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Scienza

Ultimo Aggiornamento: 06/06/2023 11:32
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25/03/2011 13:05
 
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Quei manga "apocalittici"
figli dell'angoscia atomica giapponese


In molti fumetti e cartoni animati gli eroi rappresentano una sfida alla fragilità di un Paese che, dopo Hiroshima e Nagasaki, convive con il senso della precarietà.
Godzilla nacque come simbolo della distruzione delle bombe all'idrogeno


HONG KONG
Da quel nefasto agosto del 1945, quando gli Stati Uniti decisero di sganciare due bombe atomiche contro Hiroshima e Nagasaki (due città che contavano alcune industrie belliche, ma che erano popolate principalmente da civili, in un Paese allo stremo e prossimo alla resa), lo choc nucleare ha scavato solchi profondi nella psiche giapponese.

Da allora, il filone narrativo apocalittico, che seduce senz’altro anche ad altre latitudini, ha assunto contorni più immediati, in un certo senso familiari, capaci di fare appello a un sentimento di unità davanti a tragedie portentose, come quella, terribile, che il Giappone si ritrova ad affrontare in questi giorni. Un pericolo tante volte immaginato divenuto d’un tratto quasi reale, riecheggiato ogni giorno nei surreali bollettini delle radiazioni pubblicati dalle autorità nazionali e ritrasmessi tutta la giornata dai media, qualcosa che quasi suo malgrado rimanda ad ogni momento all’immaginazione della catastrofe.
Il primo a inserirsi in questo percorso narrativo è stato senz’altro Godzilla (Gojira, secondo la pronuncia giapponese del mostro verde-nero internazionalmente noto), «nato» nel 1954 da un disastro nucleare proprio nello stesso anno in cui un nuovo, vero incidente atomico angosciò il Giappone. Nel 1954, infatti, quando gli Stati Uniti testarono nell’atollo di Bikini una nuova arma all’idrogeno, che si rivelò essere molto più potente del previsto, un peschereccio giapponese si ritrovò invischiato in una nuvola radioattiva, e l’intero equipaggio riportò gravissimi danni di salute. Aikichi Kuboyama, l’addetto ai controlli radio della nave da pesca, morì per le conseguenze delle radiazioni sette mesi dopo ­ un mese prima che «Godzilla» facesse il suo esordio sugli schermi giapponesi.

Ishiro Honda, il creatore del mostro verde-nero, aveva immaginato la sua creatura come il simbolo delle armi nucleari, per quanto con il passare degli anni, e con i film successivi, il mostro divenne sempre meno temibile, e in alcuni casi persino capace di combattere dalla parte dei «buoni». Ma nella sua prima incarnazione, ad ogni colpo di coda e ad ogni pestare delle enormi zampe, Godzilla trasmetteva al Giappone un senso costante di fragilità: collana di isole costantemente scosse da terremoti, minacciata da tsunami e ancora sotto choc per la distruzione portata dalla guerra nella quale si era follemente lanciato.
Questa percezione del disastro possibile, della tragedia dietro l’angolo non venne cancellata nemmeno negli anni di incredibile boom economico: anzi, proprio ad allora risalgono alcune delle anime (disegni animati) e manga (fumetti) «apocalittici» più famosi.

«Akira», uno degli «cartoni» più affascinanti della vasta produzione giapponese, di nuovo presenta una metropoli ­ Tokyo ­ che deve riprendere il cammino dopo essere stata immobilizzata da un’esplosione nucleare. Qui, l’alba post-atomica è stata scatenata da un ragazzino di nome Akira che si ritrova dotato di poteri sovrannaturali e distruttivi dopo aver subito degli esperimenti militari governativi sulla pelle.

Perfino le famose Tartarughe Ninja dei cartoni animati, creature ben più recenti, sono «figlie» di un'esplosione nucleare, anche se in questo caso le radiazioni hanno accresciuto i poteri e modificato il comportamento delle testuggini animate (e diventate anche film), tramutandole in soldati che si battono contro i «cattivi», e per la vittoria del «bene».

Gli esempi proseguono: Nausicaa e la Vallata del vento, del prodigioso Hayao Miyazaki (fondatore dello Studio Ghibli) è di nuovo il racconto di un mondo post-atomico, così come lo è il Pugno della Stella del Nord (Toei Animation). Tutte creazioni che parlano di un senso di precarietà permanente, di una volontà costante di ricostruzione, e di una capacità di tramutare tali tensioni in opere narrative e artistiche di ampia suggestione.


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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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