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Ultimo Aggiornamento: 18/03/2024 12:24
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02/07/2011 13:10
 
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Jim, la leggenda che non vuole morire


Ventisette anni di vita,quaranta di enigmi:la fine del cantante dei Doors è un caso ancora apertoPIERO NEGRI

Da quarant’anni Jim Morrison non riposa in pace al cimitero del Père Lachaise, a Parigi. Lo piangono in tanti, in troppi, in pubblico, scrivendo libri e girando film, avverando così l’epigrafe che i suoi genitori hanno aggiunto pochi anni fa sulla sua tomba: «Nel segno del suo demone».

James Douglas Morrison, per tutti Jim, cantante dei Doors, autore di tutti i testi del gruppo, morì il 3 luglio del 1971 a Parigi. A 27 anni. E qui finiscono le certezze. I documenti parlano di arresto cardiaco, ma che cosa o chi abbia fermato il suo cuore, nessuno lo sa con certezza.

La fidanzata di sempre, Pamela Courson, disse di averlo ritrovato senza vita nella vasca da bagno dell’appartamento che condividevano in Rue de Beautreillis, al Marais. Poi ereditò tutti i suoi averi, e cioè i diritti d’autore delle canzoni dei Doors, litigò con i superstiti del gruppo e con il resto del mondo, visse in isolamento altri tre anni e finì per morire di overdose sul divano di casa, a Los Angeles. A 27 anni. Un vicino di casa raccontò di averle sentito dire, negli ultimi giorni, che presto avrebbe visto Jim, e pensò che stesse delirando.

Bisogna allora credere a Sam Bernett, che in quel 1971 aveva appena abbandonato il mestiere di giornalista per aprire un locale a Saint-Germain-des-Prés, il Rock And Roll Circus, e che a ricordare (e a raccontare) i dettagli della morte di Morrison ha impiegato esattamente 36 anni?

Solo nel 2007 la versione di Bernett finì in un libro, lanciato da un’intervista al giornale inglese «Mail On Sunday» in cui diceva di aver visto Jim Morrison anche la notte tra il 2 e il 3 luglio, seduto al bar con due tipi che «facevano gli spacciatori, e che tutti conoscevano. Jim era venuto al Rock And Roll Circus a comprare eroina per la sua fidanzata Pamela».

Dovette esserci un cambio di programma, quella sera, perché alcune ore dopo Bernett sarebbe stato chiamato ad abbattere la porta di una toilette, bloccata dall’interno. Fu quello il luogo della fine di Jim Morrison, secondo lui: «Lo riconobbi subito per la giacca militare e gli stivali comprati in Camargue da cui non si separava mai. Era lui, la testa tra le ginocchia, le braccia lungo il corpo. Era morto, decisamente. Doveva essersi sniffato l’eroina, perché dalla bocca uscivano schiuma e sangue».

Sarebbero stati i due spacciatori a trasportare il corpo del cantante all’appartamento di Rue de Beautreillis e a immergerlo nella vasca da bagno, dopo aver minacciato tutti i possibili testimoni. Un dettaglio, un’inezia? In fondo, che importanza ha, sapere dove è morto per davvero Jim Morrison? Ma allora perché nessuno pensò di fargli un’autopsia? Perché fu sepolto al Père Lachaise in tutta fretta, e al funerale parteciparono meno di dieci persone e nessun parente, alimentando così le immancabili voci su una morte finta, una messa in scena e una fuga alle Seychelles, dove tre anni dopo l’avrebbe raggiunto Pamela?

Le risposte, come sempre, vanno cercate nella vita, più che nella morte. Jim Morrison era arrivato a Parigi nel marzo del 1971, tre mesi dopo l’ultimo concerto con i Doors. Il 12 dicembre 1970, quattro giorni dopo aver compiuto 27 anni, a New Orleans aveva avuto un crollo nervoso, dal vivo, in pubblico. A metà concerto aveva preso a sbattere il microfono sulle assi del palcoscenico fino a distruggerlo e si era rifiutato di continuare a cantare.

«Sapevo che la vita pubblica della band era finita. Vedevo un vecchio, triste cantante di blues che un tempo era stato formidabile ma che ora non era più in grado di farcela», scriverà poi John Densmore, il batterista dei Doors, ricordando quella sera nel suo libro di ricordi «Riders On The Storm», appena uscito in Italia.

I Doors ebbero appena il tempo di finire «L.A. Woman», il loro sesto album, prima che Morrison se ne partisse per Parigi, dove già viveva Pamela e dove avrebbe provato a cambiare vita. Ingrassato, imbolsito, con la barba lunga e gli occhi spenti, nelle foto di quei mesi sembrava invecchiato, improvvisamente, di anni.

Non ci voleva uno psicologo per capire che non ce la faceva più a reggere la parte che la storia e il talentogli avevano assegnato, quella della rockstar tormentata e maledetta, l’artista della parola che vive ed espone al pubblico ogni suo tormento, ogni desiderio, l’agnello di Dio che assume su di sé i peccati del mondo e li redime incidendoli nei dischi e nella propria carne.

Jim Morrison voleva scomparire, scrivere poesie e nascondersi al mondo, quando, nel marzo del 1971, se ne andò a Parigi. Dove nessuno lo riconosceva per strada e nessuno gli chiedeva di essere il portavoce di una generazione. Dove avrebbe potuto inseguire il sogno dell’adolescenza e trasformarsi nell’Arthur Rimbaud del XX secolo, il poeta della sregolatezza dei sensi, il veggente, il viaggiatore. «Non ha fatto altro che viaggiare terribilmente e morire giovanissimo», aveva scritto di lui Paul Verlaine.

lastmapa.it
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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