Le ombre nere di Gerusalemme
Anno Domini 1160.
Boemondo parte dalla sua città natale, Antiochia , nei primi di Aprile e, sotto una calura insopportabile e il sole battente, giunse al porto dove l'ammiraglio Meller teneva la sua piccola flotta aspettando gli ordini del principe.
Arrivato, Boemondo gli mostrò la lettera del principe Rinaldo chiusa con la ceralacca impressa dello stemma d'Antiochia.
L'ammiraglio l'aprì e lesse velocemente il contenuto, poi chiamò due marinai che aiutarono Boemondo a smontare da cavallo e poi l'accompagnò personalmente sulla nave.
Gli mostrò la mensa, la cabina del capitano e la cabina dove avrebbe alloggiato; Boemondo annuì ed entrò nella sua cabina: era una piccola stanzetta punita di un tavolinetto basso e di un letto alto e di uno sgabellino vicino.
Senza dire una parola, ma solo accennando un grazie, chiuse la porta della cabina e , aiutandosi con lo sgabello, salì sul letto, poggiò le mani dietro la testa e si distese.
Il suo pensiero subito volò ad Antiochia , la sua bellissima città, all'amata madre, alla bellissima sorella, Maria e al suo precettore Aleamme Cottaz, al granmaestro defunto Raimondo e a tanti altri, ma soprattutto al patrigno.
Boemondo sapeva benissimo che Rinaldo tentava di allontarlo da corte e da Antiochia. Mentre si allontanava dalla città lo vide sopra le mura.
L'aveva visto serio, quasi commosso, ma sapeva che era una maschera: Rinaldo lo odiava e lui odiava Rinaldo.
Da quando sua madre l'aveva sposato, Rinaldo aveva tentato in tutti i modi di allontanarlo dalla città: temeva il figliastro perchè era lui il prossimo erede al principato.
Rinaldo voleva un figlio, un erede e Boemondo lo sapeva; se ciò accadesse aveva da temere per la sua vita, come l'aveva avvertito il suo vecchio precettore e maestro, Raimondo di Provenza.
In pochi giorni arrivarono ad Acri: era una fortezza imponente, con mura spesse e robuste e sorvegliate da centinaia di soldati.
Boemondo si presentò alla guardia davanti al cancello della fortezza e porsi un'altra lettera di Rinaldo.
La guardia la lesse scrupolosamente, poi urlò il nome di un soldato e gli disse di accompagnare il ragazzo da Saint-Paul.
Boemondo l'aveva sentino nominare: era un valoro maestro lazzarita, molto anziano, che dirigeva e coordinava l'addestramento di membri dell'ordine, cavalieri, o semplici milizie.
Boemondo e il soldato attraversarono la fortezza e raggiunsero una torre, dove il granmaestro viveva in solitudine; il soldato bussò alla massiccia porta di legno e un rumore, quasi uno sbattere, venne da dentro.
Poco dopo un uomo anziano con i capelli e la barba lunga e vestito con stracci di un colore marrone su cui campeggiava la croce verde dell'ordine.
Il soldato gli porse la lettera e si congedò, lasciando il ragazzo e il granmaestro da soli uno di fronte all'altro in un imbarazzante silenzio.Saint-Paul lo fece entrare offrendogli di sedersi e di mangiare qualcosa, ma Boemondo scosse la testa imbarazzato, senza dire una parola.
L'interno della torre puzzava e il cibo che il granmaestro mangiava ancora di più; Boemondo si chiese come uno degli uomini più importanti del regno vivesse in questa tale schifezza, ma non ebbe il coraggio di chiederglielo.
Hugo gli indicò la stanza in cui avrebbe alloggiato per quella notte, una piccola camera che prima fungeva da osservatorio, così piccola che a malapena ci entrava il letto.
Il granmaestro gli disse che domattina avrebbero incominciato gli allenamenti e gli augurò la buona notte, nonostante fosse ancora giorno, e chiuse la porta.
Boemondo si addormentò subito, bombardato da mille pensieri e da mille preoccupazioni.
Il mattino seguente si svegliò molto presto, uscì dalla stanza e notò il granmaestro già in piedi mentre pregava Iddio di concedergli un altro giorno di aiuto verso i malati e coloro che soffrivano.
Diversamente dal giorno prima, Boemondo mangiò insieme a Hugo un pezzo di pane e una ciotola di latte, tutt'altra cosa rispetto alle colazioni cui era abituato ad Antiochia.
Dopo il pasto, indossò velocemente una piccola armatura datagli dal maestro e insieme si incamminarono verso la Caserma, il luogo in cui i ragazzi e gli uomini si allenavano costantemente, per ordine del principe Almarico, che temeva sempre un'invasione degli infidi Saraceni, come li chiamava lui.
All'accademia diede prova di non essere un bravo combattente: riusciva a tener testa a qualche ragazzo, ma bastava un soldato a disarmarlo senza fatica.
Riuscì invece a diventare il capo di quel gruppetto di ragazzi ricchi che aspiravano a un posto tra i cavalieri del regno: la sua eccellente dote di oratore e la sua naturale autorità aveva reso quel gruppo di rampolli, un gruppo di pecore, lo seguivano ovunque e obbedivano ai suoi ordini.
La curiosa notizia arrivò anche al principe Almarico che, curioso di natura, lo chiamò a corte; Boemondo, accompagnato da una scorta, entrò all'interno della "reggia" del principe: una enorme stanza decorata con rifiniture in oro, imbastita con moltissimi scudi di tutti i colori e al centro un lunghissimo tavolo rifinito
da disegni di ogni sorta che spaziavano dalle battaglie contro i musulmani fino a scena di raccolto e vendemmia.
In fondo alla sala campeggiava la figura di Almarico su un trono rifinito con disegni bellissimi e del colore dell'oro; Boemondo si sorprese dell'aspetto del principe che dimostrava si e no 18 anni, ma che ne aveva 26; Boemondo si inchinò, ma Almarico lo fece alzare subito, odiava inchini e protocolli.
Il principe volle subito conoscerlo, la sua vita, del perchè era venuto ad Acri, se si trovava bene; gli aveva fatto un'infinità di domande solo per sentirlo parlare e si meravigliò di quanto sapesse farlo bene e con naturalezza, un oratore nato. Subito dopo fece uscire tutti i cortigiani e i nobili e persino le guardie dalla stanza lasciandoli soli
A quel punto il principe iniziò a parlare di sè, di quanto odiasse tutti le formalità, di quanto vorrebbe avere amici con cui andare all'osteria e bere senza nessuno che lo bacchettava e poi parlò di ragazze e di quanto amava sua moglie e di quante volte il fratello Baldovino aveva tentato di boicottare il matrimonio e di tante altre cose.
Boemonondo era sorpreso di quanto il principe si fosse aperto, con lui poi, che conosceva da poche ore nemmeno; parlarono per ore e ore e in tutti quei discorsi Boemondo vide un ragazzo che non voleva essere nè principe nè re, ma solo ragazzo.
Verso una cert'ora entrò un messaggero informando il principe che era arrivato il maestro Saint-Paul a prendere il ragazzo, Almarico gli disse di entrare e il granmaestro dopo un breve omaggio al principe, prese il ragazzo per un braccio e lo portò via. Mentre stava uscendo dalla stanza, udì Almarico che gli ordinò di venire il pomeriggio seguente e quello seguente ancora.
I mesi successivi la vita ad Acri trascorse tranquilla: la mattina faceva colazione con il gran maestro, la mattina si esercitava con i ragazzi e con i soldati e diveniva pian piano più abile, il pomeriggio era alla corte di Almarico per parlare e la sera partecipava spesso a feste popolari, sedendo e mangiando in mezzo al popolo qualunque sia: cristiani,musulmani,ebrei, franchi, arabi, non faceva differenza e la sua popolarità aumentò.
Aumentò fino ad arrivare alle orecchie di Rinaldo che su da Antiochia temeva il crescere della sua fama, quindi inviò un messaggio al re Baldovino chiedendogli di trasferire il figliastro a Gerusalemme.
Al diciottesimo anno di età, Boemondo è fatto cavaliere dal principe Almarico ( conte anche di Acri ) e giura fedeltà alla corona e al regno.
Durante la festa che si tenne la sera, arrivò un drappello di armati che ,spiegarono, avrebbero portato il ragazzo a Gerusalemme; inizialmente Almarico si oppose, chiedendo sgarbatamente chi lo ordinava.
Ma al nome di Baldovino, il principe si rabbonì quasi impaurito e non mosse un dito nè fiatò quando Boemondo fu fatto salire su un cavallo e nemmeno quando sparì dall'orizzonte. La sua bocca prese la forma di una U rovesciata e i suoi occhi si abbassarono
Saint-Paul conosceva quel volto era l'espressione che precedeva uno scoppio d'ira: non avrebbe perdonato il fratello di avergli tolto il suo unico amico.
Dopo nemmeno due giorni di marcia Boemondo e gli armati raggiunsero Gerusalemme; il ragazzo rimase a bocca aperta nel vedere la città che per la quale quasi un secolo cristiani e musulmani si sono massacrati a vicenda ed era per quella città che lui aveva giurato fedeltà e aveva giurato di proteggere anche la più piccola casa di quella maestosa città.
Nonostante si fosse separato da una vita straordinaria ad Acri, Boemondo era felice di andare alla capitale: lì avrebbe incontrato il re Baldovino e gli avrebbe raccontato che Rinaldo era un usurpatore e che la città doveva di diritto passare a lui.
Ma il re non sentì ragioni: opporsi a Rinaldo sarebbe stata una pazzia, era un uomo valoroso,fedele e non aveva senso togliergli Antiochia, e altri mille ragioni che Boemondo si affrettò a dimenticare.
Il ragazzo fu deluso dal re, se lo ricordava come un uomo gentile, onorevole e giusto, ma la verità era che Rinaldo gli faceva comodo, un leccapiedi come lui avrebbe tenuto a bada la riottosa Antiochia avvezza a un'indipendenza temuta dalla corte di Gerusalemme.
La beffa arrivò il giorno dopo quando, inaspettatamente, Boemondo fu vestito di una tunica preziosissima e condotto davanti al re senza sapere nemmeno il motivo.
Baldovino gli spiegò che quel giorno sarebbe diventato visconte di Gerusalemme in nome di Dio e del regno, "Al diavolo" pensò Boemondo, " è tutto un modo per trattenermi qua".
Il giovane conosceva bene il rituale: si inginocchiò, mise le sue mani in quelle di Baldovino e , dopo aver pronunciato un giuramento balbettante di fedeltà ( non sapeva nemmeno cosa dire), il re gli diede un breve bacio sulla bocca, come prova dell'indissolubile filo di fedeltà che li collegava.
Finita la cerimonia, Boemondo era amareggiato: gli era giunta la notizia che sua sorella Maria, era andata in sposa ad Arnoul Robert, un nobile francese, che permetteva così aiuti futuri da parte del re di Francia e una linea dinastica in caso della sua morte.
Boemondo strappò la lettera e la bruciò, era infuriato: Gerusalemme gli era ostile, non aveva nessun amico nella capitale, ma fuori sì.
Il suo precettore, il vescovo Aleamme Cottaz, gli dava tutto il suo appoggio, Almarico era sicuramente dalla sua parte e osteggiava tanto il fratello, quanto Rinaldo, e infine il gran maestro dei Lazzariti era pronto in caso di neccessità, ad aiutarlo e difenderlo.
Boemondo, non era solo, anzi era forte, molto forte.
Nubi nere oscurano il sole di Gerusalemme, Siriani e Selgiuchidi si sono alleati e gli Egiziani premono ai confini, Baldovino sta preparando una guerra preventiva contro i Siriani e trame di palazzo sono filate come in una ragnatela.
Oscuro è il destino di Boemondo, legato indissolubilmente con la sua terra natia, Antiochia