depressione senza via di ritorno. Parlava a stento con me, anzi, la maggior parte delle volte farfugliava da sola o con qualcuno che solo lei poteva vedere. Quando provavo a relazionarmi con lei, non mi riconosceva nemmeno. Così, ad un certo punto, ho iniziato a odiare pure lei. Lei e la sua debolezza, lei e il suo stupido amore che l’ha consumata. Avevo circa dodici anni quando mi feci quella promessa: io non sarei mai stata come lei, io non avrei mai permesso a qualcuno di farmi tanto del male. Io non sarei mai stata debole.
Chissà quanto ho fatto soffrire i miei zii, ora che ci ripenso a mente lucida. Sicuramente nemmeno se lo meritavano. Eppure, quando ho raggiunto diciotto anni ed ho messo qualche soldo da parte, sono fuggita. In una notte d’estate qualsiasi, ho preso il mio cavallo nero e sono scappata, lasciandomi lontano qualsiasi cosa.
Nessun biglietto, nessun avviso. Sapevano benissimo quanto odiassi la mia vita e la mia famiglia; forse mi avranno anche cercata per i primi tempi, o forse no. Non m’importa.
La prima volta che strappai la vita ad un uomo, venne solo pochi mesi dopo.
Ero troppo inesperta per sapere che una ragazza giovane, bella e senza armi non può girovagare completamente sola, soprattutto la notte. Certe volte dormivo nei boschi, nascosta su alberi o cespugli, altre invece mi azzardavo ad andare in qualche locanda.
Fu proprio in una di quelle sere, fuori da una Locanda di Dalen, che un uomo di circa quarant’anni, grosso e rozzo, mi avvicinò. Gli intimai di lasciarmi stare, tentai di fuggire. Ma lui mi prese per un polso e mi tirò a sé, costringendomi a guardarlo. Era brutto, il suo alito puzzava di vino. Mi buttò per terra e, in un attimo, fu sopra di me. Mi strappò la camicia e sentii le sue mani ovunque. M’immobilizzai per dei lunghi minuti, smisi pure di scalpitare per liberarmi. Mi sentii… Debole. Forse fu quello a farmi scattare: io avevo promesso che mai sarei stata una debole. Proprio in quell’istante i miei occhi incontrarono la fredda lama del coltellaccio che lui si portava alla cintola: ricordai quando mio padre mi insegnava a dare il colpo di grazia alle prede. Quell’umano sopra di me, ai miei occhi, era un porco: non sarebbe stato troppo differente, no? Poi, fu tutto una questione di pochi attimi: mentre lui mi baciava il collo, io afferrai il suo coltello e glielo infilai nella gola. Morì sopra di me, nel pieno di un’erezione che, poverino, non riuscì ad accontentare. Lo spinsi via e lo lascia lì.
Non mentirò, ho avuto paura. Soprattutto il giorno dopo, quando ritrovarono il cadavere. Se mi avessero scoperta? Se avessero capito che la colpa era mia?
Invece, non successe nulla. Nessuno sospettò di me e io me ne andai. Non ho provato alcun senso di colpa, nessun rimpianto. Quell’umano meritava di morire. Forse è stata questa la prima volta in cui ho avuto un contatto con lui: Shanaas.
PRESENTE
Sono arrivata a Conca del Tuono in un normalissimo, ed incredibilmente senza pioggia, pomeriggio di fine estate. Avevo raggruppato abbastanza soldi con il mio ultimo lavoro, facendo la cameriera in una Locanda. Per questo motivo decisi di non dormire all’aperto quella notte, ma di affittare una camera all’ “Accademia del Gusto” di Conca del Tuono. Non sapevo bene cosa stessi cercando in quella città, forse non sapevo bene cosa stessi cercando nella vita. Un lavoro stabile ed appagante? Soldi? Conoscenza? O forse tutto messo insieme? Qualunque fosse il mio obiettivo, tutto in quel pomeriggio è cambiato. Un incontro casuale ha fatto incrociare il mio destino a quello di Lars Valdemar, all’epoca Governatore della città. Abbiamo chiacchierato e, lui, mi ha proposto di lavorare nella biblioteca del suo Palazzo. Accettai. Dopo poco tempo, mi ha proposto d’unirmi al suo gruppo, una Setta dedita a sconvolgere gli equilibri di un mondo ingiusto, crudele e sbagliato. Accettai. Il Caos è entrato dentro di me, un seme che lentamente è germogliato e, mischiandosi alla mia rabbia repressa, è cresciuto sempre di più. Lars, successivamente, mi ha insegnato a manipolare le trame magiche: quante volte lo avevo chiesto ai miei zii. Loro conoscevano l’Ars, ma quando la nominavo li facevo infuriare: la magia era troppo pericolosa, temevano diventasse per me troppo assuefacente. Con il senno di poi, credo avessero solo paura di me. E forse facevano bene. Lars mi ha insegnato magie che i miei zii possono solo immaginare nei loro peggiori incubi.
Ma non è tutto.
Lars, oltre ad essere l’Araldo del Caos ed il campione di Feriy, non è un uomo qualunque. Non posso parlarne con nessuno, ma tanto queste parole bruceranno tra le fiamme.
Lars è un Drakul: è morto ed è rinato grazie alla magia. Non respira né il suo cuore batte più, seppur la sua stirpe gli permetta di provare qualcosa simile ai sentimenti umani. Si nutre di sangue… Ed indovina quale bramava? Si, il mio.
Io, però, non sono una vittima qualunque. Io sono la sua Vena: tra noi esiste un Legame di Sangue tale per cui io proteggo lui e lui protegge me. Sempre.
Mi ha spiegato sin da subito che il Legame è imprevedibile: può sfociare in una grande amicizia, in fratellanza, in un rapporto padre e figlia o… Amore. Avevo vent’anni quando è successo e, forse, ho rischiato anche di innamorarmi di lui. Però, dall’inizio, è sempre stato sincero: mi ha detto di avere una compagna e che il suo cuore apparteneva solo a lei. Così, quando ha tentato di portarmi a letto, ho detto no. Certo, lo desideravo. Ma io non potevo avere il suo cuore, lui, allora, non poteva avere il mio corpo. L’avevo promesso: io non potevo fare la fine di mia madre. Rischiare d’innamorarmi di lui era fuori discussione. Sarebbe stato un amore tossico e malato, tutto ciò da cui ho sempre voluto tenermi lontano. Inoltre, io non sono disposta ad essere la seconda. Mai. Sono troppo fiera ed orgogliosa per fare l’amante, anche se è il campione di un Dio a chiedermelo.
Non è stato facile, sia chiaro.
Quando lui è diventato Re, ed io nobile ed ambasciatrice del neo Regno, è stato incoronato proprio da lei, dalla sua compagna. Ha ballato con lei, mentre esortava me a ballare con qualche altro bel nobile.
Quando io stavo tentando di allontanare ogni sentimento, lui è venuto da me dicendo che presto si sarebbe sposato. Nessuna reazione sopra le righe, niente capelli strappati. Semplicemente ho sepolto qualsiasi cosa provassi per lui e sono andata avanti. Nel tempo sono diventata abbastanza brava ad allontanare chi mi ferisce, seppur resti profondamente legata a Lars a causa del nostro Legame.
Poi, una sera, è arrivato lui: Lucien.
Si è seduto al mio tavolo come cento prima di lui hanno tentato di fare, ma – a differenza degli altri – lui ha attirato la mia attenzione.
Non so perché, non so cosa nella sua sfacciataggine e superbia mi abbia attratto. Forse perché in molti tratti lo vedo simile a me, forse perché vedo in lui riflesso qualcosa che riconosco. Forse siamo spezzati in maniera simile e ci siamo riaggiustati da soli, nel modo sbagliato.
L’unica cosa certa è che lui è stato il primo, per me.
Le sorprese non finiscono qui: quando Lars l’ha scoperto, ha perso la ragione.
Si è ingelosito quando ha saputo di me e lui. Ha confessato di essersi innamorato di me e, subito dopo, mi ha elencato tutti i modi in cui avrebbe potuto torturare ed uccidere Lucien.
No, ovvio che non mi sarei aspettata questa reazione: io ero rimasta ferma al nostro patto iniziale, quando lui mi disse “puoi avere un tuo compagno, una tua relazione. Io non sarò geloso e non sarò un impedimento” e al “Il mio cuore appartiene ad un’altra donna”.
Bene, che è accaduto nel mezzo?
Non ne ho idea. So soltanto che Lucien è una parentesi felice nel disastro della mia vita.
E lo prometto: nessuno gli farà del male.
Di cose strane, durante questi mesi, me ne sono successe. Una su tutte, però, ha sconvolto il mio modo di pensare.
Me ne stavo alla Locanda, ancora prima di diventare ambasciatrice. Dal nulla, ho perso i sensi e mi sono ritrovata sulla vetta di una montagna, insieme ad altri due sventurati. Poco dopo, un bestione mostruoso di oltre tre metri ed armato è comparso innanzi a noi e, ovviamente, ha tentato di ucciderci. Abbiamo combattuto, siamo arrivati pure a ferirlo. Eppure, dopo ogni ferita il suo corpo si rigenerava. Ci ha ridotti in fin di vita e, io, mi sono ritrovata a penzolare nel nulla, a chissà quanti mila metri di altezza. Le mie mani erano l’unica cosa a tenermi aggrappata alla pietra e alla vita. Poi, il mostro, è arrivato e mi ha calpestato le mani, facendomi cadere giù. È stato in quell’istante che, non so per quale ragione, ho pregato.
No, non sono mai stata fedele. Anzi, forse prima di allora non avevo nemmeno mai creduto agli Dei. Oh, si, i miei zii ci hanno provato: loro sono fedeli di Morwell ed hanno preteso che anche io lo diventassi. Sono riusciti a farmi odiare pure lei.
Eppure, mentre penzolavo da quel burrone, la mia mente ed il mio cuore hanno urlato un solo nome: Shanaas.
Ho implorato il Triplice di risparmiare la mia vita e, in cambio, gli ho offerto la mia anima.
Ed ora eccomi qui, a scrivere queste inutili pagine.
Forse Lui aveva posato gli occhi su di me ancora quella notte, quando senza esitare ho ucciso quell’uomo per salvare la mia dignità. Forse ha visto qualcosa in me ed è per questo che ha risparmiato la mia vita.
L’unica cosa che so è che ora la mia anima appartiene a Lui.
Ed io, con Lui, sono ancora in debito.
PSICOLOGIA E FEDE
Ho scritto la biografia in prima persona per permettere alla personalità della mia pg di venire parzialmente a galla da sola.
Lea non nasce malvagia e, in realtà, non lo è nemmeno al momento. È una caotica neutrale, un’individualista estremamente legata alla propria libertà di azione e di pensiero. Agisce secondo i propri principi (che possono essere ritenuti corretti o sbagliati, questo non le importa) ed è estremamente testarda ed inamovibile dalle proprie idee.
È tipicamente egoista, poco empatica ed estremamente possessiva. Ha grosse difficoltà ad instaurare legami sinceri e profondi, ma quando questo avviene per lei diventa quasi morboso, poiché nel profondo è rimasto il trauma dell’abbandono.
Se dapprima aveva un carattere abbastanza difficile da gestire (non si sarebbe fatta scrupolo a prendere a male parole un’autorità o chiunque dicesse la cosa – secondo lei - sbagliata), da quando è entrata nella Setta del Caos e da quando ha assunto un ruolo politico (ambasciatrice), la sua indole si è smorzata. Raggiungere gli scopi della Setta è diventato il suo credo principale e, per questa ragione, è disposta ad indossare una maschera all’occasione e mordersi la lingua quando necessario.
Da ragazza non ha mai creduto negli Dei, ha sempre ritenuto che nessuno al di sopra di uomini, elfi e nani potesse esistere. Questo perché ai suoi occhi il mondo è un luogo ingiusto, sbagliato e pieno di dolore. Se gli Dei esistono, perché non intervengono?
Lars ha avuto un ruolo fondamentale nello spiegarle le dinamiche che intercorrono tra gli Dei e tra gli Dei e gli abitanti dell’Aengard. Il punto di svolta, però, è avvenuto quando ha implorato l’aiuto di Shanaas (e nemmeno lei sa perché tra tanti abbia scelto proprio lui) ed egli ha risparmiato la sua vita.
Da quel giorno è fortemente convinta che il Triplice voglia qualcosa da lei, che l’abbia risparmiata per una precisa ragione e che, prima o poi, svelerà quale compito ha in serbo per lei. Se Lea dovesse diventare Drakaal, sono certa che rivedrebbe nell’unione con il Drago proprio questa famosa “missione” che Shanaas ha deciso di affidarle.
DRAGO
Vorthcrann – Il Dominatore
Vorthcrann è un drago antico, la cui vita è trascorsa nella rabbia, nell’odio e nel rancore. Lui non dimentica ciò che la sua stirpe ha subito, non dimentica le sofferenze che ogni drago ha sopportato a causa – principalmente – del genere umano. Ricordato come il Dominatore, poiché la sua personalità severa, inflessibile e – per l’appunto – dominante, si è imposta nello scorrere dei millenni. Il suo animo è divenuto un abisso oscuro, devoto solo alla vendetta ed al bramoso desiderio di riportare i Draghi al loro splendore e, soprattutto, alla libertà.
L’unica nota positiva rimasta nel suo spirito è il legame profondo e sacro che nutre verso i suoi simili, creature intoccabili ed assolutamente inarrivabili: le uniche vere meritevoli del suo sincero rispetto. Non disdegna gli elfi, poiché – a modo suo – è giusto: ricorda l’aiuto che la stirpe elfica ha portato al suo popolo nel momento del bisogno.
Non tollera, invece, l’esistenza degli umani: nella sua mente loro sono il vero male del mondo.
Tuttavia, è diventato nel tempo un abile calcolatore, dotato di una logica fredda e tagliente.
Per quanto riguarda l’interagire con Leaarhie, credo che essendo Vorthcrann dotato di una sottile intelligenza, non impiegherebbe troppo a comprendere il carattere della Mezzelfa.
Per questo motivo credo che – inizialmente – tenterebbe di relazionarsi a lei con pazienza, senza imporsi. È vero, è un dominatore: ma lei è un tassello fondamentale e lui un calcolatore. Sa che per convivere non può instaurare un legame servo-padrone, bensì una fratellanza profonda e solida.
Credo, quindi, che si relazionerebbe a lei come un fratello maggiore, protettivo e presente in ogni sua scelta, seppur severo e rigido all’occorrenza.
LEAARHIE DRAKAAL
Leaarhie in versione Drakaal diventerebbe ancora più fiera di quello che già è.
Molti lati del suo carattere sono simili a quelli di Vorthcrann, tuttavia lui ha dalla sua l’esperienza: se Lea rischiasse di cedere alla rabbia o alla violenza nel momento sbagliato, sarebbe lui a fermarla, a farla ragionare grazie alla sua logica ben più corroborata.
Sarebbe quindi da un lato più “equilibrata”, seppur covi ora un’ira ancora più profonda, alla quale riesce a dare una motivazione: non è risentimento solo verso suo padre, ma verso un’intera razza. Quella umana. Condividerebbe a pieno la guerra di Vorthcrann e si lascerebbe guidare per portarla a termine. Riassumendo, di facciata potrebbe apparire più affabile, quando in realtà alle spalle potrebbe covare una malignità ben più pensata e studiata, da attuare nei giusti tempi.
A differenza del Drago, però, in Lea resta una parte di cuore non contaminata: lei è ancora capace di amare e di provare sentimenti positivi. Credo che questo influenzerebbe inevitabilmente Vorthcrann, il quale avrebbe finalmente modo di vivere non soltanto sommerso e circondato dall’odio.
DESCRIZIONE FISICA - DRAGO
Drago massiccio ed imponente, con un’altezza al garrese di 6 metri, zampe ed arti particolarmente robusti. Le squame che rivestono il corpo sono di un colore rosso intenso, mentre gli aculei rigidi che contornano il viso sono sfumati di colore bianco. Gli occhi sono grandi e di colore giallo/arancio, una tonalità che ricorda le fiamme. Dall’estremità della testa ha inizio una cresta di aculei rigidi e massicci, di colore rosso, che giungono sino alla coda; inoltre, sulla schiena sono presenti delle cicatrici di colore nero, causate da chi tentò di cavalcarlo quando era un giovane drago. Le ali sono imponenti, con un’apertura massima di 16 metri. La lunghezza totale dalla testa alla coda è di 20 metri.
DESCRIZIONE FISICA - FORMA ELFICA
Dall’aspetto rassomiglia ad un elfo della notte: pelle pallida, capelli di una tonalità nero profondo, tratti duri, severi, granitici. Gli occhi sono di un colore giallo dorato. È alto 190 cm e dotato di una muscolatura particolarmente sviluppata. Il corpo è riempito di tatuaggi di colore nero: ad ogni marchio corrisponde un ricordo, che si tratti di un fratello drago ucciso o di una sofferenza passata subita.
NATURA MANIFESTA
- Marchio sulla schiena: simile ad un tatuaggio, in realtà è un vero e proprio marchio nero impresso sulla pelle e leggermente in rilievo. *
- Quando utilizza la magia o quando prova forte rabbia, il marchio inizia a brillare di un colore giallo/arancio e gli occhi assumono la stessa colorazione, rivelando una pupilla verticale, simile a quella di un rettile.
* La forma di questo tatuaggio corrisponde alle cicatrici presenti sulla schiena di Vorthcrann, nate a causa della sellatura che fu obbligato a portare quando era un giovane drago.
... Grazie per l'attenzione!