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LA FEDE (Toth Tihamer)

Ultimo Aggiornamento: 14/03/2011 09:08
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08/03/2011 10:53
 
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Toth Tihamer
La Fede
L’esistenza di Dio
ISTITUTO DEL VERBO INCARNATO



INDICE
PREFAZIONE DELL’EDITORE
INTRODUZIONE

I. La fede dei nostri padri
II. Felice colui che ha fede
III. Infelice colui che non ha fede
IV. Le vie dell’incredulità: la falsa scienza
V. Le vie dell’incredulità: malintesi, vita, cuore
VI. Come fortificare la mia fede (bisogna avere il
coraggio di credere)
VII. Come fortificare la mia fede (bisogna avere
cura di essa)
VIII. Che pensate voi di Dio
IX. C’è un Dio? La risposta del mondo
X. C’è un Dio? La risposta dell’uomo
XI. Gli atei non hanno alcun motivo di scusa
XII. C’è un Dio? La risposta della mia anima: La
legge morale
XIII.C’è un Dio? La risposta della mia anima:
L’aspirazione alla verità e alla felicità
XIV. C’è un Dio? La risposta dell’umanità
XV. È necessario che io creda in Dio

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08/03/2011 10:59
 
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PREFAZIONE DELL’EDITORE
Presentiamo a te, caro giovane, questo “piccolo gioie!o” del
vescovo ungherese Tihamer Toth. Fu tradotto al italiano e
pubblicato per prima volta nel 1943. Ha come pregio
principale il far capire l’importanza di una fede vissuta e
coerente in Dio. Originariamente fu il primo di sette volumi
intitolati “Il Simbolo degli Apostoli” in qui l’autore sviluppò
amena e profondamente il Credo Apostolico.
Abbiamo riscattato del oblio questo volume per aiutare ad
ancorare la tua vita sulla salda roccia della verità
su!'esistenza di Dio; infatti, il Catechismo de!a Chiesa
Cattolica con molta chiarezza sostiene e insegna che Dio,
principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con
certezza con il lume naturale de!a ragione umana partendo
da!e cose create1 . Nel sostenere la capacità che la ragione
umana ha di conoscere Dio, la Chiesa esprime la sua fiducia
ne!a possibilità di parlare di Dio a tutti gli uomini e con tutti
gli uomini. Invece, siamo certi, che la chiusura ideologica a
Dio e l'ateismo de!'indifferenza, che dimenticano il Creatore
e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano
o&i tra i ma&iori ostacoli a!a crescita serena de!a gioventù
portando in sé un germe di autodistruzione.
Abbiamo voluto conservare l’introduzione che fece
l’autore in quel momento ne!a quale, senza pretesa di essere
esaustivi, vengono dati consigli utilissimi ed attuali per coloro
(sacerdoti e laici) che con zelante dedizione si dedicano a!a
trasmissione catechistica del Vangelo.
3
1 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 36.
Come ne!e altre tre opere da noi pubblicate (“La
religiosità del giovane” , “Il carattere del giovane”
e “Cristo e il giovane”) abbiamo modificato, ne!a
redazione finale, que!e espressioni grammaticali in disuso.
Tuttavia, ne!a rielaborazione dei testi abbiamo avuto la
massima accuratezza di rispettare il contenuto del messa&io
che l’autore ha voluto trasmettere, pur conferendo a!a lettura
la pacatezza e attualità che merita.
Ne!a fiducia che questa opera incora&i te, lettore amico,
ad approfondire e vivere in pienezza la fede, invoco
l’intercessione di Maria, Madre di Dio.
P. Ernesto Caparrós V.E
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08/03/2011 11:00
 
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4
INTRODUZIONE
Il segreto del buon esito della predicazione
I. Il principale segreto che rende efficace ogni
predicazione è sempre stato e sempre sarà questo: la
personalità del predicatore, uno zelo ardente, una vita
irreprensibile. Un sacerdote che sacrifica tutto per nostro
Signor Gesù Cristo e Lui pone al di sopra di ogni
interesse, esercita un’influenza profonda sugli uomini del
nostro tempo, così immersi nel materialismo.
Una predica che è priva di quell’accento di profonda
convinzione che avvince gli uditori, per quanto sia
composta secondo le regole dell’arte oratoria, resterà come
bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita (1 Cor 13,1).
Invece, se l’uditore sente che il predicatore crede a ciò che
dice dall’alto del pulpito e vive in conformità a ciò che
insegna, in maniera cioè che il suo contegno sia come un
libro aperto dinanzi ai suoi uditori, se sente attraverso le
sue parole che tutta la sua gioia e la sua felicità ed ogni
sua ambizione sono riposte nel guadagnare nuovi fedeli
alla verità, allora la deficienza degli artifici oratori non
nuocerà per nulla all’efficacia della predicazione.
Con meraviglia vediamo anche oggi, sia pure in
mezzo a gente “stanca di prediche”, gli uditori affollarsi
attorno al pulpito di un sacerdote veramente infiammato
di zelo per la gloria di Dio, che non bada a nessuna fatica
e a nessun sacrificio quando si tratta di salvare le anime, e
la cui vita di lavoro giustifica il proverbio: “Il fuoco non
dice mai basta”.
5
Un miscredente così si espresse intorno al Padre de
Ravignan: “Egli stesso crede a ciò che predica e tutto in
lui ispira la Fede”. Una convinzione così ardente
compensa le deficienze e copre molti difetti (un altro
esempio abbiamo nel Santo Curato d’Ars). Un violino
non può essere sempre uno Stradivari, ma Paganini
sapeva trarre suoni melodiosi anche di un cattivo violino.
Potremmo adattare le parole di Sant’Agostino “Ama e fa
ciò che vuoi” al predicatore, così: “Sii santo e predica
come vuoi”.
A differenza dell’arte oratoria profana, noi dobbiamo
porre per la predicazione questo principio: I nostri
discorsi avranno tanto più successo quanto meglio noi ci
avvicineremo, con la nostra vita, all’ideale cattolico. Il
predicatore farà bene a leggere sovente le parole di San
Paolo a Timoteo e a Tito. Quanto egli non esigeva da
loro! (Cf. 1Tm 3, 2+; Tt 1, 7+). Annuncia la Parola, insisti al
momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta
con ogni magnanimità e insegnamento (2Tm 4,2).
“Cuius vita despicitur, restat, ut eius praedicatio contemnatur”,
ha detto il Papa San Gregorio Magno. A sua volta San
Francesco di Sales disse con ragione: “Un’oncia di buon
esempio vale più di cento belle parole». Noi oggi viviamo
talmente in un’epoca di “prestigio personale” che non é
già il “grande oratore” che compie con successo il
compito di annunciare la parola di Dio, ma il prete pio e
zelante.
È ciò che tanto bene insegna San Carlo Borromeo
nelle sue “Istruzioni pastorali”: “Quemadmodum enim in arca
testamenti duo illi Cherubim ita collocati erant ut semper mutuo se
6
aspicerent: ita vita concionantis doctrinae ex altera parte respondere
debet usque adeo, ut et vitam doctrina collustret, et doctrinam rursus
vita corroboret, viresque eidem perpetuo addat...”.
Tutte queste qualità personali del predicatore che i
manuali elencano sotto il titolo complessivo “la persona
del predicatore” (la santità della vita, l’umiltà, la pietà, il
disinteresse, la purità d’anima, la gentilezza e il tatto
personale), tutto ciò ai nostri giorni, nel tempo cioè in cui
si guarda più al valore personale che a titoli d’altro
genere, acquista sempre una maggior importanza per il
successo della predicazione.
Per l’oratore profano questo ha minor importanza,
mentre né acquista sempre più per l’oratore sacro.
L’oratore profano, non mira già ad un fine
soprannaturale, a lui bastano perciò gli ordinari artifici
oratori. Non è così per il predicatore che ha come scopo
di condurre i suoi uditori alla vita soprannaturale; per
quanto la sua eloquenza sia brillante, essa non basta, ma
é la vita soprannaturale del predicatore stesso che decide
della riuscita della sua parola. Come potrebbe un
predicatore elevare i suoi uditori verso Dio, se egli stesso
non é capace di sollevarsi fino a Dio? Una conferenza
scientifica testimonia della scienza e dell’erudizione del
conferenziere. Un romanzo della ricchezza di espressione
e dell’abilità del suo autore. Una declamazione dell’arte
dell’oratore. E un discorso? Della fede del predicatore. È
certamente necessario per fare un discorso avere della
scienza, dell’erudizione, della facilità d’espressione, ma
l’essenziale è una fede viva e una ferma convinzione. Un
buon discorso attesta sempre la fede e la misura nella
quale il predicatore nella sua anima, nelle sue idee, nel
7
suo sentimento e nella sua volontà è penetrato
dell’onnipotenza di Dio. È per questo, che, non può
ottenere alcun successo un discorso che si fonda
unicamente sui processi della logica e della retorica e non
è, che il frutto d’astratti ragionamenti.
Noi pertanto non esitiamo affatto ad affermare che la
meditazione quotidiana di un prete zelante è il mezzo per
eccellenza per il successo. Predica bene chi medita molto.
“Ex plenitudine contemplationis praedicatio derivatur”2. E
viceversa “qui non ardet, non incendit”.
Il Signore disse un giorno ad Ezechiele: Quando
sentirai le mie parole, le riferirai agli Israeliti (Ez 3, I7). E gli
Apostoli hanno associato la preghiera e la predicazione:
Noi apostoli, invece, impegneremo tutto il nostro tempo a pregare e ad
annunziare la parola di Dio (At 6, 4). Quante volte san Paolo
ripete questo pensiero! Egli domanda le preghiere degli
efesini: Pregate perché Dio mi faccia trovare parole decise con cui
far conoscere la verità del suo messaggio (Ef 6, I9). Egli chiede le
preghiere dei colossesi: Pregate anche per me, perché Dio mi
offra buone possibilità di diffondere il suo messaggio e di parlare del
progetto di salvezza rivelato da Cristo. Per questo mi trovo ora in
prigione. Ma voi pregate che io possa ancora predicare e parlare, così
com’è mio dovere (Col 4, 3-4). Egli domanda le preghiere dei
tessalonicesi: Pregate perché la parola del Signore si diffonda e sia
bene accolta come accade tra voi (2 Tes 3, 1). Ascoltiamo pure
queste parole di san Gregorio Magno: “Prius aurem cordis
aperiat voci Creatoris, et postmodum os sui corporis aperiat auribus
plebis”3. Sant’Agostino stima che il predicatore “Pietate
8
2 Summa II-II q. 188, art. 6
3 In Ezech. I, Hom I
magis orationum, quam oratorum facultate indiget... Sit orator,
antequam dictor… Priusquam exserat proferentem linguam, ad
Deum levet animam sitientem, ut cructet, quod biberit, vel quod
impleverit fundat”4.
L’arte di ben predicare non si apprende nelle scuole,
ma in ginocchio.
II. Un’importante condizione per il successo nella
predicazione è la conoscenza della vita moderna e lo spirito
d’attualità.
Bisogna però ben comprendere il senso di
quest’espressione. S’ingannerebbe a partito il predicatore
che, allo scopo di riuscire più interessante divenisse una
gazzetta vivente, annunciando dalla cattedra di verità
tutte le notizie del giorno, facendo delle applicazioni
tirate per i capelli, e ciò per predicare in una maniera
“nuova e moderna”.
Non é questo ciò che noi intendiamo, indicando tra i
mezzi di successo nella predicazione la ricerca
dell’attualità e la comprensione della vita moderna. Si
tratta di ben altro. La pietà personale, lo zelo e la vita
degna del predicatore ancora non bastano, ma occorre
che egli sappia come far amare le verità religiose all’uomo
del giorno d’oggi.
I fedeli hanno su questo punto una profonda
intuizione e s’accorgono presto se dall’alto del pulpito,
vengono presentate loro senza vita e senz’anima, le
9
4De doctrina Christi, I, IV
antiche verità tradizionali, sotto frasi ridondanti e fiumi di
parole, con voce altisonante, oppure se hanno davanti un
fratello, uno uguale ad essi, un uomo che vive nel mondo
attuale, un uomo dei nostri giorni, la cui anima vibra con
l’anima di tutti quelli che cercano Dio; un uomo, la cui
anima trema nelle lotte della vita, un uomo che, con
calore ed affetto, tende la mano ai suoi fratelli per
condurli fino al Cuore di Cristo, dove egli, prete, è già
arrivato e dove ha trovato la pace.
Se gli uditori sentono la forza della vita spirituale che
trabocca dall’anima del predicatore, se loro sentono la
sua anima sospirare, bruciare, lottare e soffrire sotto la
corrente di una vita soprannaturale ad alta tensione, se
vedono come egli trova la sua gioia e stima suo sacro
dovere di ravvivare le piccole lampade dei suoi uditori a
contatto della corrente vivificante e liberatrice di Cristo,
allora una predicazione di tal genere risponde alle
esigenze del tempo attuale.
Questa è l’attualità, l’adattamento alla vita moderna
che noi reclamiamo: una predicazione nella quale i fedeli
s’accorgano che il loro sacerdote non si smarrisce in
ragionamenti nebulosi e non si trattiene in considerazioni
puramente ascetiche, allontanandosi completamente
dalla vita reale. Non comportatevi come se foste i padroni delle
persone a voi affidate, ma siate un esempio per tutti (1 Pt 5, 3).
Se i fedeli potessero rendersi conto che l’oratore
segue con calda simpatia le dure lotte della vita, e conosce
con anima compassionevole le privazioni sovrumane
dell’esistenza attuale, e possiede uno sguardo chiaro e
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lucido al quale possono con tutta tranquillità affidare la
condotta delle loro anime tormentate!
Leggere nelle profondità delle anime, scoprire i
movimenti e gli intimi pensieri in modo da rispondere
anche ai più segreti quesiti, con una predicazione
adattata alle esigenze della vita moderna! Non è così che
può predicare il sacerdote che passa la sua vita in un
ufficio, in un segretariato, in una biblioteca o al suo
tavolo. Non può predicare così che il sacerdote che
confessa parecchio e si trattiene spesso con i suoi fedeli.
La predicazione del prete che sente quotidianamente
giungere fino a lui i lamenti che salgono dall’oceano della
vita, avrà sempre per tema le questioni più vive e più
palpitanti, e si potranno applicare a lui le parole di
Emerson: “Spremete le sue parole e ne uscirà del sangue”.
III. Terza condizione per una buona riuscita e la
naturalezza. Predichiamo con semplicità d’espressione.
L’uomo moderno non tollera più il modo solenne ed
enfatico dei nostri predecessori; egli non vuole sentire il
prete fare dell’eloquenza. Ascolterà invece con attenzione
se il prete converserà naturalmente con lui, con il
medesimo tono, con le stesse espressioni e gesti con cui
due vecchi amici si tratterebbero piacevolmente tra loro
andando a passeggio.
Il mezzo migliore per evitare la monotonia, quello
che è chiamato “il tono del predicatore”, sarà, per il
prete, il modo di esporre con tutta la sua personale
11
convinzione, le verità che predica dall’alto del pulpito.
Colui, che cerca seriamente di far penetrare le idee
religiose nel suo uditorio non lo addormenterà, né lo
stordirà con i suoi gridi, ma converserà con naturalezza e
semplicità, in altre parole osserverà la punteggiatura,
l’accentuazione, farà delle pause ed eviterà tutto ciò che è
affettato ed esagerato.
È precisamente così che ci si assicura una buona
riuscita. Il predicatore ha il compito di influire sui suoi
uditori, di persuaderli.
Perciò occorrono tre cose, richieste non solo dalla
psicologia moderna, ma già da Cicerone: “Tribus rebus
omnes ad nostram sententiam perducimus: aut dicendo, aut
conciliando, aut permovendo”, cioè: esporre chiaramente il
soggetto (dicendo), renderlo simpatico (conciliando), e
suscitare l’entusiasmo (promuovendo). “Il primo fedele di
un buon curato è lui stesso”, il che vuol dire che un buon
discorso deve produrre il suo effetto più profondo, sullo
stesso predicatore.
Il predicatore, durante la sua preparazione, cerca i
mezzi e la maniera di far penetrare nella propria vita, le
conseguenze pratiche del suo soggetto e osserva gli
ostacoli che gli impediscono il cammino; il suo discorso è
penetrato di tale profondità, di tale calore e di tale forza
che non permette all’anima degli uditori di resistere. Il
predicatore, la cui anima è passata per queste differenti
fasi caratteristiche, e che conosce per esperienza le loro
ripercussioni nell’anima altrui, saprà convincere gli
uditori che le verità che loro annuncia sono realmente
indispensabili, perché danno la forza nella lotta, la
12
consolazione nel dolore, la luce nelle tenebre e la
ricompensa nella vittoria.
IV. L’uso di quei predicatori che cercano nei tanti
avvenimenti della vita quotidiana gli esempi per toccare più al
vivo l’anima dei loro ascoltatori, è certamente utile. È
innegabile che l’inserzione d’esempi e di fatti, ha allargato
i limiti così rigidi in altri tempi, e ha dato alla
predicazione un’andatura che colpisce maggiormente
l’immaginazione.
I predicatori così detti classici hanno evitato per
principio l’uso degli esempi. Ma chi preferisce l’efficacia
della predica alla conformità della stesa alle regole
classiche, li può tranquillamente adoperare. Sempre con
misura, naturalmente, e a tempo e luogo.
Un avvenimento qualunque della vita, può costituire
un eccellente esordio (exordium ab illustratione) solo che
rispondi all’idea fondamentale della predica. Allo stesso
modo possiamo dare una conclusione impressionante se
abbiamo sottomano un tratto che riassuma tutto
l’argomento studiato. Ma possiamo utilizzare con grande
profitto, tanto i fatti veri e gli esempi quanto le allegorie,
le metafore e le parabole nel corpo stesso della predica.
Succede spesso anche a persone colte, di aprire il giornale
della domenica prima di tutto alla pagina del
“supplemento illustrato”. La psicologia moderna ha
constatato che anche gli intellettuali pensano per
immagini e non solamente per idee astratte; quanto poi
alla massa del pubblico di media levatura, le sarà sempre
molto difficile di pensare senza ricorrere alle immagini.
13
E se possiamo anche illustrare questa o questa altra
verità astratta con un esempio che colpisca, con un
esempio interessante preso dalla vita attuale, non
solamente otterremmo dai nostri ascoltatori un’attenzione
più grande che farà maggiormente penetrare in essi l’idea
fondamentale, ma, cosa ancor più preziosa, essi vedranno
che quanto noi predichiamo può essere praticato.
L’uso degli esempi ostacola talvolta lo sviluppo logico
del pensiero e lo svolgimento della predica, ma in vista
del suo effetto possiamo ben chiudere gli occhi su tale
imperfezione. E se Nostro Signore, non ha sdegnato di
adoperare gli stessi esempi, noi non dobbiamo ometterli.
Se il divino Maestro si fosse mantenuto, nei suoi discorsi,
altrettanto nebuloso ed astratto quanto molti predicatori,
è certo che non sarebbe stato compreso; invece Nostro
Signore nelle sue predicazioni ha usato frequenti esempi:
la messe biondeggia, il fico rinverdisce, il giglio schiude i
fiori, il tramonto arde, la fiamma brilla, tutto, anche la
natura inanimata vive.
L’uso d’esempi, di concetti, di fatti e di parabole, atro
non è se non il rinnovamento dell’antica “biblia pauperum”.
Noi ci adattiamo così più facilmente alle esigenze della
moderna psicologia e pedagogia religiosa, secondo le
quali non basta soltanto esporre le verità della fede in
modo razionale, ma è necessario sforzarsi di farle
penetrare nelle anime per mezzo dell’immaginazione e
della sensibilità. Solamente in questa maniera, la predica
diverrà per le anime una sorgente di vita.
Ora, il fatto che una predica è sorgente di vita per
l’anima, é il miglior segno del suo successo.
14
V. Ma per essere efficaci ci è ancora necessario di fare
un maggior uso della psicologia. Ci spiegheremo:
A) Nell’insegnamento della facoltà di teologia il
primo posto tocca naturalmente alla logica, al
ragionamento e all’argomentazione. I futuri sacerdoti
devono dimostrare, seguendo le regole di una logica
rigorosa, con prove e argomenti, che tutti i nostri dogmi,
tutti i nostri obblighi morali poggiano sopra basi solide e
sono verità che non possono venir messe in dubbio.
Ma accanto a ciò sta il pericolo che il prete continui a
seguire in pulpito il metodo dei suoi manuali di teologia e
che i suoi ascoltatori vengano sommersi da un fiotto
d’argomenti e di sillogismi. Il successo di una predica non
è assicurato dal fatto che noi abbiamo provato con
chiarezza luminosa, la verità del nostro soggetto. La
nostra predicazione avrà successo se fortificherà la
volontà favorendo le pie risoluzioni. Anche dopo il più
brillante sfoggio d’eloquenza, l’uditorio è pur sempre
minacciato da questo pericolo: mirati sunt, conversi non sunt.
Per convertire, per agire sulla volontà, per ispirare
risoluzioni pie, bisogna che accanto alla logica vi sia una
buona dose di psicologia. Una psicologia che non si
accontenti d’insistere sulla verità del soggetto esposto, ma
che si sforzi di agire contemporaneamente sulla sensibilità
e sulla volontà; ed é precisamente per questo, che essa fa
risaltare i lati più felici del soggetto stesso, per esempio la
bellezza, l’elevatezza, la forza, la consolazione, la pace
che si possono trovare nel dogma che si sta esponendo, la
conformità della morale cristiana con la natura, la
ragione umana, il bene che reca il rispetto alla legge di
15
Dio, mentre la sua violazione non conduce che a
decadenza e rovina. Accanto alla teologia morale,
bisogna ancora utilizzare la psicologia morale; accanto
alla theologia mentis la theologia cordis.
La Chiesa sa bene che l’uomo non e solamente un
cervello, ma ancora una volontà e un cuore. Sa pure che
non soltanto per mezzo degli studi teologici uno diventa
un buon prete, ed impone parecchi anni di seminario al
futuro sacerdote non per il solo fatto di aguzzare la sua
intelligenza, ma per formargli la volontà ed il carattere. Il
predicatore stesso deve accorgersi che la verità del suo
argomento, malgrado la logica più severa, non basta per
influenzare la volontà e la sensibilità degli ascoltatori.
L’oratore deve tener conto che l’uomo attuale è più
accessibile alle prove storiche e psicologiche che ad una
dimostrazione logica. Più facilmente che per la ragione, si
prende quest’uomo per il cuore; e se noi ne guadagniamo
il cuore, anche la sua mente sarà nostra. Riguardo a
molte questioni, l’uomo moderno non sente come pensa,
ma pensa come sente.
I commercianti astuti hanno scoperto da parecchio
tempo che non è sufficiente avere la merce migliore, ma
che è altrettanto necessario farla conoscere e offrirla con
garbo. Grossi volumi sono stati pubblicati con il titolo di
“Psicologia del compratore”. E se non avessimo paura di
essere fraintesi, proporremmo d’imitare il procedimento
del commerciante ingegnoso per assicurare il successo
della predicazione. Sotto quale favorevole luce egli
presenta la sua merce all’acquirente! Quanto è premuroso
e piacevole! Quanto infaticabile nel vantare la qualità dei
16
suoi articoli! Finché la forza di resistenza dell’acquirente
sia esaurita e che il cliente compri.
Vi potrebbe essere un predicatore pronto ad
accettare tranquillamente di venir sorpassato nel suo
lavoro per il regno eterno di Dio nell’insegnamento della
parola divina, da un semplice commerciante nella
raccomandazione più calda, più viva, più astuta, più
persuasiva d’una merce terrena e destinata a perire?
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08/03/2011 11:01
 
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Noi vorremmo inoltre attirare l’attenzione sopra un
certo numero di sfumature che potrebbero essere
catalogate sotto il nome globale di Metodo psicologico di
predicazione e la cui osservazione fa pure parte del segreto
per il buon successo della predicazione. Una di queste
sfumature, per esempio, consiste nella modestia
dell’atteggiamento e del contegno del predicatore, poiché
la vanità non sarà mai tanto spiacevole quanto sul pulpito
cristiano. Bisogna anche attenersi strettamente a certe
regole di convenienza, note sotto il nome di decorum. Così
per esempio, al giorno d’oggi la durata di una predica
deve tener conto del la nervos i tà dei nos t r i
contemporanei. È soprattutto necessario trattare con
molto tatto le questioni delicate e sgradevoli. Non si può
sempre totalmente evitare di biasimare dal pulpito, di
criticare con qualche severità le opinioni pericolose e di
condannare le false massime morali, ma tutto ciò va fatto
con la più grande delicatezza, con moderazione e
senz’allusioni personali che possano ferire.
Siamo particolarmente prudenti e sempre in guardia
nel giudicare certe tendenze che sono in fondo, buone e
legittime; pericolose solamente nei loro eccessi.
17
Nella preparazione delle prediche, che racchiudono
rimproveri o biasimi, ricordiamoci della piccola storia,
che racconta di due predicatori d’America nell’epoca del
movimento anti-schiavista. Parlavano tutti e due con lo
stesso entusiasmo contro la schiavitù, ma mentre la gente
ascoltava il più anziano, il più giovane non incontrava che
canzonature e minacce. Il poveretto finì per lagnarsene
con il suo confratello e gli osservò: “Non ci capisco
niente. Noi insegniamo tutti e due le medesime cose e voi
siete ascoltato, mentre di me tutti si burlano”. L’altro
rispose “è perché voi, ripetete continuamente ai vostri
ascoltatori: se fate la tale o la talaltra cosa, sarete
certamente dannati. All’opposto io dico loro: miei cari
amici, se in avvenire non farete più la tale o la tal altra
cosa, non sarete dannati certamente. E vedete bene che
mi ascoltano, mentre si scostano da voi”.
VI. Una cosa che contribuisce grandemente al
successo della predicazione è anche la scelta metodica del
soggetto o, per chi volesse usare un’espressione moderna, la
razionalizzazione della scelta del soggetto.
Sul terreno intellettuale e materiale, si reclama ogni
giorno di più la razionalizzazione e sarebbe un vero
peccato di non preoccuparcene allorché prepariamo le
nostre prediche. C’è forza riconoscere che scegliendo
senza metodo, un po’ a caso, il soggetto della predica, noi
facciamo spreco di molte forze intellettuali e diamo gran
numero d’istruzioni senza successo, poiché si realizzano le
parole della Sacra Scrittura: In quel giorno però morirono in
guerra alcuni sacerdoti che volevano fare gli eroi e sconsideratamente
si esposero alla battaglia (1 Mac 5, 67).
18
I predicatori esprimono con insistenza il desiderio di
possedere nuove pericopi per le domeniche, poiché quelle
attualmente in uso non contengono che una piccola parte
dei Libri Sacri e sono già state largamente utilizzate per
la predicazione omiletica. Ma chi conosce le difficoltà che
si oppongono a questa realizzazione non attenderà il
compimento assai incerto di tale desiderio per rinnovare
il fondo delle sue prediche e accrescerne l’interesse, e
introdurrà invece, accanto alle pericopi attuali, la
razionalizzazione della predicazione.
Un mezzo veramente pratico è il corso coordinato di
prediche. Il pubblico attuale preferisce ascoltare tutta una
serie di prediche sopra questo o quell’argomento,
piuttosto che delle istruzioni senz’alcun legame tra loro e
che si occupano di soggetti differenti di domenica in
domenica. L’autore di queste righe ha predicato, nella
chiesa dell’Università di Pazmany, davanti alla parte colta
del pubblico di una grande città, per un anno intero
sull’enciclica «Quas primas » relativa a Cristo Re, per altri
due anni sui Comandamenti, attualmente parla sul
Simbolo, ed è veramente commosso dall’attenzione e
dalla fedeltà manifestate dai suoi ascoltatori nel seguire
queste serie di predicazione.
Del resto, gli argomenti adatti a serie più o meno
lunghe d’istruzioni e capaci di suscitare grande interesse,
non mancano. Eccone qualcuno: i Miracoli di Nostro
Signore, le Parabole, i ritratti biblici dell’Antico e del
Nuovo Testamento, i Sacramenti, la Santa Messa, ecc.;
gli ascoltatori restano anche molto impressionati quando
seguendo lo sviluppo sistematico di queste predicazioni,
19
possono scorgere il lavoro che il predicatore s’impone per
la salute delle loro anime.
VII. È finalmente indispensabile, al successo della
predicazione, il portarvi una preparazione seria. Non si
ripeterà mai abbastanza a questo proposito che quello
che è solito chiamare “uno scilinguagnolo sciolto”, la
facilità di parola, non é affatto una garanzia di successo.
Difatti la questione non é tanto di saper se parliamo, ma
come parliamo. Chi si prepara superficialmente, e troppo
alla svelta a predicare, non ha la minima idea della
missione sublime del predicatore, e della grave
responsabilità che pesa sopra di lui. Coloro che si vantano
della loro facilità di preparazione, dovrebbero prima
rendersi conto della difficoltà che il pubblico trova a
comprenderli.
Essi dovrebbero prendere bene in considerazione le
parole di san Paolo: Mi sottopongo a dura disciplina e cerco di
dominarmi per non essere squalificato proprio io che ho predicato agli
altri (1 Cor 9, 27), e l’avvertimento di Cicerone: “Quoties
dicimus, toties de nobis judicatur”.
A questi predicatori che si preparano così presto e
con tanta facilità vorrei ricordare un episodio della vita
del Lacordaire, allora all’apogeo della sua reputazione di
oratore. Un giorno che visitava un pensionato, il direttore
gli domandò di rivolgere “qualche parola” ai suoi giovani.
E l’illustre predicatore a rispondere: “Se me l’aveste
domandato prima d’ora, avrei riflettuto a quello che
dovevo dire. Ma ho in troppo grande stima la parola
pronunciata in pubblico per parlare senz’alcuna
preparazione”. Ecco veramente ciò che si può chiamare
20
“il rispetto per la maestà della parola” come dice W.
Keppler.
Una preparazione approfondita é richiesta non
solamente dal rispetto dovuto alla parola di Dio, ma
anche dalla mentalità di coloro che oggi frequentano le
chiese. Dov’è il tempo in cui l’uditorio ascoltava con
rispetto e sottomissione tutte le parole che venivano dalla
cattedra di verità quando pure fossero presentate in
forma semplicissima e senza pretesa? Il pubblico attuale
viziato dai libri, dai giornali, dalla radio, dalle conferenze,
critica più severamente, pesa le parole del predicatore e se
é disgustato da espressioni banali o da istruzioni mal
preparate, non mette più piede in chiesa.
Chi vuole predicare agli uomini d’oggi, stretti dalle
preoccupazioni, inaspriti, malcontenti e insensibili alle
cose dell’eternità sulla vita soprannaturale e le sue verità,
ha bisogno di prepararsi in un modo assolutamente
particolare. Dobbiamo dunque essere ben persuasi che
chi ai nostri giorni vuole assolvere, sia pure con successo
relativo, il compito difficile di ministro della parola di Dio
davanti ad uditori diventati molto esigenti, ha bisogno di
una preparazione profonda e accuratissima. Durante il
corso dell’intera settimana è necessario occuparsi
ininterrottamente del proprio soggetto, osservare e
giudicare gli avvenimenti mondiali non meno di quelli
della propria, piccola parrocchia sempre con il medesimo
scopo, lavorare la predica, rigirarla per tutti i versi, e
quindi scriverla (per quanto é possibile non
accontentandosi di un semplice abbozzo) e finalmente
impararla ed esercitarsi a ripeterla; tutto ciò esige lavoro,
un lavoro serio, sfibrante, ma che é la sorgente del
21
successo. All’opposto nessuno si stupisca se ancora oggi si
verifica il vecchio adagio: “Qui ascendit sine labore, descendit
sine honore”.
Mentre il predicatore prepara il suo argomento,
riflette su questioni dogmatiche o morali sbarazzate dai
loro termini tecnici e si sforza di rivestirle di forma e
d’espressioni appropriate ai bisogni delle anime degli
ascoltatori, egli compie un lavoro analogo a quello di un
trasformatore elettrico che permette alla corrente ad alta
tensione proveniente dalla centrale lontana di essere
utilizzata per il comune consumo giornaliero. È in questo
che risiede il lato faticoso della preparazione: passare
dalla logica alla psicologia; dare a delle definizioni aride
le tinte fresche della vita, perché la predica non riesca
troppo dottrinale e non si perda nelle nuvole di
sottigliezze filosofiche, ma si svincoli dalle pallide
astrazioni per penetrare nella vita reale.
Non si può negare che il ministero pastorale di
adesso, con le sue opere, con le sue riunioni d’ogni specie,
assorbe talmente il sacerdote che questi é spesso costretto
a ridurre fortemente il tempo della preparazione
indispensabile al successo della predicazione. Ed é cosa
da deplorarsi profondamente. Ma un’altra questione é di
sapere se uno vi si può troppo facilmente adattare, se ciò
che nel ministero pastorale può esser considerato
superfluo ha il diritto di distogliere il prete dal suo
compito di massima importanza, la predicazione della
parola di Dio. Per parte mia credo che gli Apostoli
sarebbero ancora della stessa opinione di venti secoli fa,
quando confidarono ai diaconi le loro occupazioni
22
accessorie dicendo: Noi apostoli, invece, impegneremo tutto il
nostro tempo a pregare e ad annunziare la parola di Dio (At 6, 4).
Senza dubbio una buona predica é sempre il frutto di
un lavoro serio e faticoso. Come l’ape va di fiore in fiore
per attingere il succo, trasformarlo e produrre il miele,
così bisogna che il predicatore legga molto, apprenda
molto, pensi a lungo al soggetto, per captare le idee,
lavorarle, svilupparle, dar loro una forma definitiva e
trascriverle. Fino a che la predica non é al punto giusto,
noi proviamo tutte le angosce, le fatiche, le pene di
un’azione creatrice. Coloro che ascoltano una predica
non hanno la più piccola idea di quanto sia costata di
riflessioni e di letture, di sudore e di fatica intellettuale e
nervosa. Nondimeno per il prete zelante questa
preparazione che tutto lo assorbe e che si rinnova di
settimana in settimana per decine d’anni, non é un
obbligo pesante, ma é l’occasione di fare uno dei sacrifici
inerenti alla vita sacerdotale, non é sorgente di malumore,
ma é piuttosto l’entusiastico punto di partenza per una
crociata alla conquista delle anime, uno degli esercizi più
utili dell’ascetismo sacerdotale.
* * *
Per il mio ciclo di prediche sopra i Comandamenti
ho scritto una prefazione intitolata “La nuova
predicazione”. Si comprenderà più facilmente il modo di
realizzare i consigli che vi si danno leggendo la prefazione
presente.
Possa io riuscire con le mie prediche a far avanzare,
anche d’un solo passo, la santa causa della nuova
23
predicazione affinché per ciascuno dei miei fratelli nel
ministero e per l’autore di queste pagine si realizzi questa
frase dei nostri Libri Sacri: Cominciate a lavorare di buon
mattino e, quando verrà il momento, il Signore vi darà la ricompensa
(Sir 51,30).
E che si realizzi ancora per ciascuno di noi che
predichiamo la parola di Dio, la preghiera del breviario
da noi tanto spesso ripetuta: Per evangelica dicta deleantur
nostra delicta.
L’autore
24
I. La fede dei nostri padri
All’inizio di questi discorsi la prima parola
pronunciata su questa cattedra, sia un grido di lode al
nostro Padre celeste, al nostro Dio! Curviamo la fronte
dinanzi a Lui e facciamo salire fino a Lui le nostre fervide
preci.
È di Voi, Padre celeste, che io vorrei parlare
quest’anno ai miei cari uditori. Siate dunque con noi per
vostra bontà, quando, con animo umile, noi mediteremo
sulla vostra Maestà santa. Siate presso di noi con i vostri
lumi, quando studieremo i dogmi della vostra fede, per
più e più conoscerli ed amarli. Aiutateci con la vostra
grazia, affinché, fortificati nella nostra fede cristiana, noi
realizziamo i vostri sacri disegni per il grande momento,
nel quale, compiute le lotte della nostra vita terrestre, noi
potremo arrivare fino a Voi, nostro buon Padre del cielo,
per l’eternità.
Questa serie di sermoni tratterà della nostra fede
cristiana, del Simbolo degli Apostoli. Invero, come
osserverebbe i Comandamenti di Dio chi non conosce
Dio, non stima la sua fede in Lui, e non vi é attaccato con
un amore pronto a qualsiasi sacrificio?
L’esperienza insegna che assai spesso l’ignoranza
religiosa è una delle cause più frequenti della violazione
della legge morale.
25
Consacrerò i miei primi discorsi alle questioni
fondamentali d’introduzione, che mostreranno
l’importanza del soggetto che stiamo per studiare.
Nell’istruzione d’oggi, per esempio, vorrei spiegare
che: È necessario parlare della fede perché é conosciuta
troppo poco ed è importantissimo conoscerla meglio.
A. La fede è sconosciuta
L’ignoranza religiosa è spaventevole non solo in terra di
missione, ma pure presso i popoli cristiani.
Vi dirò ciò che è accaduto in un sobborgo di Parigi
ad un prete che domandava ad un ragazzo:
- “Amico mio, sai tu che cos’è la Trinità?”
- “Sì, lo so, - rispose il ragazzo - é una stazione della
Metropolitana”.
- E’ vero che c’é una stazione di questo nome. Ma tu
non sai nient’altro sulla SS. Trinità?
- “No”.
Ecco tutto ciò che sapeva sulla SS. Trinità un
ragazzo nato e cresciuto in un paese cristiano.
E questa misera risposta ci costerna nella sua terribile
realtà. Due diverse categorie d’uomini, due mondi diversi
vivono oggi intorno a noi, l’uno presso l’altro: due mondi
26
fra i quali la tensione é così grande, i contrasti così vivi,
che penetrano perfino attraverso le porte della casa,
drizzando un muro di separazione fra i migliori amici,
generando differenze ed urti fra loro.
C’è qualcosa di spaventevole nell’esistenza, gomito
contro gomito, di questi due mondi diversi, quello della
fede e l’altro dell’incredulità. Lo sposo deride ciò che e
sacro per la sua sposa. I genitori sono schierati in altro
campo che non é quello dei figli. La nuova generazione
definisce pregiudizio fuori moda ciò che la vecchia
generazione riguardava come verità santa. Ciò che un
gruppo considera base della civiltà umana, l’altro gruppo
lo stima inutile fardello.
Risuonano le campane della domenica e molta gente
si affretta verso la chiesa e inginocchiata prega Nostro
Signore Gesù Cristo, il Redentore; molta altra scuote la
testa senza comprendere: é possibile che ancora oggi ci
siano nel mondo uomini di idee così arretrate?
Fratelli miei, questi “arretrati” siamo noi. Noi che,
ancora seguiamo la fede dei nostri padri. Noi, che oggi
ancora recitiamo il Credo. Noi che, sentiamo il dovere di
testimoniare la nostra fede dinanzi al mondo. Ecco
perché ho scelto per il mio nuovo ciclo di prediche la
spiegazione dei dogmi fondamentali della fede cattolica.
Noi siamo tutti cristiani e recitiamo ogni giorno il
Credo; ma con quale anima? Conosciamo a fondo la
nostra fede e l’amiamo come deve essere amata?
27
Sappiamo quanto la nostra fede é bella? Ah, quanto
bella! tanto, che dovremmo gridare: se tutto fosse bello
del pari! Sappiamo anche che la nostra fede é vera? Essa
é così fiera che possiamo tranquillamente inclinare la
nostra testa sotto il suo giogo dolcissimo.
La verità della nostra fede e la sua bellezza, ecco ciò
di cui vi parlerò ora, e nelle conferenze che seguiranno.
1) La nostra fede è vera
Noi passeremo in rivista i dogmi della nostra santa
religione cattolica; vedremo le ragioni che parlano in loro
favore, i problemi che essi sollevano, e ci faremo questa
domanda: possiamo, oggi ancora, tenerci tranquillamente
avvinti al nostro vecchio Credo, alla cattolica fede dei
nostri padri?
Gettiamo uno sguardo indietro su questa fede dei
nostri padri, risaliamo il corso di duemila anni, e
constateremo con fierezza che non abbiamo da
arrossirne. La nostra religione ha salvato i preziosi tesori
della civiltà antica, minacciati di distruzione. La nostra
religione ha messo al servizio della cultura intellettuale la
forza viva dei giovani popoli barbari. Dalla nostra
religione uscirono la profonda filosofia e l’arte
incomparabile del Medioevo. La nostra religione ha
fecondato l’immaginazione artistica di Raffaello e di
Michelangelo, e il genio poetico di Dante. È la nostra
religione che ha inviato i suoi missionari al Venezuela, al
Perù, in Bolivia... Come ha inviato a decine di migliaia le
suore di carità negli ospedali, negli orfanotrofi, negli
ospizi e nelle case d’educazione. In verità non c’è da
28
arrossire di un Credo che, da duemila anni, non fa che
versare sull’umanità un fiume di benefici morali e
materiali.
Ripeto: non abbiamo da arrossire della fede dei
nostri padri. E dobbiamo essere convinti della verace
testimonianza resa dagli intellettuali antichi e moderni,
che il Credo cristiano ha l’ultima parola nelle questioni
religiose, che la morale cristiana è il più puro
abbellimento dell’anima umana, che l’umanità non potrà
mai sorpassare le altezze della cristiana civiltà.
Più è chiaro l’effetto disastroso del caos intellettuale e
morale nel quale sprofonda l’umanità d’oggi che si è
staccata dalle idee cristiane, e più dobbiamo guardare con
venerazione il blocco di granito dei dogmi del nostro
Credo.
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08/03/2011 11:02
 
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Mano di Dio
[Modificato da Coordin. 08/03/2011 11:19]
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Un giorno, mentre il poeta tedesco Enrico Heine
stava, rapito, contemplando la magnifica cattedrale di
Colonia, gli sfuggì questa frase, che fu in seguito molto
ripetuta: “Gli antichi ben potevano costruire, giacché
avevano dei dogmi; ma noi, noi non abbiamo che delle
opinioni, con le quali costruire non si può... Non si
costruiscono delle Cattedrali con opinioni!”
Questa santa forza che scaturisce dal nostro Simbolo
è, ancora oggi, una realtà vivente. Oggi non c’è né
organizzazione, né fabbrica, né impresa, né società... non
c’è nulla al mondo che possa, sia pure alla lontana,
raggiungere il livello del cristianesimo, nella sua
benedetta opera di cultura spirituale. Come per il passato
fu per centinaia di popoli e miliardi d’individui una guida
29
verso le altezze della cultura spirituale, così ancora oggi,
costruisce sulle rovine e le tombe delle nazioni, il loro
futuro avvenire e l’armoniosa vita degli individui.
Oh! Sii benedetta fede dei nostri padri. Noi non
vorremo mai staccarci da te, per non smarrirci nelle
tenebre dell’errore e del dubbio.
2) La nostra fede e bella
a) Sì, l’abbiamo provato noi stessi tante volte, direte
voi. Quando, la sera, lascio le vie animate e rumorose
della capitale per entrare fra le silenziose mura di una
delle nostre Chiese, dove pregano, la fronte reclinata fra
le mani, uomini che trascinano il peso della vita, e sento,
di quando in quando, un sospiro uscire da un cuore
stanco, o vedo una giovane ragazza entrare con un
mazzetto di fiori, che depone dinanzi al Santissimo
Sacramento, allora, in quegli istanti di pace, sono
penetrato da questo pensiero: come é bella la nostra santa
religione!
E quando il suono delle campane ci chiama alle
funzioni del mese di Maria, e le anime assetate nel
deserto cammino della vita, si affrettano alla Chiesa per
inginocchiarsi ai piedi della Benedetta fra le donne, la cui
soavità attira irresistibilmente ai suoi altari perfino uomini
stranieri alla nostra fede, oh, si pensa, com’è bella la
nostra santa religione! Bella, quando il sacerdote, nei suoi
paramenti dorati, alla Consacrazione eleva l’Ostia Santa
sopra i fedeli inginocchiati in pio raccoglimento. Bella
quando le candele colorate dell’albero di Natale si
accendono e, nella notte dicembrina si elevano il Gloria
30
degli Angeli, il canto dei pastori, belare delle pecore
innocenti... Quale poesia, quale bellezza nella nostra
santa religione!
b) Ed ora, fratelli miei, voi mi guardate con occhi
spalancati: ma io vi dico che non é in questo che vedo la
vera beltà della nostra religione. La vedo più nel fatto che
essa apporta la soluzione di tutti i misteri della vita e la
forza di superare tutte le nostre più ardue difficoltà. Dirò
dunque che c'è un Dio sopra di noi, un Padrone
onnipotente, che è altresì per noi un Padre dal cuore
tenerissimo. Dirò che il peccato è una disgrazia
spaventosa, e Dio un giudice severo, ma dirò altresì, ed è
questa la vera beltà della nostra fede, che non c'è peccato,
pur spaventoso ch’esso possa essere, che Dio non perdoni
al peccatore pentito. Dirò che l’eterna dannazione è cosa
orribile a pensare, ma dirò altresì che nessuno vi cade
senza averlo, nella sua depravazione, voluto. Dirò: quale
meravigliosa pace, quale armoniosa felicità riempiono
l’anima di colui che regola la propria vita secondo le
prescrizioni della nostra santa religione, e rimette
all’ultima ora, la sua vita fra le mani misericordiose del
Padre celeste.
Ecco la vera bellezza della nostra fede, della fede dei
nostri padri.
B. Perché è necessario conoscere meglio la fede?
Si può domandare: non è pericoloso investigare la
nostra fede e discuterla?
31
“Io sono cattolico come lo erano i miei vecchi. Mia
madre mi ha insegnato il Credo e da allora io lo
custodisco come la più preziosa eredità dei miei genitori.
Lo recito di quando in quando, non nego alcuno dei suoi
articoli, e tuttavia... sarebbe meglio che non entrassi nei
suoi particolari. Ho paura. Ho paura che esso crolli da
cima a fondo, se studio seriamente nei particolari e
nell’insieme, ciascuno dei suoi dogmi. Le vecchie sedie
ereditate dai nonni, sono fatte per essere allineate in un
angolo della stanza e conservate con venerazione, ma non
è prudente di sedersi sopra”.
Io credo che tale idea sia venuta a qualcuno dei miei
uditori, soprattutto se giovani, che, avrebbe preferito
trattare qualche altro argomento. Il loro timore non é da
sprezzare, ma, non stupitevi delle mie parole, nessuno ha
tanto bisogno di questi sermoni quanto proprio essi ne
hanno.
Perché è necessario che noi conosciamo meglio la
nostra religione?
1) Prima di tutto perché non dobbiamo affatto
considerare la nostra fede come un mobile venerabile
ereditato dai nostri antenati, un mobile senz’anima che
trasciniamo con noi. Disgraziatamente, per molti uomini,
la fede non è molto più di questo. Ma noi, quantunque
l’abbiamo ricevuta in eredità dai nostri vecchi, pur
dobbiamo, con il nostro stesso lavoro intellettuale, fare
della nostra fede un bene personale e cosciente. Non sono
cattolico solamente perché mio padre lo era, e perché da
secoli i miei antenati lo erano, ma lo sono anche perché
conosco i principi della mia religione, perché so che oggi
32
ancora essi sono di una bellezza e di una verità
incrollabili, e sono fiero di poter essere, io pure, cattolico.
Possiamo noi, oggi ancora, professare il vecchio
Credo? Non appartiene esso a tempi sorpassati? Non ha
bisogno di essere riconsiderato a fondo? Non è
minacciato di rovina?
Tali pensieri possono nascere nella mente di qualsiasi
uomo istruito, che segue ad occhi aperti la strada
dell’umanità, e nessuno ha il diritto di lasciare affondare
di tali spine nella sua anima. Poniamoci dunque la
domanda: possiamo ancora essere cristiani? La risposta ci sarà
data dalla vita. Non solo si può essere ancora cristiani: ma
esserlo è necessario. O saremo dei cristiani, non solo a
parole ma a fatti, o cesseremo d’essere uomini.
Il cristianesimo o una lotta sanguinosa e bestiale. Il
cristianesimo o il triste asilo degli alienati. Il cristianesimo o
le donne si sbarazzeranno dei loro mariti... Il cristianesimo o
l’aperta immoralità. Il cristianesimo o i figli alzeranno le
mani violente sui loro genitori.
Non dobbiamo rinnegare, cambiare la fede dei nostri
padri. Essa è ancora oggi capace di soddisfare a tutti i
bisogni intellettuali dell’uomo. Le nostre maniere esteriori
di vivere sono cambiate, ma l’anima umana non è
cambiata. Un tempo, gli uomini facevano un segno di
croce partendo per un lungo viaggio, oggi ci sono
aviatori che fanno lo stesso segno prima di cominciare un
volo. Ci sono impresari che assistono alla santa Messa
così puntualmente come i loro nonni, salvo che questi
ultimi vi andavano a piedi, e loro ci vanno in auto. Ci
33
sono artisti che vogliono essere sepolti con l’abito di san
Francesco. Ci sono degli operai che restano fedeli alla
chiesa pur in mezzo alle sommosse dei rossi.
La nostra epoca richiede dei cristiani animati di tali
convinzioni, come lo era il conte Stefano Széchenyi, che
al figlio Adalberto scriveva le seguenti righe: “Ho
osservato fedelmente tutte le pratiche della religione
cattolica, non già per dare il buon esempio ai contadini,
oh no, ciò sarebbe una specie d’ipocrisia, ma perché sono
cattolico”.
2) Se vi domandate, perché è necessario conoscere la
religione, ecco la risposta: Io devo studiare la mia fede da
vicino, in profondità; non deve sussistere in me alcun
dubbio, alcun “ma”, alcun “forse”; la mia fede deve
sfidare come una roccia tutte le critiche, perché essa esige
da me numerosi e immensi sacrifici. Esige che io inclini la
mia ragione dinanzi alle verità divine, esige che io curvi la
mia volontà dinanzi ai Comandamenti di Dio. Ora, di ciò
io non sono capace se non so che ogni frase, ogni parola
del Credo, è verità santa.
La nostra religione non si contenta di farci recitare i1
Credo in Dio, ma essa trae da questa formula gravi
conseguenze per noi. La nostra fede interviene nella
nostra vita di ogni giorno, interviene nel nostro diuturno
lavoro, e per mezzo dei suoi Comandamenti, talvolta
penosi e che tagliano sul vivo, regola tutta la nostra
esistenza. La mia fede non è solamente con me quando
prego in Chiesa, ma mi accompagna al mio tavolo di
lavoro, al magazzino, mi segue in cucina, nelle
conversazioni di salotto e nei miei divertimenti; penetra
34
nel santuario più intimo della mia famiglia, dovunque
dice la sua parola e dovunque pone la sua regola.
E chi dunque potrebbe seguire i suoi severi
comandamenti, se prima non fosse persuaso della sua
assoluta verità? Se non vedesse che la sua fede ha
realmente il diritto di esigere tutto ciò che impone? Con
una fede timida, pervasa di dubbi, timorosa, non si può
rispondere alle severe esigenze della morale cristiana.
Noi abbiamo bisogno di una fede uguale a quella che
anima l’illustre scrittore francese Paolo Claudel. Durante
la sua giovinezza egli fu totalmente incredulo e condusse
facile vita: ma rispondendo all’invito della grazia divina,
si convertì ed ora ha scritto di sé stesso le seguenti parole:
“Io sono mille volte più sicuro delle verità della fede
cattolica che dell’esistenza del sole che brilla sopra di
me”5.
E con queste parole dell’illustre scrittore, io termino
il mio discorso. Possano esse incessantemente risuonare
alle nostre orecchie. È vero che c'è di che rattristarci
considerando il mondo attuale, ma non mancano
elementi anche per rallegrarci. Se per tutto l’ultimo
secolo, tanti e tanti hanno perduto il contatto con la fede
dei loro padri, in queste ultime decine d’anni, molti altri
hanno imparato invece a conoscerla e ad amarla. Si può
rattristarci guardando quei pagani moderni per i quali il
sole del cristianesimo è spento, ma ci rallegreremo, con
fierezza, che la fede cristiana con il suo valore
moralizzatore, educativo e civilizzatore oggi ancora resti
35
5Les Témoins du renouveau catholique
senza rivali, e abbia salvato all’umanità dei tesori
inestimabili, che senza di essa sarebbero andati
irrimediabilmente perduti: il matrimonio, la famiglia, la
proprietà privata, il principio di autorità, l’onestà, la
disciplina.
Felice colui, che vive in questa santa fede cristiana!
Costui non può sorridere senza dirsi che un giorno egli
sorriderà eternamente; e non può piangere, senza pensare
che giorno verrà in cui le sue lacrime saranno asciugate
per sempre. Dunque, anche se il mondo attuale sia ben
diverso da quello dei miei antenati, persevero nella fede
dei miei padri.
L’aeroplano assorda con il suo rombo, l’auto fa
squillare il suo clacson, la radio lancia i suoi appelli. Ed io
alzo la testa e grido: Credo! Credo! Credo!
36
II. Felice colui che ha fede!
Alla fine della mia ultima istruzione, parlando della
fede cristiana, ho insistito su questa affermazione: Felice
l’uomo che ha la fede, giacché egli non può sorridere
senza pensare che un giorno egli sorriderà eternamente, e
non può piangere senza dirsi che verrà giorno in cui non
piangerà mai più.
Questa idea sembra essere una formula vuota e
sonora: sento dunque la necessità di dimostrarne la verità.
Felice l’uomo che ha la fede e felice il popolo che ha
la fede. Intorno a queste due idee, raggrupperò i miei
argomenti oggi.
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08/03/2011 11:03
 
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A. Felice l’uomo che ha la fede
Perché felice? 1) Perché non rivolge a sé stesso
domande senza risposta; 2) Perché non soffre senza
consolazione.
1) Colui che ha la fede, possiede la risposta alle
domande più angosciose, alle più snervanti ed importanti
che sempre interessarono, ed interesseranno l’uomo che
pensa, domande alle quali nessuno al mondo può dare
risposta soddisfacente, se non la fede. Per contro, la fede
dà una risposta tale, che la dolce serenità di una gioia
vivificante si spande nelle anime.
Quali sono queste importanti e decisive domande?
Sono i problemi vitali e fondamentali della vita umana.
37
Quando l’uomo passa dalla prima infanzia inconsapevole
all’età adulta, s’accende in lui, come un lampo, la grande
domanda che attende risposta: “Che cerchi tu qua sulla
terra? Come ci sei venuto? Di dove vieni? Perché sei qui?
E dove vai?”.
Domande assillanti. Quaggiù voi salite il duro
calvario della vita: perché e come finirà tutto ciò? Cosa vi
attende poi? Voi siete impiegato: ogni mattina vi sedete al
vostro tavolo di lavoro e sbrigate corrispondenza e affari e
tenete conti, e poi stanco rientrate in casa, per
ricominciare il giorno dopo; e così per mesi ed anni e
decine d’anni durate la stessa fatica, ma perché questo?
Come finirà questo?
Voi siete operaio: ogni mattina, vi mettete a lato di
una macchina che cigola e vibra; ogni sera, stanchissimo,
vi lavate le mani macchiate d’olio e di carbone, ed il
giorno dopo ricominciate, ma perché? Che cosa vi
attende in seguito? Voi siete madre di famiglia: ogni
giorno all’alba siete la prima in casa ad alzarvi: e fino alla
sera tardi non vi arrestate un attimo, in mezzo alle mille
preoccupazioni domestiche e la cura di vostro marito e
dei figli: ma perché? Come finirà tutto questo?
Ecco le domande angosciose e torturanti della vita.
Attendete una risposta dai sistemi filosofici: silenzio.
Domandate una risposta alle arti ed alla letteratura:
silenzio.
Ma domandate una risposta alla fede, ed essa vi dirà:
Uomo, tu vieni da Dio, e ritorni a Dio. Dio ti ha dato
un’anima immortale in un corpo terrestre, e nel ciclo di
38
qualche decina d’anni di una vita onesta, seria,
coscienziosa, la tua anima tornerà alla sua patria, cioè fra
le mani di Colui che l’ha creata.
Stefano Széchenyi aveva ragione di scrivere: “Gli
uomini migliori e i più saggi che sono fin qui vissuti sulla
terra, riconoscono tutti che nessuna religione ha più
illuminato l’umanità e meglio fatto conoscere le finalità
dell’esistenza umana che la fede cristiana”6. Non è
dunque da stupire che la religione, capace di dare tale
risposta, sia divenuta per l’uomo un tesoro da difendere
più della vita, se egli la conosce e l’ama. Non è da stupire
che i primi cristiani abbiano saputo morire, anche fra i
più atroci tormenti, per la fede che assicurava loro la più
grande felicità. Non è da stupire che quando l’Unione
Sovietica decise aprire l’Università fondata per propagare
l’ateismo non abbia potuto farlo per mancanza di uditori
sufficienti e questo anche dopo anni ed anni della più
sfrenata persecuzione religiosa.
Perché, non si può costringere l’uomo all’irreligione
ed all’incredulità. Perché, non si può cambiare l’anima e
la natura umana. Ci sono persone che vogliono scartare,
allontanare il pensiero di Dio e dell’eternità, ma se ne
trovano male. Come un’ombra misteriosa, le perseguita il
problema che esse non vogliono risolvere. Il loro spirito é
vuoto, deserto: un baratro oscuro s’apre nel loro cuore. Si
sforzano, con il lavoro e le distrazioni, di svincolarsi dai
dubbi che l’assediano: ma avviene che precisamente in
seguito al tempo consacrato al lavoro o al piacere, arriva
39
6Stecchenti, Nagy Magyar Szatira, p. 379
l’istante in cui sulla loro povera anima torturata piomba
tutto il vuoto della vita terrestre.
Strappate al suo nido un uccellino implume, griderà
lamentosamente cercando sua madre. Dio è il caldo nido
della mia anima. Togliete il fiore dalla luce del sole, ed
esso tenderà a lui. Dio è per l’animo come i raggi del suo
sole. Togliete il pesce dall’acqua del mare, e appena esso
potrà farlo, nuovamente vi si immergerà. Dio è per la mia
anima l’eterno oceano. Immergete una barca sotto le
acque, e appena la lascerete libera da costrizione,
rimonterà alla superficie, giacché il suo destino è altro: la
barca che resta sott’acqua non è più che un rottame,
l’anima che può restare sommersa nel mare del mondo, e
non sentire che il suo destino la spinge verso l’alto è simile
ad un rottame, l’avanzo di un naufragio.
L’anima umana non può trovar riposo che in Dio.
Tutto ciò che esiste nel mondo segue la sua intima natura.
La stella non può restare immobile. L’ossigeno e
l’idrogeno non possono associarsi che secondo leggi
determinate. Il fuoco, la fiamma tendono all’alto. La
pietra che cade tende al basso. Provate a versare
dell’acqua sopra l’olio: non ci riuscirete, l’olio galleggerà.
Tutto è regolato in natura: ogni cosa cerca il suo posto e,
quando l’ha trovato, vi resta tranquilla. Provate a
separare l’anima da Dio: essa sarà inquieta e agitata e
dolente. Essa lo ricercherà e non avrà pace se non
quando l’abbia ritrovato.
Il poeta Lenan, quando perdette la fede, trovò
appena parole per descrivere il vuoto e la desolazione
dell’anima che si è allontanata da Dio. Il mondo le
40
sembra una città morta, con le sue lunghe strade scure
ove deve circolare. Da ogni finestra la morte e la rovina
sogghignano al vederla. “Dopo che ho lasciato la strada
sicura della fede, ho perduto la nobile gioia del mio
cuore”.
Chi possiede Dio, ha altre orecchie e altri occhi. Ma
colui che non lo possiede che cosa sentirà? Il gemito, lo
stridore delle ruote delle macchine, le grida di dolore
della miseria. E chi possiede Dio? A lui dinanzi le
montagne, le foreste, le spine, i cespugli, i ruscelli, le
fabbriche, gli uomini, tutto canta un inno sublime.
Chi possiede Dio, vede del pari tutto diverso da colui
che non lo possiede. Quest’ultimo non vede che punti
d’interrogazione, problemi senza soluzione e angoscianti;
ma gli occhi di chi lo possiede, non solo assorbono la luce,
ma irraggiano e penetrano del loro splendore le tenebre
del mondo; e là dove altri non vedono che nubi, scorge il
sole che le attraversa; là ove altri non vedono che tenebre,
scorge le stelle.
2) Ma l’uomo che ha la fede è ancor felice perché
non soffre senza consolazione.
Nella sofferenza l’incredulo o s’annienta o chiude e
tende il pugno in un impeto di collera impotente: ma il
credente ha ali, che lo elevano al di sopra del pesante
meccanismo del mondo. Se non ho la fede, sono soltanto
un ingranaggio insignificante nella mostruosa macchina
che è il mondo, sono un pezzo qualunque fra i miliardi di
pezzi di cui l’universo si compone e appena, appena le
cose mie volgono a male, cade nella disperazione. Ma se
41
ho la fede, mi elevo al disopra di tutto il mondo materiale,
e più, non lo guardo con occhi cupi e dolorosi, neppure
quando il cielo stellato si oscura sopra di me. Quaggiù,
durante la nostra vita terrestre, noi vediamo il valore
benefico della religione forse più e meglio appunto nel
momento in cui soffriamo.
Più lo spaventoso nulla di tutta l’esistenza terrestre, e
della nostra in particolare, più il nulla della nostra
effimera vita ci pesa, e più una pace meravigliosa
discende nella nostra anima quando pensiamo
all’eternità. La nostra fede può dare una spiegazione a
tutte le domande della vita. Giacché, se la vita è un
periodo di preparazione il cui fine non é certo di lasciarci
sprofondare nei piaceri, ma di conformare la nostra
anima, e maturarla, in vista del suo grandioso ed eterno
destino; se la nostra vita terrestre è la prefazione di un
libro che sarà edito in breve, allora, ma allora solamente,
noi sopporteremo con coraggio le lotte e le prove di
quaggiù.
Voi conoscete il Faust del Goethe. È la
personificazione del combattimento perpetuo dell’uomo
contro il male, e dei suoi sforzi verso il bene. Il poeta fa
tutti i tentativi con il suo eroe, ma egli non trova da
nessuna parte la soluzione soddisfacente, salvo la fede in
un Dio che ricompensa o castiga, e nell’eternità. E la
Divina Commedia di Dante, e la Messa solenne di
Beethoven, ed il Requiem di Mozart, e la Creazione di
Haydn, ed il Parsifal di Wagner, e le Opere di Bach, Liszt,
Brahms, ecc., nelle quali si espande in singhiozzi l’anelito
ardente dell’anima alla ricerca di Dio, tutti questi
capolavori confermano la constatazione di uno scrittore
42
ecclesiastico del terzo secolo, Tertulliano, che “l’anima
umana è naturalmente cristiana” (anima naturaliter
christiana).
Invano voi cercate di soffocare questa fiamma,
gettandovi sopra pugni di terra. “Tutti gli uomini hanno
sete di Dio”, già diceva Omero nell’Odissea, e soprattutto
l’uomo che soffre.
Felice colui, che ha la fede, giacché non solo con gli
occhi egli guarda il mondo, ma altresì, con la sua anima.
Come gli altri egli è assalito dalle mille impressioni
caotiche della vita, ma la sua fede gli fa vedere in colori
brillanti, e gli fa comprendere ciò che per l’incredulo resta
confuso.
Felice colui, che ha la fede! Egli pure dovrà
camminare sulla terra in mezzo a fitte e spaventevoli
ombre, ma egli camminerà in mezzo ad esse, come il
fanciullo traversa con il cuore che batte una camera
oscura, sapendo che aldilà, in una grande camera vicina
piena di luce, suo padre l’attende a braccia aperte.
Felice colui, che ha la fede! Come tutti, sente
abbattersi su di sé le incomprensioni e le oscurità della
vita, ma nell’intimo della sua anima arde la luce della
fede, che fa splendere i suoi occhi come due finestre
aperte alla luce del sole. Fratelli miei: avete voi questi
occhi brillanti, pieni di speranza, queste due stelle che vi
rischiareranno... voi e tanti altri, prede del dubbio?
Si, fratelli miei: felice colui, che ha la fede.
43
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08/03/2011 11:04
 
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B. Felice il popolo che ha la fede
1) Che cosa la fede può donare ad un popolo?
Moralità, gioia di vivere, forza di resistenza, confidenza in
sé, spirito di intrapresa e di costruzione.
Citerò un esempio antico. La Francia conserva
piamente il ricordo di santa Giovanna d’Arco, che,
cinque secoli or sono, liberò, in nome del cielo, il
territorio della patria occupato allora dagli Inglesi.
Rievochiamo la situazione. Una giovanetta di 17 anni,
che giammai aveva maneggiato un’arma, si riveste di una
corazza e, accompagnata da qualche cavaliere, si mette in
marcia contro la potenza militare più grande di
quell’epoca, contro la quale nessuna armata osava
misurarsi apertamente. La cavalleria francese era già
annientata, l’erede del trono di Francia stava nel suo
palazzo, timoroso e inattivo, mentre gli Inglesi
assediavano Orléans, sua ultima piazzaforte. E questa
semplice fanciulla, con la sua fiducia in Dio, realizza
l’impossibile. Rianima il popolo intero e la nazione, che,
ripreso coraggio, riporta vittoria.
Ecco cosa ha potuto fare per il suo paese una debole
donna, in cui viveva la fede divina.
Esaminiamo ancora che cosa significano per un
popolo, per una patria, dei cittadini generosi fino al
sacrificio, onesti, di puri costumi, animati dallo spirito del
dovere religioso. Se questi cittadini adempiono i doveri
del proprio stato con tutte le loro forze, se fanno il loro
dovere, ciò avviene perché la fede ha loro detto: “è per
questa via che voi otterrete il diritto alla vita eterna”. Se
44
questi cittadini conducono vita retta nel seno delle loro
famiglie, se hanno costumi integri, mani pure, ciò è
perché la fede ha loro detto: “è così che renderete degna
di Dio la vostra anima immortale”. Se questi cittadini, ad
onta delle preoccupazioni, sopportano sorridendo il peso
della vita quotidiana, e diventano le salde colonne della
vita sociale, ciò avviene perché Dio abita nei loro cuori.
Negli antichi templi greci spesso si vedono delle
magnifiche figure di donne, che si chiamano cariatidi, la
cui testa alzata sopporta il testo del santuario. Un peso
enorme grava su di esse, e tuttavia la loro fronte, i loro
occhi, tutta la loro attitudine non lascia intravedere
stanchezza: una specie di fierezza di fiducia in loro stesse
le sostiene, come se non sentissero il peso che le schiaccia.
Ugualmente le braccia muscolose e le anime invitte dei
cittadini credenti e religiosi, sostengono il pesante edificio
della vita nazionale.
Nel 1787 Washington, uno dei fondatori degli Stati
Uniti, disputava, con 55 compagni sulla futura sorte dello
Stato. Ad un tratto il vecchio Franklin si alzò, e disse:
“Signori, preghiamo! Io sono ormai vecchio, ma più ho
vissuto e più ho constatato chiaramente che gli affari
umani è Dio che li dirige. Se un passero non cade a terra
senza ch’egli lo voglia o permetta, come uno Stato
potrebbe essere costruito senza il suo soccorso?”.
Felice il popolo che ha una fede, che ha religione!
2) Tuttavia, fratelli miei, prima di chiudere, sento che
devo rispondere ad una obiezione che potrebbe essermi
sollevata: “Non c’è sulla terra un sol popolo senza fede e
45
religione. E allora perché insistere specialmente su questo
punto?”.
Risponderò che quando io parlo della fede, intendo
sempre una fede vissuta; ciò che, disgraziatamente, non é
sempre bene comune di tutti i popoli. Invero, in che
consiste la fede vissuta? Consiste nell’essere così convinti
della verità della nostra fede, che il suo spirito penetri
quasi inavvertitamente i nostri atti, i nostri pensieri, le
nostre parole, così come viviamo, respirando senza
accorgercene, e non prestando attenzione ai battiti vitali
del nostro cuore.
Il mio giusto per fede vivrà (Eb 10,38) dice la lettera agli
Ebrei. Vive. La fede regola non solo questa o quella delle
sue azioni, ma tutta la sua vita. Lo spirito di Gesù Cristo
circola in lui, come il suo sangue: lo penetra e lo satura,
come l’acqua imbeve la spugna, e segna ciascuno dei suoi
atti.
Ogni cristiano crede nella vita eterna, ciò e ben
naturale, ma quante poche persone si domandano,
all’inizio delle loro azioni: “A che cosa, questo che sto per
fare, mi servirà per la vita eterna?”. Ora, vivere per la
fede, significa considerare ogni cosa in vista dell’eternità.
Fratelli miei, prima di sacrificare il vostro onore alla
vostra carriera, ponetevi questa domanda: “Agirei così al mio
ultimo istante? Quanto faccio, mi servirà per l’eternità?”.
Prima di cedere alle seduzioni di un’ambizione disonesta,
domandatevi sempre: “Che cosa ne dirà Dio?”. Ecco che
cos’è una fede vivente, che cosa vuol dire vivere la propria
fede.
46
Forse voi direte: Se non avessi la fede non mi
preoccuperei affatto della mia anima. È vero, ma io vi
domando: Se voi aveste una fede vissuta forse che ve ne
preoccupereste così poco? Voi dite: “Se non avessi la fede
non pregherei”. È vero: ma se voi aveste una fede vissuta,
forse preghereste con tante distrazioni? Dite: “Non andrei
a confessarmi”. È vero: ma voi ci andreste così
raramente? Dite: “Non andrei a comunicarmi”. Vero: ma
vi comunichereste con tanta freddezza?
Ecco, fratelli miei, il nostro grande difetto, la piaga
fondamentale dei paesi cristiani. Noi siamo cristiani, si lo
siamo, ma solamente a parole, non per le opere, per la
nostra vita. Siamo cristiani a parole: nella vita siamo
pagani. Crediamo a parole; siamo, per i nostri atti,
increduli.
Quando io affermo dunque: felice colui, che ha la
fede, ed il popolo che ha la fede, io penso alla fede vissuta
e vivificante; alla fede che non é soltanto una professione
verbale, ma una vita, da essa, in tutto e per tutto regolata;
ad una fede che é un ritmo; ad una fede che fa battere il
cuore: ad una fede che sia forza direttrice dell’esistenza.
Un vero credente è un uomo dall’anima pura, dalle
mani pure, dagli occhi, dai desideri, dai pensieri puri. Un
popolo credente è un popolo rispettoso della morale,
laborioso ed energico.
La mia fede non è soltanto una parola, un dogma. É
altresì un’attività, una sorgente d’energia. Ah, fratelli
miei, nella fede, non dimenticatelo, noi viviamo fra
increduli, e bisogna che la nostra vita sia tale da splendere
47
in mezzo a loro come una stella luminosa nelle tenebre
della notte. Che la nostra vita sia, al loro cospetto, pura e
trasparente, come quella di un pesce esposto al pubblico
dietro i vetri di un acquario. Questo affinché i
miscredenti, contemplando le parole e gli atti della nostra
vita, alzino lodi al Padre che è nei cieli, e lo ringrazino
d’aver inviato dei cristiani sulla terra (cf. 1 Pt 1,12).
* * *
Fratelli miei, ciò che sto per narrarvi, è avvenuto il 19
agosto 1093 ad Alba Reale. Presso la tomba di
sant’Stefano, un re era in preghiera, San Ladislao, e con
lui l’eletta parte del suo regno. E c’era un fanciullo di
sette anni, storpio piedi e mani, dalla nascita. I suoi
genitori, piangendo e pregando, lo deposero sulla tomba
di sant’Stefano, ed ecco che d’un tratto, sotto gli occhi
della folla, i suoi muscoli si stesero, le ginocchia si
piegarono, ed il fanciullo prima si mosse, poi si tenne ritto
sulle gambe. Il re Ladislao fu egli stesso testimone di
questo miracolo, e lacrime di gioia gli scaturirono dagli
occhi: prese il fanciullo nelle sue braccia, lo portò verso
l’altare, e ringraziò in forma solenne Dio, autore di tanto
prodigio”.
Perché questo racconto alla fine della mia predica?
Perché nella nostra Europa, da molto tempo, è risuonato
questo grido spaventoso: Uomini, attenti! La civiltà
europea è in decadenza e s’avvia alla sua tomba: le
membra altra volta così robuste dell’Europa cristiana
sono paralizzate.
48
Chi potrebbe negare che al disopra della cultura
morale dell’Europa sono sospese realmente le nuvole del
crepuscolo, per le quali le nostre anime sospirano: Resta
con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto (Lc 24,
29).
Unendomi all’Apostolo san Pietro, fratelli miei, io
così prego: rimanete stretti alla nostra fede cristiana, a
Nostro Signore Gesù Cristo giacché voi lo amate, pur senza
averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia
indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la
salvezza delle anime. (1 Pt, 8-9).
49
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08/03/2011 11:05
 
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III. Infelice colui che non ha fede!
In un dramma intitolato “Asilo notturno”, del poeta
russo Massimo Gorki, c’è una scena commovente,
quando i miserabili ospiti dell’Asilo, questi diseredati della
vita, si svegliano il mattino in un’atmosfera inquinata e
fetida, e ricominciano la loro esistenza senza scopo,
incerta ed infelice. Un uomo straziato, mussulmano, si
alza, e volto verso l’Oriente recita la sua preghiera del
mattino. Gli altri miseri lo guardano, gli uni con curiosità,
gli atri con aria di beffa, mentre egli si prosterna con
gesto solenne dinanzi ad Allah: e non possono
comprendere che nello spaventoso abbandono di
quell’asilo di miseria si possa ancora credere in Dio.
Tuttavia sul loro volto non è solo uno sguardo indifferente
o sprezzante che appare, ma ancora una dolorosa
nostalgia, un vago desiderio senza nome, il desiderio di
un regno da lungo tempo svanito, del quale la fede apre
la porta dinanzi agli uomini...
Fratelli miei, non e solo negli asili notturni che questa
singolare nostalgia, prende gli uomini alla gola. Nelle sale
più elegantemente mobiliate, nei ristoranti dei grandi
rapidi, splendidamente illuminati, nell’atmosfera febbrile
degli uffici, esala un’aspirazione ardente alla felicità di
quelli che possono credere. L’uomo d’oggi sente sempre
più quanto ha perduto perdendo la fede, e ciò che gli
manca quando gli manca Dio.
Ove Dio manca, tutto manca! Questo sarà il pensiero
dominante nel mio sermone d’oggi.
50
Dunque, è vero? non mi basta avere un comodo
alloggio? Un buon conto in banca? Delle terre, una
fabbrica? Una sposa bella ed amabile che mi comprende,
dei bimbi sani e allegri? Posso essere infelice, possedendo
tanto bene? Si, fratelli mici. Avendo tutto ciò, voi potete
essere infelici, giacché sono infelici gli individui ed il
popolo che non hanno fede.
A. L’uomo che non ha la fede è infelice
1) L’uomo che non ha la fede si pone le stesse
domande del credente, ma non riceve risposta: o
piuttosto, la risposta che riceve lo accascia ed annienta.
Egli istintivamente si propone il quesito: “Cosa
dobbiamo pensare di questo mondo? E dell’uomo? Che
cos’è l’uomo? Quale valore ha la sua esistenza? Di dove
viene? Perché è in questo mondo? Che cosa l’attende
dopo la morte?”. Domande terribilmente gravi alle quali
nessuno potrebbe rinunciare di dare una risposta.
a) Che cos’è il mondo? Quale idea né avete voi?
Talvolta terribili epidemie si abbattono sull’umanità: il
colera, la peste, l’influenza... Del pari, nella vita
intellettuale, infieriscono delle epidemie che devastano
nazioni intere, paesi, secoli. Il disprezzo della religione, il
dubbio e l’ateismo hanno molte volte alzato la testa in
mezzo all’umanità, ma sempre l’uomo, in tali periodi di
crisi, si e trovato a disagio. Giacché l’uomo che riflette,
resta sempre inquieto dinanzi ad una domanda senza
risposta, e non può come lo struzzo dinanzi al pericolo,
nascondere la sua testa nella sabbia per non vederlo.
51
Nella Chiesa di San Paolo a Londra ci sono le tombe
di molti inglesi eminenti. Sopra una pietra funeraria si
può leggere questa triste iscrizione: “Dubius vixi, incertus
morior, quo eam nescio”, “ho vissuto nel dubbio, muoio
nell’incertezza, non so dove vado”. Può esserci
condizione più tragica per un’anima che riflette e ha sete
di luce? A che cosa serve tutto sapere, e solo ignorare
questa suprema fra le cose? Invano so calcolare e scrutare
il corso degli astri, il numero dei cromosomi in una
cellula, invano o posso contare le vibrazioni dell’etere nei
raggi ultravioletti, se non so rispondere a queste
domande: Che cos’è il mondo? che cosa è l’uomo? che
cosa attende l’uomo dopo la morte?
Filosofia del mondo! Oh si, l’incredulo pure ha una
filosofia. Uno ha la “filosofia dello stomaco”, un altro la
“filosofia del denaro”, un terzo la “filosofia
dell’ambizione”, un quarto la “filosofia degli istinti”. Ma
la vita umana se ne accontenta?
Un giorno un tale chiese ad un cinese: Qual’è la tua
religione? La risposta fu: “La mia religione è ben
mangiare, bere bene, ben digerire e ben dormire”. Ah,
fratelli miei, voi manco sapete quanti ci sono nelle nostre
città che, come quel cinese, hanno provato a vivere
giorno per giorno, vegetando, e senza idee sul mondo!
Ho detto, di proposito “vegetando” giacché, così non si
può che vegetare e non già condurre un’esistenza degna
di un uomo.
Uno dei fenomeni più caratteristici della natura
umana è riflettere sopra i fenomeni della natura, e cercare
il fine ultimo degli avvenimenti del mondo. Il mondo non
52
è per me un mucchio di cose senza legame, né un caos,
ma un cosmo, cioè una bellezza mirabilmente ordinata
ove, ciascun popolo, ciascun individuo, ogni foglia ed
ogni avvenimento hanno il loro posto e il loro fin, se... se
ho la fede. E il tutto non è che un caos, inconcepibile se...
se non ho la fede.
b) Ed ecco l’altra grande domanda alla quale
l’incredulo non può rispondere: Che cosa è l’uomo e
quale è il valore della vita?
Se ho la fede, ho altresì la risposta sul valore della
vita: il fine della mia vita terrena è di riprodurre Dio nella
mia anima, con una vi ta conforme ai suoi
comandamenti, onesta e laboriosa; Se ho fede credo
all’anima, un’anima chiamata alla vita eterna, ed allora la
vita umana vale più di tutti i tesori del mondo. Se non ho
la fede, non credo nell’anima, ed allora la vita umana non
vale neppure un dollaro.
Già... essa non vale un dollaro, ma soltanto 98
centesimi! È uno scienziato americano che ha calcolato
questo in dati precisi. Egli dice: Il corpo umano contiene
l’acqua bastante per lavare una tovaglia. Con il ferro dei
globuli rossi, si potrebbero fare sette chiodi di ferro da
cavallo. Con la sua calce si potrebbe imbiancare uno dei
quattro muri di una piccola stanza. Trasformata in grafite
darebbe 65 matite. Con il suo fosforo si potrebbe fare una
scatola di fiammiferi. Si potrebbe ancora cavare qualche
cucchiaio da caffè di sali. Tutto questo, dice il sapiente
americano, non vale più di un dollaro.
53
Colui, che non ha la fede non ottiene risposta alle più
assillanti domande, o arriva ad una risposta di questo
genere. Povero orfano, povero incredulo abbandonato!
2) Ma ecco l’altra parte della nostra tesi: Colui, che
non ha la fede, manca d’ogni consolazione: a) nelle sue
sofferenze; b) all’ora della sua morte.
a) Ma davvero, voi siete, increduli, miei disgraziati
fratelli? Ditemi, ma sinceramente, non ci sono proprio
nella vostra vita dei momenti in cui, dalle profondità più
segrete della vostra anima, geme una voce, che piange la
fede smarrita della vostra infanzia?
Forse... se voi non viveste sulla terra... se voi non
viveste in una valle di lacrime, potreste, forse, resistere
senza la fede. Ma nella realtà della vita? Per quanto
grandi siano la vostra scienza, la vostra fortuna,
qualunque siano le vostre gioie, c’è un istante in cui
l’anelito dell’anima si rafferma. Istanti d’impotenza, di
sensazione di vuoto, di sofferenza.
Ed è di uno di questi istanti, che parla un filosofo
inglese.
Durante una corsa in un misero quartiere di
Dublino, egli trovò una donna morente, coricata per terra
su della paglia: ed al suo lato, era steso morto un
bambino. “Siete voi il medico?”; gli disse dolcemente la
donna. “No”, rispose il filosofo, “ma non tarderà a
venire”. “Pregate”, riprese la donna, “perché Dio non
prenda la mia anima in stato di peccato”. Il filosofo
s’inginocchiò e pregò a lato della donna, fino all’arrivo di
54
un medico, e del prete. “Dio vi renda questa carità”,
balbettò la donna, “ora sono tranquilla!”. “Immaginate”
raccontava in seguito il filosofo, “che io avessi detto alla
morente tutto ciò che sapevo sui filosofi e gli scrittori
greci, e ciò che avevo scoperto nel labirinto della filosofia,
a che le avrebbe servito?”. “Senza dubbio, voi direte,
perché si trattava di una povera donna senza istruzione”.
Ma avesse anche appartenuto ad una classe superiore e
colta, forse ciò le avrebbe servito? La filosofia, l’istruzione
sono cose buone, ma unicamente come ornamento. Su
un sofà, in un salotto, con una tazza di tè accanto, ciò
può andare7.
Come diceva quella donna? “Pregate, perché Dio
non si prenda la mia anima quando è ancora in stato di
peccato”. Ah, qual sentimento terribile, fratelli miei!
Voi non avete la fede; voi non credete in Dio? Sia;
ma voi avete dei peccati, non potete dire di no, e che cosa
ne risulta? Voi non avete Cristo che riscatta le vostre
colpe, e allora il peccato pesa sopra di voi come una
pietra tombale. L’uomo cerca la felicità nella scienza, e
non la trova. Se voi siete scettico, siete felice? Se siete
stanco di tutto, avete la felicità? Se siete un indifferente,
ciò vi appaga? E vi dà della forza quando vi sentite
abbattuti? Del coraggio quando esitate? Della
consolazione quando siete ammalato? Una risposta nel
tempo del dolore?
No, nessuna risposta.
55
7PROHASZKA, Meditazioni, Alba Reale, 1908, p. 2o6.
Povero orfano, incredulo disgraziato!
b) Colui, che non ha la fede non ha la consolazione
nell’ora della morte.
Voi non credete dunque a niente? E vi sentite bene
nel deserto ghiacciato? Le candele multicolori splendono
sull’albero di Natale, i vostri piccoli figli saltellano
intorno, gli occhi brillanti di gioia: voi solo vi tenete in
disparte, l’anima vuota, lo sguardo incerto. Come
resistete a questo? Le campane di Pasqua cantano
l’Alleluia, e ciò non ha significato per voi. Come potete
sopportarlo? Eccovi dinanzi alla tomba di un vostro
famigliare amato, ed un pensiero terribile attraversa il
vostro spirito: un giorno pur di me non rimarrà che un
pugno di cenere e polvere. Potete sopportare tale cosa?
Cenere e polvere. È tutto ciò che resta. Sì. Tutto.
Questo pensiero sorge in voi, e voi vorreste
sbarazzarvene, ma non potete. L’inquietudine vi prende.
Il mondo tutto intero è così bene organizzato, la
macchina ingegnosa che esso è, è così bene adatta al suo
fine, la vita tutta è così penetrata del desiderio
dell’eternità, che non è possibile che tutto finisca nel
nulla. Il mio cervello può ridursi in polvere, ma i miei
pensieri, la mia volontà, i miei sentimenti e le nobili
ambizioni del mio cuore, i miei voli verso l’ideale, che
non erano prodotti del mio corpo, non possono risolversi
in polvere. “La vita è mutata, non tolta, vita mutatur, non
tollitur” dice il prefazio della Messa dei defunti, per grande
consolazione di colui che ha la fede. Ma colui che non
l’ha?
56
L’anima di colui che ha la fede è tranquilla e serena
pur dinanzi alla morte; essa diventa una delle bellezze più
impressionanti del mondo. Belle le cime delle montagne
coperte di neve, belle le praterie in fiore nel mese di
maggio, belli i quadri o le statue dei grandi maestri. Il
Creatore ci é largo donatore di bellezze! Ma l’anima del
credente che si dispone a partire per la sua celeste patria,
é assai più bella. Giacché la più bella statua di marmo di
Carrara può essere ridotta in frantumi, la più bella
pittura del Murillo sotto il dente degli anni può ridursi ad
una semplice tela polverosa, ma l’anima formata ad
immagine di Dio, come la fede insegna, vivrà
eternamente.
Quando verrà il momento più grave della mia vita, la
morte, e la mia testa stanca s’inclinerà nelle braccia dei
miei cari, ed io non sarò più io, la mia anima indecisa si
dirà: “Ed ora dove andrò?”. Oh, come sarà felice chi ha
la fede perché il Signore gli dirà: “Venite a me voi tutti
che siete stanchi!”.
Nella morte, solo è felice chi ha la fede. E chi non
l’ha? Vi descriverò ora la morte di un ateo.
Quando la morte venne per uno dei più famosi
personaggi della rivoluzione francese, Mirabeau, che il
dubbio torturava, che fece il disgraziato prima di rendere
l’anima? Sul suo letto di morte egli si lavò con dell’acqua
profumata: si mise sulla testa una corona di fiori, e fece
veni re dei mus i c i , per poter addormentar s i
tranquillamente e gioiosamente nell’eterno sonno. Ma a
nulla valse tutto ciò. Le sue sofferenze aumentarono di
minuto in minuto, e più ancora i dubbi che tormentavano
57
la sua anima. Allora chiese al suo medico qualche
farmaco che gli avrebbe affrettato la morte, ma
rifiutandosi questi a ciò, morì in mezzo a sofferenze
grandissime.
Com’è abbandonato, all’ora della morte, l’uomo che
non ha fede! Come lo senti, agli ultimi istanti, Anatole
France, il “papa dell’incredulità” che al momento di
morire chiamava sua madre! “La morte è là... essa viene
piano, piano. Eccola. Mamma, mamma!”. Furono queste
le sue ultime parole. Com’è infelice l’uomo che non ha la
fede!
Guardate il fiore strappato dal vento al suo stelo. Che
cosa diventa esso?
Guardate il ruscello che lascia il suo letto. Che cosa
diventa esso?
Guardate l’uccello che è caduto dal nido. Che cosa
diventa esso?
Guardate il raggio che si separa dal sole. Che cosa
diventa esso?
Guardate l’uomo che è separato da Dio. Che cosa
diventa esso?
Povero incredulo, orfano, infelice e abbandonato!
58
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08/03/2011 11:06
 
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B. Il popolo che non ha la fede è infelice
Passiamo ad un altro pensiero: com’è infelice un
popolo che non crede! Che cosa diventa? Che ne è
dell’umanità senza fede?
Colui, che vuole una risposta soddisfacente a questa
domanda, legga la storia della rivoluzione francese. Legga
fino alla fine, se i suoi nervi resistono a tanto, e veda dove
è caduto un popolo al quale si era tolto Dio. Il culto della
ragione fu proclamato nel 1793. Si volle dapprima
celebrare l’evento in un teatro, poi si ebbe l’idea diabolica
di scegliere una chiesa: Notre Dame. Una danzatrice
dell’Opera in veste bianca e manto azzurro fu messa sul
trono, nel coro e delle giovani coronate di quercia ed in
veste bianca, cantarono un inno di Chénier, in onore del
nuovo culto. I tesori della chiesa si caricarono su un asino,
a cui misero una mitra sulla testa ed una stola sul dorso. E
canti accompagnarono il suo cammino. Si bruciarono le
reliquie, si bevette nei calici, si mangiarono delle aringhe
sulle patene; il popolaccio rivestito dei paramenti
sacerdotali percorse le strade della città.
Nella Chiesa di San Eustachio si trasformò il coro in
prateria artificiale, con cespugli e capanne. Si preparò
una grande tavola carica di alimenti e bevande. La dea
serviva i “fedeli” che andavano a lei. I fanciulli bevettero
a sazietà, ed i “pii fedeli” si divertirono a vederli ubriachi.
La dea in manto azzurro si sedette sull’altare, un berretto
frigio in testa, e gli uomini, pipa in bocca, la servirono di
rinfreschi.
E come finì tutto ciò?
59
La ghigliottina tagliava dal mattino alla sera; i
carnefici erano stanchi di tanti assassini. A Nantes
s’inventò un battello il cui fondo poteva aprirsi; tutte le
sere vi si ammucchiavano i prigionieri, e durante la notte
si annegavano nella Loira. Non si può precisare il numero
delle persone finite così. In una sola volta gli annegati
furono 1300. Ci furono, si dice, ventitré di questi supplizi
in massa e 600 fanciulli furono fra le vittime. Dei banditi
stavano sulle sponde del fiume e quando qualche
disgraziato tentava di afferrarsi, gli tagliavano a colpi le
mani e lo ricacciavano nell’acqua. Negli ultimi mesi del
1793 e nei primi del 1794 furono decapitate, fucilate,
annegate, nella regione di Nantes, almeno 15 mila
persone. “Le teste di duchi, marchesi, conti, baroni
cadevano come la grandine”, scriveva Lebon,
Commissario della Convenzione per il nord della Francia,
nell’aprile 1794.
C’è bisogno d’altro per dire ciò che diventa un
popolo che ha perduto la fede?
Ci sono al nord, dei paesi ove il sole si alza appena
sull’orizzonte durante tutta una metà dell’anno. La vita
trascorre malinconicamente, in una mezza oscurità.
Manca il sole che tutto vivifica. Il sole vivificante
dell’umanità è la fede di Dio. Togliete all’umanità questa
fede. Che cosa diventa?
Dio non c’è, ma allora non c’è più nemmeno chiesa,
né altare, dai quali scaturisce la forza del sacrificio. Non
c’è più Crocifisso, né immagine della Vergine dei Dolori;
né confessione, né comunione, né preghiera nella quale
60
chi soffre possa effondere il suo cuore, o asciugare le sue
lacrime.
Non c’è Dio, ma allora non c’è autorità che possa
imporre delle leggi agli istinti ciechi dell’uomo, ed il
mondo diventa una caverna di briganti.
Non c’è Dio, ma allora non c’è neppure differenza
fra il bene e il male, allora c’è lo scatenamento di tutte le
passioni.
Non c’è Dio, ma allora ogni uomo superiore,
caritatevole, compassionevole è un pazzo.
“Non si possono costruire delle rotaie con dell’acqua
benedetta”, dicono gli empi. Machiavelli ha detto pure
qualche cosa di simile: “Non si può costruire uno stato col
rosario e la dolcezza”. Ma io vi dirò che, se la storia non
potrà provare altro, proverà tuttavia con certezza che la
base, le colonne, le giunture dello Stato sono i buoni
costumi. Provate dunque a costruire una strada ferrata
senza inchiodare le rotaie, o fabbricare una casa senza
fondamenta. Invano un popolo è vittorioso nelle armi,
nell’industria e nel commercio, se non trionfa anche nella
vita morale. Giacché un popolo vittorioso in
combattimento, ma frivolo nella vita, merita che si dica di
lui ciò che Seneca, con una concisione classica, disse di
Annibale: “Armis vicit, vitiis victus est”, “Ha vinto in guerra,
ma e stato vinto dai suoi vizi”8.
61
8 Seneca, Lettere V, II.
* * *
Fratelli miei, nel 1849 gli eroi d’Arad (Ungheria)
morirono gloriosamente. Uno di loro, il generale
Giuseppe Schweidel, era stato governatore di Buda;
all’ultimo minuto, dopo la lettura della sentenza e prima
dell’esecuzione, egli si avvicinò al confessore e gli disse:
“Padre mio, ecco la croce che ho ereditato da mio padre.
L’ho sempre portata su di me, anche in combattimento.
Vi prego di darla a mio figlio”. Poi ad un tratto, come se
una nuova idea gli avesse attraversato il cervello, la riprese
dicendo: “voglio tenerla ancora e morire con essa. La
prenderete poi dalle mie mani per darla a mio figlio”.
I fucili crepitarono e il generale cadde. Ma egli visse
più che mai, fratelli, nella memoria del popolo, e dei
padri che insegnarono ai figli l’amore nel Cristo, la fede
nel Cristo.
Padri e madri di famiglia, lasciate ai vostri figli una
simile eredità, la fede incrollabile nel Cristo.
Noi siamo poveri ma è ricco colui nella cui anima
vive il Signore. Noi siamo infermi, ma è forte colui che si
appoggia al braccio del Signore. Se abbiamo tutto
perduto, ma ci resta la fede, non abbiamo nulla perduto.
Chi perde le sue ricchezze perde molto, chi perde un
braccio perde più ancora: ma chi ha perduto la fede ha
tutto perduto. Signore, aiutate il vostro popolo così
provato, affinché noi non perdiamo tutto.
62
IV. Le vie dell’incredulità: La falsa scienza
Noi abbiamo visto che la fede è una necessità
elementare per gli individui e per i popoli. Né l’uomo né
il popolo può star bene se perdono la fede, sorgente di
ogni sforzo, di ogni rendimento nel lavoro, di ogni
perseveranza, di tutta la gioia di vivere e di ogni
consolazione. Siamo arrivati a questa conclusione nel
corso delle nostre precedenti investigazioni.
Ma qui dobbiamo arrestarci di fronte ad un fatto
angoscioso.
Nella vita incontriamo ad ogni passo, disgraziati che
hanno perduto la fede, anime di ghiaccio, separate da
Dio. Che cosa diremo loro? Noi, a cui Dio ha fatto la
grazia d’aver la fede cristiana, possiamo passare con
indifferenza dinanzi ad anime incerte, in preda al dubbio,
o che totalmente hanno fatto naufragio? No. Ciò non
sarebbe conforme allo spirito di Cristo. Deliberiamo con
cuore compassionevole e deciso di venir loro in aiuto, e
per prima cosa interroghiamoli: “Come siete arrivati a
questo ghiacciato deserto dell’incredulità? Che cosa mai
vi ha condotti a queste punto? Quali sono le ragioni della
vostra incredulità?”.
Ascoltiamo la loro risposta e cerchiamo di risolvere il
problema. Nel sermone d’oggi voglio occuparmi della
scusa più comune di quelli che hanno perduto la fede, e
che tuttavia dovrebbe meno condurre l’uomo
all’incredulità. Nel prossimo capitolo diremo le ragioni
63
che realmente possono rendere incredulo l’uomo, e che
pure egli non mette mai avanti nelle sue delucidazioni.
Più spesso si adduce una sola ragione, perché essa fa
impressione agli uomini d’oggi “nel secolo della scienza”.
Sono, dicono gli increduli, i risultati delle ricerche
scientifiche, che ci hanno condotto all’incredulità. La
scienza ha loro tolto, nell’età matura, la fede che avevano
quand’erano ancora fanciulli ignoranti.
Ma è vero che la scienza rende increduli? Trattare
questo soggetto è difficile, giacché, più di altri esige negli
uditori, riflessione filosofica, attenzione e ragionamento:
ma in cambio, è di grande importanza per confermarci
nella nostra fede.
Per poter rispondere alla questione è necessario in
primo luogo vedere in quali relazioni si trovano
reciprocamente i due tesori dell’umanità: la scienza e la
fede.
A. La scienza e la fede
Una constatazione fondamentale: esistono, fra la
scienza e la fede, le stesse relazioni che intercorrono fra
l’occhio umano e il telescopio. Qualunque sia la mia
scienza, io non ho che due occhi: ma se, oltre la scienza
ho altresì la fede, allora dinanzi ai miei occhi ho un
telescopio.
64
La fede fortifica dunque e acutizza gli occhi della
nostra anima, come il telescopio ed il microscopio, gli
occhi del nostro corpo. Colui che ha un potente
microscopio vede perfino in una goccia d’acqua che
all’occhio nudo sembra silenziosa, calma, morta, tutto un
groviglio di vita fremente: chi ha un buon telescopio
scopre migliaia e migliaia di stelle in luoghi, in parti del
cielo dove l’occhio nudo non vede che una macchia
oscura e vuota. Ugualmente colui che ha la fede trova
risposta a una folla di domande, dinanzi alle quali la
ragione pura resta in un’oscurità impotente ed ignorante.
A Monaco sulla tomba del grande astronomo
Fraunhofer, si legge: “Sidera approximavit”, “Egli ha
avvicinato le stelle”. È così che la fede avvicina la nostra
ragione alle sante realtà dell’eternità che la ragione pura
suppone senza dubbio e desidera, ma è incapace di
raggiungere senza la fede.
Mi torna alla memoria un attraente episodio della
storia della civiltà umana. Il giovane Colombo e in piedi
dritto su una riva spagnola dinanzi all’oceano. Piante
sconosciute, alghe turbinano dinanzi a lui sulle onde ed i
suoi occhi frugano lontano verso le terre dalle quali esse
sono dovute venire. Con gli occhi del suo corpo egli non
vede che dell’acqua, ma dinanzi agli occhi della sua
anima si apre un immenso continente sconosciuto, che
deve esistere, malgrado le derisioni di quelli che si fanno
beffe della sua idea fissa. Così l’anima credente si tiene
sulla riva della vita terrestre, ma i suoi occhi frugano
aldilà degli spazi, aldilà della tomba, dove, a dispetto di
tutte le derisioni, deve trovarsi un nuovo mondo
immenso.
65
Ho ragione di dirvi, fratelli miei, che, in ultima
analisi, noi non abbiamo bisogno della scienza, ma della
verità. Ciò che più preme è la verità: sia che io entri in un
laboratorio di chimica o in una scuola di catechismo.
Opporre la scienza alla fede è un gesto fuori posto. Il
dominio della scienza è tanto vasto quanto il mondo, ma
è altresì limitato come il mondo. Si tratta dunque
solamente di sapere se si deve spegnere la face della
ricerca della verità ai limiti della natura visibile, con un
“ignorammo” rassegnato, oppure se si può afferrare la
mano che la fede ci tende per guidarci nel mondo
soprannaturale, come Beatrice ha guidato Dante nei
regni dell’oltretomba.
La fede è una luce e come la luce rischiara le tenebre,
così la fede rischiara i grandi punti di interrogazione della
vita. San Tommaso da Villanova usa questo paragone: la
fede e la ragione, sono in relazione come un padrone ed il
suo servitore; vanno insieme per la strada, entrano
insieme nel palazzo, insieme salgono le scale ma, il
padrone, entra solo nella camera. La fede e la ragione
vanno insieme al pari delle cose visibili del mondo
esteriore, ed insieme salgono i gradini della creazione.
Dio è onnipotente, dice la fede. Anch’io vedo le tracce di
una mano potente nel mondo, dice la ragione. Dio è
infinitamente saggio, dice la fede. Anch’io vedo le tracce
della sua saggezza sovrana, dice la ragione. È così ch’esse
vanno insieme fino alla “camera”, ma solo la fede entra
nell’intimo del santuario, solo la fede arriva alla
contemplazione dell’essenza e della maestà divina. La
ragione, la scienza, la filosofia non possono dunque essere
altro che la prefazione umana del divino Vangelo.
66
Dio dà all’uomo la fede e la ragione. Come sarebbe
possibile che la ragione indebolisse la fede, contraddicesse
la fede? Che un uomo, o un secolo, credano che le sue
convinzioni scientifiche gli rendano impossibile la fede,
ciò prova solamente ch’egli non conosce a fondo, o la
scienza, o la fede.
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08/03/2011 11:07
 
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B. La scienza rende increduli?
Sembra tuttavia, fratelli miei, che la scienza
moderna, soprattutto le scienze naturali, sono ostili alla
religione. O almeno quelli che hanno perduto la fede
pretendono, per la maggior parte, che la fede della loro
infanzia ha cominciato a perder vigore in loro quando
hanno cominciato a studiare molto, e si sono presentate
dinanzi a loro le questioni imbarazzanti di tale e tale
scienza particolare.
1) Rispondiamo dunque francamente a questa
questione. È possibile che la scienza indebolisca la fede, o
la distrugga?
In certi sfortunati casi è possibile. L’ottica parla di
leggi di interferenze della luce. Esse consistono
essenzialmente nel fatto che due raggi luminosi si
incontrano talvolta in modo così curioso, e reagiscono in
tale maniera l’uno sull’altro, che non solo non accrescono
la luminosità, ma al contrario si indeboliscono a vicenda
e si distruggono. La fede e la ragione sono al pari, due
raggi di luce, ma essi possono incontrarsi in
un’interferenza così disgraziata che l’una indebolisce
67
l’altra. Ci fu un tempo in cui la scienza rese realmente
increduli molti uomini. Ciò avvenne al principio delle
ricerche scientifiche. Quando nuove invenzioni si
succedettero giorno per giorno, assalirono per così dire la
ragione umana. La pietra cade secondo le stesse leggi che
fanno avanzare i pianeti, si é detto. Si può predire con la
precisione di un secondo la più lontana eclisse di luna. Gli
elementi si associano secondo leggi rigorose ed il numero
dei cromosomi nelle cellule di individui della stessa natura
è sempre lo stesso, e così di seguito: tutto nel mondo è
retto da leggi rigorose. E l’uomo, abbandonandosi a
queste ricerche, é stato accecato, e un’idea gli ha
attraversato la testa come un lampo: “Non si potrebbe
così spiegare tutta la vita?”.
La vita intellettuale ha le sue analogie nella fisica
nella chimica. E veramente il mondo intero è là, dinanzi
a noi, semplicemente: eclissi di luna, corso degli astri, vita
umana, libero arbitrio, manifestazioni del pensiero... tutto
ciò segue una via determinata, secondo leggi rigorose...
tutto non é che movimento elettrico, ed anche l’anima, ed
anche il pensiero.
Ah, qual pessimismo glaciale sorge da questa teoria!
Se tutto non è che legge naturale, materiale, tutto finirà
con il raffreddarsi del sole: del pari finirà il mondo
spirituale, ed allora ogni sforzo, ogni lavoro, ogni
speranza, ogni amore, tutto non é che vana illusione. Ci
fu un tempo in cui l’uomo colto credeva che solo a lui
convenisse questa concezione glaciale del mondo.
68
Così le scienze naturali minacciarono la fede, quando
esse fecero il primo passo sulla strada trionfale del mondo
moderno.
2) E sapete chi ha fatto fondere il ghiaccio di questo
pessimismo? La stessa ragione, la stessa intelligenza
umana, a seguito di una doppia constatazione.
a) Prima di tutto si riconobbe che, se noi sappiamo
assai, la scienza non rende superflua la fede. Se noi
sappiamo molte cose, molto più sono quelle chi noi non
sappiamo, e le scienze naturali, malgrado il loro enorme
sviluppo, sono incapaci di rispondere con precisione alle
domande più importanti. Le scienze naturali hanno fatto
veramente grandi progressi. Hanno trasformato
totalmente le nostre idee sul mondo e la nostra vita
giornaliera, hanno distrutte molte delle ingenue
concezioni dei nostri padri. Ma se esse hanno allargato il
cerchio delle nostre conoscenze, non hanno potuto
rendere superflue le realtà soprannaturali. Ciò non è di
loro competenza. Esse hanno per scopo lo studio dei
fenomeni naturali. In altre parole le scienze naturali sono
scienze fisiche e non metafisiche, cioè esse non devono
oltrepassare il limite dei fenomeni visibili, l’esplicazione
della loro entità e delle loro connessioni intime. Giacché,
dove cessa la natura, cessano del pari le scienze esatte. Se
si va più lontano, allora non sono più le scienze esatte,
così spesso esaltate. E se lo scienziato costituisce un puro
sistema filosofico, una teoria su Dio, allora egli diventa un
metafisico. Ma non é già come scienziato ch’egli ha un
sistema filosofico, è come uomo e come filosofo.
69
Inchiniamoci dinanzi all’imponente lavoro che la
ragione umana ha compiuto, e compie ancora nello
studio delle forze della natura. L’uomo d’oggi sa una
grande quantità di cose: ma ciò che ignora è un campo
ancor più vasto. E non può, no, non può dare risposta a
questa domanda, risposta che invece l’uomo esige
assolutamente: Da dove viene l’universo con la sua
attività perpetua e febbrile? Da dove viene la materia
primitiva dalla quale il mondo sarebbe uscito? Da dove
vengono gli innumerevoli miliardi di protoni, neutroni ed
elettroni che, secondo le più recenti teorie, costituiscono
tutto il mondo materiale?
Una delle nostre scoperte è dunque questa, che su
certe domande decisive la scienza più avanzata è
incapace, senza fede, di rispondere.
b) Ma noi abbiamo ancora fatto un’altra
constatazione interessante. Sulle prime noi siamo rimasti
interdetti dinanzi all’idea che nell’universo intero non
c’era altra cosa che forze naturali cieche e rigide, leggi di
un rigore intangibile. Ma in seguito abbiamo notato come
avevamo avuto una concezione erronea della questione. E
siamo arrivati a questa sublime verità: l’uomo è superiore
alla natura.
È superiore perché continuamente, grazie alla sua
tecnica, egli spezza la potenza apparentemente
incrollabile delle forze della natura.
Le leggi della natura non hanno giammai prodotto
un solo orologio, e neanche una rotella dentata. Senza
dubbio è tenendo conto delle leggi della natura che tutto
70
ciò, come qualunque opera tecnica, e stato prodotto, ma
non sono soltanto le leggi della natura che creano gli
oggetti, è altresì un’idea, un pensiero che ha utilizzato
come pietre da costruzioni le leggi della natura: ma senza
idee e pensieri, queste cose non sarebbero giammai
esistite, come prodotto della sola natura fisica. L’anima è
forza elettrica? Il pensiero è un fluido elettrico? Allora,
perché non pensa la corrente elettrica che passa nella
lampadina accesa sopra questo libro da dove io vi parlo?
L’uomo è superiore alla natura. Da quando ci fu
l’uomo sulla terra, sempre egli ha sognato di volare
(ricordatevi di Dedalo ed Icaro!), ma egli non vi sarebbe
mai riuscito se non fosse stato che pura materia e natura,
e null’altro; giacché volare nell’aria non è nella natura
dell’uomo.
Dove risiede dunque la verità? In questo: che Dio ha
riempito il mondo di misteri e poi ha creato, ed ha
collocato fra loro l’uomo. Noi siamo tutti dei grandi
fanciulli che giocano a risolvere degli enigmi e trasaliamo
di gioia quando riusciamo a risolverne uno.
C. La mezza scienza rende increduli
Dopo quanto si è detto noi possiamo rispondere a
questa domanda: La scienza e la ragione conducono
all’incredulità?
La ragione non conduce all’incredulità, ma solo la
ragione che riflette superficialmente. La nostra fede non
71
ha nulla a temere dal la scienza che scruta
profondamente. Duc in altum!, disse un giorno Nostro
Signore a San Pietro: “spingiti al largo!”. Se noi
discendiamo nelle profondità della scienza, non ce ne
verrà alcun male. E qui, fratelli miei, io non posso
resistere alla tentazione di condurre le riflessioni dei miei
uditori nelle profondità di qualche branca della scienza.
Quantunque, forse, questo rapido colpo d’occhio
oltrepassi il cerchio d’interesse dei miei uditori, non voglio
tuttavia lasciar passare l’occasione di dimostrarvi come le
profondità della scienza cantino veracemente le glorie di
Dio.
a) Ecco per esempio la geologia. Specialmente questa
scienza si crederebbe ostile alla religione. Ora tutte le sue
ricerche, per le quali essa ha dimostrato che l’uomo e
venuto ultimo sulla terra, non sono altra cosa che una
lunga catena di prove in favore del racconto biblico della
creazione.
Seguiamo la geologia nelle ricerche più profonde e
nelle sue scoperte continue di nuovi esseri viventi, fino
alla scoperta finale di un fossile il cui organismo appena si
distingue da quello di un essere inorganico, giù, giù fino
alle regioni ove non c’è che materia bruta, morta, vuota
di organismi. Qual vasto campo per l’idea religiosa! Una
folla di animali quando il loro capo, l’uomo, non era
ancora creato... milioni d’anni prima che la terra fosse
pronta a ricevere l’uomo... orribili catastrofi nelle epoche
anteriori all’apparizione dell’uomo sulla terra... le epoche
preistoriche con i loro silenzi sepolcrali... tutto ciò canta
la gloria di Dio. La geologia, che ci riempie di meraviglia
72
per le sue scoperte, proietta una piccola luce sull’eternità
che esisteva prima della creazione: su Dio eterno.
b) Ciò che è la geologia nel tempo, l’astronomia è
nello spazio. Essa allarga le nostre idee su Dio, come il
cielo costellato allarga sensibilmente la nostra anima. Se
noi parliamo della legge di rotazione della terra, se noi
studiamo le fasi della luna, di questo o di quel pianeta,
oppure se consideriamo tutto il sistema stellare, se
osserviamo le stelle fisse, gli asteroidi, o le dimensioni
vertiginose delle nebulose ellittiche, dalle quali forse fra
milioni d’anni nascerà un nuovo sistema solare, dovunque
sentiamo l’impronta della mano divina, che in nessuna
parte incontreremo una legge, per piccola che essa sia,
inconciliabile con le conclusioni delle Sacre Scritture o i
dogmi della nostra fede. Non c’è scienza che infligga una
smentita a questa affermazione dello Schiller: “L’universo
è una idea divina”9.
Mettiamoci in cammino sulla strada dell’infinito. In
una bella notte d’estate, soffermiamoci al margine di un
bosco... la terra è immersa nel sonno... siamo soli... non
c’è intorno a noi che notte, silenzio, cielo... percorriamo
con gli occhi l’oceano delle stelle: pare un’immensa flotta
aerea. La nostra terra, la luna, Mercurio, Venere, non
sono che piccole barche vacillanti... la squadra degli astri
passa superbamente. Ma dove va? Da dove viene? Il
sentimento della nostra piccolezza sorge da tutte le parti.
Qualcosa di misterioso ci invade, il soffio dell’infinito ci
sfiora. I marinai di Cristoforo Colombo gridarono alla
prima isola scorta: “Terra! Terra!”. Noi gridiamo: “
73
9KLEIN, phil. Schriften, XII, 9.
Cielo, cielo, Dio!”. Il meccanismo celeste presuppone un
meccanico.
c) E quest’altra scienza orgogliosa della nostra epoca,
la fisica, forse che essa conduce all’ateismo?
“Se qualcuno afferma l’esistenza di un ordine
soprannaturale come una realtà, le scienze naturali non
possono contraddirlo”, Scrive Federico Dessauer, uno dei
più eminenti fisici del novecento10. E altrove dichiara:
“Noi abbiamo la percezione del mondo fisico per mezzo
dei nostri sensi, dei colori, delle forme e del tatto; ma il
cammino delle forze è assai più complicato. Concludiamo
che esistono per le loro manifestazioni visibili. La pietra
cade: dunque c’è una forza di gravità. L’ago magnetico
della bussola, qualunque sia il movimento che io gli
imprimo, non ha riposo finché non si volge, non si orienta
verso il campo magnetico. E il campo magnetico non è
cosa che si vede come un tavolo o una seggiola, non è una
cosa che si tocchi: e tuttavia nessuno può mettere in
dubbio la realtà della forza magnetica terrestre. Non è
una cosa materiale e tuttavia esiste: essa è anche qualcosa
di più perfetto della sedia, o della tavola, o della casa, o
della città, giacché essa esisteva prima che ci fossero delle
case sulla terra, e verosimilmente esisterà ancora, quando
le nostre grandi città avranno ceduto il posto alle foreste.
Che cosa si deve concludere dal fatto che queste
forze invisibili esistono in modo più perfetto delle cose
visibili? - Domanda ancora Dessauer - Ebbene, che i
concetti di spazio e di tempo, non sono così limitati come
74
10LEBEN, Natur, Religion, p. 62.
le cose materiali. Si può dire esattamente delle cose
materiali quale posto esse occupano nello spazio: ma non
si possono sempre localizzare le sorgenti di forza.
Dovunque noi mettiamo sulla superficie del suolo l’ago
della bussola, la forza del campo magnetico lo metterà
nella direzione Nord - Sud; ma se noi seguiamo la
direzione dell’ago, non arriveremo mai ad un punto del
quale si possa dire: qui è la sorgente di questa forza. Noi
non sappiamo dove questa forza risiede, noi non la
vediamo, e tuttavia essa esiste.
Con l’aiuto di queste riflessioni, non è più facile
comprendere Dio presente dovunque, dovunque
penetrante, e tuttavia invisibile? Cos’é che afferra e
conduce la nostra anima? Come la forza magnetica attira
l’ago, così Iddio attira l’anima; il buono, il bello, ciò che é
nobile avvince l’anima. Io mi credo autorizzato - scrive
Dessauer - a trarre una conclusione analoga a quella che
il fisico trae dalla bussola riguardo alla realtà d’esistenza,
la direzione e la grandezza del campo magnetico
terrestre: in altre parole la conclusione è che c’è una
realtà, al di fuori di noi, ed indipendente dalla nostra
esistenza, che dirige la bussola della nostra anima
attraverso il mondo spirituale”11. Ecco dunque come si
esprime un eminente fisico.
Non oso trascinare ancora i miei cari uditori per
questa via: credo di averli già troppo stancati. Tuttavia
quante cose si potrebbero dire ancora su questo
argomento! Si potrebbe mostrare l’evoluzione della
medicina, che, fino ad ieri, non vedeva nell’uomo altro
75
11EIBESTZ, Merveilles de l’Universe, II, 140.
che materia, organi, carne, muscoli, nervi, finche poi
scoprì che dietro tutto ciò doveva esserci qualche cosa la
cui influenza sulla guarigione era apprezzabile: la psiche,
l’anima. E oggi si parla di psicosi, cioè di malattie causate
nel corpo dall’anima malata, e di psicoterapia cioè della
parte che ha l’anima nella guarigione del corpo.
Potrei ancora appellarmi alla botanica: ogni filo
d’erba, ogni fiore, ogni cellula canta un Te Deum a Colui
che ha fatto fiorire il primo giardino, a Dio.
Tutto ciò che abbiamo detto fin qui basta, forse alla
dimostrazione della nostra tesi: Non c’è scienza. di cui un
solo principio dimostrato sia contro la fede.
Chi guarda il Vaticano vede tre cupole drizzarsi verso
il cielo: la cupola di San Pietro è la prima, le due altre
76
sono le cupole dell’Osservatorio astronomico12. Qual
senso eloquente delle relazioni fraterne che intercorrono
fra la scienza e la fede!
La nostra religione non esige una fede che condanni
la scienza. Voglia il cielo che non ci sia uno scienziato che
attacchi la fede. Che l’una e l’altra diano ragione al poeta
77
12 L’Osservatorio Astronomico, o Specola Vaticana, può essere
considerata uno degli Osservatori astronomici più antichi del mondo.
La sua origine infatti risale alla seconda metà del secolo XVI, quando
Papa Gregorio XIII fece erigere in Vaticano nel 1578 la Torre dei
Venti e vi invitò i Gesuiti astronomi e matematici del Collegio
Romano a preparare la riforma del calendario promulgata poi nel
1582. Da allora, con sostanziale continuità, la Santa Sede non ha
cessato di manifestare interesse e di dare il proprio appoggio alla
ricerca astronomica. Fu sulla base di questa lunga e ricca tradizione
che Leone XIII, per contrastare le persistenti accuse fatte alla Chiesa
di essere contraria al progresso scientifico, con il Motu proprio Ut
mysticam del 14 marzo 1891 fondò l'Osservatorio sul colle Vaticano,
dietro la Basilica di San Pietro. Nel 1910, San Pio X dette alla
Specola più ampi spazi, assegnandole il villino che Leone XIII aveva
fatto costruire nei giardini vaticani. Ma agli inizi degli anni trenta,
l'aumento delle luci elettriche che aveva accompagnato la crescita
urbana della Città Eterna aveva reso il cielo di Roma così luminoso
da rendere impossibile agli astronomi lo studio delle stelle più deboli.
Pio XI dispose allora che la Specola si trasferisse nella sua residenza
estiva a Castelgandolfo, sui Colli Albani a circa 35 km a sud di
Roma. A causa del dilatarsi continuo della città di Roma e dei suoi
dintorni, il cielo di Castelgandolfo si fece così luminoso da
costringere ancora una volta gli astronomi ad andare altrove per le
loro osservazioni. Perciò nel 1981, per la prima volta nella sua storia,
la Specola fondò un secondo centro di ricerca, il "Vatican
Observatory Research Group" (VORG), a Tucson in Arizona. Nel
1993 la Specola, in collaborazione con l'Osservatorio Steward, ha
portato a termine la costruzione del Telescopio Vaticano a
Tecnologia Avanzata (VATT), collocandolo sul Monte Graham,
Arizona. (Cf. www.vaticanstate.va) [Nota dell’editore]
tedesco: La scienza è la stella della fede, La pietà è il nocciolo di
ogni scienza.
La scienza, è un bene per il credente, ma del pari la
fede, la grazia, sono un bene per lo scienziato.
Se dunque, esistono degli uomini che hanno perduto
la fede, non è la scienza che l’ha rapita. Nella prossima
conferenza vedremo a che cosa realmente loro devono
questa sventura.
* * *
Fratelli miei, quando il primo cavo fra l’Europa e
l’America fu inaugurato, ci si domandò quale sarebbe il
tenore del primo telegramma riallacciante i due
continenti attraverso le profondità del mare. E si venne,
dopo lungo pensare, alla bellissima decisione d’inviare le
prime parole del cantico degli Angeli nella notte di Natale
“Gloria in excelsis Deo”, ciò che significa non solo
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli” ma ancora “Gloria a
Dio fin nelle profondità degli oceani”.
Altezze e profondità, montagne e valli, raggi di sole e
uragani, vita e morte... tutto nel mondo è un cantico
divino per Colui che sa discendere con volontà senza
pregiudizi al fondo delle cose. Cerchiamo fra gli intelletti
più eminenti dell’umana scienza, leggiamo le
affermazioni degli scienziati più distinti: è molto se
riscontriamo fra loro qualche incredulo, e quante più
anime profondamente religiose! Più s’aprono prospettive
meravigliose dinanzi al telescopio, più il microscopio ci fa
scorgere le meraviglie dell’infinitamente piccolo, più si
78
eleva alta dentro di noi questa esclamazione del grande
scienziato Baer: “Mi pareva di ascoltare una predicazione
grandiosa: non sapevo io stesso perché, ma mi scoprii il
capo, e sentii che dovevo cantare un Alleluia”.
Alleluia! Lodate il Signore, fratelli miei.
79
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09/03/2011 12:59
 
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V. Le vie dell’incredulità: malintesi, vita, cuore
Il profeta Daniele descrive nel suo Libro l’orgoglio
immenso provato dal re di Babilonia un giorno in cui,
dall’alto del suo palazzo, spaziava il suo sguardo sulla sua
capitale. I grandiosi edifici, i templi, le torri, i giardini
pensili, tutta la beltà ed il fasto che la sua volontà aveva
fatto uscire dalle sabbie del deserto... alla vista di tanti
splendori, il suo cuore si gonfiò d’orgoglio, ed egli gridò
verso il cielo, pieno di fiducia in se stesso: Non è questa la
grande Babilonia che io ho costruito come reggia con la forza della
mia potenza e per la gloria della mia maestà? (Dn 4,27).
Ma subitamente una strana malattia colpì il sovrano
tanto fiero della sua potenza: egli si nascose agli uomini,
fuggendo in solitudine, e si diede a mangiare l’erba dei
campi come una bestia... La Santa Scrittura dice che il re,
altro tempo così orgoglioso, si trasformò talmente che i
capelli gli crebbero come le penne alle aquile e le unghie come agli
uccelli (Dn 4, 30). Ecco come si ridusse l’orgoglioso e
potente re di Babilonia.
Fratelli miei, forse che certi orgogliosi increduli
d’oggi non assomigliano a questo re di Babilonia? Questi
uomini che la scienza ed i magnifici progressi della stessa,
hanno abbagliato, e che rialzando la testa, proclamano: io
sono il re di Babilonia. La scienza è mia. Io, l’uomo, sono
i1 re dell’universo. Io costruisco le navi che solcano le
acque e gli aeroplani che fendono i cieli, e misuro il
cammino degli astri... Io sono la forza e non ho bisogno
né di Dio né di religione: la scienza basta.
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Nel capitolo precedente abbiamo sollevato questa
grande questione: è vero che la scienza è nemica della
fede? E abbiamo risposto: No! La mezza-scienza può
allontanare da Dio, ma la vera scienza a Lui riconduce.
Ci sono dagli uomini che, appena hanno un poco gustato
la scienza, restano subito abbagliati: ma colui che
discende nelle sue profondità, sente risuonare all’orecchio
le sublimi note di un Te Deum alla gloria del Creatore. La
nostra fede non ha nulla da temere dalla ragione che si dà
a ricerche serie. Lo conferma il gran numero di scienziati
credenti in Dio.
Vediamo purtroppo però che intorno a noi vivono
delle anime fredde che hanno naufragato. Che cosa le ha
condotte nei campi ghiacciati dell’incredulità?
Risponderò con tre parole: malintesi, vita e cuore.
A. Malintesi
a) In molti casi, quando qualcuno si dispiace di non
poter far accordare questo o quello dei nostri dogmi con
le affermazioni della scienza, ne viene fuori che il dogma
contestato era stato del tutto mal compreso.
Spesso vediamo qualcuno scuotere la testa a
proposito dell’infallibilità del Papa. “È inammissibile -
dicono - che il Papa non si possa sbagliare facendo un
calcolo, o non possa essere ingannato”. Ma quando mai si
è voluto insegnare una simile cosa?
Altri mettono in dubbio l’Immacolata Concezione di
Maria. Come la Chiesa può insegnare che la Vergine
81
Maria non ha avuto padre?”. Ma quando mai la Chiesa
ha insegnato tale cosa? Giacché noi celebriamo una festa
speciale in onore di San Gioachino e un’altra in onore di
Sant’Anna, genitori della Beata Vergine.
Altri ancora non possono tollerare questo dogma:
Fuori della Chiesa non c’è salvezza. “Come? Tutti i
buddisti, i mussulmani, i pagani, qualunque sia la loro
buona volontà, sono dannati? Che dogma crudele!”, si
esclama con indignazione. E sono d’accordo con loro. Sì,
sarebbe un dogma crudele, se la Chiesa lo avesse
insegnato. Ma quando arriverò alla spiegazione di questo
dogma, vi dirò che esso deve essere inteso ben
diversamente.
Fratelli miei, una delle meraviglie delle Cattedrali del
Medio Evo, sono le vetrate delle loro finestre. Viste da
fuori esse sembrano un miscuglio di colori a caso, e chi
solo da fuori le guarda può criticare facilmente. Ma
bisogna entrare nella Cattedrale, bisogna contemplare da
dentro ed a fondo queste vetrate e finestre, e davanti alla
loro bellezza, ci si vergogna delle critiche avventate, così
come deve aver vergogna delle sue superficiali obiezioni
chi non conosce la sua fede più a fondo, più da vicino, dal
di dentro.
b) Ci sono altri la cui fede è oscurata dalle pagine
oscure della storia della Chiesa, ed è stata scossa dalle
imperfezioni umane che appaiono qua e là nella vita della
Chiesa stessa. Quanti malintesi sarebbero dissipati se non
si dimenticasse che la Chiesa ha non solo un lato divino,
ma, altresì un lato umano: che è Dio che ha fondato la
82
Chiesa, ma ch’Egli l’ha confidata a uomini e tutti sanno
che il lavoro degli uomini non é mai un lavoro perfetto.
Quando un medico si ammala, posso dire che ho
perso la fiducia nella medicina? E se nel corso di duemila
anni la nostra Chiesa ha avuto qualche malattia, posso
dire che ho perduto la fede in Lei?
È vero che la storia della Chiesa ha delle pagine
cupe, ma che sono mai esse accanto a volumi interi di
pagine luminose? A chi parla con gioia maligna del Papa
Alessandro VI, io chiedo di mettere sull’altro piatto della
bilancia non importa quale, dei grandi Papi come Leone
I, Gregorio VII, Innocenzo III,... ed egli vedrà da quale
parte la bilancia pende. Solo può scandalizzarsi di
qualche pagina oscura della storia millenaria della
Chiesa, chi dimentica che in tutti gli altri domini
dell’esistenza, l’ideale resta ancora ben più lontano dalla
realtà e che è un compito sovrumano elevare, sia pure
d’un grado verso il bene morale, la natura umana infetta
del peccato originale.
c) E abbiamo finito con i malintesi?
No. C’è ancora un’altra sorgente, recente e
abbondante: la critica superficiale. Quando esce un
precetto, o una legge della nostra santa religione, come si
rivolta facilmente l’uomo moderno, come egli critica alla
leggera, indebolendo così la sua fede e la sua vita
religiosa! Quante volte pregiudizi e malintesi vengono a
turbare la fede della gente, la calma della loro vita
cristiana!
83
B. La vita
E arriviamo così alla seconda sorgente di pericoli che
minacciano la nostra fede. La vita attuale, la vita
moderna distruttrice dell’ideale, con le sue lotte per il
pane quotidiano, fa curvare la testa verso la terra ed
insegna la ribellione. Noi arriviamo ora ad una delle
cause principali dell’incredulità, o piuttosto della perdita
della fede: la dura lotta per la vita d’ogni giorno.
Fratelli miei, vi farò una constatazione che voi
troverete esatta: una gran parte di quelli che si dicono
increduli, non lo sono nel senso di aver rinnegato la loro
religione, ma nel senso di non aver il tempo per la
religione, cioè d’avere delle aspirazioni spirituali elevate.
La loro professione, l’officina, l’ufficio, il magazzino, la
bottega, il laboratorio, le preoccupazioni per il pane
quotidiano, hanno soffocato in essi ogni slancio, ogni
sforzo verso una vita spirituale più alta.
Nostro Signore Gesù Cristo circola oggi ancora fra
noi, ma, disgraziatamente, molti uomini non hanno il
tempo di ascoltare la Sua voce. Il Signore parla nelle
famiglie ma l’uomo si scansa: “Vi prego, lasciatemi stare,
ho già tanti pensieri”. La donna dichiara da parte sua
“Non ho tempo: ho tanto da fare”. Il Signore parla alla
folla che invade piazze e strade ed é respinto: “Non
abbiamo tempo”. Il Cristo vuol parlare nei Parlamenti,
ma i deputati gli rifiutano la parola. Ch’Egli si presenti
nei palazzi o nei tuguri, nelle sale da ballo o nei quartieri
poveri, in nessuna parte lo si ascolta, gli uni a causa del
miserabile pane quotidiano, gli altri a causa della sete di
godimenti.
84
E mentre l’anima langue più e più di fame in mezzo
alla vertigine del lavoro o del piacere, la fede sempre più
s’indebolisce. Dopo di ciò, non c'è da stupire se,
nell’uomo moderno, la fede vivente della sua infanzia
finisce facilmente con l’atrofizzarsi.
Rendetevi conto soltanto alle devastazioni che la
società attuale, dall’anima ghiaccia, infligge al giardino
fiorito di una giovane esistenza, quando essa entra nel
mondo delle persone adulte.
Qual passo vertiginoso deve fare un adolescente per
uscire dalle scuole superiori ed entrare all’Università! Gli
occhi del piccolo collegiale sono di frequente, volti verso il
cielo, quelli dell’Universitario sono scivolati verso la terra,
e più delle volte vi restano presi. Il primo sogna, il
secondo osserva. Il primo vive nell’ideale, il secondo nella
critica. Morde con tutti i denti nel frutto dell’albero della
scienza, ma in una sola direzione. Egli si specializza o
nella medicina, o nella fisica, o nella filologia, o nella
giurisprudenza, ma sul terreno religioso resta quello che
era nelle sue prime classi. E vi restasse almeno! Ma no:
egli indietreggia e comincia a deperire. Dietro i suoi
principi religiosi, e dietro le idee morali, dove, un tempo
dei seri punti esclamativi si drizzavano verso il cielo con
importante solidità, ora, sempre più spesso, degli
opportunisti punti d’interrogazione, curvano il dorso.
E, deluso nei riguardi degli uomini, delle istituzioni e
del mondo, il già candido adolescente diviene un freddo
opportunista. E nel suo intimo sorge questa domanda:
“Chi ha ragione? La fede che ho serbata fino adesso
integra, degna di rispetto, ma nei riguardi della quale,
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come vedo, gli adulti sono diventati increduli? O è mio
padre che ha ragione, lui che ancora oggi, dal mattino
alla sera, adempie il suo dovere con un lavoro ostinato? O
è mia madre che ha abbandonato le consuetudini
religiose, adesso che il mondo è mutato intorno a lei? O i
miei camerati, che non hanno preoccupazioni di
coscienza, e semplicemente si godono la vita? Ha ragione
la mia Chiesa, che osa oggi ancora predicare il vecchio
Vangelo? Hanno ragione gli idealisti che vorrebbero
annientare l’inferno? O i materialisti per i quali il mondo
intero non è che calorie, cavalli a vapore, ampere, volt,
record e istinto? Hanno base i dubbi che mi rodono? I
demoni che nel fondo del mio essere aprono le gole
affamate?”.
Ah, miei cari, fra quali turbini di tempesta é sbattuta
questa povera anima! Uno dei miei lettori mi scriveva
poco fa: “Lego i suoi libri con anima avida. Sono uno di
quelli che non dubitano delle verità della fede della nostra
santa madre, la Chiesa, uno di quelli che, esausti dalle
lotte della vita, s’affaticano a risolvere i problemi che
devono liberare la loro anima affinché l’esistenza non sia
così penosa, e che in tutte le lotte non cedono di un
palmo, in grazia alla mia fede. Sono cresciuto figlio fedele
della Chiesa Cattolica Romana, e conosco e difendo
ansiosamente nella mia anima i tesori della mia religione,
ma i combattimenti dell’età adulta non mi hanno
risparmiato, ed ho visto il sorriso di quelli che dubitano, e
ho sentito pungermi i colpi di spillo che il mondo infligge,
e la vista di cose assai superficiali nell’anima dei miei
coetanei, hanno riempito talvolta la mia anima di
tristezza e stanchezza. Ma non ho mai voluto,
scoraggiarmi, né lo voglio adesso”. Che dolore, e che
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nobile combattimento; e quanti altri giovani potrebbero
scrivere così!
Questi sono dunque il secondo nemico della fede: le
preoccupazioni e le esperienze della vita. Ma la burrasca
diventa uragano ed il pericolo diventa mortale, quando, a
lato di questi nemici della fede, dei malintesi e dei
problemi della vita, viene a prendere posto il terzo e il più
pericoloso nemico: il mondo indomito delle passioni e
degli istinti.
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09/03/2011 13:00
 
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C. Il cuore
Se in una piazzaforte ci sono dei traditori che
patteggiano con gli assedianti, la sua caduta è vicina. I
dubbi contro la fede s’impossessano facilmente della
ragione umana, perché trovano nell’anima, dei potenti
ausiliari. Essi sono le passioni umane.
Ricordatevi una scena commovente della vita di
Nostro Signore: la sua tentazione nel deserto. Il demonio
conduce Gesù su un’alta montagna e fa sfilare, dinanzi ai
suoi occhi, tutte le ricchezze e magnificenze del mondo ed
in cambio gli chiede una sola cosa: Tutte queste cose io ti darò
se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai (Mt 4,9).
E dal giorno in cui Satana volle condurre nostro
Signore al peccato, quante volte è risuonata all’orecchio
dell’uomo la stessa parola tentatrice!
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Gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria (Mt 4,8).
Guarda! Quanti piaceri, quante distrazioni! Tutte le gioie
e le delizie del mondo son tue, ed ad un solo prezzo:
allontanati da Dio, cadi ai miei piedi, dimentica la tua
religione, la tua fede. Ahimè! Qual bruciante ferita noi
tocchiamo ora nell’uomo che ha perduto la fede, non già
a causa della scienza o della ragione, ma a causa del suo
cuore e della sua vita immorale, a causa della funesta e
demoniaca menzogna: Tutti i piaceri del mondo saranno
tuoi.
Infame seduttore, perché ti soffermi e non dici oltre?
Per essere sincero, saresti obbligato ad aggiungere: tutte le
gioie del mondo saranno tue, ma anche la mortale aridità
del cuore. Tutte le voluttà della notte saranno tue, ma
anche un organismo rovinato. Tutti i giardini fioriti di
rose saranno tuoi, ma anche un sangue corrotto e viziato.
Il mondo sarà tuo, ma la tua anima piangerà nel silenzio
della notte. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il
mondo intero, ma perde o rovina sé stesso? (Lc 9,25).
Veramente noi siamo ora alla sorgente vera e
feconda dell’incredulità.
Se una passione peccaminosa oscura la vostra anima,
non vi lamentate di non scorgere Dio. Vederlo per voi,
non è possibile. Non vedete l’immagine del vostro viso in
uno specchio appannato. Se uno stagno infetto s’è
installato nel vostro cuore, non lamentatevi che la vostra
fede sia soffocata; giacché delle esalazioni mefitiche
salgono incessantemente dal vostro cuore melmoso alla
vostra ragione.
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Voi non credete: ma ditemi, com’è la vostra vita?
Giacché nessuno rinnega Dio se non ha interesse a
rinnegarlo. Nessuno rinnega i principi più difficili della
fisica, e tuttavia c’è in essa, secondo le ultime scoperte,
una folla di principi inconcepibili, incomprensibili, che
sorpassano la nostra immaginazione. Nessuno nega,
quantunque non comprenda, perché non imbarazzano
nessuno, perché toccano la ragione ma non il cuore, il
sentimento, l’esistenza.
Molti uomini accetterebbero volentieri e facilmente i
dogmi cristiani se si trattasse soltanto della notte di Natale
e di Betlemme con la sua poesia ed il suo incanto. Ma
quando sentono parlare di difficili obblighi di vita morale,
fanno come il governatore romano Felice fece chiamare
Paolo e lo ascoltava intorno alla fede in Cristo Gesù. Ma quando
egli si mise a parlare di giustizia, di continenza e del giudizio futuro,
Felice si spaventò e disse: “Per il momento puoi andare; ti farò
chiamare quando ne avrò il tempo” (At 24, 24.25). Ma non lo
richiamò più.
Osservate una ragazza di mondo: essa non si è mai
data ad un lavoro serio, il suo libro di preghiere è la
rivista mondana, la sua chiesa sono i luoghi ove ci si
diverte, non sa che flirtare, ricevere e contraccambiare
delle visite, dare degli appuntamenti frivoli. La fede può
fiorire in tali condizioni di vita? Osservate un uomo che
fa uscire il denaro dalle sue dieci dita, ma le cui mani non
sono più nette, e che ha da lungo tempo oltrepassato i
limiti della delicatezza di coscienza e dell’onestà. La fede
può accordarsi con una simile vita?
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Assai spesso fratelli miei, è il nostro cuore che uccide
in noi la fede, e non la nostra intelligenza. L’incredulo
non é malato di testa, ma di cuore. A molta gente non
potrebbe accadere ancora oggi ciò che è accaduto a
Chateaubriand, nel salone di uno dei più grandi scrittori
francesi del secolo scorso? Gli invitati erano in gran parte
scienziati ed artisti increduli: si venne a parlare di
religione, come spesso accade fra gli increduli, e si
affermò che un uomo colto non poteva essere credente.
Allora, Chateaubriand si alzò e disse: “Signori, mettetevi
una mano al petto: vi pare che non sareste forse credenti
se poteste condurre una vita casta?”.
Quanti increduli potrebbero ancora oggi fare a sé
stessi una tale domanda! E quanti, se volessero essere
sinceri, potrebbero ripetere ciò che un pagano disse ad un
missionario: “Tu ci parli continuamente di un Dio che
vede tutto, ma noi non abbiamo bisogno di un simile
Dio”. Quanti increduli non hanno la fede, perché non
hanno bisogno di un Dio che conosca i più segreti
sentimenti disordinati del loro cuore!
Così quando io ascolto le obiezioni e le critiche
d’uomini dalla fede malferma: “Senza dubbio, la
religione ci vuole, la fede ci vuole, ma il cristianesimo è
così arretrato, ritardatario, fuori delle abitudini, che le sue
leggi avrebbero bisogno di essere riformate” non posso
impedirmi di ricordare il caso di un albergatore di
villaggio a cui un giorno venne a mancare il vino. Senza
perder tempo a cambiar di vestito, salì nel suo carretto
con gli abiti di tutti i giorni, sudici, e andò dal negoziante
di vini più reputato della città vicina, per far l’acquisto di
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una nuova partita. Assaggiò questo e quel vino che gli fu
presentato, ma di nessuno si mostrò soddisfatto.
“Il vino è buono... sì, è buono... ma ha un certo
gusto. Si, un odore strano”.
Il negoziante gli offerse l’assaggio del suo vino più
squisito. Ma invano. “Senza dubbio, il vino e buono... ma
quel certo odore!”. Allora il negoziante squadrò dall’alto
in basso quel cliente che gli stava dinanzi con vesti così
sporche di grasso ed olio e gli disse: “Amico mio, per
prima cosa andate a casa vostra, cambiate le vostre vesti,
mettetene di più pulite, e poi tornate qui e mi direte se il
mio vino ha ancora qualche odore”.
A quelli che non hanno la fede io vorrei pure dire:
“Andate a casa vostra, al confessionale, deponete la vostra
veste di peccato, sudicia e macchiata, incominciate una
nuova vita pura, ed in seguito mi direte se nella dottrina
cattolica sentite ancora qualche cosa di strano, se ancora
avete dei dubbi, delle obiezioni contro la vostra fede”.
* * *
Fratelli miei, la storia ci riporta delle cronache
commoventi sulla Legione Straniera; questa truppa che
riuniva in sé, da tutte le parti del mondo, dei criminali,
dei prigionieri evasi, degli scapestrati; e tuttavia
conducevano una vita penosa e miserabile. La Legione
Straniera! Nome spaventevole, che evoca la sete delle
lunghe marce nel Sahara... gli urli delle bestie selvatiche,
la notte... la nostalgia della patria abbandonata...
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Dio, l’eternità, hanno del pari i loro fuggiaschi, i loro
traditori, e se si potessero rinvenire in folla da tute le parti
del mondo, quale enorme armata si avrebbe! La legione
straniera degli increduli! Raccoglierebbe disgraziati che
hanno fatto il naufragio nella fede e nei quali si realizzano
le parole della Sacra Scrittura: Non c'è pace per i malvagi, dice
il Signore (Is 48,22). I disgraziati che trascinano stanchi
l’esistenza nel Sahara dell’incredulità, le anime torturate
dalla sete, che mai sono lasciate in riposo dagli urli dei
loro peccati e del nostalgico ricordo della patria.
Ah, fratelli miei, voi che avete la fede, voi che non vi
arruolate nella terribile legione straniera né per malintesi,
né per la durezza della vita, né per passioni peccaminose,
io vi supplico, pregate con me alla fine di questa
istruzione, per quali la cui anima spossata si trascina nel
deserto dell’incredulità. Pregate per queste meteore
staccate dal sole, per questi fiori strappati dall’uragano.
Pregate perché non siano ancora più torturati da questa
sete inumana; perché non soffochino più in loro stessi il
desiderio della patria abbandonata. Perché non lasciano
diventare il loro cuore un blocco di ghiaccio, ma,
staccandosi dalla legione dell’incredulità, trovino al più
presto la via che riconduce alla patria... alla casa... al
regno della fede della loro infanzia dove ritroveranno la
felicità.
Cari lettori, voi che avete la fede, pregate per quelli
che l’hanno perduta!
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VI. Come fortificare la mia fede: Bisogna avere il
coraggio di credere
Per terminare le istruzioni preliminari, che ho
creduto necessario fare prima di intraprendere la
spiegazione dei dogmi della nostra fede, vorrei rispondere
ad una domanda che è potuta sorgere nell’anima di
qualcuno dei miei lettori: “Chi ha la fede é felice. Ma se
non ho la fede, che devo fare? La fede, vorrei averla. Ci
sono dei momenti, degli avvenimenti, dei giorni di festa
nella mia vita, in cui la mia incredulità mi affligge come
un dolore inesprimibile: ma che posso fare? Quando i
miei bambini pregano, con gli occhi brillanti, sotto le
piccole candele dell’albero di Natale... quando vedo degli
uomini afflitti pregare con fede commovente dinanzi ad
un’immagine della Addolorata, sento prepotente il
bisogno di avere anch’io una fede. Ma Dio non mi
concede questa fortuna”.
Dio non mi concede questa fortuna? È motivato
questo lamento? Ma niente affatto. La fede è, sì, un dono
di Dio, ma è, altresì, opera della volontà umana; ed in
quanto la fede dipende da Dio, è Dio che fa il primo
passo nella mia anima; se dunque il seme della fede
deposto in me non nasce, posso concludere che la colpa è
mia.
Volete avere la fede? Ebbene vi dirò che cosa dovete
fare per averla. Bisogna che adempiate due condizioni:
avere il coraggio di credere e prendere cura della vostra
fede.
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Se voi adempite queste due condizioni, avrete la fede.
Io devo avere il coraggio di credere dinanzi alla mia
ragione e dinanzi al mio cuore.
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A. Il coraggio dinanzi alla mia ragione
“Ah, perché non ho la fede! Come sarei felice se
l’avessi! Ma se Dio non mi ha concesso questa felicità, che
posso farci?”.
No, fratelli miei, voi vi lamentate senza motivo. Dio
offre a tutti la grazia della fede: soltanto, non tutti osano
afferrarla. La fede è un dono di Dio senza dubbio, ma
necessario cooperare al suo acquisto. Cooperare con la
mia volontà e con essa muovere la mia ragione ad
accettare le verità divine.
a) Le verità della nostra fede non possono essere
scorte dalla nostra ragione al modo di 2+2=4, quando
cioè nessun dubbio sia possibile al loro riguardo. È vero
che delle prove e degli argomenti così forti parlano in
favore della mia fede, che la sana ragione non mi
permette di metterne in dubbio la verità, ma non posso
toccare con le mie mani, non posso percepire con i miei
sensi il contenuto della fede. Se la ragione vuol resistere,
essa lo può, e dice: “Non credo”.
Ma precisamente perché la volontà ha una parte
nella fede, la mia fede è meritoria. Ditemi: dove sarebbe il
mio merito, se io vedessi Dio, la vita eterna, l’anima ecc.,
così chiaramente come 2+2=4 e dicessi in seguito: Io
credo? Qual merito c’è al credere che 2+2=4? Nessuno:
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giacché non potrebbe essere altrimenti. Ho invece del
merito a credere in Dio, alla vita eterna, all’anima? Si, ho
del merito: giacché potrei fare altrimenti. Io potrei
resistere; potrei dire: Non vedo, dunque non credo.
Ci vuole dunque del coraggio per credere, giacché la
fede non è solamente affare di ragione.
b) La fede non è solamente un prodotto della
ragione, ma altresì è più, della volontà. “Non
comprendo” direte forse voi. “Potrebbe la mia volontà
rigettare quello che la mia ragione accetta e riguarda
come vero?”.
Disgraziatamente ciò è possibile. La volontà umana
ha questo triste e misterioso privilegio di poter agire
anche contro la sua stessa ragione. Mi spingo ancor più
lontano: essa può anche indurre la ragione in errore.
Quante la nostra volontà (a volte incosciente) ha diretto la
nostra ragione in maniera tale che l’errore sia stato a
nostro vantaggio?
Ecco come i sentimenti e la volontà agiscono sulla
ragione. Ed ecco ancora un altro esempio.
Uno qualunque, pur conosciuto come scaltro e
intelligente, commette una sciocchezza. Qual è il nostro
primo commento appena lo sappiamo? “Non comprendo
come mai un uomo svelto, che sa quel che fa, ha potuto
far questo”. Ma che cosa proviamo con ciò? che
nell’uomo la volontà ha, accanto alla ragione, una parte,
una funzione di pari importanza. Cioè, la mia ragione si
sforzerebbe invano se la mia volontà la contraddicesse. È
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necessario aver del coraggio: coraggio per fare l’ultimo
passo che, dopo lo studio dei migliori libri d’apologetica
ed i più brillanti ragionamenti intellettuali, resta ancora
da fare. Invano la mia ragione mi dice che senza Dio il
mondo non si spiega ed il mistero della vita non ha
risposta alle domande più angosciose: invano la mia
ragione mi dice che senza Dio non c’è morale, né vita
veramente umana, né pace dell’anima, se essa si
irrigidisce, o non vuol credere, o non osa credere. Essa
non ha il coraggio di pronunciare le parole salvatrici:
“Dio eterno, io non Vi vedo, ma credo in Voi!”. Perché la
mia fede sia solida e senza dubbi, la volontà entra in
gioco per una parte importante, giacché, lasciata a sé
stessa, la ragione dice come l’apostolo incredulo San
Tommaso: Se non vedo... non credo (Gv 20,25).
È a questo punto che la volontà deve intervenire, e
drizzarsi risolutamente contro il dubbio.
c) I dubbi contro la fede! Tocco con il dito una piaga
bruciante. Ah, se potessi credere! ma ho tanti dubbi!
Come sono felici quelli che hanno la fede! Così si
lamentano tante persone, e non vogliono persuadersi
che del loro stato d’animo, essi stessi sono responsabili.
Colpa loro se non fanno tacere la critica, questa
vecchia chiacchierona assisa sui gradini del regno della
fede. Con la sua cattiva lingua entra in conversazione con
tutti: “Se le cose non fossero così? se questo e quello non e
vero?”, ecc. Disgraziato colui che ascolta: colui che non
passa avanti diritto con sicura risoluzione, ripetendo con
calma superiore le parole di San Paolo: Io so infatti a chi ho
creduto (2 Tim 1,12). Naturalmente io devo qui ricordare
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che i dubbi di cui qui si tratta sono quelli sollevati per
leggerezza e trattenuti per orgoglio, che si alimentano
ciecamente, e non quelli che sorgono talvolta pur nelle
anime seriamente religiose, procurando loro dei momenti
d’angoscia ben grande. Invero, è curioso constatare che
perfino i santi sono stati tormentati da dubbi contro la
fede, e che talvolta questi dubbi turbano i nostri momenti
più raccolti e migliori, le nostre preghiere, le nostre azioni
di grazia. Oggi io non parlo di questa specie di dubbi.
Questi ultimi non sono idee coscienti, dipendenti dalla
nostra volontà: essi trovano la loro spiegazione nella
debolezza del nostro sistema nervoso, nell’eccitazione o
nella stanchezza del nostro spirito, e il meglio che si possa
fare è il non preoccuparcene. Oppure, se ci accasciano
troppo, bisogna recitare con tutta calma il Simbolo degli
Apostoli. E come la neve fonde ai raggi del sole,
ugualmente spariranno i dubbi che ci tormentano.
Ma ora intendo parlare dei dubbi volontari, ricercati
e attizzati ciecamente.
E se non dovessi temere di essere eventualmente mal
compreso, presentirei uno speciale argomento per questo
genere di dubbi contro la fede. Vi prego di capirmi bene:
se devo vigilare a fortificare la mia fede con l’aiuto della
volontà, devo ben utilizzare tutti gli argomenti che mi si
presentano. E uno di questi è: Io devo essere più credente
che incredulo, perché la fede è argomento, più
ragionevole, più saggio, più utile, più vantaggioso
dell’incredulità.
Che sia più ragionevole e saggio credere che non
credere, si può dimostrare in poche parole: perché la
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grandezza e la bellezza della fede cristiana stanno a prova
di una logica superiore che sorpassa tutti gli altri sistemi
filosofici, come la sua forza vitale sorpassa, a
testimonianza di due millenni, tutte le altre concezioni del
mondo.
Sì, io voglio dire ai miei fratelli che sono alle prese
con i dubbi contro la religione: la fede è più vantaggiosa
dell’incredulità perché, più di quest’ultima, offre garanzie
e promesse. E anche se l’incredulità potesse presentare
altrettanti argomenti in suo favore, il che non è, pure in
tal caso, noi dovremmo fare questa riflessione: l’una e
l’altra possono avere ragione o torto. Mi metto dunque
dal lato dove ho più da guadagnare e meno da perdere.
È vero che questo calcolo ha un sapore commerciale
ed interessato, ma forse non mancano le anime
suscettibili d’essere impressionate da tale considerazione.
Che cosa perdo e che cosa guadagno se mi schiero
dal lato della fede? Se veramente c’è Dio ed un’eternità, e
se regolo la mia vita in conseguenza, se mi conduco
secondo la moralità e l’onestà, allora io posso
tranquillamente attendere la seconda vita. Ho tutto da
guadagnare. Me se la religione ha torto e dopo la morte
non c’è nulla che cosa ho perduto? Allora, ciò è esatto, ho
perso sulla terra molte gioie sospette, disoneste, fangose,
ma almeno ho goduto la dolcezza segreta, nascosta nel
bene, nella pratica dell’onestà, che trova già in sé stessa la
sua ricompensa.
E vediamo ora ciò che perdo e ciò che guadagno se
io mi schiero dal lato dell’incredulità e se passo la mia
98
esistenza terrestre come se non ci fossero né Dio né vita
eterna, né anima immortale. Se la ragione è dalla parte
dell’incredulità, allora quaggiù io mi sono concesso
qualche godimento, qualche istante di piacere, seguito
però dall’oscurità, dal nulla. Sarebbe il caso migliore.
Ma che cosa arriverebbe se l’incredulità non avesse
ragione? Se, realmente, c’è un Dio, contro la volontà del
quale io ho passato tutta la mia vita? Se c’è realmente
una vita eterna, della quale io non mi sono mai
preoccupato e per la quale io non ho mai mosso un dito?
Da quale parte ci schiereremo noi? Se mi schiero
dalla parte della fede, ed ha ragione, il mio guadagno è
infinito: se ho torto, la mia perdita e minima. Se mi
schiero dalla parte dell’incredulità e che essa abbia
ragione, il mio guadagno e minimo, ma se ha torto, la
mia perdita è infinita.
Dove c’è il maggior rischio? Dalla parte della fede o
in quella dell’incredulità?
Voi dite che io mi sbaglio, e che la mia fede è senza
fondamento. Pure allora devo riconoscere che non ho
subito alcun danno. Essa non ha arrestato una sola nobile
ambizione, né paralizzato una sola forza e valore in me.
E, se voglio essere sincero, dirò ch’essa ha favorito
grandemente in me lo sviluppo morale, ha sostenuto
vigorosamente le mie debolezze. La mia fede in Dio è
stata per me un’amica devota, una vera guida ed il
migliore dei consiglieri che mi ha accompagnato durante
tutta la mia esistenza.
99
B. Il coraggio di fronte al mio cuore
Se occorre coraggio per piegare la mia ragione, ne
occorre ancora più per vincere i1 cuore. La nostra
ragione s’inchinerebbe dinanzi alla fede, se la fede non
esigesse del pari la sommissione del cuore e di tutta la
nostra vita morale.
a) La fede interviene potentemente nella vita morale,
ed in essa incontra degli ostacoli certamente più penosi di
quelli che le attraversano il passo nel dominio della
ragione. Come l’uomo crede con gioia ciò che ama e
desidera, e come gli è difficile credere a ciò che contrasta i
suoi sentimenti! Dio ha unito la luce e le tenebre, nel
mondo, ad un tal punto che la luce, cioè la verità, sarà
una via vittoriosa verso una meta felice per chi la vuole:
ma colui che non la vuole può incessantemente ricorrere
all’oscurità e scusare con essa le sue passioni
peccaminose.
Un esempio classico su questo punto ce lo fornisce
San Paolo e il governatore romano Felice. L’ho già
ricordato nel mio ultimo discorso: ma è così istruttivo che
vale la pena di rileggerlo. San Paolo predica dinanzi a
Felice, sulla fede in nostro Signore Gesù Cristo, ed il
governatore lo ascolta con animo attento. Ma, essendo
Paolo venuto a parlare di giustizia, di purezza e del
giudizio finale, Felice spaventato gli dice: “Per il momento
puoi andare; ti farò chiamare quando ne avrò il tempo” (At 24,25).
Il quale mai in seguito si presentò. Invece, finché bastava
credere con la ragione, tutto procedeva benissimo: ma
dall’istante in cui la fede doveva intervenire nella vita,
100
nella sua vita, allora le cose si guastavano, egli non poteva
più credere. Perché aveva dei “dubbi d’intelligenza”, delle
“difficoltà filosofiche”? Manco per sogno: egli aveva tre
mogli, l’ultima delle quali, Drusilla, l’aveva sedotta e
rapita al marito e, secondo Tacito, si credeva permessa
qualunque scelleratezza. Ecco perché non poteva credere.
Ed è così che noi possiamo spiegare, per esempio, un fatto
a prima vista inesplicabile: quello di fratelli e sorelle
educati alla stessa maniera, vissuti nello stesso ambiente, e
tuttavia diventati totalmente opposti di credenze; gli uni
accettando, gli altri respingendo la fede, per capire il fatto
bisogna entrare nell’intimo della loro diversa vita morale.
Al momento della morte del Salvatore il sole si
oscurò, tremò la terra, le tombe si aprirono ed il
centurione pagano si convertì ai piedi della Croce (Cf. Mt
27,54), ma i farisei induriti non mutarono anima. Perché?
Perché non ebbero il coraggio di forzare il loro cuore e la
loro vita a credere.
b) Dunque: che cosa dobbiamo noi fare per avere la
fede? Ciò che Gesù Cristo ha insegnato: Chiunque infatti fa
il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le
sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia
chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv 3, 20-21).
Le parole di Nostro Signore sono formali; credere in
Dio non significa avere incessantemente il nome suo sulle
labbra, ma portare Dio in sé stesso. Dio offre la fede a
ciascun uomo: ed uno l’accetta, l’altro no. Avrà la fede
chi, secondo le parole di Nostro Signore, è pronto a fare
la volontà di Dio (Cf. Gv 7, I7).
101
Voi non avete la fede? Vorreste averla, ma non sapete
come fare? Guardate in voi, riconoscete che non siete
l’uomo che dovreste essere: non così buono, non così
giusto; voi non avete le mani e l’anima pure, non siete
fedele al dovere, né indulgente, né onesto. Quindi non vi
resta che piangere sulla vostra vita. Mettetevi a piangere
ed alle prime vostre lacrime troverete subito Dio; giacché
si può trovar Dio con la ragione, ma si trova del pari con
il cuore. E si dice che chi trova Dio e lo porta in sé, quegli
ha la fede. Se uno mi ama, osserverà la mia parola (Gv
14,23) ha detto chiaramente Nostro Signore.
Rousseau stesso ha scritto molto giustamente
“Serbate la vostra anima nello stato nel quale voi
desiderereste che essa fosse, se Dio c’è, e non dubiterete
mai della verità”.
E le parole della Santa Scrittura non dicono
diversamente sugli increduli: essi sono dunque inescusabili,
perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno
reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e
si è ottenebrata la loro mente ottusa (Rm 1, 21). Essi sono stati
increduli nella loro ragione, perché non hanno voluto
divenire credenti nella loro vita.
Vale per la vita ciò che un filosofo francese (Claudio
Piat) ha detto del popolo: “il popolo cessa di credere in
Dio quando comincia a perdere lilla moralità”. San Paolo
ugualmente proclama che la fede e la morale sono
inseparabili. Egli esorta a Timoteo a combattere la buona
battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l'hanno
ripudiata hanno fatto naufragio nella fede (1 Tim, 1,19).
102
Chi vuol credere deve, prima di tutto, voler essere
buono. Avete osservato, fratelli miei, l’espressione che io
ho usato? “deve, prima di tutto, volere esser buono?” Non
oso dunque dire: solo può credere chi è già buono, già
senza peccato. Chi potrebbe, invero, dir ciò di sé stesso?
Ma che per lo meno la nostra volontà sia diretta verso il
bene, che la legge morale stia dinanzi ai nostri occhi sul
mare delle tentazioni, perché possiamo guardarla come il
marinaio guarda la bussola quando la tempesta infuria. E
se tuttavia soccombiamo, ci resti almeno la seria volontà
di risollevarci e tornare verso Dio.
Giacché chi ha abbastanza coraggio per forzare la
sua ragione a credere, vorrà ancor più tenacemente
forzare il suo cuore e costringerlo in una via conforme
alla fede: e non perderà il prezioso tesoro neppure in
mezzo ai flutti minacciosi della vita.
* * *
Fratelli miei, tempo fa un gran transatlantico lasciava
un giorno altezzosamente il porto, e iniziava il suo viaggio
sui mari. Tutto era in ordine sul ponte: le macchine
funzionavano benissimo, la bussola indicava esattamente
la direzione; tuttavia andava fuori strada. Il capitano,
accortosi, fece fermare la nave. Si calcolò, si ispezionò, si
discusse, si esaminò la bussola, inutilmente. Tutto
appariva in ordine perfetto, e tuttavia il continente cui si
voleva approdare era in tutta altra direzione. Presto si
scoprì la causa della deviazione. Nella stiva della nave si
trovò una gran quantità di ferro, la cui massa aveva
completamente deviato la bussola. Si gettò il ferro in
mare e subito l’ago tornò verso il nord: il naviglio riprese
103
la sua strada con sicurezza. Per fortuna, non era ancora
troppo tardi...
Io vorrei dire, ai miei fratelli che lottano senza
bussola sul mare tempestoso dei dubbi contro la fede:
“Per voi ugualmente non é troppo tardi, per gettare via il
carico che pesa sulla vostra anima e vi allontana da Dio”.
Qual carico? Quello delle comodità del corpo, la cieca
potenza degli istinti non domati, le resistenze della
ragione, i sofismi del cuore, tutto ciò insomma che di falso
e d’impuro vi trascina all’incredulità.
Dio fa verso ciascun uomo il primo passo, ma
dipende da me camminare verso di Lui con il passo
fermo della fede. Dio dà alla mia anima il primo impulso,
ma dipende da me il seguirlo e rafforzarlo con la mia
buona volontà. Dio pronuncia il primo invito, ma
dipende da me rispondere all’appello.
Non dite “Ah, se potessi credere!”. Dite: “lo credo,
Signore, credo”. E se la mia ragione volesse soltanto
vedere, ma non credere, possano allora risuonare alle mie
orecchie le vostre sante parole Perché mi hai veduto, hai
creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! (Gv 20,
29).
Io credo, Signore, io credo! E se il mio cuore non
volesse credere, possano, o Dio, risuonare alle mie
orecchie le vostre sante parole: Non chiunque mi dice: Signore,
Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del
Padre mio che è nei cieli (Mt 7, 21). Signore, io voglio credere.
“Credo, aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,24).
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09/03/2011 13:02
 
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VII. Come fortificare la mia fede: Bisogna avere
cura di essa
In questi ultimi giorni ho fatto una curiosa scoperta,
in sé insignificante: ma credo tuttavia che possa servire
molto bene come introduzione alla mia predica d’oggi.
Ho incontrato per la strada uno dei miei antichi
condiscepoli di scuola, dopo tanti anni che non
c’eravamo più visti. Naturalmente abbiamo esumato dei
vecchi ricordi, lontani e quasi obliati. Fra l’altro mi
ricordai che nei primi giorni di scuola superiore spiegavo
ai miei compagni i problemi di matematica e di fisica,
scienze per le quali allora avevo assai simpatia. Rientrai
quindi a casa e, non so come, mi domandai con curiosità:
“Che cosa ricordo ancora di queste due scienze?”. E lo
confesso a mia vergogna, feci una scoperta incredibile. Mi
provai in un piccolo problema di trigonometria. “Che
cos’è il coseno?”. Non sapevo più, e tuttavia ricordai che
all’esame io avevo risposto brillantemente su questo
argomento. Tanto peggio! Proviamo i logaritmi. Nulla.
Tentativo infruttuoso. È inaudito! È vero che non apro
una tavola di logaritmi da ventiquattro anni, ma com’è
possibile che io non ricordi più nulla?
E se qualche ingegnere tra i miei uditori si
scandalizzasse della mia ignoranza di cose così
elementari, io gli chiederei: “E voi potreste ancora leggere
il greco, se per ventiquattro anni non aveste più vista una
lettera dell’alfabeto greco?”.
105
Sia quel che volete, non facciamoci rimproveri a
vicenda, ma deduciamo da questo fatto la lezione che
servirà di argomento alla mia predica d’oggi. Ciò che non
si tiene in esercizio si dimentica, sia che si tratti di calcolo
logaritmico, di lingua greca, o di postulati della nostra
fede.
Chi vuole avere la fede deve coltivarla, svilupparla e
deve vegliare sopra di essa. Non deve obliarla, né lasciarla
pericolare.
Il tema d’oggi è dunque il seguito logico di quello
trattato l’ultima volta. Avevo raccolto il lamento di molti
fra gli uomini, quando sentono parlare dei benefici che la
fede apporta: “Felici quelli che hanno la fede! Ma a che
cosa mi serve il saperlo, se Dio non mi ha accordato tale
felicità? Se non mi ha dato la grazia della fede?”.
Questo lamento non è legittimo fratelli miei. Ho
detto che Dio parla a tutti gli uomini con la sua grazia,
che li invita a credere, ma dipende da noi avere il
coraggio di rispondere alla chiamata. Se voi volete avere
la fede, abbiate il coraggio di credere, costringete la vostra
ragione ed il vostro cuore a credere.
Ma ho anche detto che il coraggio non basta per
avere la fede. Per mantenere vivo questo tesoro bisogna
averne cura, bisogna non obliarla.
A) Perché bisogna aver cura della propria fede?, B)
Come bisogna aver cura della propria fede?
106
A. Perché bisogna aver cura della fede?
1) Quando si leggono le Epistole di San Paolo, non si
fa a meno di constatare che l’Apostolo avverte
incessantemente i primi cristiani di coltivare la fede, di
prenderne cura.
Per esempio, egli scrive a Timoteo: Combatti la buona
battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei
stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede
davanti a molti testimoni (1 Tim 6, 12). E scrive agli Efesini:
Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere
tutte le frecce infuocate del Maligno (Ef 6, 16). E scrive ai
Corinzi: Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile,
siate forti (1 Cor 16,13). È un continuo battere e ribattere:
Vigilate sulla vostra fede, conservatela intatta!
E perché l’Apostolo sentiva il bisogno di insistere su
questo comando? Perché i primi cristiani vivevano in un
mondo corrotto fino alle radici, incredulo e immorale, ed
erano incessantemente esposti alle tentazioni del loro
ambiente, al contagio di un mondo frivolo. Ma oggi
anche noi ci troviamo in un mondo simile all’antico. Se
San Paolo rivivesse fra noi, scriverebbe in termini ancor
più forti: “Fratelli, che avete ricevuto con il battesimo il
primo seme della fede di Cristo: fratelli, le cui anime,
grazie all’educazione familiare e all’insegnamento
religioso, hanno visto nascere dal primo seme un arbusto
pieno di speranze, fratelli che avete dovuto affrontare le
lotte della vita, vegliate sul fragile germoglio che cresce
nella vostra anima, la fede cristiana!” Vivete per forza, in
un mondo ostile; le preoccupazioni della vostra
107
professione ed il lavoro quotidiano vi trascinano in
un’atmosfera priva del minimo germe vitale di pensiero
ultraterreno. Fratelli, non c’è da stupire se le cognizioni
religiose apprese da voi nei primi anni, si disseccano di
più in più nelle vostre anime, nel turbine delle
preoccupazioni per l’esistenza che vi assediano da ogni
parte. Non c’è da stupire che voi cominciate a obliare la
vostra fede, che non abbiate il tempo di approfondirla e
praticarla, e perfino che, avendola interamente perduta,
siate diventati degli increduli. Si può dimenticare la
trigonometria, si può dimenticare l’alfabeto greco, si può
dimenticare del pari la propria fede.
Si può perfino dimenticar la lingua materna. Ho
incontrato in Olanda dei fanciulli ungheresi che dopo
qualche anno appena di lontananza in famiglie olandesi,
non sapevano più una parola di ungherese. E quando
tornarono in patria, le loro madri non potevano più
comunicare con loro. Ora conoscete voi la lingua
materna della nostra anima? È la fede. Essa, del pari si
può dimenticare completamente. E tanto più presto,
quanto più presto si è cessato di praticarla. Qualunque sia
la virtuosità con la quale si è suonato il pianoforte
nell’infanzia, se si rimane degli anni senza più toccare i
tasti, si disimpara di suonare. Per numerosi che siano stati
i nostri esercizi di ginnastica durante il tempo delle
scuole, è certo che, se non ci si esercita più, dopo qualche
anno non si potrà più fare un esercizio alla sbarra fissa,
anche se un tempo si sapeva fare con tutta facilita.
2) E continuo. Affermo che non soltanto non si ha il
diritto di dimenticare le cognizioni religiose, ma al
108
contrario si dovrà approfondire sempre più, e svilupparle
in misura dei bisogni spirituali di un adulto.
Perché insisto specialmente su questo punto? A causa
di ciò che molti uomini hanno perduto la fede, perché,
pur arrivati all’età adulta, hanno ancora, sulle cose della
fede, le idee ingenue della loro infanzia. Ma ciò che
bastava al modo di pensare di un fanciullo, non è più
ammissibile per un adulto. Talvolta l’adulto si domanda
come idee così infantili siano potute venirgli in mente.
Può darsi che non sia un gesto di incredulità, ma una
protesta della ragione più sviluppata contro le concezioni
troppo infantili e ingenue della fede. Ciò che conveniva al
fanciullo non conviene più all’uomo. Il fanciullo si forma
un’immagine di Dio secondo le sue strette idee sul mondo
e le sue concezioni limitate.
Ma tale immagine non conviene più per un adulto: e
se egli cessa di coltivare la fede, e non vigila, leggendo
opere religiose e ascoltando buone predicazioni, a
sviluppare di più l’immagine di Dio che vive in lui, certo
che farà faci lmente nauf ragio f ra gl i scogl i
dell’incredulità. Ma la colpa é sua, e non della fede.
Ecco il compito importante che ci incombe: non
soffermarci alla fede della nostra infanzia, ma progredire:
coltivarla e vegliare su di essa.
Ecco ora l’altra questione importante:
109
B. Come dobbiamo prendere cura della nostra fede?
La risposta a questa domanda è semplicissima
Bisogna coltivare la fede come tutte le altre cose in questo
mondo: con la pratica. Colui che vuol diventare un buon
violinista, suona ogni giorno per delle ore di seguito.
Colui che vuol vincere un concorso, vi si prepara con
alacrità. E colui che vuol avere una fede viva e robusta,
deve ugualmente praticarla ogni giorno, con fedeltà e
costanza.
Per coltivare la nostra fede occorrono quindi due
cose: 1) professarla esteriormente; 2) praticare i doveri
della religione.
1) Professare esteriormente la fede.
a) La fede interiore e quella professata esteriormente
rispondono pienamente alla natura dell’uomo, composto
di interno e di esterno, di anima e di corpo.
Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la
bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza, scriveva
San Paolo (Rom 10, 10) cioè l’interno e l’esterno riunito
procurano all’uomo la salvezza.
La professione esteriore della nostra fede ci è, del
pari, necessaria, perché essa la fortifica. Colui che
afferma incessantemente che basta essere religioso
interiormente, proverà ciò che avviene a chi conosce una
lingua straniera, ma non la parla mai: dopo qualche anno
la dimentica.
110
b) La fede è certamente una cosa del tutto personale
e individuale, un gioiello sacro conservato nel fondo della
mia anima: e la più bella professione di fede è una vita
terrestre passata conformemente alle prescrizioni della
religione. Ma ci sono dei momenti, delle situazioni, in cui
io devo professare esternamente la mia fede.
Tutta la famiglia parte per un’escursione il mattino di
una domenica, ma non per questo io lascio la Messa.
Viaggiando in ferrovia, o trovandomi in un salotto sento
parlare di religione, e contro i pregiudizi dei più io oso
prendere la parola in difesa delle mie convinzioni. Sono
alla Messa... suona il campanello dell’elevazione... i miei
compagni si contentano di inchinarsi... ma io ho il
coraggio di inginocchiarmi dinanzi a nostro Signore, che
scende sull’altare. Sono una povera ragazza... ed ecco che
mi si presenta un ricco pretendente, un partito brillante.
Ma c’è un ostacolo: io non potrei sposarmi secondo le
leggi della mia religione, ed ho il coraggio di dire no, e
rinunciare, confidando che Dio penserà in altro modo per
il mio avvenire. All’officina, i miei compagni di lavoro mi
fanno incessantemente guerra a causa della mia religione;
ed io ho il coraggio di continuare a frequentare la Chiesa
e non arrossire della mia fede. C’è qualcuno che si
vergogna dei suoi genitori: ma è più triste ancora
vergognarsi della propria fede. Costoro certo non hanno
mai inteso queste parole di Nostro Signore: Chi mi
rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al
Padre mio che è nei cieli (Mt 10, 33).
c) Non si può dissimulare la nostra edificazione
quando si vedono dei cattolici, passando dinanzi alla
chiesa, farsi il segno della croce. Il segno della croce!
111
Sapete che il segno della croce è l’indice più distintivo
della nostra fede? Colui che lo fa su se stesso proclama
apertamente agli occhi di tutti: Io sono un discepolo di
Cristo morto sulla croce. Io vorrei vedere tutti fare
piamente, degnamente, come si deve, il segno della croce,
che é una professione cosciente della nostra fede.
Invero, se noi riportiamo i nostri sguardi sul
cristianesimo primitivo, vediamo che fu, fin dall’ora,
segno glorioso della fede. I martiri andavano alla morte,
invocando il nome di Dio, e segnandosi in fronte del
segno della croce. E non si può immaginare un segno più
semplice, più chiaro, più significativo della nostra fede.
Proclama i due dogmi fondamentali: l’unità e trinità di
Dio e la divinità di nostro Signore Gesù Cristo.
Sentite ciò che uno scrittore ecclesiastico del secondo
secolo, Tertulliano, scriveva sul segno della croce presso i
primitivi cristiani: “Quando noi cominciamo o
terminiamo il nostro lavoro, quando entriamo in casa e
quando ne usciamo, quando ci vestiamo o calziamo i
sandali, quando ci mettiamo a tavola, o accendiamo la
lampada, quando andiamo a dormire, quando ci
sediamo, quando facciamo non importa che cosa, noi
facciamo sulla nostra fronte il segno della croce”13. Ecco
ciò che si scriveva nel II° secolo; e sentite ora queste
parole radiose di fierezza di San Giovanni Crisostomo:
“Noi portiamo come una corona la croce del Cristo
perché è per mezzo suo che noi abbiamo ricevuto tutto
ciò che occorre alla nostra salvezza: quando noi
rinasciamo (battesimo) c’è la croce: quando ci nutriamo
112
13 TERTULLIANO, De Corona, 3
con le sante specie (Eucaristia), quando riceviamo
l’estrema unzione, dovunque sempre si drizza al nostro
lato questo segno di vittoria: così noi erigiamo con tanto
fervore la croce nelle nostre abitazioni, sui muri, alle
finestre, sulla nostra fronte, e soprattutto nel nostro
cuore”14. Ecco ciò che si scriveva nel IV° secolo.
Ed inoltre, fratelli miei, con il segno della croce non
solo noi confessiamo la nostra fede, ma fortifichiamo,
altresì la nostra anima nella sofferenza. Tante disgrazie ci
accasciano, ma non sono mai così pesanti come lo fu la
croce di Cristo. Gli uomini sono spesso cattivi e nemici,
ma noi non soffriremo mai a causa loro, quanto ha
sofferto il Salvatore, che era stato divinamente buono con
tutti e fu ripagato con tanta crudele incomprensione e
cattiveria.
Noi non ci vergogneremo della croce! Al contrario
dobbiamo farne la nostra gloria. Quanto a me invece non ci
sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per
mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il
mondo (Gal 6, 14). La croce ha guadagnato il mondo alla
civiltà, ha bandito gli orrori del paganesimo, ha brillato
sulla corona dei re, e si leverà un giorno sulla mia
tomba.... Possa questa croce essere il pegno della mia
eterna felicità.
Confessiamo coraggiosamente la nostra fede, e così
l’avremo già fortificata e coltivata.
2) Pratichiamo la nostra religione.
113
14 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia 54 in Matt, 4.
Non vi spaventate se vi parlo di regolarità nella vostra
vita religiosa. So che non si possono rinchiudere in uno
schema né classificare in rubriche, né sottomettere a
misura le relazioni ferventi fra l’anima e Dio, che si
chiamano religione. La religione deve penetrare tutte le
manifestazioni della nostra vita. Questa è la verità. Ci
sono tuttavia certe regole delle quali non si può fare a
meno, altrimenti la nostra anima ne soffrirebbe. Quelli
che volessero liberarsene, anche animati dalla miglior
buona volontà, avrebbero una religione senza sistema,
disordinata, capricciosa: un giorno essa si slancia verso il
cielo come la fiamma di una candela, un’altra volta
tentenna senza forza, come un lucignolo vicino a
spegnersi in una lampada. Occorrono delle regole che
non dipendano dai nostri capricci, ne buoni ne cattivi: ci
vuole un certo ordine nella vita religiosa.
Quale ordine? Esercizi abituali della vita cristiana,
che tutto il mondo conosce, ma il cui valore non è visto
da tutti. Tale è per esempio la preghiera del mattino e
della sera, fatta regolarmente ogni giorno. Non si
dovrebbe mai ne cominciare ne finire una delle nostre
giornate senza preghiera. Che poi questa preghiera è
fatta secondo una formula consacrata e imparata a
memoria, oppure sia letta in un libro di pietà, o ancora
sia una fervente elevazione della nostra anima verso Dio,
o eventualmente un’aspirazione muta verso il cielo, ciò
spetta a ciascuno di noi regolare secondo la propria
disposizione e natura.
I giorni della settimana santificati dalla preghiera
sono seguiti dalla domenica santificata dalla santa Messa.
Mi basta evocare l’azione potente esercitata sulla
114
conoscenza approfondita della nostra fede, dalla pia e
devota assistenza alla santa Messa ogni Domenica. E voi
potrete guardare tranquillamente, sul vostro letto di
morte nostro Signore Gesù Cristo, se potrete dirgli:
“Signore, vi ho visitato ogni Domenica nella vostra chiesa
ed ho preso parte al mistero del vostro Sangue,
permettetemi di partecipare altresì alle gioie dell’eterna
festa del cielo”.
Ecco ancora un altro obbligo: ricevere il Corpo Sacro
di Cristo, al fine di accrescere la vita della vostra anima;
bisogna riavere in noi il corpo di Cristo, per avere la forza
di sostenere le lotte dell’esistenza, per poter riempire di
valori divini ed imperituri questa vita terrestre polverosa,
scabrosa ed effimera. Quanto spesso dovete voi ricevere il
Corpo di Cristo? Qui ancora non c’è nulla di prescritto:
al minimo, una volta l’anno nel tempo Pasquale. Ma chi
si contenterebbe di tanto poco?
Ed ancora un altro punto: l’osservanza dei giorni
d’astinenza prescritti dalla religione. Non come se la
carne non fosse il venerdì, buona come gli altri giorni, ma
per provare di tempo in tempo se posso restare fedele a
Dio al prezzo di una rinuncia e di un sacrificio.
Al tempo della campagna di Napoleone in Russia, un
mujik non volle schierarsi a lato dell’imperatore dei
Francesi, poiché egli apparteneva allo zar. I soldati lo
bollarono con una grande N. sul braccio. Ed allora egli si
tagliò il braccio e rimase dello zar. Fare dei sacrifici per
rimanere fedele a Dio, ecco il più bel fiore della vera pietà
ed il più potente mezzo di fortificare e coltivare la propria
fede.
115
Fratelli miei, non filosofate tanto, non “staccatevi”
dalla fede e vivete la fede.
C’è della gente che non osa immergersi nell’acqua
senza molta esitazione: bagnano la punta del piede e poi
la ritirano, provano, di nuovo e rabbrividiscono di freddo.
Ma quando finalmente sono tutti immersi, gridano:
“Quest’acqua non è così fredda come io credevo!”.
Anche voi, non esitate, non perdete il vostro tempo a
ragionare sulla fede. Provatevi a saltarvi dentro: praticate
e vivete la fede, e poi mi direte se l’acqua è ancor fredda.
Cercate di vivere esattamente secondo le prescrizioni
della vostra fede e vedrete che nel vostro intimo si
ripeterà la sublime professione di fede che, un grande
ungherese, il conte Stefano Széchenyi, pronunciò con
commovente franchezza così:
“La mia fede è ferma, sono cattolico leale: vado di
frequente a Maria-Zell. A Roma ho baciato con fervore la
mano del Papa, e seguo, con tutta la mia anima, le
prescrizioni della mia religione: ciò, perché sono cattolico,
non per caso, ma per una grazia particolare di Dio, e di
tal grazia voglio mostrarmi degno. Non mi rodo l’anima
per ciò che non posso comprendere. Accetto con rispetto
tutto ciò che mi è insegnato, e rispetto quelli che si
occupano delle nostre anime e lavorano per la nostra
salvezza. Tutte le domeniche e giorni di festa ascolto la
santa Messa, osservo i digiuni prescritti, mi confesso
regolarmente, ricevo la santa Comunione e faccio con
cuore contrito le mie devozioni. Stimo tutto degno di
rispetto nella religione, perché essa ha sempre per base
fondamentale l’amore di tutti gli uomini, e io so che è
116
soltanto per mezzo della preghiera, della meditazione,
della lotta contro la sensualità, della penitenza e una
pratica perseverante, che si può divenir capaci di amare
veramente... Cerco il valore della mia religione nella
rinuncia, nel sacrifico e nell’indulgenza”.
Sublime traccia per quelli che non vogliono credere!
* * *
Fratelli miei, ecco dunque la mia ultima domanda:
Volete conservare la fede? Vegliate su di essa, coltivatela,
praticatela. Allargate, nella vostra anima l’orizzonte
tracciato dalla fede e vivetela nella speranza della vita
eterna.
Vivete nella speranza, nella prospettiva della vita
eterna; ciò vuol dire di osservare incessantemente le
parole di nostro Signore: Siate pronti, con le vesti strette ai
fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro
padrone..., in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli...
(Lc 12, 35-37).
Fate in modo che il Signore, qualunque sia l’ora in
cui arrivi, vi trovi pronti. È ben possibile che molte cose
nelle mie incombenze terrestri non siano ultimate, è
possibile che i miei figli e la mia moglie abbiano ancora
bisogno di me, ma la mia anima è pura e pronta.
Io credo. Non ho alcun disgusto per il mondo e non
lo detesto: amo anzi la vita, la famiglia, la patria e le cose
117
belle, ma non getto per tutto ciò e non dimentico le
bellezze imperiture della eterna Patria, della vita eterna.
Io credo. Il cielo sopra il mio capo è senza dubbio
greve di oscure nuvole, ma la fede in Dio mi fa scorgere le
cime delle montagne dorate dal sole, al di sopra delle valli
ottenebrate. Gli abitanti delle alte montagne godono
giornate più lunghe di quelli che abitano le valli, e più a
lungo ricevono i raggi vivificanti del sole. E perché la mia
vita in questa triste valle terrena riceva del pari i raggi del
sole, io mi afferro alla fede: forzo la mia ragione ed il mio
cuore ad inchinarsi dinanzi a Dio, e coltivo in me le
energie luminose e vivificatrici della fede, con una pratica
regolare e fervente della mia religione.
Curvo la testa e la mia ragione dichiara: Io credo.
Batto alla porta del mio cuore e la vita mi risponde: lo
credo, Signore, io credo.
118
VIII. Che pensate voi di Dio?
Esiste nella lingua umana una parola che eleva
l’uomo ad altezze vertiginose, al di sopra di tutte le
creature del mondo, una parola brevissima che prova più
vittoriosamente di qualunque altra cosa l’origine e il
destino sublime dell’uomo: una parola che risuona più
spesso di qualunque altra su questa terra, ovunque una
creatura umana viva. Dal nord al sud, dall’est all’ovest,
dal levar del sole al tramonto: Dio. Tre lettere sacre. Tre
lettere che risuonano incessantemente in cielo e in terra.
Gli angeli salutano con inni d’amore infiammato “Santo,
Santo, Santo é il Signore, il Dio degli eserciti!” ed esce
ugualmente dall’anima degli uomini che pregano in
ginocchio: Io credo in Dio.
Dio! I bimbi che balbettano ed i vegliardi incurvati
pronunciano questo nome sacro. Gli uomini che pregano,
e quelli che bestemmiano, i credenti e gli atei,
pronunciano questo santo nome: Dio. I filologi pongono
questa parola fra le prime e le più antiche di ogni lingua...
questo nome passa fra noi come un vivificante raggio di
sole.
Dopo i discorsi d’introduzione al Simbolo, noi
arriviamo oggi a questa parola, che ci pone dinanzi alla
maestà divina. Con il cuore inondato di gratitudine,
umiliamoci un momento. Supplico Iddio che la mia
povera voce glorifichi degnamente il Suo Santo nome, e
voi, miei fratelli, domandateGli che la sua viva immagine
si incida più, e più maestosamente nelle nostre anime.
119
A. Perché bisogna parlar molto di Dio?
Non sarà forse noioso, penseranno alcuni, trattare a
lungo questo tema? È esso di tanta importanza?
Ebbene: ascoltate dunque, perché bisogna, e perché
voglio parlare tanto di Dio.
1) In primo luogo, perché in tutto il mondo non si
saprebbe trovare un soggetto di predicazione più
interessante e più sublime. Non conviene forse parlare e
istruirsi lungamente sull’argomento del più perfetto, del
più santo, del più saggio e del migliore dei Padri? Non
conviene parlarne ed istruirci al riguardo, precisamente in
questo tempo nel quale noi sappiamo, discutiamo e
ricerchiamo tante cose concernenti il mondo che Egli ha
creato? E se non si rimpiangono né le fatiche, né i lunghi
lavori di ricerche, probabilmente di anni e anni per tutta
la durata di una vita umana, per venire a conoscere le
leggi che reggono il mondo creato, la sua costituzione e
organizzazione; si avrà il diritto di trovare eccessivo il
tempo che vogliamo impiegare a conoscere il Creatore di
questo universo, il Dio infinito? Dio è l’ideale più sublime,
la Grandezza infinita, il Giudice Supremo, il Fine ultimo,
la perfetta Saggezza. Bisogna dunque parlare lungamente
di Lui.
2) Ancora, noi dobbiamo sapere molte cose su Dio,
per un’altra ragione. Invero è proprio sulle idee che io ho
di Dio, che si regola tutta la mia esistenza terrestre e si
determina la sorte della mia vita eterna.
120
Colui che ha freddo, vada al sole e avrà caldo. Colui
che espone costantemente la sua anima ai caldi raggi
dell’amor divino, colui che attira Dio a se con un amore
profondo e commovente, colui che realmente si afferra a
Dio e Gli resta fedele in mezzo alle più tremende
tempeste della terra, colui che, né le tentazioni né il
dolore allontaneranno dalle Sue braccia, avrà la vita
rallegrata di sole e sarà felice: si avanzerà cantando anche
se la sua strada è seminata di spine e di aguzze pietre.
Dite: avremmo noi ragione di rimpiangere il tempo
occupato così?
3) Ma c’è ancora un’altra cosa. Bisogna parlare di
Dio, perché molto si parla contro di Lui e poco in Suo
favore.
Parlano contro di Lui le tendenze filosofiche più
conosciute come il materialismo, il monismo, il
panteismo; le grandi organizzazioni sociali: socialismo e
massoneria. In Russia i senza Dio hanno le loro
associazioni speciali e i loro giornali. È contro di Lui che
sono lanciate le grandi parole mascheranti le idee frivole.
È quindi necessario farsi queste due domande di
un’importanza decisiva: C’è un Dio? e come è Dio?
Prima di tutto noi domanderemo ciò che ne dice il
mondo. C’è un Dio? Vedremo ciò che dice l’umanità. C’è
un Dio? Ascolteremo ciò che dice la nostra anima. C’è un
Dio? Sentiremo ciò che dice la vita umana. C’è un Dio?
Esamineremo ciò che ci dice la fede.
121
Finalmente grideremo, con anima gioiosa; Si può
ben proclamare da tutte le parti che Dio è morto, ma noi,
noi grideremo al cospetto del mondo: Dio vive ancora.
Egli è eterno!
Chi mai avrebbe il diritto di dolersi del tempo
impiegato ad imprimere nella nostra anima in modo
indistruttibile una verità fondamentale, sicura e
d’importanza capitale?
Gli uomini hanno su Dio le idee più diverse. Ed io
vorrei, in questa serie d’istruzioni trovare accesso presso
ciascuno di loro, ed avvicinarli Lui.
Io credo in Dio. Ma voi, fratelli miei, ditemi ciò che
ne pensate. Avete di Lui un’idea esatta? O avete bisogno
di mutare le vostre idee inesatte?
B. Che cosa pensate voi di Dio?
Passiamo dunque in rivista diversi tipi d’uomo,
classificati secondo le loro idee.
1) Prima di tutto metto le anime ribelli: quelli che negano
l’esistenza di Dio.
Ci fu un tempo in cui era, dirò così, di buon gusto,
non credere. Parlare con leggerezza delle cose della fede
era un passare per intelligenti e colti. Esistono al giorno
d’oggi ancora di questi fossili? Disgraziatamente, si.
Senza dubbio non sono molto numerosi quelli che
122
vogliono difendere il loro ateismo invocando “ragioni
scientifiche”, ma molti ce ne sono che negano
semplicemente, con la loro condotta, l’esistenza di Dio,
senza apportare argomenti. O è il chiasso assordante
della scienza umana o è l’asprezza della lotta per
l’esistenza che spingono questi e quelli nel deserto
agghiacciato dell’ateismo: ma soprattutto sono le loro
troppo numerose cadute morali.
Come dobbiamo compiangere i disgraziati che
reputano la scienza e le macchine sufficienti alla vita
umana!
La scienza può veramente bastare all’uomo?
La scienza non ha ancora asciugato una sola lacrima
strappata dal dolore agli occhi dell’uomo. La scienza è la
fiaccola che illumina le profondità dell’essere, ma non è
capace di rischiarare come il sole! La scienza, le
macchine, possono veramente bastare all’uomo?
La macchina è un grande aiuto per l’uomo, ma nello
stesso tempo un gran pericolo. Uomini molto seri hanno
sollevato questa questione: Lo sviluppo tecnico moderno
è un flagello o un beneficio? La macchina, dovrebbe
essere la schiava dell’uomo, invece, molto spesso, regna su
di noi. “Non riesco a liberarmi dalle forze che ho
chiamate”.
Consideriamo l’abitante della grande città, la cui
esistenza è all’altezza dello sviluppo tecnico. L’orologio
alla mano, egli conta nervosamente i minuti per non
perdere il treno, o l’ultimo tram, per non arrivare in
123
ritardo al teatro, alla Borsa, all’ufficio. Egli è impaziente e
distratto e ciò non favorisce un lavoro serio, né la
riflessione. Lo sviluppo della macchina ha abituato
l’uomo alla precipitazione e alla fretta. Ma “la fretta è
venuta dal demonio”, dice un proverbio orientale.
Sempre del nuovo, e sempre più presto! Da questo la
super produzione affrettata in tutti i campi, perfino
nell’arte. Dove trovarlo, oggi, un pittore come Raffaello?
uno scultore come Michelangelo? Non si ha più il tempo
di concepire un solo progetto di larga portata.
Povera umanità, se lascia che i valori più nobili
dell’anima siano scacciati via dai valori terrestri! Se
davanti al progresso materiale, davanti alla scienza ed alla
macchina, non accetta più la formula socratica “Possiedo
le cose e le domino e non sono esse che dominano me!”
Effettivamente, a che cosa serve possedere la terra intera,
se la nostra anima languente, affamata e atrofizzata,
crolla in mezzo a questa gran ricchezza? Se si realizzano
in noi le parole del profeta Isaia: La sua terra è piena
d'argento e d'oro, senza limite sono i suoi tesori... L'uomo sarà
piegato, il mortale sarà abbassato (Is 2, 7-9). A che serve tutto
ciò, se alla fine della vita dobbiamo prendere congedo
dalla terra e terminare come Colbert, il grande ministro
delle finanze di Luigi XIV, che disse morendo: “Ah, Sire,
se io avessi fatto per Dio tutto ciò che ho fatto per voi!”.
Poveri uomini, che negate l’esistenza di Dio!
Tuttavia la più gran parte di chi nega Dio, non si
recluta fra gli uomini di cui sto parlando. Si recluta fra chi
ha naufragato non per sottigliezze e ragioni, ma a seguito
di passioni non domate ed una vita peccaminosa. Ha
ragione la Santa Scrittura: Lo stolto pensa: "Dio non c’è". Sono
124
corrotti, fanno cose abominevoli (Sal 14, 1). Dice nel suo cuore
“Il malato è il cuore”. Non ci sono che due specie
d’uomini che possono essere increduli: quelli che sono
troppo pigri per riflettere, e quelli che sono troppo deboli
per fare il bene. I primi negano l’esistenza di Dio, perché
non possono toccarlo con le loro mani: i secondi perché
niente venga ad opporsi alla loro frivola esistenza. La
maggior parte degli uomini diventa incredula per
sbarazzarsi di Dio. Poveri disgraziati che avete rinnegato
Dio!
Ecco il primo tipo d’increduli. Che cosa pensano gli
uomini di Dio?
2) Spesso si sente dire: “Noi viviamo in un mondo
così corrotto, così lontano da Dio!”. Ma ci sono
veramente molti atei fra gli uomini d’oggi? Se
consideriamo le arti e la letteratura, la stampa ed il
commercio, tutto l’insieme della civiltà moderna, davvero
si sarebbe inclinati a fare tale triste considerazione. Ma la
realtà é diversa. La gran parte dell’umanità si schiera al
lato di Dio. Cerca Dio, ma Lo cerca male.
Ecco un nuovo tipo d’uomini: Coloro che cercano
Dio goffamente. Ci sono uomini che vorrebbero credere
in Dio: “ma”, dicono, “non abbiamo una prova della sua
esistenza sufficientemente valida”. Sono quelli che non
vogliono vedere che la fede utilizza prove diverse da
quelle da laboratorio: sono quelli che vogliono le prove
matematiche, là dove è assurdo esigerne. Sentono pure
che deve esistere un Essere supremo e perfetto, ma non
vogliono ammettere Dio, come li ammette la religione;
vogliono crearsi un Dio a modo loro. Dicono che Dio è il
125
mondo, la natura, l’insieme delle forze dell’universo; ma
con il loro imbrogliato concetto di Dio, la terminologia
incomprensibile, il brancolamento nelle tenebre, non
fanno che esprimere il desiderio naturale che sorge dalle
profondità dell’anima umana: Io credo in Dio, bisogna
che ci sia un Dio!
Non ho ricordato l’esistenza di questo gruppo che
per essere completo, e non già perché vi si trovino dei
rappresentanti fra i miei cari lettori.
3) Ma ecco ancora un altro gruppo, al quale,
disgraziatamente, appartengono molti cristiani: quelli che
credono in Dio, ma lo disconoscono, lo ripudiano. Si,
credono in Dio, ma nulla nella loro vita dimostra questa
fede. Se non credessero in Dio, la loro condotta sarebbe la
stessa: altrettanto libera e disordinata. Fratelli miei, ciò
confina con l’ateismo. Si può negare Dio non solo con la
parola, ma con la pratica della vita.
Chi crede in Dio deve rispecchiare la sua fede in tutti
i suoi atti. Non basta gettare un’occhiata in una Chiesa la
notte di Natale o la sera del Venerdì Santo. Ripudia Dio
chi si accontenta di questo.
Disconoscono Dio anche coloro che, nel loro culto
della divinità, cercano la propria consolazione, non
l’omaggio al Creatore: sono quelli che non pregano,
perché “ciò non dice loro niente”, non vanno a Messa la
domenica perché “non si la sentono”, e la religione è per
loro più una sensibilità estetica che un maggio
riconoscente della loro religione e del loro cuore alla
Maestà divina.
126
Disconoscono ugualmente Dio coloro che hanno per
Lui idee meschine di timore e d’angoscia, e mai possono
allietarsi in Lui, le anime timorose senza motivo che
guardano a Dio come ad un agente di polizia all’angolo
della strada, che nota compiacendosene, tutti i loro sbagli;
chi conosce solo il Giudice vendicatore e non l’Amico che
ci aiuta e vuole il nostro amore. Tutti costoro
disconoscono Dio. Ed è perché non accada di pensare
così male anche a noi, che voglio parlare di Lui molto
lungamente.
4) Ancora un altro tipo: coloro che si sono ingannati
sul conto di Dio, sono ramasti delusi e perciò lo hanno
abbandonato. Chi sono questi tristi naufraghi? L’uno è
stato terribilmente colpito dalla sorte. Nel volgere di un
anno ha perduto la sposa e l’unico figlio ed ora dice le
parole tristissime: “Se Dio ci fosse non avrebbe permesso
questo...”. Un altro è stato ridotto all’indigenza da rovesci
finanziari. Un tempo egli godeva di tutto il benessere:
adesso vive di prestiti, e tuttavia vede dei profittatori
condurre una vita dispendiosa ed allegra. “Se Dio ci
fosse, non permetterebbe questo”. Un terzo dice di non
aver mai fatto del male durante la sua vita: onesto, ha
servito Dio fedelmente... e tuttavia le disgrazie si
abbattono sopra di lui, colpo su colpo. Un quarto dice:
“Ho pregato tanto... e non ho mai ottenuto quel che
domandavo. Ora... non voglio più saperne di Dio”.
Lamenti che si sentono risuonare continuamente.
5) Ci sono infine quelli che hanno di Dio una
conoscenza esatta e gli rendono culto conveniente; che si
attaccano a Lui con tutta l’anima, che vogliono
conoscerlo, amarlo e adempiere la Sua volontà. A questi
127
ugualmente, sarà utile sentirmi parlare lungamente di
Dio, e vedermi dipingere la Sua immagine sempre più
bella nelle loro anime: in pratica far crescere Dio in loro.
Dio deve ingrandirsi nelle nostre anime? Come può
accader ciò? Può, e deve accadere. Da giovani abbiamo
sentito parlare di Dio che tutto ha creato, che di tutto si
occupa, che castiga e premia. L’immagine di Dio era in
noi come quella di un vecchio venerando, dal viso
benevolo e la barba d’argento. Dolci e miti giorni
dell’infanzia! Poi quando abbiamo incominciato ad
andare a scuola ed al catechismo, l’immagine di Dio si è
ingrandita in noi. Dio non è più per noi solo un vecchio
ed un Giudice severo, ma anche un Padre che ci dà forza
e ci aiuta, che sta vicino a noi ed in noi con la grazia ed i
sacramenti, che, se cadiamo in colpa, ci perdona e ci fa
rialzare; che se la nostra anima ha sete, la disseta. Come
Dio, è ingrandito nella nostra anima il giorno della prima
Confessione e della prima Comunione!
Ma già nel corso di questi anni, altre immagini
hanno cominciato ad occupare la nostra mente accanto a
quella del vero Dio. Immagini d’idoli che sono diventati
sempre più forti, hanno voluto, come l’erba cattiva,
soffocare l’immagine santa.
Poi noi abbiamo lasciato la scuola ed il catechismo, e
ciò che avevamo appreso di Dio, ci accade di
dimenticarlo, l’immagine del vero Dio si è sempre più
oscurata, mentre le immagini degli idoli si facevano più
vive ed esigenti: idoli degli istinti sensuali, del denaro,
della potenza, del capriccio, dell’infedeltà al dovere. In
128
quanti adulti queste cattive erbe hanno soffocato
l’immagine del vero Dio!
Bisogna dunque che Dio cresca in noi. Questa
immagine di Dio deve essere terminata alla nostra morte:
noi dobbiamo dunque sempre meglio conoscer Dio,
attaccarci a Lui più ardentemente, aderire sempre di più
a Lui. Invero, guardate gli uomini che trascurano di fare
questo. Vedete ciò che Egli é diventato oggi per molti.
Tre lettere, una parola fredda. Si crede che Dio c’è, si
confessa che Egli possiede tutti gli attributi in grado
infinito, ed è tutto. Ma come siamo incapaci a
rappresentarci, quando pronunciamo la parola Dio, il
creatore onnipotente del mondo nel quale viviamo, ci
muoviamo ed esistiamo, e senza il consenso del quale non
un solo capello della nostra testa cade; come siamo
incapaci di rappresentarci Colui che conserva l’universo,
ma che nello stesso tempo é il Padre che ci ama!
Che cosa è il Cristo per molti di noi? Non dico per
gli increduli: dico per noi. Un personaggio storico che è
vissuto duemila anni fa e ci ha detto di averci riscattati,
Uno il cui insegnamento è predicato nelle nostre Chiese...
ed è tutto. Ci fu un tempo, in qualche luogo, un Cristo.
Tuttavia il Cristo è ancor oggi il Dio vivente, nostro
Redentore, ogni parola del quale, altra volta pronunciata,
vibra ancora in centinaia di milioni d’anime: è Colui di
cui io sento l’impronta quando opero il bene, e il dolce e
luminoso sguardo quando trionfo sulla tentazione, ma di
cui sento lo sguardo afflitto quando cado nel peccato.
129
Ecco ciò che dovrebbe essere. Ma in realtà è così?
Noi sentiamo questo, ogni volta che passiamo davanti ad
una chiesa? Ogni volta che facciamo una genuflessione?
Quando la tentazione ci assedia? Quando i mali della vita
ci opprimono?
Io credo in Dio. Ma dietro queste parole c’è un riso,
ogni volta che le pronunciamo? un senso serio e
rispettoso? Ah, quante volte ascoltando il nome di Dio
sulla bocca di un cristiano, se si domandasse: “a chi
pensi?”, la risposta dovrebbe essere: “a nulla!”.
Pronunciare il nome divino e non pensare a nulla, quale
deplorevole leggerezza! E perché così non sia, consacrerò
i prossimi capitoli a queste due questioni fondamentali:
C’è un Dio? E che cos’è Dio?
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09/03/2011 13:03
 
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* * *
Fratelli miei, ho sollevato questa questione: che
pensate voi di Dio? Avete su di Lui delle idee esatte?
Ha delle idee esatte su Dio chi avanza fermamente
sulla strada dei suoi comandamenti. Il decalogo comincia
così: “Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio
all’infuori di me”. Non crediate che questo avvertimento
fosse diretto esclusivamente al popolo ebreo, che solo il
popolo eletto Egli volesse allontanare dagl’idoli e dagli dei
stranieri.
Applichiamo questo comando a noi stessi. Come
l’uomo moderno è esposto ai pericoli degli dei stranieri!
130
Prima di tutto si vuole adorare, accanto al Dio vero, il
denaro, la sensualità, la gloria, l’orgoglio. A poco a poco
questi idoli guadagnano terreno, per soppiantare alla fine
il culto del vero Dio.
Vi ho già detto chi ha di Lui un’idea esatta. Chi
crede in Lui, non crede che in Lui, non prega che Lui,
non adora che Lui. Adora Colui per il quale tutto è stato
fatto, e tutto sussiste. È Lui che io metto al centro della
mia anima e di tutta la mia vita. Gli rendo omaggio non
solo dinanzi all’altare del Santo Sacrificio, ma altresì con
il sacrificio di tutti i miei desideri disordinati, di tutte le
mie passioni peccaminose. E più vedo che la vita di molti
uomini moderni non è che un’immensa idolatria, più
irresistibilmente arde in me la volontà d’essere, almeno da
parte mia, un figlio obbediente del solo vero Dio. Credo
in un solo Dio e voglio essere un figlio fedele del Padre
mio che è nei cieli.
131
IX. C’è un Dio? La risposta del mondo
Il Simbolo degli Apostoli comincia con queste parole:
“Io credo in Dio”, e non c’è parola umana, frase umana,
per esprimere una verità più importante e decisiva.
Credo in Dio. Credo che al di sopra di questo mondo
esiste un Essere infinito da cui tutte le cose provengono, e
al quale tutto ritorna.
Ma credo e basta? E la ragione non mi dice nulla di
Lui? Non posso, con la mia ragione accostarmi a Lui? È
sufficiente credere che c’è un Dio, oppure posso
dimostrare con la mia ragione che Egli esiste?
Io sono cattolico di nascita, ma non mi contento di
questa fede posta come un dono sulla mia culla, dopo la
mia nascita. È vero che non potevo ricevere dono più
bello, più nobile e più atto a fare la mia felicità e sono
riconoscente ai miei genitori. Come un raggio di sole
questa fede ha illuminato tutta la mia infanzia. Ma ora...
ora che posso riflettere con la mia ragione, devo guardare
in faccia la grande domanda: La mia fede è vera? Da
anni il mio cuore fa questa preghiera: Io credo in Dio...
ma ora la mia ragione dice altresì la sua parola, e grida
contemplando il mondo: “Mio Dio, esistete Voi
veramente?” Interrogo le comete, le stelle brillanti, le
spighe che ondeggiano sotto il vento, gli uccelli che
cantano, tutto l’immenso universo.
C’è un Dio? Grido attraverso il mondo e attendo la
risposta...
132
C’è veramente un Dio? Io pronuncerò questa grave
questione e attenderò la risposta dell’eco: vale a dire la
risposta dell’universo, del macrocosmo, del microcosmo, e
poi la risposta dell’uomo. Prima di disporci a cercare
nell’universo le tracce di Dio però, bisogna esaminare
rapidamente una questione preliminare: questa intrapresa
non è per caso ardita?
È pur vero che alcuni uomini sono dell’avviso di
lasciare i dogmi religiosi totalmente alla fede ed eliminare
la ragione da questo campo. “Credo quello che la mia
fede afferma, ma non riesco a sapere con la mia ragione
se le cose sono veramente come la stessa dice”,
sostengono alcuni. Questo ragionamento non mi piace.
Credo in Dio, ma non voglio credere ciecamente, perché
sono un uomo ragionevole, non voglio, nella mia fede,
rinunciare all’uso della ragione. E perché la fede in Dio è
la base di tutta la mia vita religiosa, io voglio studiare a
fondo la questione: Credo in Dio, ma su cosa si basa la
mia fede? Credo perché i miei genitori me lo hanno
insegnato? Anche per questo: ma per questo solo, non
sarebbe degno di me il credere. Credo perché la mia
ragione afferma, ed il mio cuore esige che Dio sia; Credo
perché l’umanità intera proclama unanimemente:
“Bisogna che ci sia un Dio”. Ecco dunque la mia
massima: non solo la fede ma altresì la ragione.
È vero, io non vedo Dio, non lo posso toccare. Non
posso quindi dire: “So che c’è Dio”. Che cos’è che io so?
So che 2 + 2 =4, lo so e non perché lo credo. So che una
mela intera e più grossa della sua metà, lo so e non
perché lo credo. Riguardo a Dio, non c’è dimostrazione
matematica. Ma c’è certezza morale: c’è la conclusione. È
133
avvenuto un assassinio... arriva un poliziotto... nessuno ha
visto l’assassino... ma ci sono delle tracce: impronte
digitali. Basandosi su queste si trova il colpevole. Non vi
scandalizzate di questo bizzarro paragone: Dio non è
visibile, ma ha lasciato delle impronte digitali. Mettiamoci
dunque ora alla ricerca dell’autore di tutto: alla scoperta
del Creatore del mondo.
Riassumo in due frasi le mie idee d’oggi: l’una è una
constatazione, l’altra una domanda. Come il mondo è
immensamente grande! Chi ne è il Creatore?
A. Com’ è grande il mondo!
Non c'è uomo, salvo un cuore annoiato e un cervello
vuoto, la cui anima non è assalita da una profonda
emozione ed invasa dal senso del mistero, quando, in
qualche bella notte estiva, contempla il cielo stellato.
Cos’è questo senso del mistero? Alla vista del cielo
stellato, oggi ancora più che mai, l’uomo sente ciò che il
grande filosofo greco Aristotele sentiva. Aristotele scrisse:
“Come colui che dalla vetta del monte Ida, avendo visto
l’armata dei Greci avanzare con in testa i cavalieri sui
loro cavalli, i carri di guerra e poi i fanti è costretto a
pensare che necessariamente qualcuno doveva esserci per
dirigere quella massa guerriera e comandare la marcia
delle truppe; come il marinaio alla vista di una nave dalle
vele tese al vento favorevole pensa che certamente c’è un
pilota a bordo che la dirige al porto, così coloro che per
primi hanno alzato lo sguardo al cielo ed hanno visto il
sole seguire la sua corsa dall’oriente all’occidente e tutta
la flotta ben ordinata delle stelle, hanno cercato il
134
padrone creatore di quest’ordine ammirabile. Sono stati
obbligati a pensare che non potesse trattarsi di un caso,
ma che il tutto provenisse da un Essere potente ed
Eterno”15.
Tuttavia Aristotele non aveva telescopio e non
guardava il cielo che ad occhio nudo. Cosa avrebbe detto
se avesse avuto uno dei moderni telescopi, ed avesse
saputo, come noi, quanto è grande il mondo?
a) Come sono grandi gli astri! Urano è 14 volte più
grande della Terra, Nettuno 17 volte, Saturno 93 e Giove
1279 volte. E questo è nulla in confronto al sole che è un
milione e trecento mila volte più grande della Terra, cioè
la conterrebbe in sé altrettante volte; senza dubbi, ora si
gioca con i milioni. Ma sapete quale altezza darebbe, per
esempio, un milione di carte da gioco messe l’una su
l’altra? più di un chilometro. Provate dunque e
rappresentatevi un milione di globi terrestri. Se terra e
luna si mettessero nel sole, lasciando la luna alla stessa
distanza dalla terra com’è attualmente, entrambe ci si
muoverebbero, e ci starebbero a loro agio. Ma Sirio è 12
volte più grande del sole. E vi son corpi celesti ancor più
grandi di Sirio... Gira la testa dinanzi a tali cifre.
b) Misuriamo ora le loro distanze. Una machina
viaggiando a cento chilometri l’ora, impiegherebbe, senza
soste, 170 anni per arrivare dalla terra al sole. È così
difficile misurare in chilometri le distanze che
intercorrono fra gli astri che, per non essere costretti a
contare con cifre gigantesche, si conta per anni luce. Ora
135
15 ARISTOTELE, Sext. Empir. Dogm. III, 2
la luce percorre 300.000 km il secondo. Un anno luce è
dunque il cammino che essa percorre in un anno. Con
una macchina a 60 km l’ora, ci vorrebbe un mese a fare il
giro dell’equatore. E la luce fa lo stesso tragitto otto volte
in un secondo. In un anno la luce proveniente dal sole fa
63.000 volte il tragitto: un anno luce è dunque 63 volte la
distanza dal sole alla terra. Avete mai visto come la luce
di certe stelle tremola come se avessero freddo? sono le
così dette fisse. A quale distanza inimmaginabile deve
trovarsi da noi la più vicina di queste stelle fisse! La stella
Alfa del Centauro la cui luce ci arriva alla fine di 4 anni e 4
mesi, vale a dire la stella fissa più vicina a noi si trova
260.000 volte più lontana da noi che il sole. Sirio è
lontana da noi otto anni e mezzo di luce... distanza
fantastica. E tuttavia come splende ai nostri occhi! Che
gigantesca stella deve essere! Vega è a 36 anni luce, la
stella polare a 4o anni e 6 mesi. Sapete tutto ciò cosa
significa? Vuol dire che se la luce della stella polare
dovesse di colpo estinguersi, noi vedremmo ancora
brillare questa stella per 40 anni al suo stesso posto.
Perseo è a 170 anni luce da noi, e cosa c’è dietro ancora?
È l’estremo confine del mondo? Niente affatto. Con un
potente telescopio si scoprono sempre nuove stelle, ma
esse non brillano che nello strumento. E più in là... ecco
la via lattea... Milioni di stelle che turbinano in una
striscia bianca... E dove si trova? A 22.000 anni luce da
noi.
E non siamo mai a capo del mondo. Aldilà della via
lattea con strumenti ultrasensibili, si scoprono ancora
nuove costellazioni, delle nuvole di stelle... a distanze
inimmaginabili nuovi mondi sono in formazione. E
possiamo andare sempre più lontano... fin dove? Chi può
136
dirlo? Seliger, con un potente telescopio, aveva misurato
la distanza di stelle ancora percepibili a 86.000 anni luce.
E dietro queste stelle ci sono ancora nuove nebulose. La
luce, che percorre 300.000 km in un secondo e fa in un
secondo quasi otto volte il giro della terra, impiega
milioni d’anni per arrivare da là fino a noi... Gli
astronomi parlano di corpi celesti che si trovano nelle
costellazioni di Andromeda e del Cane, che sono alla
distanza di sei milioni e mezzo di anni luce da noi. Se ciò
è vero, allora ci sono stelle la cui luce non è ancora
arrivata fino a noi dalla creazione del mondo.
E così di seguito... Che c’è, più in là, più in là,
sempre più in là? Nessuno lo sa, salvo uno Solo. L’uomo
sente che la sua anima è abbagliata dall’idea dell’infinita e
divina Maestà. Fratelli miei, che cosa può essere questo
Dio, di cui un solo pensiero ha creato questo mondo
fulgido di stelle, stabilendo le sue leggi e un’armonia
inaccessibile all’immaginazione umana? Chi può essere
Colui che ha posto le rotaie invisibili sulle quali corrono le
stelle, ed ha consolidato l’asse dell’Universo? Colui al
quale dà gloria il cielo tutto intero?
Ora sentiamo la verità di queste parole di Pasteur che
diceva alla sua ammissione all’Accademia francese: “Che
c’è dietro il cielo stellato? Un nuovo cielo. Bene. E dietro
ad esso? Una forza irresistibile impone allo spirito umano
questa questione, e chiede incessantemente: Che c’è
dietro? E non serve a nulla rispondere: Dietro c’è lo
spazio ed il tempo infinito, perché queste parole non
spiegano niente... Quando tale idea afferra l’uomo, non
gli resta che cadere in ginocchio”.
137
B. Chi ha creato il mondo?
Ma ecco la domanda: Abbiamo noi diritto di
concludere che questo mondo gigantesco esige
necessariamente un Creatore?
1) Quando si conosce l’ordine ammirabile che regna
nell’ingranaggio dell’universo, non si può arrivare ad
altra conclusione.
a) C’è dell’ordine nel mondo. Gli antichi già
chiamavano il mondo “Cosmo”, armonia, ordine,
bellezza, e tuttavia sapevano così poco sulle leggi
stupefacenti che lo governano; cosa deve pensare l’uomo
moderno, quando con il telescopio s’immerge e sprofonda
nell’esame dei milioni d’astri, che obbediscono a leggi
minuziose? Come non ripetere le parole che la Sacra
Scrittura applica alla saggezza divina: La sapienza si estende
vigorosa da un'estremità all'altra e governa a meraviglia l'universo.
(Sap 8, 1).
Il mondo è un “cosmo”. Che significa questa parola?
Beltà e ordine. E qual’è il suo contrario? “Caos”,
confusone, disordine. L’universo non è un caos, ma un
kosmos, un reame organizzato sulle strade del quale c’è
una circolazione straordinaria. Ogni viaggiatore è un
mondo a parte; immensi corpi celesti circolano con una
rapidità severamente regolata, descrivendo un’orbita
determinata in una direzione anch’essa, pure
determinata. Dov’è l’attore invisibile, che mantiene
quest’ordine da migliaia d’anni, in modo così preciso che,
138
decine d’anni prima, ti può dire di tutti gli astri a quale
minuto e in quale punto dello spazio si troveranno?
È appurato che in questo turbine di corpi celesti
regni un ordine stupefacente; è ciò che un avvenimento
straordinario ha dimostrato nel 1864. Da molto tempo gli
astronomi notavano una qualche irregolarità nel
cammino del pianeta Urano, e non potevano spiegarla, in
questo gran regno meraviglioso d’ordine senza eccezioni.
Finalmente uno di loro ebbe il dubbio “se per caso non ci
fosse stato dietro Urano un altro pianeta, causa di queste
agitazioni incomprensibili”. L’astronomo francese
Leverrier si abbandonò a questo compito difficile di
calcolare minuziosamente il punto dove avrebbe dovuto
trovarsi questo astro invisibile, basandosi sullo studio delle
forze che turbavano la corsa d’Urano. Il 23 settembre
1864, egli indicava all’Osservatorio di Berlino, dove
bisognava, secondo i suoi calcoli, cercare il perturbatore
circolante nelle tenebre. La sera dello stesso giorno,
l’astronomo berlinese Galle, scopriva esattamente al posto
indicatogli, il nuovo pianeta che ricevette il nome di
Nettuno. Il mondo scientifico celebrò il trionfo
dell’intelligenza umana, ed a noi viene spontanea
l’ammirazione per l’Ordinatore invisibile dei giganteschi
corpi celesti che circolano, con una rapidità vertiginosa,
nello spazio.
b) E noi dobbiamo aggiungere che l’universo non è
inattivo, ma che in lui regnano un’agitazione e un
movimento straordinari. Il mondo intero che ci circonda
non è altro che movimento: gli astri sono in moto nel
cielo, la vita e in moto sulla terra, dovunque é un fiorire
incessante d’energie. Il suono, la luce, il calore, il
139
magnetismo, l’elettricità, la radioattività... tutto é
movimento, laboratorio di forze gigantesche: l’energia
prodotta dal calore produce, a sua volta, movimento, il
movimento produce l’elettricità, l’elettricità produce luce
e calore. Tutto si muove e precipita in una corsa continua.
2) Ed ora domando: Chi ha dato lo stimolo, l’impulso
a questo movimento? Qual’è il motore primo? Chi ha
chiamato il mondo all’esistenza?
Questa domanda, ognuno se la pone inevitabilmente.
C’è senza dubbio chi si accontenta di guardare il cielo,
troppo pigri per prendersi la briga di riflettere. Ci sono
altri che, alla scottante domanda rispondono
sbrigativamente: “Il mondo viene da sé stesso. Tutto
accade secondo leggi determinate”. Benissimo. Ma chi ha
stabilito queste leggi?
a) Il mondo s'è creato da solo. In altri termini: è
l’opera del caso.
Credere che il mondo si è fatto da solo mette la
ragione umana ad una prova più grande di quella che
ammette un Dio creatore. Osservate un orologio e
provate a pensare che s'è fatto da sé. Qualcuno chiedeva
un giorno al gran filosofo spagnolo Balmes, se si poteva
dimostrare l’esistenza di Dio. Il filosofo rispose in due
parole: “Io porto in tasca la prova dell’esistenza di Dio”, e
vi estrasse il suo orologio.
Il mondo è opera del caso? Mescolate dunque a caso
del rosso, del bianco, del verde, del giallo, dell’azzurro,
del nero, ne uscirà mai una tela del Murillo?
140
Il mondo è opera del caso? Mescolate in una
tipografia le lettere dell’alfabeto e gettatele a terra, ne
uscirà una sola frase ragionevole?
La scienza umana penetra sempre più
profondamente nello studio dell’essenza della materia,
della costituzione del mondo. Materia primitiva... gas...
nebulosa... elettroni, ed altre spiegazioni. Ma chi è
l’Essere onnipotente e superiore che li ha chiamati
all’esistenza?
Per ammettere che Dio abbia creato il mondo, c’è
bisogno, incontestabilmente, della fede: ma per
ammettere che questo mondo così mirabilmente ordinato
si è fatto da solo, ci occorre una fede mille volte più
grande. Mostratemi un’auto, un aeroplano, una lampada
elettrica, una macchina fotografica che si siano fatti da
soli. Ora non c’è automobile che valga una cascata
d’acqua, non c’è aeroplano che valga un piccione
viaggiatore, non c’è lampada elettrica che valga una
lucciola, non c’è macchina fotografica che valga l’occhio
umano.
A conferma prendete in mano un grano di frumento
e ammiratelo. È un po’ d’albumina, nient’altro. Ma
seminatelo: ecco che comincia a germogliare. Tesse un
tale tessuto che non si può immaginare di produrne uno
uguale. Cresce. Lo stelo verso l’alto, la radice verso il
basso. Come fa questa piccola presa di farina a sapere che
lo stelo deve impregnarsi di luce, e la radice degli umori
della terra? E che per fare in modo che lo stelo sia forte,
esso dovrà formare dei nodi a tratti uguali? E le radici
come sanno la loro funzione? Questo piccolo grano di
141
frumento non ha cervello che pensa, né volontà, né
mano: ma come lavora superbamente!
Il mondo intero è d’altro canto una vita misteriosa;
miliardi di piante, animali e uomini. E da dove viene
questa vita sulla terra, quando sicuramente ci fu un
tempo in cui la vita non c’era e non avrebbe potuto
esserci? Fratelli miei, ditelo pure che la logica più rigorosa
parla a favore della seguente affermazione: Come il ferro
non si riunisce e si combina da se per fare una magnifica
Rolls Royce, o il più semplice orologio da tasca, ma ha
bisogno della cooperazione dell’intelligenza umana, così
la materia senza vita non potrebbe diventare un essere
vivente, se un’Intelligenza superiore non le avesse infuso
la vita.
b) Si, questa è la sola risposta plausibile alla
questione: Bisogna che ci sia qualcuno che abbia
chiamato il mondo alla vita.
E colui che lo nega, e nega l’esistenza di Dio, è in
contraddizione con le leggi della logica, radicate nel
profondo dello spirito umana. “Tutto ha una causa”.
Questa è una legge di valore generale. E dunque, quando
cerco la causa del mondo, ho il diritto di rispondere che
s'è fatto da se stesso? che è un effetto senza causa? Da
dove vengono questi milioni di mondi? da dove viene la
vita? da dove viene la meravigliosa cultura dello spirito
umano? dal caso? “È il risultato di un’evoluzione
naturale” si afferma. Ma questo è uno schivare la
questione, non risolverla. La domanda resta: chi è Colui
che dà l’impulso a questa evoluzione capace di simili
meraviglie?
142
Un aeroplano passa superbamente sopra di me. Con
qual minuzia è disposto ogni bullone, ogni vite, ogni
ingranaggio! Solo per tali condizioni di precisione si può
manovrare con sicurezza. Guardandolo noi pensiamo al
suo costruttore, che ha fissato con la massima esattezza
l’ubicazione di ciascuna vite e ciascun pezzo; al suo
inventore, che ha trascorso giorni e notti a concretizzare
le sue idee geniali e realizzare il suo ardito progetto.
Pensate al genio umano che ha concepito e costruito
l’apparecchio, e lo guida; ma pensate più (e con maggior
rispetto) Dio infinito che ha concepito e creato l’immensa
macchina dell’universo e la governa. Con lampante
chiarezza San Paolo ha detto su Dio: “Le sue perfezioni
invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate
e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui
compiute” (Romani 1, 20). Così come il salmista aveva
ragione di cantare:
I cieli narrano la gloria di Dio, l'opera delle sue mani annuncia il
firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla
notte ne trasmette notizia.(Salmo 18, 2-3)
* * *
Fratelli miei, ci siamo chiesti: “C’è Dio?”. La
creazione: “C’è. Bisogna che ci sia”. E quando alla vista
di questo mondo grandioso, io esclamo: “Credo in Dio”,
cioè “bisogna che ci sia un Dio”, allora io non sono un
poeta, ma un filosofo. È vero, io non vedo Dio: ma non
vedo ugualmente una sola delle leggi della natura, e
tuttavia ammetto semplicemente la loro esistenza.
143
Chi ha mai visto la legge di gravitazione? Eppure noi
supponiamo e crediamo che esiste: non potremo spiegare
altrimenti perché la pietra cade verso il suolo.
Analogamente io domando: Avete mai visto Dio? No. Ma
credo che Egli esiste, altrimenti non potrei spiegare
l’esistenza di questo magnifico universo.
I Magi dicevano del bambino Gesù: “Abbiamo visto
spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” (Mt 2, 2) Noi
diciamo altrettanto di Dio: “Abbiamo visto le stelle, le
opere della Sua potenza infinita, che ci hanno condotto a
adorarlo”.
Fratelli miei, meglio non impiegare parole umane,
accontentiamoci di curvare la testa e di ripetere con cuore
fervido le magnifiche parole di San Paolo: Al Re dei secoli,
incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei
secoli (1 Tim. 1, 17).
144
X. C’è un Dio? La risposta dell’uomo
Nella precedente capitolo abbiamo gridato al
mondo, al macrocosmo: “Stelle, corpi celesti, meteore e
nebulose, mondi che correte a vertiginosa rapidità,
ditemi, vi siete fatti da voi stessi?” Ed esso ha risposto:
“Non ci siamo fatti da noi stessi”. Bisogna che ci sia
Qualcuno al di sopra del mondo, un Creatore; bisogna
che ci sia un Dio.
Oggi rivolgiamo la stessa domanda, non più
all’Universo, ma all’uomo: Uomo, che dici tu? Che dice
la tua storia? Che dicono i tuoi migliori rappresentanti?
Che dice la vita di questa terra? C’è un Dio?
Noi ci mettiamo dunque dinanzi all’uomo, dinanzi
alla porta di quei miliardi d’anime umane chiamate alla
vita, ed ascoltiamo ciò che dicono con intensa attenzione.
E la risposta sarà sempre la stessa: c’è un Dio.
La fede religiosa dei popoli e un fatto storico attestato
dall’etnologia: e come il murmure delle acque profonde
cerca il mare, così sorge dalla storia dell’umanità una
perpetua e santa inquietudine che cerca Dio.
Darò tre risposte alla domanda: C’è un Dio? I) La
riposta dei popoli; II) La risposta dei grandi uomini; III)
La risposta della vita in sé stessa.
145
A. La risposta dei popoli
1) Per lontano che si rimonti nella storia
dell’umanità, testimoni le scienze storiche ed
etnografiche, mai ed in nessun luogo s’incontra una sola
razza atea, che non abbia avuto idea di Dio e della
divinità, e che alla divinità non abbia reso un culto
qualunque. Senza dubbio, l’idea di Dio presso i popoli
selvaggi e pagani é talvolta spaventosamente deformata, il
culto della divinità rivela, qui e là, tristi eccessi e
aberrazioni; ma il fatto fondamentale resta incontestabile
non c’è mai stato, e non c’è neppure oggi, popolo ateo
sulla terra. Mi viene in mente un’idea curiosa: Che
avverrebbe se un ateo si mettesse un giorno in testa di
non voler più vivere fra i credenti, ma fra un popolo
avente le sue stesse idee e convinzioni?
Offriamoci noi come suoi compagni di strada: dove
lo condurremo? Prima di tutto egli sa che deve andare
lontano. Mettiamo in Africa. Egli arriva presso i
Boscimani, gli Ottentotti, i Cafri, gli Zulù... spera di
essere in buona compagnia. Constata però con spavento
che quelle popolazioni credono ad un Essere Supremo.
Lo Zulù afferma che Dio ha tratto l’uomo dalla polvere.
L’ateo cerca allora le tribù dello Zambesi. Inutilmente,
poiché gli indigeni, con rispetto levano gli occhi verso il
cielo, quando pronunciano il nome dell’Essere Supremo.
Nel Madagascar, i popoli primitivi riconoscono un Dio
che ricompensa e punisce. Nostro uomo s’imbarca per
l’Australia ove si trovano i popoli meno civili del mondo.
Presso i Politesi, trova ad ogni passo un tempio tenuto con
il massimo rispetto che guai a chi osa violarlo: è
146
considerato alla stregua di un criminale. Gli abitanti della
Malesia costruiscono ai loro dei templi imponenti: e
anche loro parlano di un Dio supremo. Il nostro ateo si
rivolge all’Asia. E qui cade bene! Nella regione del Tigri e
dell’Eufrate, dov’è uscita tutta l’umanità, dove abitavano
gli antichi Babilonesi ed il popolo è più antico dei Sumeri,
la terra è piena di rovine di santuari con mattoni coperti
da una scrittura misteriosa, ove si possono leggere delle
preghiere come questa: “Tu solo sei grande. Il cielo e la
terra pubblicano i tuoi comandamenti e gli angeli
baciano la terra dinanzi a te...”.
Non ci manca che questa al nostro uomo, che fugge
più lontano... Ma dove? In America! Ma qui pure non
trova un popolo che non riconosca un Dio. In Europa?
Prima dell’era cristiana? I Romani non cominciavano la
guerra e non concludevano la pace, non promulgavano
una legge, prima di aver offerto un sacrificio agli dei. In
Grecia i più grandi filosofi, Platone, Aristotele, Socrate,
non solo conoscevano gli dei del paganesimo, ma erano
vicini, per la forza e la luce della loro ragione, a conoscere
il vero Dio. Ad Atene alzarono un altare in onore del
“Dio ignoto”. E Plutarco scrive tanto bene: “Voi potrete
trovare delle città senza mura, senza re, senza case; delle
città senza teatri né ginnasi. Ma un popolo senza templi,
senza divinità, senza preghiere e sacrifici, nessuno lo ha
mai visto, né mai lo vedrà. Credo che si possa piuttosto
edificare una città senza fondamenta che vederne
sussistere una senza credenza negli dei”. Quali
meravigliose parole dalla penna di un pagano!
Così é, fratelli miei. Nel mondo intero, dovunque
respiri un essere umano, sotto la tenda del beduino, nel
147
rifugio dell’indiano o sotto la capanna dell'eschimese, un
viso si volge verso il cielo, delle mani si giungono in atto
di preghiera, delle ginocchia si flettono al suolo. Oggi,
come ieri e come domani, da quando l’uomo è sulla
terra. In Egitto 2600 anni prima di Gesù Cristo, fu
costruita la celebre piramide di Cheophe. E quando si
scavarono le fondamenta si trovarono le rovine di un
antico tempio caduto in oblio e del quale non si sapeva
nulla. Le rovine di un antico tempio dimenticato 2600
anni prima di Cristo! Quando dunque gli uomini hanno
cominciato ad avere una religione? Quando e dove?
quando viveva il primo uomo e là dove egli viveva.
2) Ed ora, davanti a questo fatto generale, pongo la
domanda alla quale risponderete voi stessi: Se l’umanità
intera ha sempre e dovunque pensato così, se ha sempre
creduto unanimemente ad una potenza invisibile e
soprannaturale, ciò può essere un’illusione? Può esserci
illusione là dove l’umanità è unanimemente d’accordo?
Voi rispondete: “È possibile”. È possibile?... ma
come? Ebbene, dite voi, così come l’umanità ha creduto,
per secoli e secoli, che il sole girasse intorno alla terra.
Ciò è stato sempre e dovunque creduto fino a quando si è
scoperto l’errore. Del resto, tale obiezione ha il suo valore.
Ma solo in apparenza poiché se si guarda più da vicino, la
sua forza sparisce. Se l’umanità ha creduto che il sole
girasse intorno alla terra immobile, ciò è accaduto perché
tale era la constatazione dei sensi. Sono dunque i sensi
che hanno portato l’inganno. Ma l’umanità crede in Dio
contrariamente ai suoi sensi: noi non vediamo Dio, e
tuttavia crediamo in Lui. Come questa fede deve essere
profondamente radicata nell’anima umana, perché
148
l’uomo abbia sempre creduto in Dio nonostante i suoi
sensi!
La folla delle divinità pagane, le migliaia e migliaia di
deformazioni sull’idea di Dio che la sviata ragione umana
si è fabbricato, tutto ciò, per tristi che siano queste
aberrazioni, è una prova chiarissima del desiderio che
sgorga dalle profondità dell’anima umana, desiderio che
San Paolo conferma nelle parole: perché cerchino Dio, se mai,
tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia
lontano da ciascuno di noi (At 17, 27). Noi gridiamo verso
Dio. Testimone l’etnografia, ogni popolo crede ad uno
Spirito che domina il mondo, e l’ateismo non è che il
frutto ed il segno di una civiltà in decadenza.
B. La riposta degli uomini grandi
Se ora noi passeremo alla testimonianza delle
personalità più spiccate dell’umanità, il risultato sarà lo
stesso. I rappresentanti più scelti del genio umano, i più
grandi filosofi, poeti, uomini di Stato, scienziati, artisti...
hanno creduto in Dio. Se cominciassi ad enumerarli, non
finirei più questo sermone. Sulla fede cristiana di
scienziati naturalisti, sono stati pubblicati dei volumi. Mi
basterà oggi ricordare che i greci più illustri, i filosofi,
come Plutarco, Solone, Talete, Pitagora, Platone,
Aristotele, i più grandi sapienti, pittori, scultori, poeti,
oratori, hanno reso umilmente omaggio alla Maestà
divina.
149
Copernico, il fondatore della nostra cosmografia
moderna, fece incidere sulla sua tomba: “Signore, io non
vi domando la grazia che donaste a San Paolo, né il
perdono che concedeste a San Pietro, ma la misericordia
con cui trattaste il ladrone sulla croce”. Kepler, che ha
sapientemente misurato il corso degli astri, si scopriva il
capo ogni volta che pronunciava il nome di Dio. Devo
ricordarvi la fede di Pasteur? Uno scienziato ha
affermato, a proposito della sua opera, che essa
sorpassava in valore l’indennità di guerra di cinque
miliardi, imposta alla Francia, dopo la guerra del 1870.
Ebbene, dopo aver ricevuto gli ultimi Sacramenti,
tenendo in mano il crocifisso, egli disse: “È per mezzo dei
miei studi che sono giunto a credere così fermamente ciò
che la Chiesa insegna”. Ampère, il grande fisico, sapeva a
memoria l’Imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis,
ed esclamava spesso: “Come Dio è grande, e come la
nostra scienza è un nulla!”. Linneo, il grande botanico,
esclamava osservando l’ordine della natura: “Ho visto
Dio passar dinanzi a me, e i miei occhi ne sono rimasti
abbagliati”. Liebig qualificava dilettanti, non scienziati,
coloro che fanno derivare l’ateismo dalle scienze naturali.
Ma, a che serve continuare? Guardate la storia
dell’architettura: i più grandi architetti credevano in Dio.
Che cosa sarebbe divenuto questo ramo delle belle arti se
non ci fosse stata in loro la fede in Dio che ha edificato i
templi! Vedete la storia della pittura: i più grandi pittori
hanno creduto in Dio; come sarebbero vuoti tutti i musei
del mondo se la fede non avesse animato gli artisti che
dipinsero tante immagini sacre!
Non continuo la mia enumerazione, perché devo
ancora esporre una terza risposta alla domanda.
150
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11/03/2011 23:42
 
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C. La risposta degli esseri viventi
Oltre alla testimonianza dei popoli ed alla
professione di fede dei grandi uomini, c’è ancora sulla
terra qualche cosa che esige ad alta voce l’esistenza di
Dio: ed è la vita sulla terra. Il semplice fatto che sulla
terra ci sono degli esseri viventi: una moltitudine di
piante, animali ed esseri umani su un pianeta, che fu un
tempo senza vita.
La vita! Al centro di un così arduo argomento, a tutti
i nostri perché, si drizza un misterioso volto velato, un
santuario nascosto: la questione dell’essenza della vita.
Che cosa è la vita? Per secoli e secoli ci si è sforzati di
sollevare questo velo; per secoli e secoli si è indagato e
discusso: le intelligenze più perspicaci si sono affilate e
tormentate. Il mistero della vita è ancora oggi circondato
da un muro incantato. La ragione umana risolverà
giammai questo enigma? o forse è un mistero toccante
Dio così da vicino, che l’occhio umano non potrà mai
penetrare nelle sue sublimi profondità?
Ecco dunque la questione: che cosa è la vita? e
nessuno può rispondere, perché la vita è il più grande
mistero del regno della natura. Una pietruccia giace
inerte nel mio giardino, la pianto nel terreno (si ride di
me), ed essa resta ciò che era: una pietruccia senza vita.
Pianto un piccolo fagiolo, così piccolo, così grigiastro, così
immobile come un sassolino, ed ecco che in qualche
giorno esce dal suolo una pianticella e cresce e fiorisce e
dà frutto.
151
Chi può comprendere questo? E se la grandezza ed il
numero meraviglioso dei corpi celesti ci colpisce
d’ammirazione, noi siamo egualmente commossi dalle
migliaia e migliaia di esseri che vivono in una goccia
d’acqua, e guardandoli al microscopio, non ci si può
impedire di esclamare come un illustre scienziato: “Deus
in minimis maximum” “Dio si mostra più grande nelle
minime cose.”
Noi non sappiamo cosa sia la vita, e tuttavia la terra
intera intorno a noi formicola di vite e d’istinti
meravigliosi che tendono tutti ad uno scopo.
1) Quale meraviglia l’istinto degli animali! Gli uomini
non possono spiegarlo: ma è una prova meravigliosa di un
Creatore che ha dato la vita al mondo intero e lo governa
con saggezza.
Se volessi portare degli esempi, non arriverei a
concludere oggi il mio sermone. Basterà che io citi un
solo caso. Com’è risaputo, si biasima il cuculo per il fatto
che deposita le sue uova nel nido di un altro uccello e le fa
covare da esso. È un tratto antipatico del carattere del
cuculo, ma solo per chi ignora la causa della sua curiosa
maniera di agire. Il cuculo stesso la ignora e l’uomo per
lungo tempo l’ha ignorata. Finalmente la scienza se n’è
accorta e ha riabilitato il povero uccello. Infatti, il cuculo,
nel grande regno della natura, è stato incaricato
dell’ufficio di guardaboschi: perseguita senza pietà i
bruchi degli alberi che devasterebbero tutta la foresta se il
loro nemico implacabile, il cuculo, durante le settimane di
cova, dovesse avere la cura del suo nido; se covasse,
sarebbe un danno, e così da questo compito è stato
152
dispensato. Ma da chi? Gli uccelli hanno aggiustato la
cosa fra loro? Impossibile. Chi dirige dunque il destino, lo
scopo, la strada di questo formicolio di vite?
2) Ora giungo all’enigma più misterioso d’ogni altro:
la vita umana.
Talvolta si sente dire: Sì, se la Chiesa Cattolica
potesse fare che i morti uscissero dalle loro tombe e
tornassero alla vita, dietro sua preghiera, io crederei. Oh,
fratelli miei, una cosa più grande della resurrezione dei
morti è che noi esistiamo e viviamo. Avete mai pensato
alla sublimità dell’istante in cui il primo uomo è apparso
sulla terra?
La terra era prima un informe oceano di fuoco; ogni
astro non era altro che una fiamma liquida, tutto il
mondo, una nebulosa. E una goccia di questo oceano di
fuoco si staccò, e cominciò a raffreddarsi... ed i vulcani
eruttarono fiamme... e delle montagne si alzarono ad
altezze di ottomila metri... ed il globo continuò a
raffreddarsi... e si formarono delle terre e dei mari… la
terra si coprì di verde, le montagne si abbellirono di
foreste. Ma alla superficie di questa terra è silenzio di
morte, non c’è ancora l’uomo ad elevare la sua voce. Ed é
allora che arriva l’istante, conosciuto da Dio da tutta
l’eternità, quando appare un nuovo essere, totalmente
distinto da tutti gli altri, provvisto di una volontà libera,
capace di entusiasmarsi, amare e parlare, che può levare
gli occhi verso il cielo e dire al Creatore invisibile: Padre
mio! È l’apparizione del primo uomo sulla terra.
153
Istante di una grandezza commovente! Prodigio più
grande della resurrezione dei morti. Se un morto
risuscita, è il ritorno alla vita di uno che già prima
esisteva. Ma con il primo uomo, è apparso sulla terra
qualcuno che prima non esisteva.
Il più degli uomini non ha riflettuto sulla
complicazione e, nello stesso tempo, sull’estrema unità dei
loro corpi: il corpo vivente dell’uomo. “L’ufficio” della
direzione è il cervello, con la sua folla di suddivisioni che
lavorano per una grande comunità. Un cavo esce
dall’ufficio “il midollo spinale” che si divide in tutta una
rete di fili telefonici, il sistema nervoso, che trasmette gli
ordini della direzione. Le notizie del mondo esteriore
sono ricevute da due ascoltatori, le due orecchie; le
immagini dello stesso mondo da due apparecchi
fotografici, gli occhi, che, senza che noi lo sappiamo,
risolvono dei problemi straordinari di fotografia: sopra
una sola lastra essi prendono milioni d’immagini e pure
immagini a colori.
In questa grande officina si trovano anche due
laboratori di chimica, l’odorato ed il gusto; una
meravigliosa pompa aspirante e premente, il cuore: un
filtro, i reni; un colorificio centrale funzionante
perfettamente, gli organi della digestione che
mantengono costantemente una temperatura di 37
centigradi; la caldaia, o la stufa di questo riscaldamento
centrale è alimentata da un mulino, i denti. Dove trovare
un organo analogo ad una gola umana? Dove trovare il
ponte sospeso equiparabile, nel suo meccanismo, allo
scheletro ed al sistema muscolare dell’uomo?
154
Il mio cuore batte notte e giorno, sia che ci pensi o
no. Se io mi faccio una piccola ferita al dito una
sensazione di dolore l’annuncia a tutto il corpo, ed un
istante dopo ogni sua parte si mette all’opera per guarire
la ferita. Ed era così anche migliaia d’anni fa quando non
eravamo così informati come adesso sulle funzioni
dell’organismo, e lo stesso accadrà fra migliaia d’anni,
quando si saranno scoperti nuovi particolari su questo
misterioso lavoro. Ed ora, io vi domando: Chi ha
costruito questa macchina, di una perfezione e di
un’utilità ineguagliabili, che è il corpo umano? Qualcuno
mi risponde: Si è fatta da sé. Allora ascoltate. C’è, nella
Cattedrale di Strasburgo un antico orologio
complicatissimo la cui costruzione risale al Medio Evo.
Esso racchiude una quantità di ruote, catene, leve, ed
indica l’anno, le stagioni, i mesi, i giorni, le ore, i minuti,
e segna i quarti: personaggi d’ogni genere si mostrano ai
movimenti. Gli stranieri rimangono stupefatti davanti a
questo orologio e lodano il suo costruttore. Tali riflessioni
sono ascoltate da una piccola formica che s'è insinuata in
questa foresta di ruote e dice fra sé: Com’é ingenua la
gente! Che cosa c’è da meravigliarsi? Dov’è il costruttore?
Io non l’ho mai visto. Del resto che bisogno c’è di un
costruttore? Una ruota ne mette in movimento un’altra,
questa a sua volta ne fa muovere una terza e così di
seguito, tutto cammina da sé, non c’è costruttore.
Così ragiona la formica sperduta nel grandioso
meccanismo dell’orologio di Strasburgo, ma io, vedendo
la meravigliosa macchina della vita umana, non voglio
coprirmi di ridicolo con una filosofia così ingenua come
quella della piccola formica.
155
* * *
Fratelli miei, un celebre moralista e pedagogo tedesco
ha scritto: “La religione appartiene alle funzioni normali
della natura umana: la sua assenza significa sempre un
turbamento nella vita individuale, come nella sociale”16.
L’incredulità è dunque uno stato d’eccezione, uno stato
malaticcio della società. Si perde la fede, ma è uno stato
spirituale così anormale come la perdita della ragione. E
come i disgraziati ospiti dei manicomi non sono un
argomento contro la ragione, così, se ci sono degli uomini
che hanno perso la fede, questa non è una prova che gli
argomenti pro-fede abbiano torto. Ciò che ogni popolo
ed ogni uomo normale crede, può essere errore? E ciò
che affermano i cervelli squilibrati, la negazione
dell’esistenza di Dio, può essere verità?
Tutto il passato dell’umanità protesta contro
l’ateismo. Protestano le innumerevoli fiamme delle aree
dove bruciano i sacrifici dei popoli pagani, protestano
gl’inni religiosi delle tavolette babilonesi e ninivite,
protestano i papiri egiziani ed i templi dell’India,
protestano i più eletti rappresentanti della scienza e
dell’arte; infine, protesta la vita.
Noi abbiamo passato in rivista l’umanità, abbiamo
capito le affermazioni dei popoli e dei personaggi più
eminenti: dovunque è l’unanimità della fede in un Essere
supremo al disopra del mondo.
156
16PAULSEN in SCHANZ, Apologia I, 153
Ma io non voglio uscire dall’umanità. Non voglio
escludermi dalla società dei migliori. Dalle mie labbra
sfugge la preghiera che sorge dalle profondità dell’anima
umana:
Padre, io grido verso di voi.
Padre, io credo in voi.
Padre, io vi adoro.
157
XI. Gli atei non hanno alcun motivo di scusa
Nella sua lettera ai Romani l’apostolo San Paolo,
condannava severamente coloro che non si danno
pensiero di Dio.
Non hanno alcun motivo di scusa (Rom 1, 20) esclama
l’apostolo, per quelli che, a vergogna della testimonianza
del mondo intero, non conoscono Dio, dato che, ovunque
noi riguardiamo, il mondo ci grida nei riguardi di Dio.
Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose (Rom 11,
36).
Invero, dietro tutto ciò che si muove o vive nel
mondo, si trova un creatore e un motore... e solo il
meraviglioso meccanismo dell’universo non avrebbe un
costruttore? Senza fondamento, può esserci una casa?
Senza orologiaio può esserci un orologio? Senza
ingegnere, può esserci una macchina? Senza scultore, una
statua? Nessuno potrebbe osare di sostenere questa
possibilità. Ma c’è chi osa affermare questa assurdità
mille volte più grande: Non c’e Dio, ma c’è l’universo,
questo orologio, questa macchina che funziona così
meravigliosamente.
Quando uno scienziato scopre una nuova stella,
quando si trova in presenza di una legge della natura fino
allora sconosciuta, la sua scoperta è celebrata con grande
pompa. Ma non è lui che ha creato la stella, che ha
stabilito la legge: egli é soltanto colui che ha scoperto la
loro esistenza. Quindi un Te Deum di meraviglia, di
158
riconoscenza e di adorazione dovrebbe uscire dai nostri
cuori quando pensiamo al Creatore di tutte le cose.
In verità quelli che disconoscono Dio non sono
scusabili: senza l’esistenza di un Dio creatore del mondo,
non si può spiegare questo universo immenso dai colori
magnifici, questo mondo vivente e agente.
A. L’esistenza del mondo suppone un creatore?
1) Un Europeo incredulo faceva un viaggio in Africa,
ed un mattino vide l’Arabo conduttore della carovana,
mentre stava facendo la consueta preghiera. Si rivolse a
lui chiedendogli ironicamente: “Come sai tu che c’è un
Dio ?”. E l’Arabo gli dette questa magnifica risposta:
“Quando osservo le sabbie del Sahara, indovino dalle
tracce se é passato un uomo o un animale, ugualmente,
quando guardo il mondo, affermo per la vista d’altre
tracce che un Dio è passato”. Sublime risposta, degna di
un uomo! Poiché in verità, il telescopio che svela la
grandezza immensa dei mondi lontani, ed il microscopio
che ci fa entrare nel regno dello infinitamente piccolo,
sollevano la grande questione: Chi é il Creatore? Chi é il
Legislatore? Chi è il Capo, il Padrone? Perchè tutto
questo?
La parola “perché” è forse la più umana di tutte le
parole. Istintivamente viene sulle labbra del più piccolo
bambino; e questo perpetuo “perché” sulle labbra
dell’uomo, è il segno più grande della sua intelligenza, il
segno della sua sete di sapere e del suo desiderio di
159
conoscere le cause delle cose. Magnifico tesoro che non
appartiene che all’uomo: la ricerca delle cause. Noi
analizziamo, scrutiamo, cerchiamo lontano, sempre più
lontano di causa in causa, finché non arriviamo alla causa
ultima, che si chiama Dio. Questa inquietudine che ci
impedisce di arrestarci alle stazioni intermedie, è radicata
nella nostra anima. Le ricerche particolareggiate che ora
si fanno nelle scienze specializzate scoprono cose
meravigliose nelle magnifiche leggi della natura: ed in
grazia di esse la saggezza infinita di Dio creatore appare
sempre più sublime ai nostri occhi.
“Più profondamente si penetra negli ingranaggi della
natura, più la maestà divina ingrandisce vittoriosamente
dinanzi al nostro sguardo”17, scrisse uno scienziato
naturalista moderno.
L’astronomo mette un prisma davanti ad un raggio
di sole e ne decompone i colori: e con questo semplice
procedimento costruisce grandiose teorie sull’essenza
della luce, sul suo cammino e perfino sul suo punto
d’origine; e noi non abbiamo alcuna ragione di mettere in
dubbio le sue affermazioni.
Durante una lunga passeggiata in montagna, un
geologo spiega i differenti strati della immensa catena
d’alture. “Ma avete potuto penetrarvi?”, osserva
qualcuno. “Non ho bisogno di far questo”, risponde.
“Vedete il ruscello che scaturisce dalle profondità del
suolo: esamino le acque, ed in base alla loro
composizione, so quali strati attraversa”. Ma la natura
160
17 REINCHE, Naturwissenschaft, 1923, pag. 112
non ci mostra tracce cento volte più numerose, che
c’indicano infallibilmente la presenza di Dio?
2) Chi non crede in Dio, fa dunque violenza alla
propria ragione.
Si, non è esagerazione, giacché a lato della fede si
trova la ragione umana, che riflette; ma che cosa c’è dal
lato dell’incredulità?
Ditelo voi stessi che cosa e più ragionevole: credere in
Dio autore della vita, oppure credere che la vita s'è
formata da sé? Credere in Dio Creatore del mondo, o
credere che l’universo s’è fatto da solo? Credere in Dio,
saggio Ordinatore del mondo, oppure credere che
l’ordine, le leggi e la finalità che esistono nel mondo, sono
degli effetti senza causa? Preferisco dire con il geologo
belga d’Amalins: “Ammetto che è difficile, per la nostra
ragione concepire l’esistenza di un Dio Onnipotente e
puro spirito, come e difficile ammettere l’atto della
creazione, ma è molto più difficile concepire l’esistenza
dell’universo ed il suo ordine ammirabile, se un Essere
Onnipotente non preesisteva a tutto ciò”.
Preferisco adottare il ragionamento del Prudhon che
diceva: è così assurdo attribuire l’ordine dell’universo a
delle leggi puramente fisiche e perdere di vista Dio suo
ordinatore, è come attribuire la vittoria di Marengo a
combinazioni strategiche e perdere di vista Napoleone.
Ma se la ragione conclude con prove convincenti in
favore dell’esistenza di Dio, come è possibile che ci siano
161
degli uomini che non vogliono curvare la testa innanzi a
Dio?
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11/03/2011 23:43
 
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B. Come accade che ci siano dei negatori
dell’esistenza di Dio?
Può negare l’esistenza di Dio solo chi, nel suo
orgoglio e nella sua temerità, vuol vedere svelatamene
Dio, chi con la sua debole ragione umana vuol
comprendere Dio, e non conosce queste bellissime parole
del poeta Berzsenyi:
Dio rischiara la nostra esistenza come il sole
ma i nostri occhi non possono penetrarlo nell’intimo.
1) Rispondete, fratelli miei: Avete voi il diritto di
negare ciò che non vedete, ciò che non potete toccare con
le vostre mani? Fate attenzione: Avete letto mai questo
passo di Gardonyi: “Colui che crede tutto, io mi
domando se non è uno sciocco; ma colui che non crede a
niente, se non a quello che vede con i suoi occhi, io son
sicuro che è un imbecille”.
Voi non volete credere che a ciò che vedete.
Benissimo, voi vedete con i vostri occhi che la terra sta
ferma ed il sole gli gira intorno, eppure dovete credere il
contrario. I vostri sensi vi dicono che la terra è immobile
sotto i vostri piedi, e voi dovete credere ch’essa non é
immobile, anzi, cammina a velocità vertiginosa. Voi non
percepite niente di tutto questo, ma lo credete.
162
Come si viveva, che cosa si faceva nell’antico Egitto,
in Babilonia, in Assiria, nel Giappone, in Cina... avete
visto con i vostri occhi gli avvenimenti che lì sono
accaduti? Voi non avete neppure visto questi paesi:
eppure credete a quelli che ve ne parlano. Credete senza
aver visto. Voi non avete mai visto, voi non conoscete i
popoli che vivono negli altipiani dell’Asia ma credete a
Sven, Iledin, o ad altri viaggiatori che ve ne hanno
parlato. A quante cose crediamo, senza averle viste!
2) Rispondete a quest’altra domanda: Avete voi il
diritto di negare ciò che non comprendete, ciò che non
afferrate con la vostra intelligenza umana?
In verità, alcuni si dolgono: Io non posso credere. Ci
sono tanti misteri incomprensibili nella nostra religione.
Dio per primo. Poi la Santissima Trinità. La Santa
Eucaristia. Il libero arbitrio e la predestinazione.
L’Incarnazione. Tutto passa come la foglia che cade
dall’albero, e pure c’è una vita eterna. È tutto questo che
non comprendo, è tutto questo che è inammissibile alla
ragione.
Sapete che cosa rispondo loro?
Fratelli miei, perché vi stupite di non comprendere
bene le cose di Dio, i suoi disegni e di trovare tanti misteri
nella nostra religione, quando, intorno a noi il mondo
intero formicola di misteri e non si comprendono
analogamente migliaia di fenomeni nel mondo della
materia?
163
Ed ancora, lo ripeto, il fatto che Dio non può entrare
completamente nel mio piccolo cervello limitato, è per
me una prova della verità della mia fede.
a) Il mondo intero intorno a noi è pieno di misteri:
misteri che noi vediamo, che noi sentiamo, che noi
conosciamo per esperienza, ma che non possiamo
comprendere, che non siamo capaci di decifrare.
Devo citarvene qualcuno? Chi sa, per esempio, che
cosa è il tempo? Tutti credono saperlo, ma chi potrebbe
dirmelo? Il tempo passa come un fiume e noi vaghiamo
sulle sue onde, ma nonostante questo, non sappiamo che
cosa sia. Chi sa quanto dura un secondo? Questione ben
semplice, pare: “Un secondo è lo spazio di tempo durante
il quale un treno percorre tre metri”, forse mi rispondete.
Avete detto qualche cosa. Ma non è la definizione del
secondo. Si parla del presente, del passato e del futuro:
ma che cos’è il presente? È un istante inafferrabile,
giacche l’istante che voi siete riusciti ad afferrare, è già
passato e quello che non è nelle vostre mani è ancora il
futuro. Cosa è dunque il presente? Non si capisce. Fra due
mari di nuvole, fra il passato e l’avvenire, come sul filo di
un rasoio, si tiene il presente; è qualcosa d’indefinibile ed
impalpabile che scivola immediatamente dalle mani
appena volete coglierlo e si getta ininterrottamente da
una riva all’altra, è ciò che noi chiamiamo il tempo.
Comprendete? No, voi non comprendete, e peggio
ancora, vi rompete la testa su questo argomento, e capite
sempre meno. Ed intanto, nello stesso modo, corre la vita
quotidiana piena di fenomeni stupefacenti e
incomprensibili.
164
Questo fatto è accaduto un anno fa, nel periodo di
Natale. Una coppia inglese, marito e moglie, aveva
venduto la propria casa, giardino, mobili e poi aveva
lasciato l’antica dimora, ed erano andati ad installarsi in
una città lontana, Portsmouth. Erano partiti in auto,
senza portarsi dietro niente, e avevano lasciato perfino il
loro bulldog al nuovo proprietario. Il bravo cane seguì
l’auto per un certo tempo, finché cadde sfinito sull’orlo
della strada. I passanti compiansero il povero animale,
credendolo moribondo. Un mese più tardi il vecchio
Black, non avendo più che pelle ed ossa, coperto di fango
e di polvere, cadeva dinanzi alla porta dei suoi antichi
padroni. La buona bestia aveva fatto centinaia di
chilometri, seguendo chissà quale inafferrabile traccia.
Comprendete questo?
Un pipistrello era stato privato della vista e lasciato in
libertà in una stanza ove da un muro all’altro, erano tesi
dei fili con appesi dei campanelli. Il pipistrello, cieco, volò
per ore ed ore senza toccare alcun filo, e far risuonare
alcun campanello. Come mai? Certo per un senso
specialissimo a noi ignoto, del quale non abbiamo alcuna
idea. Un altro esempio. Nel Belgio si fa un grande
allevamento di piccioni viaggiatori. Un giorno si
spedirono dei piccioni da Brusselle in Spagna, e là si
tennero chiusi in gabbia per cinque anni. Rimessi in
libertà, la maggior parte, in qualche ora, era già di
ritorno presso l’antico proprietario. Come avevano potuto
ritrovare la strada, dopo cinque anni, trasvolando su
montagne e vallate?
Ancora un altro esempio. Una testuggine fu presa
presso l’Oceano Pacifico, e dopo essere stata
165
contrassegnata sul guscio fu collocata nella Manica.
Pensate alla distanza fra la Manica e l’Oceano Pacifico,
ebbene, tre anni dopo, si ripescava la stessa testuggine
nello stesso luogo dove era stata presa. Come v’era
ritornata? Qual senso l’aveva diretta? Aveva percorso
4000 leghe nelle profondità oscure dei mari. Noi non
comprendiamo, eppure il fatto è accertato.
Dovrò continuare ad enumerare la moltitudine di
cose che avvengono intorno a noi e che non
comprendiamo, non afferriamo, non vediamo, e tuttavia
sussistono ed alle quali crediamo?
Vi citerò un esempio di tutti i giorni. Nella chimica
moderna si conta in milionesimi di grammi, ma avete voi
mai visto la milionesima parte del grammo? Occhio
umano non può percepire questa quantità estrema. È
questa una ragione perché non ci sia il “gramma”, vale a
dire la milionesima parte del grammo? Su una bilancia
analitica, dopo un duro lavoro di tre quarti d’ora, con
parecchie misure e calcoli, si perviene a misurarlo
esattamente. Devo continuare? Per realizzare il color
violetto l’etere ha bisogno di 758 trilioni di vibrazioni il
secondo. Voi comprendete questo? Non comprendete, ma
credete. Ora, per credere questo, vi occorre una fede
gigantesca! Raffiguratevi che cos’è un trilione: se noi
mettiamo uno vicino all’altro un trilione di capelli,
seguendo la loro larghezza (0,1 mm), si otterrebbe una
linea di 100 mila chilometri, in altre parole un trilione di
capelli farebbe due volte e mezzo il giro della terra. E le
vibrazioni dell’etere seno di 758 trilioni al secondo! Per
crederlo, non occorre avere una fede gigantesca?
166
Ecco delle cifre ancora più vertiginose. Il diametro di
un atomo d’idrogeno è di un decimilionesimo di
millimetro. La massa dell’atomo d’idrogeno pesa,
pressappoco, la metà di un quadrilionesimo di grammo.
La nostra terra pesa circa due quadrilioni di
chilogrammi: dunque la massa di un atomo d’idrogeno é,
per rapporto ad un grammo, nella stessa proporzione di
un chilogrammo alla massa di tutta la terra. Afferrate voi
questo? E tuttavia è così.
Più l’uomo impara, più riflette; più fa esperienze sul
mondo, più è obbligato a dire in molti casi: “non
comprendo”. Chi comprende tutto, e per il quale non
esistono problemi, è uno spirito superficiale, e fornisce la
prova che non ha l’abitudine a riflettere profondamente.
La conclusione delle nostre riflessioni sarà dunque
questa: constatiamo che non tutto entra nei nostri piccoli
cervelli umani, e ci tocca credere a molte cose che non
comprendiamo.
b) Ma chi è giunto a fare questa modesta
constatazione non può essere un ateo. Se le cose sono
così, se intorno a noi il mondo creato è pieno d’enigmi, se
nel mondo ci sono tante cose che non comprendo ed alle
quali credo, non è naturale che non comprenda bene
delle cose riguardanti il Creatore del mondo: Dio? È
vero, ci saranno sempre nella nostra fede cose oscure,
nebulose, incomprensibili; ed è naturale che in Dio
infinitamente grandioso ci siano delle qualità che non
posso concepire con la mia ragione stretta e limitata.
167
E dirò ancora di più. Dovrei essere inquieto ed aver
paura, se con la mia ragione limitata comprendessi e
vedessi senza veli Dio infinito. Non sarebbe più Dio,
sarebbe una creatura finita: e la mia religione sarebbe
un’opera umana.
Voi non comprendete? I Serafini si prostrano
umilmente dinanzi a Dio tre volte Santo, e voi vorreste
contemplare Dio perfettamente? Un Dio che potesse aver
posto nel vostro cervello, sarebbe un essere debole e
simile a voi.
Si, sforziamoci di conoscere Dio sempre di più, ma
che la nostra fede non si spaventi, visto che non potremo
mai conoscere Dio perfettamente. Chi rifiuta
gl’insegnamenti della fede, unicamente perché la sua
intelligenza umana limitata è incapace di comprenderli
per intero, assomiglia a qualcuno che getta i più bei
brillanti, perché per esaminarli non dispone che della
vacillante luce di una candela; o ancora, assomiglia a
qualcuno che non può calmare la sua sete, solo perché
incapace di bere l’acqua di interi laghi.
* * *
Ed ora fratelli miei, possiamo rispondere alla
questione se San Paolo ha ragione di dire che non c’e
scusa per gli atei, usando le parole del grande pensatore
moderno Emerson: “Ciò che di Dio vedo, mi basta per
credere a ciò che non vedo”.
Io sono un uomo moderno, e quindi credo,
quantunque non comprenda che l’etere è 500 trilioni di
168
volte più leggero dell’aria; ma sono allo stesso tempo un
cristiano e per questo credo che il mondo non si è fatto da
solo, anche se questo non lo so per vie tangibili. Sono un
uomo moderno, e per questo credo che l’etere fornisce
758 trilioni di vibrazioni al secondo per formare il colore
violetto, per quanto non possa rendermene conto con i
miei sensi. Ma sono altresì cristiano e credo al Creatore
del cielo e della terra, quantunque non possa percepirlo
con i miei sensi.
Sono un uomo moderno ed è per questo che credo
che la terra sta ferma e il sole gira, quantunque i miei
occhi vedano il contrario; ma sono altresì un cristiano, e
quantunque i miei occhi non me lo dimostrino,
quantunque la mia ragione non comprenda, mi
inginocchio dinanzi a Dio, e Lo adoro.
169
XII. C’è un Dio?
La risposta della mia anima: La legge morale
Nel secolo XVIII viveva un pittore francese, Grenze,
che seppe rendere nelle sue tele, profonde verità morali.
Una di queste s’intitola: “La filosofia dormiente”. Una
donna, vestita riccamente, dorme abbandonata su un
seggiolone: il suo volto ha un’espressione d’esaurimento
grande, un’impassibilità assoluta. Cosa l’ha immersa in
un sonno così pesante? Intorno a lei si vedono libri in
fogli, globi terrestri ed il necessario per scrivere. Sembra
che, dopo un lavoro stenuante di ricerche e riflessioni, sia
stata costretta a chiudere gli occhi affaticati, per riposare
nell’oscurità senza più niente vedere. “La filosofia
dormiente”.
Quale eloquente simbolo, questo lavoro di ricerche
scientifiche, che s’addormenta in mezzo ad un esame
particolareggiato e penoso dell’ordine dell’universo,
cercando nell’oscurità, e non può scorgere la Potenza
Superiore che dirige il cammino del mondo.
Tuttavia il desiderio più profondo dell’uomo è
precisamente quello di scoprire questa Potenza Superiore,
questo Fine ultimo di tutte le cose. Dentro di noi vive un
desiderio misterioso di Dio, un’attrazione invincibile, che
Pascal ha espresso con queste celebri parole: “Noi non
potremmo cercare Dio, se non l’avessimo già trovato”. Il
gran pensatore voleva certamente dire con questo che gli
uomini si possono chiamare “la razza dei cercatori di
Dio” poiché in ogni intelligenza ed in ogni cuore umano
si eleva il trono di Dio alzato dalla natura.
170
Nelle ultime istruzioni abbiamo seguito due strade
per la ricerca di Dio. Inizialmente abbiamo chiesto
all’universo ciò che di Dio diceva. E la risposta è stata la
giustificazione delle parole della Santa Scrittura: Davvero
vani per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio, e
dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che è, né,
esaminandone le opere, riconobbero l'artefice.... Difatti dalla
grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro
autore (Sap 13, 1.5).
In seguito abbiamo domandato all’umanità ciò che la
storia e la convinzione generale dei popoli dicono di Dio.
E la risposta è stata la giustificazione alla celebre
affermazione del Tolstoy: “Come un uccellino caduto dal
nido, l’anima grida verso Dio”. Abbiamo visto i sacrifici
dei primi uomini salire verso il Cielo... abbiamo letto sulle
tavolette di Babilonia e di Ninive le lodi della divinità...
abbiamo compreso gl’inni dei popoli dell’Oriente...
abbiamo decifrato i papiri delle piramidi funerarie
d’Egitto... ed abbiamo constatato che le preghiere di tutti
i popoli e di tutte le razze proclamavano la fede unanime
dell’umanità. C’è qualcuno al di sopra di noi: c’è Dio.
Ma cosa dice l’anima umana sull’esistenza di Dio?
Questa domanda attende ora una risposta. Più tardi
esamineremo altresì la vita sociale dell’umanità per
dedurre la sua testimonianza su Dio.
171
A. L’origine dell’ordine morale nel mondo
1) Sappiamo tutti che l’uomo, in presenza degli
avvenimenti del mondo, ha l’abitudine di darne un
giudizio. Gli uomini, si dice, parlano di ciò che accade, ed
esercitano la loro critica al riguardo. Qualcuno, mentre fa
il bagno in un fiume, é colto da malore, dalla riva un
uomo coraggioso si getta immediatamente nell’acqua e lo
salva. “È una bella azione”, diciamo. Un figlio ha ucciso
i propri genitori. Noi diciamo indignati: “È un delitto
spaventevole”.
Noi troviamo dunque del tutto naturale che ci sia
una distinzione fra le azioni umane. C’è ciò che noi
troviamo ben fatto, e quello che troviamo mal fatto.
Mantenere la parola data è bene; mancare alla parola
data è male. Essere fedele ad un amico è bene; tradirlo è
male. Dire la verità è bene; mentire è male.
Da dove vengono dunque queste leggi morali? Forse
da me, dall’uomo? Provate a capovolgere i giudizi: ad
inculcare a qualcuno che la riconoscenza è un male e
l’ingratitudine un bene. Non vi riuscirete. Queste idee
non dipendono da me, da noi, ma neppure dal mondo,
né dal tempo, dal momento che l’ingratitudine sarebbe
sempre una cosa cattiva, anche se il mondo sparisse.
Dov’è dunque la misura, la regola fondamentale,
immutabile, secondo la quale dicono di un atto che è
buono, e di un altro che è cattivo? Dov’è la norma morale
obbiettiva, indipendente dalla nostra volontà e dalle
nostre vite individuali, sulla quale si misurano le azioni
172
umane, proprio come si è obbligati a misurare ogni metro
del mondo intero, sul campione immutabile che si
conserva con cura a Parigi?
2) Ora, fratelli miei, quest’ordine morale del mondo,
depone in favore di Dio, e prova con forza assoluta che
l’ordine morale ha un autore, che è Dio.
Fra il bene e il male c’è una distinzione obbiettiva,
immutabile, perpetua che non dipende né dall’uomo, né
dal mondo e neanche dal tempo. Bisogna dunque che ci
sia un Essere eterno, immutabile, al di sopra del mondo
dal quale sono uscite, e sul quale riposano le leggi
fondamentali della morale.
In India, un missionario entrò in conversazione con
un paria che non sapeva né leggere, né scrivere. Il
religioso gli domandò: “Se qualcuno ruba il tuo denaro,
commette peccato?”. “Naturalmente”, rispose il paria. “E
se qualcuno uccide un altro?”: “Certo, commette
peccato”. “Allora voi conoscete i comandamenti di Dio.
Chi ve li ha insegnati?” “Dio”. “Tuttavia Dio non vi ha
parlato”. Allora il pagano mostrò il suo petto e disse: “Ciò
è qui dentro”.
Si, ciò è dentro di noi. Ma chi ha radicato la
distinzione fra bene e male nel nostro cuore? Chi ha
radicato in fondo all’anima di ciascuno la coscienza ed il
rispetto dell’ordine morale?
3) Ma ecco ancora un’altra curiosa osservazione: Il
desiderio della riconciliazione nell’anima che ha peccato.
Peccare é umano, ma devo rimanere nel peccato fino alla
173
fine? Non c’è salvezza? Devo rimanere preda
irrimediabile del rimorso divorante? L’uomo cerca
qualcuno che lo possa aiutare. Ne sente più il bisogno
nella miseria morale che non in quella materiale. Questo
è ciò che prova il pagano quando si prostra dinanzi al suo
feticcio e rende omaggio ai suoi dei con sacrifici espiatori;
è ciò che sentiva il salmista, caduto nel peccato, quando
scriveva: Dal profondo a te grido, o Signore (Sal 130, 1).
Le strade dell’uomo conducono a Dio; l’anima
umana ha sete di Dio. L’uomo è creatura religiosa: ciò è
un fatto storico.
L’anima umana è, un mare misterioso e profondo e
se noi tendiamo l’orecchio alle voci di migliaia d’uomini
che vissero un tempo ed a quelle di migliaia d’uomini che
vivono ora, percepiamo un mormorio profondo e pieno
di presentimento, un desiderio, un’inquietudine, un
bisogno d’infinito, di Dio. L’anima umana che cerca il
perdono desidera Dio, e tale sentimento è stato messo in
noi dalla natura che non inganna.
Si può credere che la natura abbia messo in noi una
sete, senza il mezzo di soddisfarla? Che abbia svegliato in
noi la fame, senza il modo di saziarla? Che abbia messo
in noi il desiderio di Dio, ma un desiderio vuoto, senza
scopo, insensato, perché Dio non c’è? Ecco ciò che
l’ordine del mondo dice a favore di Dio.
4) Rovesciando i valori, si potrebbe anche affermare
che è Dio che parla a favore della morale. L’esistenza
della legge morale prova con forza assoluta che Dio c’é,
ma la tesi inversa vale della stessa condizione: è Dio che
174
assicura la forza della legge morale. Lui solo e nessun
altro. Io sono Dio l'Onnipotente, dice Dio ad Abramo,
cammina davanti a me e sii integro (Gen 17, 1). Se l’autorità
divina non vegliasse sulle leggi morali, dove ci sarebbe
un’autorità di tale forza da imporne all’uomo
l’osservanza? Lo Stato? La Società? Il bene delle
generazioni future? E tutte le ragioni analoghe con le
quali hanno cercato di spiegare le leggi morali, coloro che
non riconoscono Dio? Tutto ciò s'è dimostrato
insufficiente.
Se Dio non c’è, su cosa potrei misurare la bontà delle
mie azioni?
Non ci sarebbero buone azioni. Il filosofo Seneca già
lo riconosceva: “senza filo a piombo non si può
raddrizzare una curva”18.
Se non c’è Dio, allora le leggi morali non obbligano,
e non ci sono sanzioni.
“Sanzione!” Che parola anomala! Sanzionare una
legge non vuol dire renderla santa?
Come rendere santa una cosa, se si nega la sorgente
d’ogni santità, Dio infinitamente Santo? Se non c’è Dio
quindi, ogni legge dipende unicamente dall’uomo, ed
allora avevano ragione i maestri di retorica a dire che
“l’uomo è la misura di tutto”; dunque per ogni uomo è
morale ciò che gli fa comodo, che gli piace ed assicura il
175
18 SENECA, Epistole I, II.
suo avanzamento, il suo tornaconto terrestre: se Dio non
c’è, tutto l’ordine morale è sospeso in aria.
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11/03/2011 23:45
 
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B. La forza obbligatoria dell’ordine morale
Fin qui ci siamo occupati soltanto dell’esistenza di un
ordine morale indipendente da noi, esistenza che è
impossibile spiegare senza ammettere un Legislatore
supremo, Dio. Ora, procederemo più avanti. Tale ordine
morale ha in più una misteriosa forza obbligatoria.
L’ordine morale non dispone però di una forza così
obbligatoria come l’ordine fisico. L’uomo possiede la
triste facoltà di poter violare le leggi morali, ma le
conseguenze di questa violazione sono ancora una
testimonianza eloquente dell’esistenza di un Dio che
veglia sopra le sue leggi.
Arago, illustre astronomo, teneva un corso al collegio
di Francia sulle leggi dell’astronomia. Un giorno disse:
“La settimana prossima avremo un’eclissi ben visibile da
Parigi. In quel giorno nell’ora, nel minuto, nel secondo
che vi dico, tre grandi corpi celesti obbediranno, non ai
nostri pronostici, ma all’ordine di Dio. Solo gli uomini
hanno la consuetudine di resistere a Lui!”.
Sì, l’uomo può resistere alle leggi divine ma non
senza tristi conseguenze, poiché nell’intimo del nostro
cuore, noi sentiamo che esiste un ordine morale
obbiettivo e indipendente da noi, ed ancora che il suo
comandamento è per noi obbligatorio.
176
Questo gran comandamento, il vero imperativo
categorico è: bisogna fare il bene e se tu non lo fai si alza
dentro di te la voce della coscienza, il rimorso.
La voce della coscienza é: una potenza che non
dipende da noi, che esiste in ciascuno di noi, che non si
lascia imporre silenzio.
1) La voce della coscienza e una potenza che non
dipende da noi. Dopo ogni nostra azione qualcosa parla
dentro di noi e, sia che lo vogliamo o no, pronunzia un
giudizio: “hai agito bene”, oppure “hai agito male”; se
abbiamo agito bene un dolce calore s’impadronisce della
nostra anima, è la buona coscienza, se abbiamo agito
male, la cattiva coscienza parla con il rimorso.
Lo abbiamo sentito in noi e sappiamo che gli altri lo
provano questo, che ogni violazione della legge divina
presto o tardi porta con se un castigo; contrariamente,
ogni volta che ascoltiamo le indicazioni della coscienza
ammonitrice e saggia, ecco che ci sentiamo più felici e più
forti. Chi ha fatto esperienza di questo per se o negli altri,
comprende chiaramente che è necessario un Legislatore
per vegliare sull’ordine morale.
2) Ed il sentimento morale è innato in ogni uomo: se
si attenua in una misura più o meno grande, la colpa é
ancora dell’uomo; il quale stima tutto ciò, cosa
naturalissima. Il nostro modo di pensare riposa su
quest’idea. Il talento artistico non si trova in tutti e,
nessuno si aspetta di trovarcelo. La scienza ugualmente
non è di tutti, e nessuno pretende che ogni uomo sia uno
scienziato, ma ci si aspetta da ogni uomo che non sia uno
177
scellerato. E perché? Perché, ripeto, il senso morale è
innato in ogni uomo, se egli stesso non l’ha ucciso. Io
sento la responsabilità dei miei atti, e se faccio il bene,
qualche cosa in me mi rallegra: se faccio il male, qualche
cosa mi rode, mi tortura, m’inquieta. Questo accade a
tutti gli uomini: fanciulli, adulti, sapienti ed ignoranti. Il
fanciullo non ha ancora sentito parlare della coscienza, ed
essa parla già in lui, si nasconde ai suoi genitori quando
ha commesso un torto.
3) E ciò che è ancora più incomprensibile è che non
si può soffocare totalmente e per sempre la voce della
coscienza. Tuttavia, quanti ci hanno provato! Quando
essa parla più forte, cercano di farla tacere con il bere,
con il divertimento, con il piacere... Ma sempre invano.
Viene il momento in cui l’ebbrezza si dissipa, il piacere
cessa, e nel gran silenzio la coscienza inquieta eleva la
voce.
Ed allora si vedono realizzarsi le parole della Sacra
Scrittura: Il malvagio fugge anche se nessuno lo insegue (Prov 28,
1), ed ancora le parole di San Paolo: I pagani dimostrano
che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla
testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che
ora li accusano ora li difendono (Rom 2, 15). La vita è colma
di questi casi misteriosi. Lo scrittore greco Plutarco ce ne
riferisce uno.
Un certo Bessus aveva ucciso suo padre. Nessuno ne
seppe nulla ed il delitto non venne in luce, ma, cosa
curiosa, da quel giorno in poi il parricida non poté più
udire il canto delle rondini. Gli pareva che ognuno dei
loro stridi ripetesse: Assassino, assassino. Distrusse tutti i
178
nidi di rondine nelle vicinanze della sua abitazione, ma
non valse a nulla: egli non ritrovò mai più la pace.
Finalmente si lasciò sfuggire con qualcuno, che quelle
maledette rondini non finivano di gridare che aveva
ucciso suo padre. Si ebbero dei sospetti... si fecero delle
indagini ed il delitto fu scoperto. Ciò accadeva circa
duemila anni fa.
In un piccolo paese della Moravia, nel 1859, accadde
una cosa analoga. Un giorno a Leibnitz scoppiò un
terribile incendio. Sulle prime nessuno sospettò che si
trattava di una vendetta. Fu notato solo che uno degli
abitanti, da quel giorno, evitava tutti e si tratteneva in
casa, con la porta chiusa a catenaccio. Era l’incendiario
che vedeva incessantemente gli spettri dei bruciati per
colpa sua, danzargli dinanzi agli occhi e dirgli, additando
un albero del suo cortile: “Impiccati là”. Il disgraziato
abbatté l’albero, ma invano. Fu visto da tutti levar sempre
le mani al cielo e pregare in ginocchio. Finalmente, si
presentò alle autorità confessando il suo delitto.
Adesso fratelli miei vi domando: Quale potenza
misteriosa dunque, impera nella nostra anima, e da dove
viene la sua forza terribile? Uno commette un peccato...
nessuno al mondo lo sa... e tuttavia non può più avere
pace, qualcosa gli parla, lo minaccia, lo rode, lo tortura.
Chi dà alla coscienza tanta forza, che, dopo essere
soffocata dal peso della voluta distrazione e dei piaceri,
ancora riesce a far salire dalle profondità dell’anima la
sua voce? Chi giudica i miei atti? Chi ci ha dato
quest’assoluta legge morale, di cui due cose io so con
certezza: la prima, che esiste, la seconda, che non dipende
179
né da me, né dagli uomini? È necessario che ci sia un
Legislatore infinitamente santo, la cui volontà costituisce
questa legge morale, che obbliga le sue creature
ragionevoli ad osservarla, e se loro non la osservano (e ciò
è possibile) le punisce.
Si, la coscienza impone e loda, grida o minaccia: c’è
un Dio. La buona coscienza canta l’esistenza di Dio; la
cattiva coscienza usa la Sua esistenza come una minaccia.
La voce della buona coscienza è un inno di lode: “Tieni
fermo! Dio ti conosce. Egli vede la tua lotta per il bene.
Vede come le tue cattive inclinazioni ereditarie ti
trascinano al peccato, ma tu resterai vincitore nel duro
combattimento. Non temere: Dio saprà valutare e
premiare il tuo nobile coraggio”. Sii fedele fino alla morte e ti
darò la corona della vita (Ap 2, 10). Ecco ciò che canta la
buona coscienza.
Ma come la cattiva coscienza è inquieta e teme!
Ovunque tu sia, non potrai rimanere nascosto dinanzi a
Dio. Nessuno ha visto i tuoi misfatti, nessuno ha visto i
tuoi progetti e pensieri abominevoli, ma Dio tutto sa, e
non lascerà impunita la tua cattiveria. Tu puoi
commettere del male in segreto: la sua ombra ti si alzerà
davanti, e ti perseguiterà. Tu puoi fare il bene in segreto:
il suo fiore fiorirà, e ricadrà sul tuo capo sia pure dopo
molti anni.
Se il mondo delle stelle e l’immensa natura restassero
muti, e non parlassero di Dio, dentro di me, la mia
coscienza e l’ordine morale griderebbero: Bisogna che ci
sia un Dio. C’è un Dio.
180
* * *
Che le cose sono come io vi dico, fratelli miei, che
l’esistenza dell’ordine morale e la voce della coscienza
rendono altamente testimonianza a favore di Dio, è
quanto esprime in modo commovente un racconto della
scrittrice tedesca Ida Schanz. Racconta le vicende di un
soldato caduto mortalmente ferito sul campo di battaglia.
Dopo una vita di crudeltà, di disordine e d’empietà, era
arrivato alle soglie della seconda vita. Ora che la vita gli
sfugge con il sangue che cola, il suo sguardo atterrito
guarda lontano... lontano... fino alla porta del cielo. Ma
ahimè! Tre figure gli sbarrano il passo. Un cane… i1 suo
vecchio cane che lui ha lasciato morire di fame, soltanto
per divertirsi delle sofferenze dell’animale morente. Un
bambino di due anni, che aveva trovato in una capanna
abbandonata sul campo di battaglia, ed aveva trafitto con
la sua spada. Una vecchia donna, che lo supplicava di
non far del male a suo figlio, pronta, se lui voleva, a
bruciarsi in cambio la mano... ed egli aveva potuto
guardare crudelmente l’infelice mettere la mano nel
fuoco... ora, le tre figure sbarravano la porta del cielo
davanti al morente crudele ed empio.
Fratelli miei, i miei atti saranno un giorno
ricompensati o puniti, ma non voglio dimenarmi sul mio
letto di morte nelle strette della disperazione; non voglio
che le azioni della mia vita ostruiscano dinanzi a me la
porta della vita eterna.
C’è un ordine morale nel mondo, che ha il suo
Legislatore: Dio. Osservando la legge morale, professo la
mia fede in Dio che è il Padrone sovrano.
181
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14/03/2011 09:05
 
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XIII. C’è un Dio?
La risposta della mia anima: L’aspirazione alla
verità e alla felicità
Ci sono delle verità che si vedono e si conoscono per
esperienza e ci sono delle verità alle quali crediamo, senza
vederle; ci sono delle verità che noi conosciamo soltanto
per via di conclusione, direi quasi che noi sentiamo con la
nostra intelligenza ed il nostro cuore. Vediamo e
sappiamo per esperienza che il vapore può mettere una
caldaia in movimento. È una “verità d’esperienza”. Noi
non abbiamo visto Cesare vincere Pompeo a Farsaglia,
ma noi crediamo alle sorgenti storiche che lo narrano: “è
una verità storica”. Noi deduciamo con la nostra
intelligenza che c’è una forza di gravitazione, giacché non
potremmo altrimenti spiegare perché una pietra cade al
suolo.
Ma a quale genere di verità appartiene
l’affermazione: c’è un Dio? È una verità che noi non
vediamo, che non sentiamo, ma affermiamo con una
certezza assoluta, perché la nostra intelligenza ed il nostro
cuore la garantisce.
La nostra ragione rende testimonianza a Dio.
“Dovunque il mio sguardo giro, immenso Iddio ti vedo”:
ed ogni angolo del mondo canta la lode di Dio creatore. Il
cielo e la terra, milioni di stelle e miliardi d’insetti, le
montagne ed i ruscelli... tutto dice alla nostra ragione che
sopra di noi c’è un Essere onnipotente, che è nostro
Padrone, nostro Dio. Ed il nostro cuore, la nostra anima
testimoniano del pari l’esistenza di Dio; testimoniano
182
prima di tutto l’esistenza di un ordine morale
indipendente da noi e di un valore eterno, la cui forza
obbligatoria non si può spiegare se non s’ammette un
supremo Legislatore: Dio.
Ma la testimonianza dell’anima umana non si limita
a questo. Due santi e misteriosi sentimenti vivono nel
nostro cuore, e se li considereremo più a fondo, ne
risulterà una nuova testimonianza a favore della nostra
tesi.
A) L’uomo aspira alla verità, ma in Dio solo trova
verità completa.
B) L’uomo desidera la felicità, ma non la trova
perfetta che in Dio.
A. La verità completa
1) Facciamo precedere qualche considerazione
filosofica.
Sappiamo tutti che ci sono delle verità fondamentali
la cui realtà risulta evidente, e delle quali si può dire che
sono più chiare della luce del sole e servono di base a
tutto il pensiero umano.
Tali verità sono indipendenti da noi, e non possiamo
cambiarvi nulla. Non solo non può farlo l’individuo, ma
neppure l’umanità. Così, per esempio: Il tutto è più
grande della parte, il nulla non produce nulla. Non c’è
effetto senza causa. Invano un autorevolissimo
183
Parlamento potrebbe promulgare una legge per decretare
che da quel momento in poi la parte è più grande del
tutto. Ciò non potrebbe cambiare la realtà. E quando
l’uomo non esisteva ancora sulla terra, tali verità erano
già in vigore, e là dove attualmente non c’è ancora uomo,
esse sono in vigore. Si tratta di verità eterne, che non
dipendono dall’uomo.
Ma da chi dipendono? Dall’universo? Certamente
no, poiché queste verità resteranno tali anche quando il
sole, la luna ed il mondo intero saranno scomparsi. Molti
scienziati lavorano allo studio delle leggi della natura, e
classificano sistematicamente le leggi che reggono
l’universo: ma non sono loro che hanno creato le leggi.
Queste non vengono dallo studio e dalla ragione umana.
La ragione umana constata soltanto lo stato delle cose.
Non c’è che una risposta possibile; bisogna che ci sia
qualcuno al di sopra degli uomini, del mondo, dello
spazio e del tempo, dal quale provengono e dipendono
tali verità, bisogna che in qualche parte ci sia una
sorgente di verità, una verità eterna: Dio.
2) Noi non dobbiamo far altro che entrare nella
strada che conduce alla verità, e camminarvi
instancabilmente, anche se questo deve durare anni e
anni: e quando saremo arrivati alla sorgente della verità,
incontreremo Dio. Anche se il cammino dovesse durare
venticinque anni! Dico venticinque perché un gran
convertito, Chesterton, per venticinque anni ha cercato
questa verità. E finalmente l’ha trovata.
184
E devo dirvi in quale curioso modo l’ha trovata? Da
venticinque anni il geniale scrittore G. K. Chesterton
capeggiava la lotta contro la religione cattolica. Come
scrisse egli stesso, era un affiliato alle teorie atee che
l’ultimo secolo ci aveva tramandato, e si era messo in
cammino per trovare la verità. Egli esaminò a fondi tutti
gl’idoli dell’età moderna. Cominciò dalla ragione. Studiò
i razionalisti più vicini a lui che non credevano ad altro
che a sé stessi. E scoprì che l’uomo non può vivere
unicamente della ragione; che sono colpiti di malattia
mentale non solo quelli che hanno perduto la ragione, ma
quelli che hanno perduto tutto, salvo la ragione. Notò che
quelli il cui cuore è duro come una pietra, finiscono con
un rammollimento cerebrale. La prima scoperta dello
scrittore fu dunque questa: a lato di ciascun peso bisogna
mettere un contrappeso, il cuore a lato della ragione.
Dopo la ragione egli esaminò il cuore dell’uomo
moderno e la sua morale; dopo la morale, le grandi
parole d’evoluzione e di progresso e, quando finalmente
egli esaurì gli argomenti propostisi, gli venne per la prima
volta l’idea: “Forse la religione cattolica è stata
condannata a torto, perché se questa fede si combatte con
argomenti così contraddittori, bisogna che sia cosa ben
straordinaria. È pur vero che esiste da diciannove secoli, e
secondo i suoi nemici, sarebbe falsa in ogni suo punto. È
dunque un gran miracolo che possa sussistere. E piano
piano, il nostro scrittore con la ricerca della verità,
continuando a riflettere, giunse alle porte della verità
cristiana. Cominciò ad esaminare gli argomenti presentati
contro il cristianesimo e gli uomini che li utilizzavano, e
con sua gran sorpresa scoprì che in ogni accusa ed in ogni
accusatore c’erano tracce di malattia, decadenza o
185
anormalità. Continuò le sue riflessioni: “Immagino di
conoscere un uomo sul quale mi si riferiscono le cose più
contraddittorie. I giganti dicono che è un nano, ed i
piccoli dicono che è un gigante. I grossi lo trovano magro,
ed i magri troppo grosso. Per i biondi svedesi è un negro,
e per i negri è un biondo. E la causa di ciò? È certo che
quest’uomo singolare è normalissimo, e che sono
anormali coloro che trovano in lui qualche cosa da
ridire”.
E così, fratelli miei, quel grande scrittore giunse con
questo metodo forse un po’ curioso, alla Chiesa Cattolica,
e vi entrò con la sua sposa; e dall’allora, ripetete in
ginocchio: Mio Signore e mio Dio!
Ecco come l’anima che cerca la verità, arriva alla
sorgente della verità. Verità... verità... quali reclute tu fai
per la fede in Dio!
B. La perfetta felicità
L’anima umana non solo cerca la verità ma nella
stessa misura: 1) la felicità; 2) quella felicità che trova solo
in Dio.
1) L’uomo cerca la felicità
a) L’uccello deve volare, il pesce nuotare e così
l’uomo corre dietro la felicità!
186
In questa vita però nessuno può essere pienamente
felice. Io non esagero, fratelli miei: nessuno.
C’è chi pensa che il denaro possa fare la felicità, e si
butta anima e corpo a dargli la caccia; chi crede invece
che sia la gloria, la reputazione a darla e non pensa altro
che a conseguirle. C’è chi cerca la felicità nella scienza,
chi nella potenza, chi nel piacere, e tutti, a modo loro, si
sforzano di procurarsela. Qualcuno forse dirà: “Ma il
denaro rende veramente felici”. Risponderò con un
nome: Ford. Chi non conosce il nome di quest’uomo, uno
fra i più ricchi del mondo? E avete anche letto ciò che ha
scritto della sua ricchezza? “La ricchezza eccessiva rende
inquieti e malcontenti”19. Ecco ciò che dice un uomo
d’affari, e certamente merita credito.
“Ma i piaceri, le distrazioni, i divertimenti rendono
certamente felici”, pensa qualcun altro. Esaminiamo
allora il gaudente. È forse felice? Ogni giorno dopo
pranzo va al cinema, poi cena ed esce per il teatro... A
notte inoltrata lo troviamo nei bar, nelle sale da ballo... in
luoghi biasimevoli. Così le sue giornate si chiudono nel
disgusto, nella nausea, nella noia, nella fredda solitudine
dell’anima.
Jörgensen ieri era uno scrittore che “viveva la vita,
incredulo, darvinista e decadente”. Provò tutte le gioie
della vita, e le trovò insufficienti e ingannatrici. “Tutto è
retorica e doratura”, scrisse “una vernice poetica sul volto
avvizzito del peccato”. E dopo tante malsane esperienze,
arrivò a questa riflessione: “L’uomo vuole essere felice. Lo
187
19 HENRY FORD, America, 1929, N. di Agosto 1929
vuole. Bisogna che lo sia. La natura ha scritto in noi
questa volontà. Anch’io ho voluto essere felice. Mi sono
liberato da tutte le leggi morali, ma la felicità non l’ho
trovata. Allora pensai ciò che lbsen aveva detto: non può
farci felici che la menzogna”.
“La misura era colma”, continua Jörgensen:
“nessuno al mondo ha visto che una qualunque creatura
abbia bisogno della menzogna per poter vivere. Ogni
pianta, ogni animale, tutto ciò che vive, vive di verità, ed
è felice solo per la forza della verità. Se nel più piccolo
degli animali ci fosse un solo istinto che gli facesse cercare
una cosa che non esiste, quell’animale sarebbe votato alla
morte. Solo l’uomo avrebbe necessità della menzogna per
poter vivere? No, non lo credo” esclamò Jörgensen. E
cercò la felicità fino a quando non la trovò. La trovò
presso Dio, per molto tempo negato, misconosciuto,
abbandonato. In seguito divenne un cattolico, ed un
cattolico innamorato di San Francesco. Ecco come il
desiderio della felicità recluta amici a Dio.
b) Ma continuiamo la nostra idea. Tutti sono nati per
la felicità e vogliono essere felici. Mi guardo attorno e
guardo lontano, e ahimè! Che spettacolo terribile mi si
presenta davanti! Lo spettacolo terrificante della
rettitudine perseguitata e del peccato trionfante. Ah! la
vita è crudele e piena di dissonanze. Colma di dolori, di
sofferenze, di privazioni, che spesso colpiscono proprio i
migliori. I migliori, perché la loro onestà e le loro
convinzioni morali li distolgono dalle disonestà che non
permettono d’avanzare che alle coscienze elastiche.
188
Davanti a queste ingiustizie dalla voce acuta, non ci
sono che due uscite. Una è il pessimismo desolante, lo
sconforto che conduce al suicidio. “Le cose sono così, e
così resteranno perché tutto il mondo è cattivo”. L’altra
uscita, l’unica, è la soluzione appurata “C’e un Dio che
ha promulgato la legge, e non osserva inattivo alla sua
trasgressione. C’è un Dio che, dopo le numerose
sofferenze ingiustificate dei combattimenti terrestri,
attende l’eroe vittorioso con queste parole: Io sono il tuo
scudo; la tua ricompensa sarà molto grande (Gen 15, 1).
Ma questo, solo se c'è un Dio.
Quali enigmi angosciosi, quali domande strazianti
assalgono le anime, anche le migliori, anche le più
religiose! Ci sono delle ore in cui l’ombra del dubbio
sorge pauroso davanti ai nostri occhi: Perché il mondo
esiste? Da dove viene e dove va? Di certo allora non c’è
altra risposta: bisogna che uno scopo ci sia, ed è Dio, che
è il principio e la fine di tutto.
Ci sono anche altri dubbi. Quante ingiustizie, quante
rinunce, sofferenze e violenze!
E la risposta è: ognuno avrà il suo avere al cospetto di
Dio. E la mia solitudine spirituale, l’assenza di pace, la
coscienza dei miei peccati! La risposta è: Tutto si
aggiusterà davanti a Dio. È vero che la sofferenza, la
miseria, la sfortuna, l’intera vita umana sono dei grandi
misteri... e la sola soluzione di questo grande mistero è
Dio.
189
c) Ed ora tiriamo la conclusione. L’uomo vuole essere
felice, ma sulla terra non può trovare felicità.
Non è solo la Sacra Scrittura che proclama: vanità
delle vanità: tutto è vanità (Qo 1, 2), ma ancora fra i Greci,
Sofocle, noto per la sua esaltazione della gioia di vivere,
nell’Edipo fa cantare il coro così: “Il meglio, non è
nascere: ma morire dopo essere nato”.
Questo accento di rassegnazione malinconica, è una
prova clamorosa che il mondo è incapace di dare
all’uomo una felicità perfetta e pacifica, ma è altresì una
prova dell’esattezza dell’affermazione di Dante: “In Dio
solo si può trovare il dolce frutto che si cerca invano su
tanti alberi e rami”.
Infatti il mondo promette molto, ma poi non
mantiene la parola. Dipinge davanti a noi le immagini
della gioia ma poi restiamo sempre delusi dalle sue
promesse ingannevoli e fallaci. E la delusione è il solo
vero tesoro che il mondo può dare, visto che almeno
questa dirige la nostra anima assetata di gioia verso
l’unica sorgente della gioia duratura, Dio. È in Dio che si
trova la felicità; poiché Dio non ha bisogno di nessuno,
mentre tutti noi abbiamo bisogno di Lui, ed é in Lui, che
un giorno, la nostra anima che aspira alla felicità, troverà
la realizzazione di tutti i suoi desideri.
Dove altrimenti l’uomo troverebbe la felicità
perfetta?
Dove trovare la felicità? In nessun luogo. Ecco la
tragicità del nostro destino. In fondo alla nostra anima
190
arde il desiderio inesauribile di una vita più felice, ma è
un’immagine fittizia, un miraggio, un’aspirazione che non
sarà mai appagata. C’è chi pensa così, e noi non abbiamo
il diritto di passare oltre senza rispondere a simili penosi
lamenti.
Si, fratelli miei, sarebbe terribile, se realmente le cose
fossero così, se non avesse fondamento la mia convinzione
che mi fa uscire dalla materia; la mia aspirazione ad una
felicità perfetta.
Io navigo sul mare. Venite a me, fratelli miei. Voi che
disperate, mettetevi accanto a me sul ponte della nave.
Come le onde si sollevano maestosamente intorno a noi!
E che spettacolo grandioso! Non dimentichiamolo. Tutto
il mare, tutte le onde sono costituite da miliardi di gocce
d’acqua che si mescolano le une alle altre, e di cui
l’oceano ignora la grandezza e la bellezza. L’oceano non
lo sa, ma io lo so. Io sono dunque più dell’oceano.
Sopra il nostro capo si spiega il cielo stellato, con i
suoi astri numerosissimi. Quale dolce e poetica
commozione si desta in me!... ma soltanto in me. Perché il
cielo non è che un complesso di corpi luminosi, roteanti
l’uno accanto all’altro, senza conoscersi fra di essi, che
non sanno nulla della loro bellezza, della loro perfezione;
ma io lo so. Io sono dunque più del cielo stellato.
Il mondo che mi circonda è magnifico, ma è soltanto
materia. È magnifico fin nei minimi particolari, ma non
sono altro che materia. Si compone di milioni di
molecole, atomi, elettroni, ma questi elementi non sanno
nulla gli uni degli altri. Tu solo, uomo, puoi riflettere su te
191
stesso e conoscerti. Tu sai che, nonostante la tua
piccolezza, puoi sprigionare dal tuo intimo qualcosa che
abbraccia gli astri e misura l’oceano. E perché tu
soltanto? Perché non sei soltanto materia come il cielo, gli
astri, il mare, ma qualcosa di immateriale riunisce gli
atomi del tuo corpo e li anima. E la cosa per la quale ti
conosci e nello stesso tempo può percorrere il mondo con
un colpo d’ala, la cosa a cui tu domandi consiglio e parli e
nel segreto della quale nessuno può entrare se tu non lo
permetti, non è materia. È incomparabilmente più e più
alta della materia: tu solo puoi dominarla.
Non è strano fratelli miei, che i miei occhi,
qualunque sia l’attrazione esercitata su di essi dalla terra,
si volgano sempre al cielo, non è strano che i nostri
sguardi frughino sempre le altezze, perché sentiamo di
essere qualcosa di più del mondo intero, sentiamo che,
dopo questa vita terrestre, diventeremo cittadini di un
regno migliore. Potrei quasi dire che l’uomo cerca
istintivamente il Dio capace di dare la felicità, che noi
abbiamo un’inclinazione naturale che ci porta verso il
Dio datore d’ogni gioia.
Ora, direte voi, che il desiderio della felicità deposto
in noi dalla natura è senza scopo, senza oggetto, che in
nessuna parte trova la sua realizzazione?
È ciò che io non credo. Non lo credo, perché la
natura non si trastulla con noi, e, quando ci mette in
cuore un desiderio, ce ne assicura la realizzazione.
Almeno noi vediamo compiersi questo, dovunque;
saremo delusi solamente in questo caso? La natura ci ha
192
dato gli occhi, ma altresì ci ha dato la luce; ci ha dato le
orecchie, ed altresì delle melodie; ingannerebbe soltanto
quando ci dà altra sete, la sete della felicità e non la
felicita?
La natura ha creato il leone, ma ha anche creato per
lui la carne della gazzella, ha creato l’aquila, ma ha
creato anche la roccia per il suo nido; nell’eventualità in
cui nel mondo non vi fossero che erbe o topaie, la natura
non avrebbe creato né il leone, né l’aquila. Ora, la natura
avrebbe fatto un’eccezione unicamente per l’uomo?
Avrebbe messo solamente in noi il desiderio della felicità
perfetta, per non darci che delle sue misere contraffazioni
e le vanità della terra? No. Se una creatura vivente
arrivasse da Marte volando, noi arriveremmo alla
conclusione che in Marte c'è la possibilità di volare.
Analogamente, quando nella nostra anima sentiamo
spiegarsi le ali che la rapiscono alle altezze, dobbiamo
ammettere che certamente c’è un Dio infinito verso il
quale le ali vogliono sollevare l’uomo.
Accostando all’orecchio una conchiglia marina, si
ode un mormorio confuso. Si dice che è il rumore delle
onde, dalle quali la conchiglia nasce. Parimenti quando si
ascoltano le voci del profondo, della nostra anima; pare
ne esali un misterioso sospiro, un desiderio segreto. È la
voce di Dio infinito, dal Quale la nostra anima è uscita,
ed al Quale desidera tornare.
* * *
Fratelli miei, la prima risposta del catechismo, pone
l’uomo davanti al problema più angoscioso: Perché siamo
193
in questo mondo? L’incredulità ha una risposta
soddisfacente e confortante, dalla quale irraggiano la
forza di vivere e l’energia dell’azione?
Intorno a noi tutto passa e precipita alla rovina: la
foglia appassisce, l’animale muore, l’uomo muore, il sole
si raffredda. E questo ultimo istante inesorabile e
distruttore insinua nelle nostre anime la domanda: Perché
tutto ciò?
Perché vivo? Perché l’umanità è vissuta? Perché tante
sofferenze, lacrime, dolori, preoccupazioni? Ecco la
terribile domanda alla quale l’incredulità non può
rispondere. Vedete la risposta degli antichi savi, e vedete
quella dei filosofi moderni: bancarotta totale, fallimento
totale dell’incredulità.
Io vi domando dunque di scegliere: o credo che c’è
un Dio, o credo che non ci sia; o credo che c’è un altro
mondo, o credo che tutto finisce con la morte. O credo
che c’è una felicità eterna, o credo che il desiderio della
felicità è in noi un istinto cieco e senza scopo. Bisogna
scegliere: e che scegliete voi? Il mattino lieto di sole, o la
notte senza stelle? Il calore che dà vita, o il freddo che dà
morte?
Io, per mio conto, ho già scelto.
Io credo perché... perché non voglio impazzire.
Credo, perché non posso ammettere che ci sia un
principio senza una fine, un viaggio senza meta.
194
Credo perché non posso pensare che ci sia una
gemma senza fiore e frutto, un desiderio senza
realizzazione.
In me vive il desiderio della felicità, e credo che sarà
appagato nel regno di Dio infinitamente buono che mi
accorderà ciò a cui aspiro.
195
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14/03/2011 09:07
 
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XIV. C’è un Dio?
La risposta dell’umanità
Un periodico settimanale straniero, tempo fa,
riportava una notizia caratteristica dell’Unione Sovietica.
In sé la cosa sembra senza importanza, ma se la ricordo
qui, è perché comprende il concetto fondamentale che
intendo ora esporre.
E assai conosciuta l’opera diabolica che i sovietici
compirono, specie nella persecuzione religiosa in Russia.
Dopo che il disgraziato popolo russo perse tranquillità,
pane e beni, si tentò di rubare il suo ultimo tesoro: la fede.
La guerra contro Dio incalzò con furore infernale. Si
arrivò, addirittura, a editare un “Indice” speciale,
catalogo di libri proibiti. E sapete quali furono i tre libri
in testa a tutti gli altri, e considerati quindi come i più
pericolosi per l’umanità?: Il Vangelo, il Corano e il
Talmud.
Gruppi di propagandisti percorrevano il paese e
predicano l’ateismo più grossolano. Chi voleva vivere,
mangiare, chi aspirava ad un posto, doveva rinnegare
Dio. È uno di questi casi che il settimanale in questione
evocava. Un giovane comunista subisce un esame sulla
maturità politica:
- Cos’é Dio? Gli domanda il presidente.
- Dio non è altro che una storia, risponde il ragazzo.
- Bene. Cos’è la religione?
196
- La religione e l’oppio dei popoli.
- Bene. A cosa serve la Chiesa?
- A sfruttare i poveri.
- Benissimo. Tu hai risposto bene.
- Grazie, mio Dio! Esclama con gioia il giovane,
facendo tre volte il segno della croce.
Tale è il racconto del giornale che racchiude, fratelli
miei, il tema che ora voglio trattare. Come deve essere
vera la fede in Dio, perché la tirannia più brutale non
possa strapparla dall’uomo! Per avere del pane, per poter
respirare, per avere il diritto di vivere, quel ragazzo è
obbligato a mentire: “Dio non c’è”; ma appena è lasciato
a sé stesso, rivolge istintivamente il pensiero al Signore ed
esclama: “Grazie, o mio Dio”.
Bisogna che ci sia un Dio, perché noi non potremmo
altrimenti spiegare come l’umanità senta la Sua assenza,
al punto da non poterla assolutamente sopportare.
Cerchiamo quindi di spiegare oggi queste due idee:
A. L’umanità sente l’assenza di Dio
Io credo che sulla terra non esiste un solo uomo che
sia soddisfatto dello stato attuale del mondo. Tutti
proclamano che bisogna aspettare tempi migliori visto
197
che oggi, l’umanità è in preda ad un male fondamentale
ed essenziale.
Di cosa dunque noi soffriamo? Le opinioni divergono
fortemente già su questa prima constatazione. Qualcuno
attribuisce il malessere attuale al fatto che la ricchezza
non è più ripartita equamente fra gli uomini, altri al
disprezzo vicendevole che le classi sociali hanno fra loro,
chi alla negligenza degli Stati nei riguardi dei loro soggetti
a l t r i a n c o r a a l l a n e g l i g e n z a d e i c i t t a d i n i
nell’adempimento dei loro doveri. Gli operai si
lamentano dei capitalisti, i capitalisti degli operai. I vecchi
deplorano i giovani, i giovani, il loro educatore.
A tutte queste recriminazioni non si può rispondere
che una cosa sola: il male più grande non sta qui. Le
lamentele su esposte non sono altro che il segno, il
sintomo della vera malattia, non la malattia in sé stessa.
Questa, infatti, si trova nel fatto che il pensiero dell’uomo
e la sua vita si sono distolti da Dio; l’umanità strappata
dal suo suolo vitale, non trova più pace né riposo.
Mi pare che questa mia affermazione abbia un’aria,
come dire, troppo teologica. Cerchiamo quindi di
analizzarla più a fondo, per vedere se la cosa sta
veramente così come dico.
1) Affermo dunque che la nostra prima
insoddisfazione è data dal fatto che il nostro pensiero si è
allontanato da Dio.
a) Da quando l’uomo vive sulla terra, mai come
adesso, ha prodotto tanto lavoro intellettuale. Quanti libri
198
si pubblicano, quante riviste, quante scuole si aprono e
fioriscono, quanti laboratori, musei, biblioteche! Le
scoperte si susseguono le une alle altre, un’ipotesi ne
scaccia un’altra, ed una teoria prende il primato sulle
precedenti; tuttavia, cosa vediamo continuamente? che
questo lavoro febbrile non produce alcun beneficio per
l’umanità. Oggi noi sappiamo cento volte più cose dei
nostri predecessori di cinquant’anni fa, ma siamo più
felici di loro? Più nervosi sì, questo è indubbio: più
inquieti, è altrettanto certo. Ma noi siamo più lieti, più
felici di vivere, più energici? Chi oserebbe rispondere
affermativamente?
b) Ma se la nostra scienza immensamente accresciuta
non ci rende più felici, dobbiamo arrivare alla
conclusione che la scienza in sé stessa non è alimento
sufficiente all’anima umana. Se l’uomo non avesse altro
che lo stomaco, lo soddisferebbe anche solo con un piatto
di cucina scelta, se fosse composto di solo cervello, gli
basterebbero studio e scienza. L’uomo però è più di uno
stomaco e più di un cervello, quindi anche se s’imbottisce
di scienza, a questo nutrimento manca una vitamina, la
cui mancanza produce disordini nel suo organismo. Con
la nostra scienza siamo arrivati a conoscere gli astri del
cielo, le forze segrete della natura, gli elettroni costitutivi
della materia, ma ci siamo disinteressati di due domande
essenziali: da dove viene tutto ciò? E dove va?
Un simile modo di concepire le cose inaridisce tutti
gli elementi di ogni manifestazione dell’anima umana, li
misura con esperienze da laboratorio, li classifica, li
analizza; soltanto dopo tante ricerche, analisi e
classificazioni, non osa confessare che rimane sempre
199
qualcosa che non si può né afferrare, né misurare e che
noi cristiani definiamo “anima”.
Attenendosi alle prime fonti, un tale modo di
pensare, mostra la storia dei secoli passati, indicando lo
svolgersi degli avvenimenti considerando soltanto gli
elementi culturali ed economici che hanno formato la
storia stessa. E dopo tante spiegazioni non osa
riconoscere che resta ancora un fattore sconosciuto, il
quale ha diretto chiaramente e visibilmente lo sviluppo
dell’umanità, e che noi cristiani chiamiamo a giusto titolo
la “Divina Provvidenza”.
Pensare in questo modo, ispira volumi interi sullo
Stato, la società, il diritto, la morale, ma non arrischia a
riconoscere che il suo faticoso lavoro non dà l’avvio ad
alcun beneficio, perché non osa proiettare sui problemi
angosciosi di questa vita transitoria i raggi luminosi di
Dio eterno.
Per comprendere la vita Dio solo che dà la luce, è per
Lui che la storia del mondo diventa intelligibile, è solo su
Lui che la morale riposa come su una roccia, è Lui solo
che protegge il diritto contro la forza, e l’opera gigantesca
del pensiero umano contro l’insuccesso.
Bisogna dunque che ci sia un Dio, poiché l’umanità
sente tanto la sua assenza, e la sua assenza priva del
premio l’attività più vigorosa.
2) Non è solo il pensiero che si allontana da Dio, ma
piuttosto ne seguono un fallimento morale ed una
bancarotta totale.
200
a) Osservate cosa l’uomo moderno che si è scostato
da Dio, pensa della vita. Qual’é il suo desiderio? Viverla
bene. Ma che cosa s’intende con questo? C’è chi crede
che vivere bene la vita vuol dire avere molto denaro, chi
divertirsi molto, chi avere un posto di comando, chi
mangiare bene: ed il risultato?
Il risultato però è avvilente. Gli uomini non possono
vivere in pace gli uni con gli altri. Spariscono le giuste
definizioni di carattere, fedeltà, onestà, moralità, purezza.
Dall’oggi al domani la parola data non ha più valore, non
è più cosa sacra, e non è più sacro il giuramento, ed il
focolare domestico non è più un santuario. Chi non tocca
il denaro di altri, pur avendo la possibilità di farlo, è
considerato un ingenuo, e chi conduce una vita morale e
casta, è visto come un masochista, che si tortura
volontariamente.
Lo Stato in ogni caso fa quel che può: quando mai ci
sono state tante scuole come adesso? Quando mai si sono
scritte tante opere pedagogiche come oggi? quando sono
state aperte tante tipografie, biblioteche, musei, università
“templi della scienza”? L’umanità però è sempre più
affaticata, scontenta e desolata. Che cosa abbiamo
dimenticato, cosa ci manca?
b) L’uomo moderno ha tutto... solamente non ha
Dio, e poiché non ha Dio, non ha nulla. Noi abbiamo
Dio, crediamo in Dio, vogliamo vivere onestamente
secondo le sue leggi... e tuttavia anche per noi la vita è
penosa ed esige una continua lotta.
201
Possiamo attenderci allora, da una generazione che
non conosce Dio, che sia onesta e morale?
Oggi non si sente parlare che della decadenza della
civiltà europea, dell’annientamento prossimo delle
nazioni europee, tanto che non si può passare con una
scrollata di spalle davanti al pericolo che ci minaccia. I
popoli europei hanno avuto per mille e cinquecento anni
una funzione di comando nel mondo: ora, si sente dire
continuamente che camminano verso la rovina.
Quale può essere la causa di tutto questo? La causa
di questa crisi dell’Europa? Come mai i popoli hanno
perso il gusto della vita? Come mai in Europa, ogni
undici minuti, una persona muore suicida? Come mai la
vita famigliare è sul punto di essere definitivamente
distrutta? Non si può attribuire tutto questo a ragioni
economiche ed alla miseria materiale.
Non c’è altra spiegazione al di fuori di questa: il
nichilismo morale che in questo periodo impera ed
attacca le basi vitali dei popoli, è causato dal fatto che la
fede in Dio è scossa. Il bolscevismo morale si propaga
presso i popoli la cui fede sparisce. Si è verificata
pienamente l’affermazione di Platone “è più facile
costruire una città nelle nuvole, che governare un popolo
senza religione”. Così come quella di Chateaubriand
“Distruggete il culto del Vangelo, ed in ogni villaggio ci
vorranno prigioni e carnefici”. E quella di Napoleone
“Un popolo che non ha religione non può essere
governato che con i fucili”. Nonché l’affermazione di
Schiller: “se in uno Stato la religione tentenna, essa non
tentenna sola. Con essa pericolano tutte le colonne della
202
società: autorità, rispetto delle leggi, disciplina, onestà e
moralità”. Bisogna che ci sia un Dio, perché se non vi
fosse, non si potrebbe veramente comprendere come
l’ateismo produca tali profonde devastazioni nella vita
dell’umanità.
B. L’umanità non può sopportare
la mancanza di Dio
1) L’anima umana si trova in presenza di un
problema che l’ha sempre preoccupata, e non la lascerà
mai in riposo finché vivrà una creatura sulla terra, e tale
problema è il mistero di Dio. Nessun uomo vide mai Dio,
e tuttavia non c’è uomo che non si sia un giorno
incontrato con il mistero di Dio, e non si è trovato
obbligato a prendere posizione su tale argomento.
Al mondo non c’è uomo che non cerchi Dio. C’è chi
Lo cerca dietro le stelle, chi nelle forze della natura, chi fa
di Lui l’anima incosciente dell’universo. C’è chi adora
Dio e chi Lo bestemmia. C’è chi s’inchina dinanzi a Lui e
chi Gli si gira... ma nessuno riesce a scartarlo con una
semplice negazione. L’ateo stesso, che odia Dio, non lo
può scartare, perché l’inutilità della propria vita ed il
vuoto glaciale della propria anima sono testimonianza
involontaria della Sua esistenza.
2) Spesso noi sentiamo questa recriminazione
“viviamo in un mondo d’increduli”, ma non è che una
faccia della medaglia. Sul rovescio si trova la ricerca
febbrile delle verità religiose da parte dell’anima umana.
203
Viviamo davvero in un mondo d’increduli?
La molteplicità delle religioni non lo dimostra.
Questa ricerca inquieta ed incessante di Dio
dimostra che l’umanità non sopporta un universo senza
di Lui. Le numerose sedute spiritiche, la teosofia,
l’antroposofia, lo studio febbrile dei fenomeni mistici e
occulti dimostrano il contrario. Viviamo in un mondo
d’increduli. Le ridicole, aberrazioni della vita moderna
dicono di no.
Nel 1929, a Parigi, la città capostipite
dell’illuminismo incredulo fu pubblicata una curiosa
statistica: il numero di indovini, cartomanti, astrologhi,
chiromanti e specialisti di scienze occulte arrivavano a
34.000...
Viviamo in un mondo incredulo? L’annuario dei
telefoni di New York non lo dimostra.
Scorretelo, e guardate la lista delle professioni:
accanto ai macellai, ai tappezzieri, agli elettricisti,
troverete la rubrica “Indovini ed Indovine”.
Viviamo in un mondo incredulo? I vetri delle
automobili dicono il contrario. C’è un autista che arrischi
a mettersi in strada senza aver attaccato al vetro
posteriore dell’auto un talismano, feticcio o bambola
imbottita? Un’industria speciale vive confezionando
portafortuna. Era frequente fra i piloti, nei primi anni di
voli transatlantici, il portare una scimmia, un canarino,
un piccolo cane...
204
Domando dunque ancora una volta: Viviamo noi in
un mondo incredulo? La vita moderna prova il contrario.
Prova piuttosto che non sopporta a lungo l’incredulità
dell’anima umana ed ha bisogno di una fede qualunque,
e chi non accetta il Simbolo degli Apostoli deve credere a
delle sciocchezze ridicole. Prova che chi perde la fede non
diventa incredulo, ma credulone. Prova che, quando
l’uomo non ha religione, la sola che può fornirgli un
ideale degno di lui, si crea, degli idoli indegni dell’uomo
stesso.
La vita umana prova quindi questa verità: Bisogna
che ci sia un Dio, altrimenti, non si potrebbe
comprendere come mai l’uomo non ne possa sopportare
l’assenza.
* * *
Fratelli miei, nel corso dei secoli molti hanno cercato
di cancellare il nome di Dio dal dizionario dell’umanità,
ma non ci sono mai riusciti.
Voltaire nel 1753 gridò al mondo: Dio é morto. Voi
ed io l’abbiamo ucciso.
Le crudeli follie della rivoluzione francese
soppressero il calendario cristiano, cambiarono il nome
dei mesi, e sotto l’ombra della ghigliottina nel 1793 si fece
votare su questa domanda “C’è un Dio?” e tra la folla
spaurita, stordita e cieca, si trovò soltanto una povera
vecchia che levò il suo braccio tremante in favore di Dio:
“Per Dio, per Dio!”. Una sola voce per Dio; tutte le altre,
contro. E la vita si svolse senza Dio. Si rubò, si assassinò,
si saccheggiò, si sgozzò, finché una mattina nelle strade di
205
Parigi apparvero dei manifesti, i manifesti di Robespierre:
“Il popolo francese crede in Dio!”.
Lo stesso, dopo queste esperienze, arrivano i sovietici
a ricominciare da capo. Proibito esporre alle vetrine,
articoli statuette, oggetti richiamanti il Natale. In tutto il
paese, dileggiarono opuscoli, films, produzioni teatrali che
attaccarono le idee evocate dalla festa del Natale.
In un giorno di Natale una banda di giovani è
entrata nelle Chiese gettandosi contro i fedeli, e nelle
case, per strappare dai muri le Sacre immagini per poi
bruciarle solennemente nelle vie. Nei giorni di Natale,
nel 1931 in Russia, 579 chiese furono chiuse. Gli operai di
Mosca dovettero rispondere ad un questionario: “Siete
per Dio o contro Dio?”. Nella parte superiore del
questionario però era stampato “Chi è dalla parte di Dio
è traditore dei Soviet”. E per coronare la loro opera, si
sono dati come parola d’ordine che “nel 1932 non ci
saranno più chiese in Russia”. Ciò è avvenuto nella nostra
Europa.
I malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio,
ingannando gli altri e ingannati essi stessi (2Tm 3, 13). Invano
avete fatto tanto spiegamento di forze. Avete lavorato
male.
C’è un solo modo per cancellare il nome di Dio:
creare un’altra umanità, fabbricare altri uomini. Altri
uomini senz’occhi per vedere, senz’anima e senza cuore;
perché, finché la stirpe degli uomini vivrà sulla terra (i cui
occhi brillano contemplando le bellezze dell’immenso
universo, la cui coscienza comprende senza imposizione
206
la voce dell’ordine morale, il cui cuore soffre nell’oscurità
delle amarezze della vita, e sospira dietro la sorgente della
verità e della felicità perfetta), resterà vera la parola dei
Libri Santi nei riguardi di Dio: “Migliaia e migliaia lo
servono, decine di migliaia e decine di migliaia stanno
dinanzi a Lui “ (Dn 7, 10).
Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza
al nostro Dio nei secoli dei secoli (Ap 7, 12).
207
XV. È necessario che io creda in Dio
Subito dopo la morte di uno dei più noti uomini
politici francesi, il vecchio Presidente del Consiglio,
Clemenceau che, a giusto titolo era stato soprannominato
“la tigre”, apparve una fiumana d’articoli e memorie sulla
sua vita e la sua opera; in questa valanga di ricordi, un
piccolo episodio m’impressionò particolarmente. Lessi
che un pittore aveva voluto ritrarre il Presidente, ma dopo
la terza seduta di posa rinunciò al compito.
“Ciò non poteva andare”, raccontò più tardi ad un
amico. “C’era un muro fra noi. Tutti i suoi lineamenti, in
casa, si contraevano.... Non saprei, sembrava di bronzo.
Un bel mattino piantai tutto in asso. Quell’uomo non
credeva in Dio... provatevi di conseguenza a fare il
ritratto di un uomo simile!”. Ed il tono della sua voce era
lamentoso.
Fratelli miei, l’artista lasciò la tela incompiuta: lui
non poteva ritrarre quell’uomo che rinnegava Dio;
perché ciò che ci fa veramente uomini, è la fede in Dio.
Chi non crede in Dio, non può essere un uomo creato ad
immagine Sua, manca l’armonia fra la sua fronte ed il
resto del viso, il suo profilo sarebbe quello di un uomo,
ma dietro la fronte, il cervello nega ciò che ci eleva al di
sopra del bruto: la rassomiglianza con Dio.
Da quando ho letto l’aneddoto, un pensiero non mi
dà pace. È dunque per questo che la nobiltà dei
lineamenti umani sparisce sempre di più dal viso degli
uomini d’oggi? L’impronta divina va svanendo. È
208
necessario credere in Dio perché, non solo non si può
dipingere l’immagine dell’uomo che non crede in Dio,
ma chi non crede in Dio non può condurre vita
“pienamente” umana. Ed è questa la sintesi degli
argomenti esposti fin qui, e che obbligano l’uomo a
credere in Dio.
A. La ragione mi obbliga a credere in Dio
Chi nega l’esistenza di Dio, agisce: ingiustamente ed
irragionevolmente.
1) Agisce ingiustamente senza dubbio, ma chi vuole a
qualunque costo chiudere gli occhi, può farlo.
Intorno a lui ruotano nello spazio a velocità
vertiginosa milioni d’astri e, scrollando le spalle dinanzi a
quest’universale armonia lui può dire: “Si, è così, ma che
cosa me ne importa?”.
Intorno a lui il regno delle ammirabili leggi del
mondo organico ed inorganico può proclamare ad alta
voce la saggezza del Creatore e lui può dire con una
scrollata di spalle: “è così, così, ma che me ne importa?”.
Egli può guardare le meraviglie incomparabili del
corpo umano, ove ogni battito del cuore pubblica il
mistero di una saggezza sovrumana; e può dire scrollando
le spalle: “ Si, è così, ma che me ne importa?”.
209
Tale indifferenza è il più grande dei pericoli per la
fede di molti.
Nei giorni dell’ebbrezza del successo, Napoleone
dimenticò Dio: ma quando nella solitudine nel carcere
dell’isola di Sant’Elena ebbe il tempo di riflettere, la sua
anima si aprì alla fede, ed amò intrattenersi su argomenti
religiosi.
Uno de suoi, il generale Bertrand, pensava altrimenti
e gli diceva: “Cos’è Dio? Ed infine, l’avete voi mai visto?”.
L’imperatore rispondeva: “Neanche il mio genio voi avete
veduto, e tuttavia, a seguito delle mie vittorie, voi credeste
in me e mi esaltaste; cosa sono le mie vittorie al confronto
delle opere dell’Onnipotente? Cosa sono i miei più
brillanti fatti d’arme al confronto del moto delle stelle? Se
voi, mirando le azioni di un uomo, concludete in favore
del suo genio che pur non vedete, perché non volete, dalle
opere grandiose del creato, concludere in favore di Dio
Creatore?”.
È così, fratelli miei. Io posso veder Dio benissimo
attraverso la mia ragione ed il mio cuore: attraverso la
mia ragione che dai molteplici fenomeni dell’universo,
giunge all’esistenza di Dio, ed attraverso il mio cuore che
dallo stretto quadro delle temporanee gioie terrene, sale
alla sorgente della felicità inestinguibile, Dio.
E se qualcuno allontana da Dio il suo cuore e la sua
ragione, le tenebre dell’ateismo lo avvolgono, perché lui
non ha più il mezzo di sentir Dio; può essere per le
scienze e le arti un uomo coltissimo ed abile, ma ha perso
il senso di Dio.
210
Vorrei spiegare con un paragone ciò che ho detto. Il
sole, brillante e caldo irraggia luce e calore. Come so che
c’é un sole? Ma il mio occhio ben vede la luce, ed il mio
senso termico percepisce il calore. Supponiamo che questi
miei due sensi spariscano: nel medesimo istante
sparirebbe per me il sole, ed io negherei che esso esiste?
Ho le mie orecchie, ma esse nulla mi dicono del sole:
né nulla mi dicono i sensi del gusto, del tatto. Uno degli
scienziati americani più noti nelle scienze fisiche, nel suo
tempo, Roberto Andrea Millikan, insignito del premio
Nobel, aveva scritto nei riguardi della fede e della scienza:
“Non c’è alcuna ragione scientifica per rigettare la fede.
Colui che non sa far accordare la fede e la scienza, non
può prendersela che con sé stesso. Io posso affermare
categoricamente che la negazione della fede è sprovvista
di ogni base scientifica. A mio avviso, non c’è ragione di
divorzio fra le due”.
Queste parole significano dunque questo, che chi si
dice incredulo ed invoca in appoggio della sua incredulità
le ricerche scientifiche, è nel torto.
2) Ma noi abbiamo detto ancora che chi che nega
l’esistenza di Dio, non solo ha torto nel farlo, ma agisce
contro ragione.
Agisce irragionevolmente, perché l’uomo non può
vivere senza la fede. L’uomo d’oggi sviscera tutte le
questioni in nome della scienza, ma non va molto
lontano. Non sa, ignora, ciò che si cela aldilà dei limiti
conosciuti dell’universo, e ciò che si nasconde dentro di sé
stesso, nel fondo del suo “io”, il sentimento della
211
responsabilità, ignora ciò che fa di uno un eroe e di un
altro un disgraziato, e ciò che avverrà dopo la nostra
morte. A tutte queste questioni egli può rispondere: e
tuttavia esse sono tutte di un’importanza capitale per la
nostra vita.
La fede sola ha la risposta: non già su tutto quello che
noi vorremmo sapere; ma ciò che essa dice, è chiaro ed
incoraggiante. I dogmi della fede si drizzano come una
roccia nella tempesta. Tenerci su una roccia in piena
tempesta è certamente un compito penoso, ma, chi é
sballottato sulle onde schiumanti, amerebbe certamente
di più trovarsi su una roccia solida.
“Io non ho bisogno di dogma. Mi bastano le mie idee
particolari sul mondo”. Ah, voi non sapete ciò che è un
dogma. Voi non conoscete lo sviamento penoso di quelli
che vivono senza dogma, senza fede. Voi non avete
bisogno di dogma! Preferite dunque la nebbia al sole.
Preferite vagare alla ventura che camminare con la
bussola.
Volete solo “sapere”, e non “credere”. Non avete
bisogno della fede. Tuttavia sappiate che anche
l’incredulo ha un simbolo: solamente che non comincia
con un “Credo in Dio... Credum in unum Deum...”, ma con
un “Credo omnia incredibilia... Credo a tutte le cose
incredibili”.
Sappiate che l’incredulo è obbligato a credere a cose
ben più difficili di quelle confermate nel Simbolo
Cristiano. Anche nell’incredulo c’è la fede: soltanto essa si
muta in aceto, mentre la fede del credente è vino puro.
212
Ma, aceto e vino proclamano ugualmente che dev’esserci
in qualche parte una vite: e l’incredulo ed il credente
proclamano che bisogna che ci sia un Dio.
Si, per stupefacente che questo sembri, anche gli
increduli hanno il loro credo. E che dice il loro simbolo?
“Io credo che Dio non c’è, e che tutto questo
meraviglioso universo con le sue leggi sublimi, il suo
ordine, la sua bellezza è l’opera di un caso cieco. Una
rotella d’orologio, la punta di una matita non provengono
dal caso, ma io credo che questo magnifico universo si è
fatto da solo”.
“Io credo che Gesù Cristo non sia mai vissuto, e se è
vissuto, non era Dio ma uomo soltanto, e non mi stupisco
che tuttavia milioni e miliardi d’uomini si siano
inginocchiati e ancora s’inginocchiano dinanzi a Lui, e
non lo dimenticano”.
“Io credo che tutto finisca dopo questa vita terrena, e
che dopo la tomba non ci sia nulla, quantunque la mia
ragione, il mio cuore e la convinzione in tutti i tempi
dell’umanità intera insorgano contro questa idea”.
Ecco qualcuno degli articoli del credo degli increduli.
Per credere a tutte queste impossibilità non ci vuole più
fede che a credere nel Simbolo cristiano?
E proseguo più avanti ancora: La vita umana
migliora e diventa più facile praticando l’incredulità? È
alleviato il peso della sofferenza, le lacrime sono
rasciugate? Si diventa moralmente più forti?
213
Ed ecco un’altra idea che ho svolta in una predica
speciale: non è solo la mia ragione, è anche la mia
coscienza morale che mi obbliga a credere in Dio.
B. Il senso morale mi obbliga a credere in Dio
1) L’Odissea è una dell’epopea dell’antico popolo
greco, e nello stesso tempo uno dei capolavori della
letteratura universale. Il suo eroe, Ulisse, è sballottato sui
flutti per anni e anni, ed ogni volta che egli invia i suoi
compagni in ricognizione all’approdo di una riva
sconosciuta, dà loro una curiosa indicazione: “Esaminate
bene se gli abitanti onorano o disprezzano gli dei. Se li
onorano sono uomini nobili e buoni, se li disprezzano
sono crudeli” (Odissea IX, 174).
Ciò che Ulisse sperimentò migliaia d’anni fa, è verità
ancora oggi. L’uomo ha sempre creduto e, d’altra parte,
la sua moralità, la sua gioia di vivere si sono sempre
nutrite della fede in Dio. Non solo non c’è mai stata
un’umanità senza Dio, ma, se essa di Dio volesse liberarsi,
la sua bancarotta morale sarebbe inevitabile.
Forza di resistenza nella tentazione e coscienza di
dignità umana, nel lavoro infaticabile, solo la fede in Dio
può darcele. Può avanzare a testa alta dinanzi agli uomini
solo chi la inchina dinanzi a Dio.
“Chi non ha Dio per Padrone, ha molti padroni”
dice un vecchio proverbio, e la vita intellettuale moderna
conferma quest’affermazione: quale incertezza segue
214
sulle vie della vita la rovina della fede, quale debolezza sul
terreno morale! Io non sosterrò, fratelli miei, che un
individuo o un popolo che ha perduto la fede perderà
immediatamente del pari la moralità: ma affermo che,
con la perdita della fede, comincia la disgregazione che
conduce alla rovina. Quando il sole tramonta, la notte
non cade immediatamente, ma comincia il crepuscolo.
2) Ma sul terreno morale s'incontra un fenomeno
curioso che mostra come l’anima umana è penetrata
dalla fede in Dio.
In coloro stessi che si proclamano increduli, la vita e
le idee morali sono piene di cose che non trovano la loro
spiegazione altro che nella fede; cosa prova tale fatto?
Prova che la natura umana protesta con tutte le sue forze
contro l’incredulità, per un istinto profondo e sano.
Non citerò che un esempio. Il cannibalismo è
condannato con orrore da tutto il mondo. Tuttavia solo
l’uomo che ha la fede, ha il diritto d'indignarsene. Per
qual diritto se ne indignerebbe l’ateo? Poiché per lui
l’uomo non è che animale. E se qualcuno preferisce la
carne umana al pollo arrosto... ebbene, che c’è di male in
questo?
Si, se Dio non c’è, l’uomo é soltanto un animale: e se
è animale, non c’è nulla di rivoltante nel suo eventuale
cannibalismo. Quali impossibili idee deve ammettere chi
vuole essere un vero adepto dell’ateismo! La ragione
umana e la morale umana obbligano, ugualmente a
credere in Dio.
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Ma una terza forza ci obbliga del pari a questa
credenza: il dolore.
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14/03/2011 09:08
 
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C. La sofferenza obbliga a credere
1) L’ora della sofferenza! L’ora in cui si darebbe
volentieri tutta la propria scienza per una piccola
consolazione: l’ora in cui le lacrime tracciano solchi
amari sul nostro viso ed il nostro cuore minaccia di
spezzarsi; l’ora in cui si vede chiara la verità, che l’uomo
non può sopportare l’assenza di Dio.
Le gravi realtà della vita aprono gli occhi anche a
quelli che rimangono dinanzi a Dio in una comoda
pigrizia. Sotto questo punto di vista è ben interessante la
constatazione del celebre esploratore Stanley: “Nelle
solitudini dell’Africa la religione ha messo nella mia
anima così profonde radici, che essa è diventata per me
una guida ed un indicatore spirituale. Non si possono fare
veri e sostanziali progressi che aiutati da convinzioni
religiose, senza le quali ciò che chiamiamo progresso è
cosa vuota ed effimera. Senza la fede in Dio si è
trasportati sul mate delle incertezze”.
2) Le sofferenze, le disgrazie, le malattie, i dolori
percuotono ugualmente il credente e l’incredulo, ma con
quale differenza nell’attitudine dell’uno e dell’altro!
L’incredulo chiude i pugni in un gesto impotente contro
la crudeltà della sorte, oppure si chiude in una
rassegnazione muta, in mezzo a pene che gli sembrano
immeritate.
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In modo diverso soffre il credente. Chi soffrì più di
San Paolo? E chi l’ha inteso lamentarsene? Piangere? Noi
leggiamo che il suo cuore sofferente era inondato di
gratitudine verso Dio consolatore: Sia benedetto Dio, Padre
del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni
consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione (II Cor 1,
3-4). È vero le sue sofferenze furono immense, ma le
consolazioni furono ancora più grandi. Sono pieno di
consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione (II Cor 7,
4).
La vita certe volte, riunisce insieme uomini dalle idee
diametralmente opposte: credenti e increduli, e talvolta è
accaduto che in certi momenti di pacifica conversazione,
dalle labbra dell’incredulo sia uscita la confessione:
“Invidio la tua fede... chi crede dev’essere ben felice!”.
Ed ora aggiungo a questa confessione quella di un
illustre scrittore, ritenuto felice da tutto il mondo e
favorito dalla fortuna, Goethe, che, in una conversazione
con Eckerman, il 27 gennaio 1824, diceva che nei suoi
settantacinque anni di vita, non era stato felice quattro
settimane, ed in una delle sue opere descrive in termini
commoventi il suo stato d’anima “Mi sento come un
sorcio che ha mangiato del veleno: corre a ficcarsi in tutti
i buchi, beve tutti i liquidi, divora tutto ciò che trova sulla
sua strada, ma non può spegnere il fuoco che lo divora
dentro”20.
Come è vero il proverbio russo: “Si può vivere senza
padre e senza madre, non si può vivere senza Dio!”
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20 GOETHE, Opere, edizione di Weimar, tomo II, p. 293
Fratelli miei, la religione ha molti nemici, ma essa ha
dalla sua parte due sostegni possenti che loro non
potranno mai abbattere. Essi sono: La grandezza
dell’uomo di cui la religione sola può soddisfare le alte
aspirazioni; la piccolezza, l’impotenza, i dolori dell’uomo,
a cui la religione sola può portare una consolazione.
Finché vi saranno sulla terra dei cuori umani presi da alte
idealità che sentono la piccolezza delle limitazioni della
materia, finché ci saranno cuori umani spezzati e feriti ed
annientati dalla sofferenza, i nemici della religione non
riporteranno giammai vittoria.
Voglio ancora esporre un altro argomento che
obbliga a credere in Dio.
D. La sana ragione mi obbliga a credere in Dio
1) E qui non parlo solo nel senso figurato della
parola, ma nel senso proprio.
La fede in Dio non può essere strappata all’uomo,
perché, per farlo, bisognerebbe strappare in lui qualcosa
del suo più intimo essere, la religione appartiene all’uomo
tutto intero. La religione è, per gli uomini dal cervello
sano, la superstizione è per gli uomini dal cervello malato,
l’incredulità è per gli uomini che non hanno cervello.
E perciò vediamo che, quando qualcuno vuol farsi
apostolo della fede in Dio, non ha null’altro da fare che
lasciare l’uomo alle conclusioni della sua sana ragione: al
contrario, se qualcuno vuole estirpare la fede in Dio, può,
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se crede, caricare i fucili e inventare i mezzi di tortura più
raffinati, la fede in Dio fiorirà sempre più rigogliosa sulle
tombe arrossate di sangue innocente.
2) Naturalmente la credenza in Dio appartiene
ancora più alla salute dell’anima umana, all’integrità
dell’anima.
Indubbiamente, sarebbe il fenomeno più
incomprensibile e più incredibile della storia
dell’umanità, che l’uomo, dacché vive sulla terra, abbia
sempre creduto in Dio, abbia sempre reso un culto a Dio,
se Dio non ci fosse. Tutti i sacrifici pagani, tutti i templi,
tutti gli altari parlano di Lui. Tutte le mani giunte in
preghiera, tutte le campane squillanti, tutte le cerimonie
liturgiche parlano di Dio; tutti i cuori vittoriosi sulla
tentazione, tutti i nobili slanci della nostra anima parlano
di Dio: e Dio non ci sarebbe?
È sufficiente pensare a ciò che la civiltà umana
diventerebbe senza Dio. Quale miseria si abbatterebbe
sull’uomo! Dove avrebbero trovato il concetto basilare dei
loro capolavori Omero e Virgilio, senza le leggende
pagane sugli dei? La poesia di David, senza il culto
divino? Dante, Lopez de Vega, il Tasso, senza il
cristianesimo? L’arte gotica, senza i motivi suggeriti dalla
fede?
Togliete all’umanità la fede in Dio, e tutti i suoi
pensieri: la sua storia e la faccia stessa della terra
sarebbero cambiate. Chi può comprendere questo?
Comprendere come al mondo non ci sono né tiranni, né
carnefici, né forche, né patiboli che possano strappare la
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fede in Dio dall’anima dell’umanità? Spiegateci questo,
dateci una risposta... E non c’è altra risposta che questa:
Io credo in Dio, ed e necessario che veramente ci sia un
Dio.
* * *
Mentre esaminiamo le strade che conducono a Dio,
dovremmo nello stesso tempo guardare quelle che ci
allontanano da Lui.
Le strade che allontanano da Dio! Ai primi passi
sono strade piacevoli e facili: vie soleggiate, abbellite di
fiori inebrianti, ornate di tutte le bellezze ingannatrici del
peccato. Ma, man mano che si prosegue, la strada diventa
sempre più difficile: il sole si abbassa, il crepuscolo
comincia, i fiori appassiscono, le pietre del cammino
feriscono il piede, le forze fisiche e morali sperperate
svaniscono, e finalmente non si può più avanzare se non
strisciando attraverso paludi pestilenziali.
E le strade che conducono a Dio! Sul principio il
sentiero è dirupato e duro, faticosa è l’ascesa e vecchi
ricordi attirano indietro verso l’abisso. Ma poi, man mano
che si avanza, il cammino si fa più facile, la regione più
bella, e la veduta intorno magnifica... e finalmente
l’anima sembra volare sempre più alto come se avesse le
ali.
Fate attenzione, fratelli miei, e sappiate scegliere la
vostra strada. Quale prenderete voi? Quella che a Dio
conduce, o quella che da Dio si allontana? Abbiate il
coraggio di seguire con fermezza eroica la prima, e issare
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vittoriosamente sulla barca della vostra vita la bandiera di
una fede invitta.
Ho ricevuto la fede cristiana dai miei antenati, come
una sacra eredità: ed é per ciò che la stimo e vi rimango
fedele con pio e forte amore. Ma il suo primo dogma “Io
credo in Dio”, l’ho approfondito al lume della mia
ragione, ed ora, con incrollabile convinzione, affermo al
cospetto del mondo: La mia ragione, il mio cuore, la mia
anima, la mia logica, le mie aspirazioni spirituali, la verità
e la felicità che sospiro, esigono che io creda, giacché non
vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è
stabilito che noi siamo salvati (At 4, 12) che il nome benedetto
del nostro Dio.
A.M.D.G
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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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