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RIFLESSIONI E COMMENTI BIBLICI (vol.2)

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2011 10:21
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07/03/2011 08:45
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
L'infedeltà dei prediletti

Il buon Dio compie un atto di grande fiducia quando ci affida qualcosa di particolarmente prezioso per lui e di grandissima utilità per noi. I vignaioli della parabola odierna rappresentano innanzitutto una categoria di privilegiati, a cui il Signore ha affidato non una bella vigna, curata con la migliore solerzia, ma lo stesso suo popolo, amato e prediletto. Gesù sta evidentemente parlando dei capi religiosi del suo tempo e proietta la sua visione nella storia passata e futura. Vuole quindi coinvolgere tutti coloro, che scelti per essere guide sicure, hanno il privilegio e il compito di essere per tutti di fulgido esempio e di insegnare con la forza della parola di Dio e con l'esempio di una vita integra. L'infedeltà a tale compito è evidentemente di una particolare gravità: non solo si viene meno ad un mandato personale, frutto di una privilegio e di una predilezione, ma si coinvolge negli stessi errori molti altri, che anziché essere indotti al bene e alla verità, vengono trascinati nel male e nell'errore. Vengono disattesi perfino i frequenti richiami divini, anzi, l'apparente lontananza del Signore, accresce, non l'impegno e lo zelo, ma la più spavalda rilassatezza. Si giunge fino a far tacere le voci di coloro che in nome di Dio, lanciano i loro doverosi e pressanti richiami. Gesù così apostrofa la città santa in preda alla corruzione: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!". Non c'è condanna peggiore del nascondimento di Dio dalla nostra vita. Non c'è amarezza più grande.per chi è in grado di comprenderlo, che dover costatare la perdita di un amore gratuito per una colpa contro quello stesso amore. Dio è costretto a dare al altri il compito e la missione che noi non abbiamo saputo adempiere: è il peggiore fallimento della vita. Noi ministri per primi, ogni fedele, si sente coinvolto in questa storia dove amore ed infedeltà s'intrecciano, dove la predilezione divina può diventare per l'umana perversione, motivo di ribellione, dove i beni di Dio li trafughiamo a nostro uso e consumo personale, dimenticandone la vera finalità. La reazione degli scribi e dei farisei è ancora assurda e perversa, la nostra sia una umile e fervente invocazione alla misericordia divina.

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09/03/2011 08:15
 
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padre Gian Franco Scarpitta
Convertirci per Dio e per gli altri

Nelle scorse settimane Superiore Provinciale della Provincia dei Minimi a cui appartengo, che ha trascorso un periodo missione in Congo per finalità catechetiche e formative, comunicandoci una lettera di saluti ci descriveva lo stato di serenità e di gioia di un popolo che, pur non disponendo di tutte quelle sicurezze materiali di cui noi facciamo anche abuso, vive la continua solidarietà reciproca per la quale ci si aiuta gli uni gli altri, condividendo insieme le poche risorse che si possiedono. Famiglie bisognose che vivono di stenti, aiutano coloro che soffrono disagi più gravi. Mi ha dato molto da pensare l'esperienza descritta dal nostro Superiore Maggiore considerando quanto sia marcata la differenza che intercorre fra noi ricchi Europei e le popolazioni in via di sviluppo in fatto di fede e di testimonianza evangelica: laddove si è abbacinati dall'opulenza economica e dalle false ricchezze e il superfluo diventa essenziale, si omette di considerare il bene a volte immeritato di cui si dispone e non di rado si trovano ridicoli pretesti per chiuderci ai reali bisogni di tanta gente che versando in serie difficoltà economiche nulla chiede per una forma di umiltà, rispetto o dignità personale, sempre pronta non di rado ad aiutare chi è più povero di loro.
E' lodevole che le nostre parrocchie si industrino ad organizzare iniziative a favore dei terremotati ad Haiti o in Abruzzo, ma è anche vero che non di rado il nostro presunto perbenismo borghese ci induce ad usare indifferenza o refrattarietà nei confronti di tanti indigenti che vivono a pochi passi da noi e verso i quali ci si limita magari a donare solo il superfluo, fatti salvi i nostri capricci commerciali.
Mi sovviene considerare che determinati fenomeni del tipo sopra descritto impongono l'urgenza e l'improcrastinabilità della Quaresima seria e fondata per ciascuno di noi, perché se la Quaresima vuol dire conversione, cosa comporta un tale itinerario spirituale se non la conseguenza di una sincera carità operosa innanzitutto fra di noi, quindi verso gli altri? Non c'è penitenza o pratica ascetica che sia accetta davanti a Dio quando non sia finalizzata all'amore al prossimo e qualsiasi rinuncia o digiuno non assume valore se non viene accompagnato dalle opere di carità a sostegno dei poveri e degli indigenti ed è disdicevole che molte volte anche noi sacerdoti parliamo di povertà evangelica quando altri, nella miseria e nell'abbandono, ci danno esempio concreto di serenità e di amore.
Proprio in questo periodo Benedetto XVI, nel suo messaggio in occasione della Quaresima 2010, ci ricorda che la vera ingiustizia non proviene dall'esterno ma ha origini dal cuore dell'uomo: sentimenti di ripulsa e di distanza che scaturiscono dalla nostra presunzione e dalla superbia tante volte foraggiata dal presunto successo economico sono spesso alla radice di conflitti e di odio che serpeggia attorno a noi. La vera giustizia consiste invece nell'apertura verso il povero, il forestiero, l'orfano e la vedova, cioè tutte quelle categorie che il pontefice delinea dall'Antico Testamento ma che ancora oggi sussistono nella persona degli indigenti, degli esclusi, degli emarginati e i "dimenticati" dalla società: sebbene sia tante volte difficile individuarli convivono con noi e formano il tessuto della nostra vita comune.
La vera giustizia ha origine da Dio, che nel suo Figlio ci ha giusitificati, cioè ci ha resi giusti per mezzo del sangue sparso sulla croce. Nel patibolo sofferto per noi, Dio in Cristo ha fatto in modo che noi, ingiusti e immeritori, ottenessimo insomma tutte quelle condizioni per le quali possiamo adesso qualificarci "giusti" davanti a lui. Per il suo sangue siamo stati resi salvi.
Più espressivo è a tal proposito l'insegnamento di Giovanni: "In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione dei nostri peccati." (1Gv 4, 9 - 10). In conseguenza di questa giustificazione, sempre l'apostolo Giovanni ci invita a praticare la giustizia per essere davvero figli di Dio, il che non è altro che vivere l'amore sincero e disinteressato verso i fratelli nella concretezza della carità effettiva, considerando che chi non ama resta nella morte e che l'amore non ha mai fatto male al prossimo e pienezza della Legge è l'amore (Rm 13, 10).
Ebbene, la Quaresima in ultima analisi non è che questo: l'accoglienza di questo dono di grazia che Dio ha voluto concederci nella croce del suo Figlio, che è espressione completa ed esaustiva dell'amore per noi; il lasciarci coinvolgere dal mistero stesso dell'amore che ci avvince nell'evento caratterizzato dalla verità che si racchiude nella sola persona di Gesù Cristo Figlio di Dio e questi crocifisso; nell'immedesimarci in questo mistero, farlo nostro, coglierne tutta la portata e corrispondervi con la nostra adesione attraverso un processo graduale ma deciso di conversione Colui che per primo ha voluto prediligerci nonostante le nostre colpe. Se Dio egli per primo si è manifestato a noi e a noi si è "convertito" mostrandoci tutto il suo amore di misericordia e di riscatto nella croce del suo Figlio, cercando egli stesso la comunione con noi peccatori, da parte nostra non possiamo che corrispondere a tanta gratuità operando un itinerario di radicale trasformazione interiore che abbia di mira il nostro emendamento a partire dal radicale cambiamento del cuore, della mentalità e dei costumi per orientarci secondo la volontà di Dio abbandonando il compromesso con il male e con il peccato. Come afferma Vanoye in un suo commento spirituale su Paolo, Dio si comporta nei nostri riguardi come se fosse stato lui ad offenderci: viene a cercarci per ripristinare la comunione che noi abbiamo rotto con lui in seguito al peccato e di questa sollecitudine di grazia è massima espressione l'avvenimento del Golgota, dove Dio consegna se stesso in riscatto dell'umanità e come afferma Ratzinger si realizza la vera Rivelazione definitiva di Dio: nella croce Dio svela se stesso definitivamente mostrando il suo vero volto, quello dell'Amore che avrebbe dell'assurdo se non trovasse giustificazione nella gratuità di Dio. Insomma, Dio Amore si rivela nell'evento della croce come Colui che per primo realizza la propria riconciliazione con noi. E' Dio che si riconcilia per primo con noi pagando sulla croce il prezzo del nostro riscatto e rendendoci appunto "giusti", cioè degni della sua presenza e della sua misericordia; ma attende anche che da parte nostra ci si decida risolutamente per lui. In conseguenza dell'amore del Crocifisso non ci resta allora che convertirci a nostra volta, cioè aderire allo stesso amore; significa convincerci dell'inutilità del peccato e della sua incompatibilità con la nostra volontà di liberazione e di emancipazione per la vita; orientarci all'accoglienza dell'amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato sempre per mezzo del Figlio (Rm 5, 5), conformaci alle aspettative di questo amore e assumere i punti di vista di Dio. Ma tutto questo processo resta sterile e infecondo se non sfocia nelle opere dell'amore vicendevole, nella carità operosa ed effettiva, perché il Regno di Dio non consiste in parole, ma in opere (1 Cor 4, 19) a sostegno soprattutto dei più deboli e degli emarginati. Anzi proprio la carità che scaturisce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (1 Tm 1, 5) è segno di avvenuta conversione come assunzione della familiarità piena con Dio e della convinzione che tutto quanto noi possediamo lo dobbiamo a lui: convertirsi vuol dire infatti aver fatto esperienza dell' amore infinito di Dio e saperlo estendere agli altri con la concretizzazione delle opere.
Oggi cominciamo di fatto un itinerario liturgico che deve tuttavia rappresentare la nostra dinamica cristiana di tutta la vita e lo iniziamo con un gesto emblematico che ci ravvisa che il nostro dover essere per Dio e per gli altri comporta che noi ci riteniamo nulla, insignificanti elementi provvisori destinati a confonderci con la polvere: la cenere posa sul capo ci ravvisa infatti la nostra vanità davanti a Dio e pertanto la consapevolezza di dover smentire noi stessi perché la conversione a lui si realizzi progressivamente e impregni tutta la nostra vita. Come affermava nella sua triplice espressione Sant'Agostino, l'umiltà è la caratteristica fondante di ogni atteggiamento cristiano, perché solo in ragione di essa è possibile attribuire il primato di Dio nella nostra vita e vedere lo stesso Dio negli altri. Anche il digiuno e l'astinenza sono di ausilio alla rinuncia a noi stessi per l'esaltazione dello spirito nella comunione con Dio, ma non possiamo non osservare come le nostre mortificazioni corporali non sono diverse da tante altre in uso nella nostra civiltà (c'è chi digiuna più alacremente, anche per motivi politici) quando non evincano la trasparenza seria della nostra ricerca di Dio soprattutto trasformandosi in veri atti di amore al prossimo.

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11/03/2011 08:13
 
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Eremo San Biagio
Commento su Is 58,6-7

Dalla Parola del giorno
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire chi è nudo?

Come vivere questa Parola?
Già nel Primo Testamento, i profeti erano ispirati da Dio nell’annunciare la sua volontà, nell’intuirne il messaggio più profondo.
Nel brano odierno, Isaia denuncia la falsa autenticità di preghiera e di astinenze in cui l'esteriorità e la superficialità non esprimono un vero desiderio di Dio, e nascondono ingiustizie sociali. Occorre sensibilità nei confronti dei poveri e degli indigenti per essere esauditi dal Padre: "Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli ti dirà: Eccomi, se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio" Dio è sempre vicino al penitente umile, coraggioso e leale, che invoca: Signore, sciogli le mie catene inique.
Sappiamo che il digiuno e l'astinenza della carne sono pratiche universali, seguite da tutte le religioni fin dai tempi più antichi, e valide anche oggi. I Musulmani, per esempio, fanno digiuno nei giorni del Ramadan, durante il quale non mangiano, né bevono, fino allo spuntar del sole.
Sempre di più, e per diversi motivi, le persone si impongono qualche forma di digiuno come mezzo adatto per controllarsi, e dominarsi. È pure apprezzato dagli sportivi.
Per i cristiani è un atto di purificazione. Anche quest’anno, la comunità ecclesiale, attraverso il messaggio del Papa in occasione della Quaresima, ha colto il vero significato del digiuno e delle pratiche ascetiche, con un riferimento a Cristo e un orientamento di solidarietà. Tale è la prospettiva di una santità evangelica, che si alimenta della Parola di Dio. Il legame con Cristo Salvatore è il punto di partenza per un impegno morale autenticamente evangelico. Da qui nascono, di conseguenza, comportamenti sociali e tanti gesti eroici, per esempio: Teresa di Calcutta, Massimiliano Kolbe, fino ai tanti altri odierni martiri e testimoni che non hanno esitato a scegliere sempre i valori essenziali.

Nei momenti di silenzio di oggi, mi domanderò: Qual è la forma di digiuno che pratico? E se non ne pratico nessuna, qual è la forma che potrei praticare? Il digiuno, come può aiutarmi a prepararmi meglio per la festa della pasqua? E chiederò allo Spirito di illuminare la mia mente e la mia vita per seguire la via del Signore.

Dal Salmo 50
Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato.

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14/03/2011 08:56
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Al cospetto del Signore

La Quaresima ci invita oggi a rivolgere il nostro sguardo alla mèta definitiva della vita umana, alla vita eterna. Alla fine dei tempi Gesù Cristo sarà giudice glorioso di tutti gli uomini. Allora si rivelerà la sua signoria piena, ora manifestata solo in maniera velata. Il giudizio sul comportamento di ognuno di noi sarà emesso in base a quello che avremo fatto a Lui, nella persona del nostro prossimo, soprattutto dei più piccoli tra i suoi e nostri fratelli. Nell’Antico Testamento Dio parla così: “Io sono il Signore…”. Egli mette avanti la sua autorità e domanda di respingere dal nostro cuore ogni malvagità: è già la strada della carità evangelica. Dio cioè esige la giustizia che è la prima tappa della carità e l’esige con la sua autorità. Dal Levitico al Vangelo di Matteo, ci troviamo in un altro mondo ma con la stessa legge dell’amore. Gesù non parla della sua autorità, ma della sua persona, e si identifica con i poveri. E’ una enorme sorpresa, anche i giusti sono sconcertati: “Quando ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare?”. E Gesù: “Anche se l’avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Ecco il grande cambiamento. Qui non si tratta più soltanto di giustizia, ma di una vera carità: non sono precetti negativi, come nell’Antico Testamento: non rubare, non giurare, non opprimere il fratello. Qui ci viene richiesto di compiere il bene, di andare incontro ai poveri, ai piccoli, ai bisognosi. Il giudizio è portato contro i peccati di omissione. Lasciarsi sfuggire l’occasione di compiere il bene, di aiutare, di confortare chi soffre, è un peccato. Quelli che si sono comportati così non hanno trasgredito la legge, non hanno fatto cose negative ma non hanno fatto del bene che avrebbero dovuto fare, non hanno visto il prossimo che era nel bisogno e la loro omissione ha pesato di più che tanti peccati. Domandiamo al Signore che ci dia la dimensione divina della carità. Quando cerchiamo di aiutare i poveri, non solo i poveri di beni materiali, ma chiunque abbia bisogno di attenzione, di conforto, di comprensione… è Gesù che aiutiamo. Nell’ultimo giudizio saremo giudicati dall’amore che ciascuno di noi avrà accumulato nell’arco della vita.

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15/03/2011 08:30
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 6,7-15

Gesù ci insegna la preghiera cristiana, che si contrappone alla preghiera dei farisei e dei pagani: il Padre nostro.

E' un testo di grande importanza che ci aiuta a comprendere chi è il cristiano. Il Padre nostro è una parola di Dio rivolta a noi, più che una nostra preghiera rivolta a lui. E' il riassunto di tutto il vangelo. Non è Dio che deve convertirsi, sollecitato dalle nostre preghiere: siamo noi che dobbiamo convertirci a lui.

Il contenuto di questa preghiera è unico: il regno di Dio. Ciò è in perfetta consonanza con l'insegnamento di Gesù: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33).

Padre nostro. Il discepolo ha diritto di pregare come figlio. E sta in questo nuovo rapporto l'originalità cristiana (cfr Gal 4,6; Rm 8, 5). La familiarità nel rapporto con Dio, che nasce dalla consapevolezza di essere figli amati dal Padre, è espressa nel Nuovo Testamento con il termine parresìa che può essere tradotto familiarità disinvolta e confidente (cfr Ef 3,11-12). L'aggettivo nostro esprime l'aspetto comunitario della preghiera. Quando uno prega il Padre, tutti pregano in lui e con lui.

L'espressione che sei nei cieli richiama la trascendenza e la signoria di Dio: egli è vicino e lontano, come noi e diverso da noi, Padre e Signore. Il sapere che Dio è Padre porta alla fiducia, all'ottimismo, al senso della provvidenza (cfr Mt 6,26-33).

Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. Il verbo della prima invocazione è al passivo: ciò significa che il protagonista è Dio, non l'uomo. La santificazione del nome è opera di Dio. La preghiera è semplicemente un atteggiamento che fa spazio all'azione di Dio, una disponibilità. L'espressione santificare il nome dev'essere intesa alla luce dell'Antico Testamento, in particolare di Ez 36, 2-29. Essa indica un permettere a Dio di svelare il suo volto nella storia della salvezza e nella comunità credente. Il discepolo prega perché la comunità diventi un involucro trasparente che lasci intravedere la presenza del Padre.

La venuta del Regno comprende la vittoria definitiva sul male, sulla divisione, sul disordine e sulla morte. Il discepolo chiede e attende tutto questo. Ma la sua preghiera implica contemporaneamente un'assunzione di responsabilità: egli attende il Regno come un dono e insieme chiede il coraggio per costruirlo. La volontà di Dio è il disegno di salvezza che deve realizzarsi nella storia.

Come in cielo, così in terra. Bisogna anticipare qui in terra la vita del mondo che verrà. La città terrestre deve costruirsi a imitazione della città di Dio.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Il nostro pane è frutto della terra e del lavoro dell'uomo, ma è anche, e soprattutto, dono del Padre. Nell'espressione c'è il senso della comunitarietà (il nostro pane) e un senso di sobrietà (il pane per oggi). Il Regno è al primo posto: il resto in funzione del Regno.

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Anche queste tre ultime domande riguardano il regno di Dio, ma dentro di noi. Il Regno è innanzitutto l'avvento della misericordia.

Questa preghiera si apre con il Padre e termina con il maligno. L'uomo è nel mezzo, conteso e sollecitato da entrambi. Nessun pessimismo, però. Il discepolo sa che niente e nessuno lo può separare dall'amore di Dio e strappare dalle mani del Padre.

Matteo commenta il Padre nostro su un solo punto, rimetti a noi i nostri debiti.... Ecco il commento: "Se voi, infatti, perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi...".

Nel capitolo precedente Matteo aveva messo in luce l'amore per tutti. Ora mette in luce la sua concreta manifestazione: il perdono.

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16/03/2011 10:12
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
"Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: «Alzati, va' a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico»"

Come vivere questa Parola?
Giona viene inviato a una nazione pagana e depravata per annunciare il giudizio di Dio su di essa. Secondo le vedute del profeta ciò equivaleva a decretarne la definitiva rovina, secondo i progetti di Dio, invece, vuole essere una mano tesa a promuoverne la conversione.
Quanto le nostre vedute sono lontane dalle sue! Noi innalziamo steccati che mantengano le distanze tra "noi" e "loro". Basta poco: nazionalità e religioni diverse, ideologie contrapposte, modi di vedere e di fare che non condividiamo… Tutto può essere causa di penose rotture.
Per Dio, invece, non esistono "figli" e "figliastri". Di tutti si prende cura con lo stesso immenso amore.
Se qualcuno viene scelto e chiamato a una maggiore vicinanza con lui, non è per un privilegio ma per una missione particolare da compiere. Proprio come avviene per Giona, il profeta di YHWH, inviato a Ninive, in un momento particolarmente grave per il dilagare del male che rischia di travolgere la città. "Va' e annuncia", si sente dire da Dio. "Va' e annuncia" non al popolo eletto, ma a quei pagani disprezzati e allontanati dagli ebrei, a quel popolo di peccatori.
"Va' e annuncia", dice a noi, cristiani di oggi. Va' da chi sembra rifiutare ogni legge morale, rigettare ogni freno alle proprie passioni sregolate. Va' in mezzo a tanto disorientamento e "annuncia".
No, non possiamo tenere per noi la luce che ci è donata, non possiamo ignorare l'appello che si leva dalle tenebre che ci avvolgono. Non sta a noi giudicare e condannare, ma sta a noi proporre uno stile di vita più consono alla nostra dignità di figli di Dio.

Signore Gesù, mentre ti ringrazio per il dono della fede, ti chiedo la forza di una testimonianza luminosa che apra gli occhi di quanti ancora ignorano la luce.

La voce di una testimone dei nostri tempi
Dio ci ha fatti alleanza. È per tutti che ciascuno riceve la fede. Una volta che la Parola di Dio è incarnata in noi, non abbiamo il diritto di conservarla per noi: noi apparteniamo, da quel momento, a coloro che l'attendono
Madeleine Delbrêl

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17/03/2011 08:34
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Quanto a noi, salvaci con la tua mano e soccorri me, che sono sola e non ho altro aiuto fuori di te, Signore che tutto conosci.

Come vivere questa Parola?
È un tratto dell'invocazione sgorgata dal cuore della regina Ester che vive un momento "d'angoscia mortale" non tanto per sé quanto per il suo popolo. Nel suo gridare a Dio già gli ha detto: "Tu sei l'unico, vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso all'infuori di te, mentre sto per espormi al pericolo".
Ciò che emerge dal suo pregare è la piena, umile consapevolezza d'essere inerme, sola, senz'altra protezione che quella di Dio. D'altro canto si rivela pure la sua volontà decisa d'assumere con audacia la propria responsabilità dentro la certezza che Dio l'aiuterà. Per la salvezza del suo popolo, infatti, Ester sta per esporsi alle ire di Assuero, senz'altra sicurezza che la sua grande fede in un Dio che risponde a chi gli si consegna con illimitata fiducia.

Oggi, vivrò la mia pausa contemplativa chiedendo al Signore di rendermi autentico nel mio pregare. Non sia per me un declinare le mie responsabilità, un rifugio a sentimenti paurosi e vili. Dio mi dia di riscoprirLo oggi e sempre come l'unico Signore della mia vita: nei giorni facili e in quelli difficili. E mi dia anche di non fare della preghiera un "precettare" Dio su quanto deve darmi. Il Vangelo odierno dice: "Chiedete e vi sarà dato". Sempre mi è dato il bene, il meglio per me. Anche quando quello che Dio mi dà non coincide con quello che io desidero.

Aiutami Signore a dire con Maria tua Madre: Eccomi! Amen!

La voce di una grande scrittrice
Oggi il coraggio è una merce di lusso, una stravaganza che viene derisa e considerata follia. La viltà è invece un pane che per pochi soldi si vende in ogni bottega.
Oriana Fallaci

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19/03/2011 13:57
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Giuseppe, servo fedele

La personalità di S. Giuseppe merita un'attenzione particolare che le letture bibliche aiutano ad interpretare facilmente. Il profeta Natan annunzia la venuta di un Messia, di un salvatore, che sarà inserito in una genealogia consistente, nella discendenza di Davide: un discendente privilegiato (che non è Salomone) sarà oggetto della predilezione divina. "Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio... Il suo trono sarà reso stabile per sempre". Gesù appartiene alla discendenza di Davide. Per S.Paolo, la giustizia di Abramo deriva dalla sua fede; lo stesso Abramo è antenato di Davide. Come Abramo, S. Giuseppe ha creduto alla Parola ed ha accettato di accogliere il frutto della Promessa comunicata a Maria. In un qualche modo, lo stesso Giuseppe è "padre dei credenti", sull'esempio di Abramo. Per l'evangelista Luca, Gesù, pur partecipando agli atti pubblici di culto, è sottomesso ai genitori, ai quali egli annunzia la sua missione: "devo occuparmi delle cose del Padre mio". Giuseppe, da allora, avrà capito meglio il proprio compito di educatore. In S.Matteo, il nucleo centrale del racconto è la disposizione "Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Da questo particolare, risulta che Giuseppe è stato bene informato sul "mistero" di Gesù fin dall'inizio, dal concepimento. Egli è un esempio di fede semplice, di accoglienza e di ascolto della Parola, di obbedienza disinteressata e fiduciosa; con la cooperazione silenziosa di Giuseppe, Dio ha realizzato sulla terra una parte importante della storia della salvezza.

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23/03/2011 08:43
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 20,17-28

1) Preghiera

Sostieni sempre, o Padre, la tua famiglia
nell'impegno delle buone opere;
confortala con il tuo aiuto
nel cammino di questa vita
e guidala al possesso dei beni eterni.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 20,17-28
In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i Dodici e lungo la via disse loro: "Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risusciterà".
Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: "Che cosa vuoi?" Gli rispose: "Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno". Rispose Gesù: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?"
Gli dicono: "Lo possiamo". Ed egli soggiunse: "Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio".
Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; ma Gesù, chiamatili a sé, disse: "I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti".

3) Riflessione

• Il vangelo di oggi ci presenta tre punti: il terzo annuncio della passione (Mt 20,17-19), la richiesta della madre dei figli di Zebedeo (Mt 20,20-23) e la discussione dei discepoli per il primo posto (Mt 20,24-28).
• Matteo 20,17-19: Il terzo annuncio della passione. Stanno andando verso Gerusalemme. Gesù cammina davanti a loro. Sa che lo uccideranno. Il profeta Isaia lo aveva già annunciato (Is 50,4-6; 53,1-10). La sua morte non è frutto di un piano stabilito in precedenza, ma la conseguenza dell'impegno assunto riguardo alla missione ricevuta dal Padre accanto agli esclusi del suo tempo. Per questo Gesù parla ai discepoli della tortura e la morte che lui dovrà affrontare a Gerusalemme. Il discepolo deve seguire il maestro, anche se deve soffrire come lui. I discepoli sono impauriti e lo accompagnano con paura. Non capiscono ciò che sta succedendo (cf. Lc 18,34). La sofferenza non andava d'accordo con l'idea che avevano del messia (cf. Mt 16,21-23).
• Matteo 20,20-21: La richiesta della madre per ottenere il primo posto per i figli. I discepoli non solo non capiscono la portata del messaggio di Gesù, ma continuano con le loro ambizioni personali. Quando Gesù insiste nel servizio e nel dono di sé, loro continuano a chiedere i primi posti nel Regno. La madre di Giacomo e Giovanni, portando con sé i figli, arriva vicino a Gesù. I due non capirono la proposta di Gesù. Erano preoccupati solo dei loro interessi. Segno del fatto che l'ideologia dominante dell'epoca era penetrata profondamente nella mentalità dei discepoli. Malgrado la convivenza di vari anni con Gesù, loro non avevano rinnovato il loro modo di vedere le cose. Guardavano Gesù con lo sguardo di sempre, del passato. Volevano una ricompensa per il fatto di seguire Gesù. Le stesse tensioni esistevano nelle comunità del tempo di Matteo ed esistono ancora oggi nelle nostre comunità.
• Matteo 20,22-23: La risposta di Gesù. Gesù reagisce con fermezza: "Voi non sapete quello che chiedete!" E chiede se sono capaci di bere il calice che lui, Gesù, berrà e se sono disposti a ricevere il battesimo che lui riceverà. E' il calice della sofferenza, il battesimo di sangue! Gesù vuol sapere se loro, invece del posto d'onore, accettano di dare la vita fino alla morte. I due rispondono: "Possiamo!" Sembra una risposta detta non dal di dentro, poiché, pochi giorni dopo, abbandonarono Gesù e lo lasciarono solo nell'ora della sofferenza (Mc 14,50). Loro non hanno molta consapevolezza critica, non percepiscono la sua realtà personale. Per quanto riguarda il posto d'onore nel Regno accanto a Gesù, colui che lo concede è il Padre. Ciò che lui, Gesù, ha da offrire, è il calice ed il battesimo, la sofferenza e la croce.
• Matteo 20,24-27: Non così dovrà essere tra di voi. Gesù parla, di nuovo, sull'esercizio del potere (cf. Mc 9,33-35). In quel tempo, coloro che detenevano il potere non rendevano conto alla gente. Agivano come volevano (cf. Mc 6,27-28). L'impero romano controllava il mondo e lo manteneva sottomesso con la forza delle armi e così, attraverso tributi, tasse ed imposte, otteneva di concentrare la ricchezza della gente nelle mani di pochi a Roma. La società era caratterizzata dall'esercizio repressivo ed abusivo del potere. Gesù aveva un'altra proposta. Lui dice: Non così dovrà essere tra di voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra di voi, si farà vostro schiavo! Insegna contro i privilegi e contro la rivalità. Vuole cambiare il sistema ed insiste nel fatto che il servizio è il rimedio contro l'ambizione personale.
• Matteo 20,28: Il riassunto della vita di Gesù. Gesù definisce la sua missione e la sua vita: "Non sono venuto ad essere servito, ma a servire!" E' venuto a dare la propria vita in riscatto per molti. Lui è il messia Servo, annunciato dal profeta Isaia (cf. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Imparò da sua madre che disse: "Ecco la serva del Signore!" (Lc 1,38). Proposta totalmente nuova per la società di quel tempo.

4) Per un confronto personale

• Giacomo e Giovanni chiedono favori, Gesù promette la sofferenza. Ed io, cosa chiedo a Gesù nella preghiera? Come accolgo la sofferenza ed i dolori che avvengono nella mia vita?
• Gesù dice: "Non così dovrà essere tra voi!" Il mio modo di vivere in comunità segue questo consiglio di Gesù?

5) Preghiera finale

Scioglimi dal laccio che mi hanno teso,
perché sei tu la mia difesa.
Mi affido alle tue mani;
tu mi riscatti, Signore, Dio fedele. (Sal 30)

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24/03/2011 08:28
 
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padre Lino Pedron
Commento su Luca 16,19-31

Questo brano illustra in forma negativa Lc 16,9: "Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne". E' un ammonimento a usare giustamente l'ingiusta ricchezza.

La vita terrena è un ponte gettato sull'abisso tra la perdizione e la salvezza. Lo si attraversa indenni esercitando la misericordia verso i bisognosi.

L'alleanza con il Signore passa sempre attraverso l'amore per il fratello povero (cfr Es 2,20-26; 23,6-11; Lv 5,1-17; ecc.). La Lettera di Giacomo la sintetizza così: "Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo" (1,27).

Il ricco nella Bibbia è l'ateo pratico che ha fatto di sé il centro di tutto e si è messo al posto di Dio. Il povero è colui che attende l'aiuto di Dio: Lazzaro significa "Dio aiuta". Egli non desidera ciò che è necessario al ricco, ma il superfluo. I cani sono più compassionevoli dei ricchi.

La comunità cristiana a cui si rivolgeva Luca aveva bisogno dell'ammonimento che anche Giacomo aveva rivolto ai cristiani: "Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi?... Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio" (2,5-7.12-13).

In questa parabola le scene si susseguono come in un film. Le situazioni del povero e del ricco si capovolgono al momento della morte. Essa non livella tutti, come la falce pareggia le erbe del prato, ma li distingue e li divide: il ricco diventa povero e il povero ricco.

Nell'altra vita il ricco diventa mendicante, e le sue richieste rimangono inascoltate come erano rimaste inascoltate da lui quelle di Lazzaro. Egli che mangiava e beveva a piacimento, non dispone neppure di una goccia d'acqua. Al posto dei vari piaceri di cui era ricolma la sua vita, ha il cruccio di un fuoco che lo divora senza ucciderlo.

I "beni" sono stati per lui occasione di rovina, come per Lazzaro i "mali" sono stati motivo di salvezza. L'unica preoccupazione del ricco era concentrata su se stesso, e per questo aveva lasciato da parte Dio e il prossimo. La ricchezza, che è sempre un dono di Dio all'uomo, può diventare occasione di male. Al contrario la povertà è un bene, perché tiene lontano l'animo dall'egoismo e dai piaceri distrattivi della vita.

L'intento della parabola non è quello di terrorizzare i ricchi senza misericordia e gli atei, ma di esortarli alla misericordia mentre sono ancora in questa vita. La Legge e i Profeti si sintetizzano nel comandamento dell'amore del prossimo (cfr Rm 13,10). Il vero problema è quindi credere alla parola di Dio. Finché siamo vivi siamo chiamati ad ascoltare seriamente il Cristo (cfr Lc 9,35) e ad evitare il comportamento dei farisei che erano attaccati al denaro e ascoltando tutte queste cose si beffavano di Gesù (cfr Lc 16,14).

Solo la parola di Dio che penetra nel profondo dell'uomo ci fa discernere se siamo dei poveri-beati o dei ricchi-infelici.

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26/03/2011 14:44
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La festa del perdono

È bello in questo tempo di quaresima, in cui siamo particolarmente sollecitati alla conversione e al ritorno a Dio, ascoltare ancora una volta una delle più affascinanti parabole che Gesù ci ha lasciato. Sulla scia del figlio pentito, che torna tra le braccia del Padre, si muove ancora la nostra povera umanità peccatrice. Il percorso è già segnato. Ci capita di cadere nell'assurdo di pretendere da lui la nostra parte di eredità, di reclamare solo per noi la libertà che egli ci ha donato, ci capita di subire la nausea del vero bene e di stancarci di Dio e della sua casa. Gli spazzi del mondo ci attraggono, l'idea di una libertà assoluta e senza norme ci seduce, il poter spendere senza limiti pare ci adorni di un grande potere e così perpetriamo le nostre fughe. Il Signore ci mostra in anticipo i precipizi che ci si parano dinanzi e dentro cui andremo a gemere. Per nostra fortuna però anche quando abbiamo tutto sperperato malamente e ci ritroviamo spogli di ogni bene, umiliati a grugnire con i porci, i morsi della fame del vero bene e del pane buono della casa paterna, la nostalgia delle braccia amorose del Padre, che ci avevano già stretto nell'innocenza, ci pulsano salutarmene dentro a suggerirci un pentimento ed un ritorno. I sensi di colpa però premono come macigni e dire «mi alzerò» e già preludio di grazia. Pensare onestamente di poter essere almeno annoverato tra gli ultimi degli schiavi della casa paterna, è già timido germoglio di speranza. Intraprendere il duro e lungo cammino verso casa, stremati dalla fame e dall'improba fatica del male, è come già intravedere i primi bagliori del bene perduto. Ciò che non si osa sperare è proprio ciò che avviene: il peso della croce se l'assume Cristo stesso e così egli agevola il cammino, il Padre l'attende a braccia aperte, per stringerlo a se con rinnovato ed cresciuto amore, per farlo rinascere con un abito nuovo alla vita della grazia. Poi la grande festa finale, solo in parte guastata dal comportamento del fratello maggiore: anche per chi rimane sempre fedele a Dio, è obiettivamente difficile comprendere la festa del ritorno per chi non ha sperimentato la misericordia e il perdono. Si finisce per soffrire proprio per le meravigliose sorprese che Dio riserva al peccatore pentito. Suscita stupore e invidia l'accoglienza riservata al fratello scellerato. Pare che certi giusti siano più propensi ad affermare e pretendere la giustizia che a comprendere l'amore. Dio invece sa coniugare splendidamente le due virtù.

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28/03/2011 10:34
 
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Messa Meditazione
Il profeta e la sua patria

Lettura
La lebbra è una realtà tristemente presente in Israele e nei paesi attorno. È anche uno dei simboli più forti del peccato. Per guarire dalla lebbra, Eliseo indica a Naaman un mezzo efficace: lavarsi per sette volte nelle acque del Giordano (prima lettura). Per purificarsi dal peccato Gesù segnala ai suoi concittadini di accettarlo come profeta (Vangelo). Naaman ubbidì e la sua carne "divenne come la carne di un giovinetto". I nazareni, pieni di sdegno, lo volevano gettare giù da un precipizio. Per questo non furono guariti dal loro peccato di incredulità.

Meditazione
Gesù è molto realistico: "Nessun profeta è bene accetto in patria". Il profeta vuol guarire i suoi concittadini, ma essi non lo accettano. È stato così con il profeta Elia, come ricorda Gesù nel Vangelo: c'erano molte vedove bisognose in Israele, ma Elia fu mandato ad aiutare una vedova di Sidone. Lo stesso è accaduto al profeta Eliseo: erano molti i lebbrosi in Israele, ma Eliseo risanò solo Naaman, il Siro. Questo realismo di Gesù rattrista, ma ci deve far riflettere. Con le sue parole Gesù offre agli ebrei un'occasione per riflettere: perché, per essendo Gesù uno di loro, molti suoi concittadini non l'hanno accettato? È un invito alla riflessione che vale anche per noi cristiani: perché tanti fra noi, che si dicono cristiani, vivono invece come pagani? Bisogna cambiare, essere consapevoli che la "metanoia", il cambiamento di mentalità, non riguarda solo gli altri, ma soprattutto noi stessi. Naaman il Siro ha dovuto cambiare atteggiamento, ha ascoltato la voce dei suoi servi, ha ubbidito. La vedova di Zarepta, a sua volta, ha ascoltato ed eseguito quello che il profeta le diceva. Ma non sempre gli uomini sono pronti a cambiare idee, stile di vita, comportamento, convinzioni. Più facile sfogarsi contro il profeta e farlo sparire, per seguitare nella nostra mediocrità e conservare la comoda abitudine di vita. Il risultato però è che la lebbra così non guarisce, il peccato non viene purificato. Quale occasione perduta! Vogliamo davvero continuare così, anno dopo anno, quaresima dopo quaresima?

Preghiera
"Purifica, o Padre, e rafforza la tua Chiesa". Purifica e rafforza ognuno di noi fratelli del tuo Figlio e membri della tua Chiesa. Fa' che sulle orme di Naaman, il Siro, andiamo a bagnarci nelle acque del sacramento della riconciliazione e della penitenza. Facci sentire la gioia di essere purificati dai nostri peccati e di sperimentare il tuo abbraccio di Padre. Amen.

Agire
Inviterò qualcuno, a casa, in ufficio, ad accostarsi alla confessione per riconciliarsi con Dio e con i fratelli.

Commento a cura di Cristoforo Donadio – P. Antonio Izquierdo, LC


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30/03/2011 08:02
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Celebra il Signore, Gerusalemme, loda il tuo Dio, Sion, perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte, in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Come vivere questa Parola?
Questi versetti fanno parte di un lungo salmo di lode, anzi di due (il 146 e il 147) che si possono rtenere un unico inno alla maestà e munificenza di Dio: una lode a cuore chiaro. Ciò che riguarda noi (e va perciò messo in rilievo) è il fatto che siamo poco esercitati alla lode. Siamo come certe vecchie case chiuse di cui fai fatica a spalancare le finestre. Eppure, prova, in un mattino di primavera, a spalancarle al sole: tutto respira, riprende luce e vita!
Così è della persona che impara a entrare in contatto con Dio con la preghiera di lode. Certo, va bnissimo anche la preghiera di ringraziamento con cui ringrazio Dio per i suoi benefici e quella d'intercessione con cui, in semplicità e fiducia, gli chiedo grazie. Ma direi che la preghiera di lode, quella che mi fa magnificare Dio per la gioia di lodarlo, è la più bella. Dopo, come dice il salmo, esprimerò i motivi della mia lode. Qui sono il fatto che Dio ha "rinforzato le sbarre delle porte", cioè ha dato sicurezza a Gerusalemme e ha benedetto i nuclei familiari che vi abitavano. E non è così anche per me, oggi?
Se la vita, nonostante le ore della prova, ha le sue gioie intime e pure, soprattutto all'interno della famiglia, ciò avviene perché Dio è colui che benedice tutto ciò che egli stesso ha creato e fa crescere.

Signore, mi raccolgo con gioia in una pausa contemplativa, a ricordare quante grazie tu mi hai concesso. E nel risveglio della primavera, mi esercito a cogliere il silenzioso crescere di tutto ciò che vive e che tu mi doni. Sia lode a te: benedicimi con tutti.

La voce di una beata
Siamo anche noi, nel cielo della nostra anima, Lodi di gloria della SS.ma Trinità, lodi d'amore della nostra Madre Immacolata. Un giorno il velo cadrà, saremo introdotti nei vestiboli eterni e lassù cante-remo nel seno dell'amore infinito.
Beata Elisabetta della Trinità

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31/03/2011 08:38
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde

Ognuno di noi, anche oggi, dobbiamo scegliere: se raccogliere o disperdere, se costruire o abbattere, se innalzare o distruggere, se vivere o morire, se progredire o retrocedere, se camminare oppure rimanere fermi. Gesù non dona molte possibilità in questa scelta. Ne dona una sola: o con Lui o contro di Lui. Non c'è neutralità. Non ci sono altre vie. La via è una sola, come una sola è la possibilità di bene: solo con Lui.
Il solo con Lui, oggi diviene e si fa "solo con il suo Corpo che è la Chiesa". Chi non è per il suo Corpo è contro il suo Corpo. Chi non raccoglie con il suo Corpo, disperde. Lavora invano e per niente. Sciupa il suo tempo. Si può applicare a Cristo Gesù quanto Dio dice per mezzo del profeta Aggeo: "«Così parla il Signore degli eserciti: Questo popolo dice: "Non è ancora venuto il tempo di ricostruire la casa del Signore!"». Allora fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo questa parola del Signore: «Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina? Ora, così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete vestiti, ma non vi siete riscaldati; l'operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato. Così dice il Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Salite sul monte, portate legname, ricostruite la mia casa. In essa mi compiacerò e manifesterò la mia gloria - dice il Signore. Facevate assegnamento sul molto e venne il poco: ciò che portavate in casa io lo disperdevo. E perché? - oracolo del Signore degli eserciti. Perché la mia casa è in rovina, mentre ognuno di voi si dà premura per la propria casa. Perciò su di voi i cieli hanno trattenuto la rugiada e anche la terra ha diminuito il suo prodotto. Ho chiamato la siccità sulla terra e sui monti, sul grano e sul vino nuovo, sull'olio e su quanto la terra produce, sugli uomini e sugli animali, su ogni lavoro delle mani»" (Ag 1,2-11).
Cristo Gesù è il nuovo Tempio di Dio, la sua abitazione perenne sulla nostra terra. I farisei lo stanno distruggendo. Quale futuro potranno avere? Nessuno. Quali prospettive di salvezza sul loro lavora? Nessuna. O innalziamo il nuovo Tempio di Dio o non avremo alcun futuro di salvezza né per noi e né per gli altri.
Oggi Cristo Gesù sta per essere nuovamente distrutto, cancellato, radiato dalla mente e dal cuore. Se noi suoi discepoli non lo edifichiamo, non lo costruiamo, non lo formiamo, non impegniamo ogni nostra energia per la sua stabilità e diffusione nel mondo, in pienezza di verità, neanche per noi ci sarà futuro di salvezza.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fateci vero Tempio santo.

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03/04/2011 09:37
 
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Suor Giuseppina Pisano o.p.

Il cammino di Gesù, verso il compimento della sua missione continua, e continua, sui suoi passi, il nostro cammino quaresimale, cammino di preghiera, di approfondimento e di contemplazione del Mistero di Dio, che si svela nel Figlio.
Anche in questa domenica, viene proclamato un passo del Vangelo di Giovanni, che narra uno dei miracoli compiuti da Cristo, uno di quei gesti, il cui significato va ben oltre il fatto prodigioso, quale è la guarigione di un uomo nato cieco; per diventare segno tangibile di quanto, in precedenza, il Maestro aveva detto di sé:" Io sono la luce del mondo. Colui che mi segue, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita."( Gv.8,12)
In quei giorni, si celebrava, in Giudea, la festa delle capanne, festa autunnale, che ricordava il lungo pellegrinare di Israele nel deserto, verso la liberazione, guidato dalla colonna di fuoco che illuminava il cammino; così, nella notte, si accendevano sulle mura del tempio di Gerusalemme, delle torce, mentre, la città e i dintorni erano illuminati da bracieri e falò.
La festa delle capanne era, dunque, una festa di luce, alla quale, anche Gesù prese parte, ma in segreto:"Quando i suoi fratelli furono saliti alla festa, scrive Giovanni, allora, anch'egli vi salì, ma non pubblicamente..."(Gv.7,10)
Nel mezzo della festa, narra ancora l'Evangelista, Gesù salì al tempio per insegnare, ma le sue parole, lasciarono interdetti i giudei che lo ascoltavano, tanto che cercarono di prenderlo, ma non vi riuscirono:" non era ancora giunta la sua ora..", recita il testo. ( ib. 30)
E' nell'ultimo giorno della festa, quello più solenne, che Gesù, parlando ancora nel tempio, si rivela come " luce del mondo", inviato dal Padre e in comunione incessante con Lui: " E' il Padre che mi glorifica, sono le sue parole, quello di cui voi dite:- E' il nostro Dio-.eppure non l'avete conosciuto, mentre io lo conosco....Abramo, vostro padre, esultò nel vedere il mio giorno, e lo vide, e si rallegrò....In verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono."(ib 8, 54-59).
Era troppo per i giudei, tanto, che presero delle pietre per lapidarlo, ma Gesù, uscì dal tempio e riprese la sua strada, lungo la quale, vide un uomo cieco dalla nascita, uno dei tanti che, sicuramente, avrà incontrati sul suo cammino, mentre annunciava il messaggio di salvezza; ma, su questo, si compì il miracolo della luce, quasi conferma visibile, di quanto rivelato nel tempio, e che i giudei avevano rifiutato con rabbia.
Il miracolo del cieco nato, in questo momento del cammino quaresimale, è come una luce che lo illumina, con uno splendore crescente, fino ad assomigliare ad un anticipo di Pasqua, quando, Cristo Risorto, illuminerà di luce nuova tutto il creato
"Gesù, passando, recita il brano del Vangelo, vide un uomo cieco dalla nascita"; la condizione del cieco, è, per se stessa, penalizzante, perché significa buio, dipendenza dagli altri, dei quali, necessariamente, ci si deve fidare; è vero, in qualche modo gli altri sensi, affinandosi, suppliscono, ma il buio resta, e, quella poca conoscenza che si può acquisire, è una conoscenza di riflesso, come fatta di ombre, non di immagini chiare, percepite dai propri occhi.
L'anonimo cieco, che Gesù incontra sulla sua strada, è solo una povera creatura, che agli occhi degli altri è meno che niente, un emarginato, che vive buttato per strada, percepisce i suoni della vita che scorre attorno, ma non ne partecipa, resta lì, nel buio più totale, fino a che Cristo non si piega sui suoi occhi spenti, li unge col fango impastato della sua saliva, e gli ordina di lavarli alla piscina di Siloe: "Quegli andò, recita il testo, si lavò e tornò che ci vedeva."
Riacquistare la vista è come ricominciare a vivere, a godere dei colori del mondo, della libertà di muoversi senza paura, di correre nella luce e saltare di gioia; ma il significato vero del miracolo non è questo, il miracolo della luce è altro, che si rivelerà, quando gli occhi risanati di quel poveretto, diverranno capaci di guardare nella profondità del mistero di Cristo, davanti al quale esclamerà: «Io credo, Signore!», prostrandosi innanzi a lui, in un gesto che è adorazione.
Anche il cieco è un simbolo, come già la donna di Samaria, il cieco, rappresenta tutti coloro dei quali Giovanni nel prologo del Vangelo dice:"...era la luce vera, che illumina ogni uomo, quella che veniva nel mondo...e i suoi non l' accolsero..." (G.1,9-10)
La cecità di cui il brano del Vangelo parla, è il buio interiore, la tenebra radicale, che avvolge chi ancora non conosce Dio e il Figlio redentore, la tenebra spirituale di chi, ancora, è nell'ignoranza del dono di Dio, o, ostinatamente, vi si oppone, come quei farisei ostili, che si appellavano alla legge del sabato, per misconoscere il miracolo evidente:«Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato».
" A quanti però l' hanno accolto, continua Giovanni nel Prologo, ha dato il potere di diventare figli di Dio.."(ib.12); è il caso del cieco risanato, il quale non cede alle vessazioni dei farisei, e conferma, con forza, la sua versione dei fatti: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo», e aggiunge:«E' un profeta!».
Questo pover'uomo che i concittadini reputano soltanto un peccatore arrogante, da cacciar via, in realtà, ha riacquistato ben più della vista corporale, è stato raggiunto, infatti, dalla luce della fede, attraverso la quale, coglie la divinità dell'uomo che lo ha guarito.
:«E' un profeta!», afferma risoluto, mentre vien cacciato via, ma Cristo gli si fa ancora incontro, per completare la sua guarigione interiore, e lo conduce alla sua splendida professione di fede; sono le ultime battute del passo del vangelo di oggi:" Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose:«E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Tu l' hai visto: colui che parla con te è proprio lui». Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi."
E' un cammino di fede stupendo, questo del cieco risanato, quello stesso che la Chiesa ripropone, in quest' ultimo scorcio di Quaresima, che ci avvicina alla Pasqua, un cammino di crescita interiore, nella conoscenza del Mistero di Cristo, e nell' esperienza di Lui, che è luce, e ci conduce alla pienezza della visione, anche, in mezzo agli ostacoli e alle zone d'ombra della vita.
E' un cammino, che possiamo rileggere con Paolo, il quale ci dice: "Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; e il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, poiché di quanto viene fatto da costoro, in segreto, è vergognoso perfino parlare. Tutte queste cose, che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce. Per questo sta scritto: «Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà». ( Ef.5, 8 14)
E' il cammino, che dobbiamo compiere per giungere allo splendore della Pasqua, ma non come pellegrini solitari, bensì, in compagnia di altri, ai quali deve giungere il riflesso di quella luce che, già, ci illumina, perché, anche chi ancora non è stato raggiunto dal chiarore della fede, venga risanato dal Cristo, Figlio di Dio e Redentore, che noi desideriamo render visibile con la testimonianza della nostra vita.

Sr Maria Giuseppina Pisano o.p.
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05/04/2011 08:16
 
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Ez 47,1-9.12
Vidi l’acqua che usciva dal tempio, e a quanti giungerà quest’acqua porterà salvezza.
la Chiesa.it


 
Nella visione di Ezechiele, l’acqua che dà la salute e la vita simboleggia la grazia che Dio dispensa in abbondanza nel tempo messianico. Questo tempo è giunto con la venuta di Gesù Cristo. È il motivo per cui Gesù non conduce il malato alla piscina di Siloe, la sorgente della grazia dell’Antico Testamento, ma lo guarisce per mezzo della propria potenza.
Egli lo fa di sabato, ed ordina al miracolato di portare il suo giaciglio nel giorno di sabato, poiché è giunto il tempo in cui è arrivata una grazia più grande della legge, e Gesù è il padrone del sabato. Nel sacramento del battesimo, tutti siamo stati integrati nel tempo messianico e, guariti dalla paralisi, abbiamo ricevuto l’ordine di partire e di portare i frutti della vita nello Spirito. Oggi Gesù ci dà un monito come ha fatto con il paralitico: dobbiamo avere paura di ricadere ancora nella schiavitù del peccato, affinché la nostra paralisi spirituale di cristiani non sia più grave della paralisi del paganesimo di cui Cristo ci ha liberati. Il tempo di Quaresima è il tempo dell’esame di coscienza. I nostri paesi, il mondo cristiano e post-cristiano non sono forse caduti di nuovo nel paganesimo, nell’idolatria del denaro, del successo e del potere? Non siamo forse di nuovo paralizzati tanto da non saper più vincere il male sociale, politico, familiare e personale? Le strutture del male sociale non costituiscono forse il letto della nostra malattia? O lo costituiscono le opinioni e i costumi del nostro ambiente? Gesù chiama ognuno di noi a convertirsi. Ci offre la riconciliazione con il Padre e la guarigione. Ci dice oggi: alzati, porta con te il tuo giaciglio di malato, va’, vivi e fa’ il bene. Ognuno di noi, all’ascolto del Vangelo di oggi, deve trovare il suo compito nell’ordine di Gesù: “Alzati, cammina e non peccare più”.
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07/04/2011 15:48
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.

Come vivere questa Parola?
Perché credere in Gesù? Perché attribuire a Lui la gloria? Perché adorarlo come Dio e invocare da Lui la salvezza?
Di fronte a queste domande, decisive per ogni uomo, non esiste nessuna rigorosa prova dell'esistenza di Dio; non c'è nulla da dimostrare; il mistero di Gesù semplicemente si mostra, si lascia soltanto intravedere in alcuni luoghi privilegiati di testimonianza. Gesù stesso, nel Vangelo di oggi, indica questi luoghi di testimonianza
della sua divinità.
Innanzitutto la Scrittura, che in ogni sua Parola non è altro che l'annuncio dell'unica storia, dell'unica persona, dell'unico volto di Gesù.
In secondo luogo il Padre, che da sempre con il Suo Spirito abita le profondità del nostro cuore e da quelle profondità con gemiti inesprimibili in eterno sussurra l'unico nome: Gesù.
Infine le opere, ossia il creato stesso, la cui bellezza non cessa di rimandare al suo Fattore; le opere, ovvero anche gli accadimenti stessi della nostra storia personale, eventi di liberazione e di vocazione a diventare figli di Dio.

Quale di queste forme di testimonianza ha fatto sorgere ed alimenta in me la fede in Gesù mio Signore? Oggi, ripercorrendo la mia vita, mi impegnerò a rispondere a questa domanda e a fare MEMORIA delle testimonianze ricevute, perché non mi accada come al popolo di Israele nel deserto ("Dimenticarono Dio che li aveva salvati, che aveva operato in Egitto cose grandi": cfr. Salmo Responsoriale del giorno).

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09/04/2011 09:35
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea. E tornarono ciascuno a casa sua.

Come vivere questa Parola?
Nella presentazione al tempio, il vecchio Simeone aveva preannunciato che Gesù sarebbe stato "segno di contraddizione" di fronte al quale sarebbero stati messi a nudo i pensieri di molti cuori.
Una contrapposizione che, soprattutto durante la sua vita pubblica, si fa via via più evidente. Dinanzi a lui non si può rimanere neutrali: urge prendere posizione o per lui o contro di lui.
È stato così durante la sua esistenza terrena, è così oggi.
Non per nulla, a distanza di duemila anni, la sua persona continua a inquietare. La domanda che percorre tutto il vangelo di Marco: "Chi è costui?", resta come sospesa nell'aria, interpella, scuote, mette con le spalle al muro. Non possiamo ignorarla.
Ecco allora chi onestamente affronta il proprio dramma interiore, si interroga, cerca luce, certezze. Il suo stesso dubitare non è un soporifero adagiarsi, ma un pungolo che stimola la ricerca.
A fronte, chi sceglie la comoda via dei luoghi comuni, di cui si dispensa di verificare l'autenticità, e chi ammanta la propria posizione di scientificità, rifiutando il confronto con gli stessi dati di fatto: "Studia e vedrai". Un volgere lo sguardo non al futuro, ma al passato. Un vano afferrarsi a posizioni preconcette, obsolete, mentre Dio si situa sempre in un oltre: è novità.
Non resta che voltare le spalle e chiudere la porta dietro di sé, lasciandosi alle spalle quel barlume di luce che avrebbe potuto diradare le tenebre di un'esistenza dall'orizzonte troppo limitato per appagare la sete d'infinito che ci portiamo dentro.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, lascerò che la domanda di Marco rimetta in discussione la mia fede, costringendomi a una presa di posizione che non può essere un dato di fatto scontato, un assenso dato una volta per tutte.

Ogni giorno, Signore, tu mi interpelli perché ogni giorno io rinnovi la mia decisione per te. Fa' che mai torni a rinchiudermi nell'angusta sicurezza della mia casa, impedendo alla tua luce di mostrarmi le vie impegnative dell'amore.

La voce di una martire
Il cammino della fede ci porta più lontano di quello della conoscenza filosofica: ci porta al Dio personale e vicino, a Colui che è tutto amore e misericordia, a una certezza che nessuna conoscenza naturale può dare.
Edith Stein

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10/04/2011 09:36
 
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Ileana Mortari - rito romano
Chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno

Un tratto caratteristico del 4° vangelo è la coesistenza di realismo e simbolismo. E' solo Giovanni, tra gli autori del Nuovo Testamento, a darci ragguagli esatti circa la durata del ministero pubblico di Gesù (tre anni) o l'ora in cui avvenne la vocazione dei primi due discepoli (vedi Giov.1,39) e nello stesso tempo è nel suo scritto che troviamo la più alta valenza simbolica dei vangeli.

Tutto questo è molto evidente nel brano della resurrezione di Lazzaro, proprio di Giovanni.

Varie fonti attestano la storicità dell'episodio, che il redattore ha collocato in questo preciso punto della storia di Gesù, sottolineandone due dirette e immediate conseguenze: a causa di questo miracolo molti giudei credono in Lui e quindi i sommi sacerdoti e i farisei, riuniti nel sinedrio, condividono la valutazione di Caifa e la preoccupazione che l'esaltazione popolare per il Nazareno potesse provocare un intervento militare dei Romani e così "da quel giorno decisero di uccidere Gesù" (Giov.11,45-53).

Quanto alla valenza simbolica, essa emerge con molta chiarezza dall'intreccio di parole e azioni che caratterizzano l'episodio, l'ultimo dei miracoli narrati da Giovanni, e dunque l'ultimo dei "segni" che nel 4° vangelo hanno precisamente la funzione di rivelare la potenza messianica del rabbi di Galilea, prima del più grande "segno", quello della Sua resurrezione.

Gesù dichiara esplicitamente di essere la resurrezione e la vita (v.25) e questo trova una immediata e strepitosa conferma ed esemplificazione nel suo gesto miracoloso per cui l'amico e ospite Lazzaro di Betania torna a vivere.

Ora, qual è il significato e l'annuncio contenuto in questa straordinaria pagina evangelica per il lettore di ogni tempo?

Anzitutto siamo posti dinanzi al fatto, tremendo e istintivamente inaccettabile per ogni uomo, della morte, e Giovanni ne sottolinea fortemente la bruta realtà. Al v.17 ricorda che Lazzaro era già da quattro giorni nel sepolcro; secondo gli ebrei l'anima vaga per tre giorni intorno al cadavere, dopo di che lo abbandona alla corruzione e il soffio vitale viene richiamato da Dio che lo aveva donato alla sua creatura. Attraverso questo particolare dunque l'evangelista ci dice che Gesù interviene solo quando la morte di Lazzaro è "scientificamente" certa e che non è sua intenzione alterare il ciclo normale della vita fisica, liberando l'uomo dalla morte biologica.

Anzi, di fronte a questa ineluttabile necessità lo stesso Maestro ha una reazione molto "umana": si commuove profondamente, si turba e scoppia in pianto, tanto che proprio in questo i presenti colgono la profondità del suo affetto per l'amico: "Vedi come lo amava!" Questo pianto dirotto rivela anche un moto di ribellione contro la morte, un sentimento umano di cui Gesù stesso non si è vergognato.

La prima reazione del Cristo è dunque quella di una intensa partecipazione al dolore delle sorelle di Lazzaro. Ma nello stesso tempo, proprio dall'abisso della sofferenza, Egli sa far scaturire un
barlume di consolazione. Significativamente Giovanni non usa lo stesso verbo per designare il pianto di Maria e quello del Maestro: il primo (in greco "klàio") indica il piangere singhiozzando rumorosamente, il secondo ("dakrùo") dice spargimento di lacrime, ma silenzioso. Come dire: Gesù solidarizza con il dolore, non con la disperazione.

Perché? Se con la sua partecipazione emotiva Egli testimonia che la paura della morte e la ribellione ad essa sono situazioni umane di per sé insuperabili, nello stesso tempo, con la compassione e l'amicizia che, come per gli ospiti di Betania, egli ha verso tutti gli uomini, ci prende là dove siamo e ci porta come in una terra nuova.

"Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?" (v.40), dice Gesù a Marta e a ciascuno di noi. La gloria è la vita di Dio al massimo grado e questa è una vita che non può più morire; non tanto dunque quella che è stata ridata a Lazzaro, il quale poi sarebbe comunque dovuto morire, ma quella di cui la resuscitazione di Lazzaro è segno, e cioè quella condizione nuova, di totale e perfetta comunione con Dio e con i fratelli, di cui la vita di Gesù dopo la Sua resurrezione, quella sì!, è stata la "primizia", ed è la garanzia per ogni uomo.

Nel precedente dialogo con Marta il Nazareno aveva affermato: "Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno" (v.25-26). Egli rivela se stesso come fonte di vita, come la resurrezione stessa personificata, chiedendo però subito dopo a Marta se credeva in ciò.

"Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo" (v.27): la risposta di Marta è notevole ed esemplare per ogni credente. Ella afferma solennemente di credere non in qualcosa, ma in Qualcuno. Non sa come Lui manterrà quello che ha promesso, ma si affida interamente alla sua Parola di vita.

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11/04/2011 08:29
 
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Comunità Missionaria Villaregia (giovani)


Tutti aspettano di vedere come se la caverà Gesù: tutto appare ben orchestrato da scribi e farisei i quali, come annota bene l'evangelista, vogliono tendere una trappola a Gesù. In modo subdolo la domanda obbliga a prendere posizione facendo scontrare frontalmente Gesù o con l'autorità giudaica, se egli non osserva la legge mosaica nel caso voglia sottrarre la donna alla morte, o con l'autorità romana, se egli decreta la morte, cosa vietata ai giudei. In questa situazione Gesù deve decidere.
Sembra non sapersi decidere, prende tempo scrivendo per terra: sono attimi eterni di impacciante silenzio. Molti studiosi si sono impegnati a decifrare quelle parole o quei segni tracciati sulla sabbia. Per qualche autore Gesù scriveva i peccati degli accusatori, per altri il comandamento "non commettere adulterio" oppure "non uccidere". Tu stesso puoi usare la tua fantasia e decifrare quei messaggi.

A me piace pensare che Gesù scriva una parola: PERDONO. E quel silenzio è il silenzio dell'attesa perché sta per germogliare una cosa nuova, come dice la prima lettura: Gesù è la novità, lui porta una novità: dice basta con la legge Mosaica, dice no alla legge romana, e lascia fiorire una cosa nuova: il PERDONO. Con divina maestria Gesù sa unire la chiarezza della verità alla dolcezza dell'amore...

Gesù squarcia il silenzio e la sua parola è come una spada che si conficca nella profondità della coscienza, colpendo implacabilmente tutte le miserie e le ipocrisie che vi si annidano: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". MISERICORDIA O LAPIDAZIONE? Gli accusatori vorrebbero negare alla donna adultera la possibilità di un cambiamento, rifiutarle l'avvenire. Sotto i sassi, che tengono in mano impazienti, vorrebbero seppellire il peccato e la persona, il suo passato e il suo futuro.

Ma le parole di Gesù provocano un nuovo silenzio, rotto solamente dai passi degli accusatori che piano piano si allontanano. Rimane solo Gesù, l'unico che non ha peccato: lui non scaglia la sua pietra, ma dal basso, dalla stessa posizione in cui la donna era caduta, per poter essere vicino alla sua miseria dice: "Donna, qualcuno ti ha condannato? Neanch'io ti condanno, Và e non peccare più".
Con la donna sei rimasto solo tu Gesù, tu che non hai peccato e che quindi potresti lanciare la prima pietra. Ma tu non hai pietre, hai solo amore. Un amore che libera, un amore che salva, un amore che spalanca un futuro nuovo.

Gesù chiama la peccatrice: "donna", un titolo che darà anche a sua madre. Chi gli sta davanti è una persona che egli non solo rispetta, ma che pure riabilita alla sua dignità perduta.
Le parole di Gesù sono come un raggio di sole che arriva nell'oscurità della vita della donna. Le sue parole non creano imbarazzo, Gesù non la scusa, non la giustifica, non chiude gli occhi davanti alla verità, non cede alla tentazione di confondere il vero con il falso, semplicemente perdona. E il perdono, chi l'ha provato lo sa, è riabilitazione, rinascita a vita nuova, aria fresca, possibilità di essere diversi per iniziare un cammino nuovo.
Cristo assolvendola, liquida definitivamente il passato e consegna alla peccatrice un futuro intatto, illibato. La inventa diversa. Cos'è allora questa NOVITA' preannunciata dal Profeta Isaia, questa cosa nuova che è venuto a portare Gesù?

La novità del messaggio cristiano consiste nel riconoscere che nessuno è senza peccato e che ognuno però può non peccare più. Il peccato, appartiene, se tu vuoi, al passato, il futuro può essere aperto alla grazia con cui Gesù ti raggiunge nel tuo presente.
Possiamo dire con S. Paolo: "Proteso verso il futuro, corro verso la meta": davanti a noi abbiamo la grazia della Pasqua.

Parola chiave: Perdono

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15/04/2011 09:39
 
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padre Lino Pedron


Il dialogo con i giudei, riportato nei capitoli 7 e 8 aveva avuto come epilogo il tentativo di uccidere Gesù a sassate. Qui tentano ancora una volta di lapidarlo. Le parole di Gesù di essere una cosa sola con Dio si rivelano scandalose agli orecchi degli increduli giudei.
Gesù dimostra di essere il Figlio di Dio con una duplice argomentazione, quella della Scrittura e quella delle opere straordinarie compiute nel nome del Padre. Gesù reagisce in modo pacato al gesto violento dei suoi avversari: "Vi ho mostrato molte opere buone da parte del Padre; per quale di queste opere mi lapidate?" (v. 32). I giudei replicano che lo vogliono lapidare per la bestemmia pronunciata, perché si proclama Dio. Gesù argomenta dal Sal 81, di valore incontestabile per i giudei, che se dei semplici uomini sono chiamati dei e figli dell'Altissimo, quanto più è Figlio di Dio colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo per essere il rivelatore definitivo e il salvatore universale.
La seconda argomentazione di Gesù a prova della sua divinità è costituita dalle opere eccezionali compiute nel nome del Padre (cfr Gv 10,37-38). E' il Padre che, nel Figlio, compie le sue opere (cfr Gv 14,10-11).
I giudei sarebbero senza colpa se Gesù non avesse compiuto opere che nessun altro al mondo ha mai fatto; ma ora non sono scusabili per questo peccato (cfr Gv 15,23-25). Le opere eccezionali compiute da Gesù hanno una finalità ben precisa: favorire la fede nella sua divinità: "Credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io sono nel Padre (Gv 10,38).
Gesù si ritira a Betania, non il villaggio di Lazzaro, ma una località situata sulla sinistra del Giordano dove il Battista aveva svolto il suo primo ministero (cfr Gv 1,28). Questo ritorno di Gesù nel luogo dove aveva avuto inizio la sua rivelazione pubblica forma un'inclusione solenne tra Gv 1,28ss e 10,40ss. Forse l'evangelista vuole insinuare che la sua manifestazione davanti al mondo iniziata a Betania si conclude, dopo essersi infranta contro il muro dell'incredulità dei giudei.
Queste persone che vanno da Gesù (v. 41) indicano il movimento della fede. I nuovi discepoli constatano che le cose dette da Giovanni Battista sul conto di Gesù erano vere. Queste persone che credono esistenzialmente nel Figlio di Dio si rivelano come pecore di Cristo: ascoltano la sua voce e lo seguono (cfr Gv 10,27).

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18/04/2011 09:14
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
.Maria, presa una libbra di olio profumato di vero nardo assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò coi suoi capelli e tutta la casa si riempì del profumo.

Come vivere questa Parola?
La cena a Betania segna un momento culmine dell'itinerario terreno di Gesù. È il momento di una raccolta intimità che ha sapore dell'estremo commiato. È un momento dove più delle parole contano i gesti. Sì, c'è il servire di Marta, pieno di gentilezza e venerazione. Ma, ancor più, c'è il gesto del tutto inatteso di Maria: quel versare una grande quantità di profumatissimo nardo nell'assoluta noncuranza della sua preziosità. O meglio, nella gioia di poter veicolare anche il valore dell'inaudita preziosità, dentro un gesto d'amore adorante assolutamente gratuito. E, sullo sfondo di questo gesto, a mo' di tenebra che dà risalto alla luce, la meschinità triste dell'argomentare di Giuda: "Perché quest'olio non si è venduto per trecento denari, per poi darli ai poveri?". A parte il fatto (pur notevole!) che l'evangelista nota che non gli importava dei poveri ma dei soldi da prendere dalla cassa comune quanto veniva in essa versato, il gesto splende di una bellezza straordinaria. E del profumo di nardo prezioso versato sui piedi del Signore non a caso è detto che pervade tutta la casa. C'è una bellezza spirituale dentro un certo modo di rapportarsi a Cristo Signore e di vederlo nei fratelli che dà profumo, cioè un senso profondo al nostro esistere in terra, pellegrini dell'Assoluto di un Amore che – appunto! – è Bellezza infinita, oltre che infinita Verità e Bontà.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, visualizzerò la scena di Betania e mi lascerò afferrare dal gesto di Maria, mentre, identificandomi a lei, io stesso sfioro i piedi del mio Signore Gesù. Chiederò allo Spirito Santo di liberarmi dalla fretta e di sostare in quiete contemplativa, dentro la bellezza di quel gesto estremamente femminile ma anche estremamente espressivo dell'amore quand'è una cosa sola con la gratuità contemplativa.

Signore Gesù, il tuo Spirito rapisca me a me stessa, perché, libera da ogni calcolo, io effonda l'anima mia su di Te, in adorante amore, in pura perdita di ogni egoismo.

La voce di un testimone
L'amore è il profumo dello spirito.
Helder Camara

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19/04/2011 08:20
 
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padre Lino Pedron


Gesù aveva già parlato in modo enigmatico dell'amico intimo che lo avrebbe tradito (cfr Gv 13,18), ma ora che denuncia chiaramente il traditore è preso da un turbamento profondo. Questa denuncia così chiara del traditore provoca grande costernazione nel gruppo dei discepoli: essi ignorano di chi stia parlando Gesù.
Il discepolo, "quello che Gesù amava" (v. 23) si trovava a mensa a fianco del Signore. Secondo l'usanza greco-romana, diffusa anche in Palestina, i commensali stavano adagiati sui divani, poggiandosi sopra il gomito sinistro, mentre con il braccio destro prendevano i cibi e le bevande.
In questo brano appare per la prima volta sulla scena questo discepolo innominato, del quale si parlerà anche nel seguito del vangelo: nel brano della morte di Gesù (19, 26ss), nella scoperta della tomba vuota (20,2ss) e nel brano della pesca miracolosa (21,7).
Gesù accoglie la richiesta del discepolo e indica il traditore. Satana entrò nel cuore di Giuda dopo che questi ha mangiato il boccone offerto da Gesù. Il nemico di Dio si impossessa del traditore, immergendolo nelle tenebre dell'incredulità e dell'odio, fino alla consumazione del delitto più grande: l'uccisione del Figlio di Dio (19,11).
Con l'ingresso di satana nel cuore di Giuda, gli eventi precipitano; per questo Gesù esorta il traditore ad affrettarsi nell'attuare il suo disegno criminoso. Il traditore esce dalla luce, abbandona il Cristo luce del mondo (8,12) e si immerge nelle tenebre della notte (v. 30). Nel cuore di Giuda si è spenta la luce della fede; in lui regnano le tenebre dell'incredulità e dell'odio. E' notte!
Appena il traditore è uscito, Gesù apre il cuore ai suoi amici che lo circondano. Egli è consapevole di essere giunto alla vigilia della sua morte e per questo si premura di spiegare loro il vero significato della sua partenza da questo mondo. La sua morte in croce non è la sua sconfitta, ma il suo trionfo, la sua glorificazione e il suo ritorno al Padre. Con la sua passione e morte Gesù esegue con obbedienza eroica il piano di salvezza voluto dal Padre e dimostra fino a che punto ama Dio e gli uomini.
Attraverso la glorificazione di Gesù si compie anche la glorificazione del Padre. Dio è glorificato per mezzo di Gesù e in Gesù. Il Padre è glorificato dal Figlio con l'esaltazione di Gesù sul trono regale della croce. Da questo trono Gesù manifesta in pienezza la sua divinità (8, 28) e attira tutti a sé (12,32).
L'appellativo "figlioli" (v. 33), usato da Gesù, esprime tutto l'amore e la confidenza per i suoi discepoli. Gesù avverte i suoi amici che sta per lasciarli. In questo momento essi non possono seguirlo; lo raggiungeranno più tardi.
Il ritorno di Gesù al Padre non è un viaggio di piacere, ma di dolore: egli allude alla sua passione e morte. Pietro al momento presente non è in grado di imitare Gesù, nonostante la sua protesta di fedeltà fino al sacrificio della vita; egli lo seguirà con la prigionia e la morte, ma in seguito.
Data l'insistenza di Pietro nell'affermare la sua fedeltà a Gesù fino al sacrificio della vita. Il Signore gli predice l'imminente rinnegamento. Il riferimento al canto del gallo vuole indicare con chiarezza che Pietro rinnegherà tre volte Gesù proprio in quella stessa notte.

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19/04/2011 08:35
 
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Per comprendere meglio il difficile versetto di Gv.13,27:

E allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui.

Da quell'ora, Giuda fu interamente sotto il potere del demonio, quanto quelli a pro dei quali Gesù operò delle guarigioni miracolose. Luca 22,3 applica la medesima espressione a Giuda al principio del racconto del suo tradimento, e ciò senza dubbio per spiegare la sua condotta dal principio alla fine. Giovanni, avendoci già detto in Giovanni 13,2 che Satana cominciava a familiarizzare la mente di Giuda col delitto che voleva fargli compiere, introduce le parole "Satana entrò in lui", alla fine del suo racconto, per metterci dinanzi agli occhi la catastrofe finale, che consiste nel trionfo completo del tentatore sopra un cuore che si era avvezzato a scherzare colle sue tentazioni. Quel trionfo di Satana non fu l'atto di un momento, bensì venne lungamente ed accuratamente preparato. Il tentatore, valendosi della cupidità naturale di Giuda, e del fatto che a lui era stata affidata la borsa della piccola comitiva che formava la famiglia di Gesù gli suggerì, il furto e la frode per arricchire a spese del Maestro e dei compagni, e quando lo vide irritato, perché l'olio odorifero da Maria sparso sui piedi di Gesù non era stato piuttosto venduto, e il prezzo dato in custodia a lui, gli, suggerì che poteva compensare sovrabbondantemente una tal perdita, vendendo il suo Maestro alle autorità giudaiche. È probabile che il falso apostolo avesse da sostenere più di una lotta colla propria coscienza, mentre cercava una occasione propizia per commettere il suo delitto; ma oramai la sua libertà era confiscata, egli apparteneva anima e corpo al leone ruggente che va attorno cercando chi egli possa divorare"(1Pietro 5,8).
Una delle malizie di Satana è di far credere agli uomini che egli non esiste, mentre invero egli li tiene come schiavi a suo piacere; ma la prudenza consiste nell'aver sempre presenti alla mente la realtà, la personalità e la potenza del grande nostro nemico spirituale, il diavolo. C'insegni l'esempio di Giuda che chi non resiste fin dal principio, corre il rischio di cadere anima e corpo sotto il suo dominio, e di venir precipitato nella perdizione eterna.
Perciò Gesù gli disse:

Fa presto quel che devi fare.

Le parole scambiate poco prima fra Pietro e Giovanni, e fra Giovanni e Gesù, erano state dette sotto voce, e gli altri discepoli non le avevano udite; ma a Giuda Gesù parlò ad alta voce e tutti l'udirono. Queste parole del Signore non sono un comandamento e nemmeno un permesso di compiere un'azione malvagia, che fino allora non si fosse affacciata alla sua mente, o intorno alla quale egli potesse ancora essere in qualche incertezza; ma Gesù vuole che esegua più rapidamente, senza ulteriori ed ipocriti indugi, ciò che egli sapeva esser già cominciato. Egli leggeva i pensieri più intimi di Giuda; egli sapeva che il pentimento non era più possibile per lui, che già aveva ricevuto il salario della iniquità epperciò gli ordina di affrettare l'esecuzione della sua trama nefanda, perché egli, per parte sua, era preparato, anzi "distretto finché fosse compiuto", e la partenza del traditore riuscirebbe un sollievo per quelli che rimanevano.
[Modificato da Coordin. 19/04/2011 08:37]
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21/04/2011 11:15
 
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Gaetano Salvati
Dono di salvezza

"Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza", recita il Salmo appena proclamato.
San Paolo afferma che noi cristiani, mangiando il pane, vero corpo di Cristo, e bevendo il sangue della Nuova Alleanza, facciamo memoria della morte del Signore (1Cor 11,26). Fare memoria significa riattualizzare pienamente, nel presente della nostra storia, mediante il sacrificio eucaristico, l'evento della salvezza: l'offerta pura che il Messia ha compiuto a Pasqua.
Oggi, facciamo memoria dell'"ora" in cui Gesù passa "da questo mondo al Padre" (Gv 13,1). San Giovanni narra che è arrivata l'"ora" del Nazareno. Due parole spiegano questa ora: passaggio e amore. Gesù non va al Padre dopo una temporanea visita sulla terra; passaggio significa elevazione alla gloria di Dio. La crocifissione, subìta liberamente dal Salvatore, è trasformazione: nella sua carne crocifissa, noi siamo in Dio. Donando se stesso, Gesù trasforma anche la Croce da un atto di violenza, in atto d'amore. Mediante questo passaggio o trasformazione d'amore, l'uomo è talmente coinvolto, che è capace di partecipare alla vita divina: è redento.
L'evangelista illustra questa "ora" con la lavanda dei piedi. Gesù si alza da tavola (v. 4), depone le sue vesti, si cinge con un asciugamano, cioè si ricopre con i "panni" dell'umanità, e lava i piedi luridi degli apostoli (v. 5). Con la sua parola e la sua azione rende pura l'umanità. Se, quotidianamente, siamo intorpiditi dalla sporcizia del mondo, la parola di Gesù è il lavaggio della nostra anima. Meditiamo il Vangelo della lavanda dei piedi: l'acqua pura che il Messia versa sui nostri piedi è la capacità di essere innestati di continuo nella comunione con il Padre. Gesù, offrendo se stesso in sacrificio, si ripropone nella nostra vita, non solo nel momento della nostra conversione, ma sempre, per mezzo dei sette sacramenti. L'Eucaristia, vertice di tutti i sacramenti, è il centro della vita del cristiano, perché è l'atto di ringraziamento per l'esistenza nuova.
È importante tenere presente che l'intero episodio della lavanda dei piedi non individua un singolo sacramento, ma il sacramento di Cristo nel suo insieme: il suo servizio, la sua Croce, il suo amore che purifica e ci rende capaci di Dio. Sacramento, dunque, che diviene servizio per i fratelli, amore vicendevole, perdono.
Il Vangelo della lavanda dei piedi propone un'altra caratteristica della vita e della prassi cristiana. Pietro non ha alcuna intenzione di farsi lavare i piedi dal Maestro (v. 8). Probabilmente, ha ancora in mente l'idea di un Messia trionfale, grandioso. Dio, però, cancella le immagini che possiamo avere di Lui. È un Dio sovversivo, che sceglie l'umiltà, il servizio, la sofferenza, la Passione. È il Pastore divenuto Agnello.
Allora, Pietro si lascia lavare i piedi solo quando Gesù gli dice che senza la lavanda dei piedi non avrebbe avuto parte con Lui (v. 10).
In questo Giovedì Santo, il Signore ci esorta a lavare i piedi gli uni gli altri (v. 15), a ringraziarlo continuamente, a non avere rancore con nessun fratello.
L'azione di Gesù della lavanda dei piedi, dono della purezza, sacramento di Cristo, diviene esempio per la chiesa: fate anche voi "come io ho fatto a voi" (v. 15).
Invochiamo il Signore che ci ama fino alla fine, che trasforma le nostre amarezze in gioia, che ci vuole mendicanti dell'amore per donarlo. Amen.

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23/04/2011 08:50
 
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Movimento Apostolico - rito romano
So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto


Dai racconti evangelici sappiamo il motivo per cui queste donne si recano al sepolcro: fare sul corpo di Gesù le unzioni di rito che non erano state compiute il giorno della morte a causa della solennità del sabato che era sopraggiunto. Esse non pensano e neanche immaginano che Gesù potesse risuscitare. Il loro cuore concepisce ben altri pensieri: quelli della decomposizione e della permanenza per sempre di Gesù tra le braccia della morte. Loro vanno per onorare il corpo morto del Signore.
Mentre si recano avviene un grande terremoto. È il segno della presenza di Dio nelle vita di Gesù Signore. Dio è con Lui. non lo ha abbandonato. Non ha permesso che il suo Santo vedesse la corruzione. Un Angelo del cielo scende, rotola la pietra e si pone a sedere su di essa. Che sia un Essere celeste lo attesta il suo vestito bianco come la neve. Siamo di fronte ad una vera teofania, o manifestazione di Dio. Le guardie vengono scosse e rimangono come morte.
L'Angelo sa perché le donne si stanno recando presso il sepolcro. Le rassicura invitandole a non avere paura. Loro cercano Gesù. Lui non è più nella tomba. È Risorto. Il sepolcro è vuoto. Non c'è nessun corpo da onorare. Rimanere lì per loro è tempo perduto. Invece devono andare a dire ai suoi discepoli che Gesù è risorto e che li precede in Galilea. Lì lo potranno vedere. L'Angelo ha parlato. A loro l'obbedienza, l'ascolto, il compimento della missione.
Con timore e gioia grande le donne si recano a portare il lieto annunzio ai suoi discepoli. Lungo la via Gesù si manifesta. Loro lo vedono. Gli abbracciano i piedi. Lo adorano. L'adorazione è confessione della Signoria di Gesù. La fede di queste donne proclama la verità di Cristo. Gesù altro non fa' che confermare il messaggio dato loro dall'Angelo. I suoi discepoli si rechino in Galilea e li lo vedranno.
Se leggiamo con somma intenzione questo racconto dobbiamo evidenziare alcune verità essenziali per la nostra fede. La risurrezione non è invenzione né delle donne e né dei discepoli. Se fosse stato per loro, Gesù ancora sarebbe nel sepolcro. Non è il sepolcro vuoto la prova della risurrezione di Gesù. Esso è solo un segno che attesta che il corpo di Gesù non è più in quel luogo. Nessuno ha portato via il corpo di Gesù. Le guardie lo avrebbero impedito. Erano lì per custodire il sepolcro. I fatti sono raccontati con tale semplicità, che nessuna immaginazione trova spazio. Quanto avviene al sepolcro il giorno dopo il sabato è la pura verità. Le cose sono andate così.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a credere nella Risurrezione di Gesù. Angeli e Santi di Dio, date la vera intelligenza di questo evento e di questo mistero.
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25/04/2011 12:55
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 28,8-15

1) Preghiera

O Padre, che fai crescere la tua Chiesa,
donandole sempre nuovi figli,
concedi ai tuoi fedeli di esprimere nella vita
il sacramento che hanno ricevuto nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 28,8-15
In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli. Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: "Salute a voi". Ed esse, avvicinatesi, gli strinsero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: "Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno". Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: "Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia". Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.


3) Riflessione

• Pasqua! Il vangelo di oggi descrive l'esperienza di risurrezione delle discepole di Gesù. All'inizio del suo vangelo, nel presentare Gesù, Matteo aveva detto che Gesù è l'Emanuel, Dio con noi (Mt 1,23). Ora, alla fine, comunica ed aumenta la stessa certezza di fede, poiché proclama che Gesù è risorto (Mt 28,6) e che starà con noi sempre, fino alla fine dei tempi! (Mt 28,20). Nelle contraddizioni della vita, questa verità è molte volte contestata. Non mancano le opposizioni. I nemici, i capi dei giudei, si difesero contro la Buona Novella della risurrezione e mandarono a dire che il corpo era stato rubato dai discepoli (Mt 28,11-13). Tutto ciò succede anche oggi. Da un lato, lo sforzo di molte persone per vivere e testimoniare la risurrezione. Dall'altro, tanta gente cattiva che combatte la risurrezione e la vita.
• Nel vangelo di Matteo, la verità della risurrezione di Gesù è raccontata attraverso un linguaggio simbolico, che rivela il senso nascosto degli avvenimenti. Matteo parla di scosse di terremoto, di fulmini e di angeli che annunciano la vittoria di Gesù sulla morte (Mt 28,2-4). E' un linguaggio apocalittico, molto comune in quel tempo, per annunciare che finalmente il mondo era stato trasformato dalla potenza di Dio! Si compiva la speranza dei poveri che riaffermavano la loro fede: "Lui è vivo, in mezzo a noi!"
• Matteo 28,8: L'allegria della Risurrezione vince la paura. Al mattino di domenica, il primo giorno della settimana, due donne si recano al sepolcro, Maria Maddalena e Maria di Giacomo, chiamata l'altra Maria. Improvvisamente la terra trema ed un angelo appare come un fulmine. Le guardie che stavano vigilando il tumulo svennero. Le donne si impaurirono, ma l'angelo le incoraggiò, annunciando la vittoria di Gesù sulla morte e mandandole a riunire i discepoli di Gesù in Galilea. E in Galilea potettero vederlo di nuovo. Lì cominciò tutto, lì avvenne la grande rivelazione del Risorto. L'allegria della risurrezione comincia a superare la paura. Si inizia così l'annuncio della vita e della risurrezione.
• Matteo 28,9-10: Gesù appare alle donne. Le donne escono di corsa. In loro c'è un misto di paura e di gioia. Sentimenti tipici di coloro che fanno una profonda esperienza del Mistero di Dio. Improvvisamente, Gesù stesso va incontro a loro e dice: "Rallegratevi!" E loro si prostrarono ed adorarono. E' l'atteggiamento di colui che crede ed accoglie la presenza di Dio, anche se sorprende e supera la capacità umana di comprensione. Ora Gesù stesso ordina di riunire i fratelli in Galilea: "Non abbiate paura. Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno".
• Matteo 28,11-15: L'astuzia dei nemici della Buona Novella. La stessa opposizione che Gesù ha avuto in vita, spunta ora dopo la sua risurrezione. I capi dei sacerdoti si riuniscono e danno denaro alle guardie. Loro devono spargere la notizia che i discepoli hanno rubato il corpo di Gesù per evitare così quanto si dice della risurrezione. I capi non accettano la Buona Novella della Risurrezione. Preferiscono credere che si tratta di un'invenzione da parte dei discepoli e delle discepole di Gesù.
Il significato della testimonianza delle donne. La presenza delle donne alla morte, alla sepoltura e alla risurrezione di Gesù è significativa. Loro sono testimoni della morte di Gesù (Mt 27,54-56). Nel momento della sepoltura, rimangono sedute dinanzi al sepolcro e quindi possono rendere testimonianza del luogo dove Gesù fu sepolto (Mt 27,61). Ora, al mattino di domenica, loro sono lì di nuovo. Sanno che quel sepolcro vuoto è veramente il sepolcro di Gesù! La profonda esperienza di morte e di risurrezione che loro hanno fatto ha trasformato le loro vite. Loro stesse diventano testimoni qualificati della risurrezione nelle Comunità cristiane. Per questo ricevono l'ordine di annunciare: "Gesù è vivo! Risuscitò!"


4) Per un confronto personale

• Qual è l'esperienza di resurrezione che ho nella mia vita? C'è in me qualche forza che cerca di combattere l'esperienza della risurrezione? Come reagisco?
• Qual è oggi la missione della nostra comunità di noi discepoli e discepole di Gesù? Da dove possiamo trarre forza e coraggio per adempiere la nostra missione?



5) Preghiera finale

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio cuore mi istruisce.
Io pongo sempre innanzi a me il Signore,
sta alla mia destra, non posso vacillare.
(Sal 15)

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29/04/2011 08:21
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 21,1-14

1) Preghiera

Dio onnipotente ed eterno,
che nella Pasqua del tuo Figlio
hai offerto agli uomini
il patto della riconciliazione e della pace,
donaci di testimoniare nella vita
il mistero che celebriamo nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 21,1-14
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci.
Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore!" Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: "Portate un po' del pesce che avete preso or ora". Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatre grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", poiché sapevano bene che era il Signore.
Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.


3) Riflessione

• Il Capitolo 21 del vangelo di San Giovanni sembra un'appendice che si aggiunse più tardi dopo che il vangelo era già terminato. La conclusione del capitolo precedente (Gv 20,30-31) lascia percepire che si tratta di un'aggiunta. Comunque, aggiunta o no, è Parola di Dio che ci presenta il bel messaggio della risurrezione in questo quinto giorno della settimana di Pasqua.
• Giovanni 21,1-3: Il pescatore di uomini torna ad essere il pescatore di pesci. Gesù è morto ed è risorto. Al termine dei tre anni di vita insieme a Gesù, i discepoli ritornano verso la Galilea. Un gruppo di loro si trova di nuovo davanti al lago. Pietro ritorna al passato e dice: "Me ne vado a pescare!" Gli altri rispondono: "Veniamo con te!" Così, Tommaso, Natanaele, Giovanni e Giacomo insieme a Pietro si recano in barca a pescare. Ritornano alla vita del passato come se non fosse successo nulla. Ma qualcosa è successo. Qualcosa stava accadendo! Il passato non è tornato indietro! "Non abbiamo preso nulla!" Ritornano sulla spiaggia, stanchi. E' stata una notte piena di frustrazioni.
• Giovanni 21,4-5: Il contesto della nuova apparizione di Gesù. Gesù stava sulla spiaggia, ma loro non lo riconoscono. Gesù chiede: "Figlioli, avete qualcosa da mangiare?" Risposero: "No!" Nella risposta negativa riconobbero che la notte era stata deludente perché non avevano pescato nulla. Loro erano stati chiamati ad essere pescatori di uomini (Mc 1,17; Lc 5,10), e ritornarono ad essere pescatori di pesci. Ma qualcosa era cambiato nella loro vita! L'esperienza dei tre anni con Gesù produsse in loro un cambiamento irreversibile. Non era più possibile tornare indietro come se non fosse successo nulla, come se non fosse cambiato nulla.
• Giovanni 21,6-8: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". Fecero qualcosa che probabilmente non avevano mai fatto nella vita. Cinque pescatori con esperienza obbediscono ad un forestiero che ordina loro di fare qualcosa in contrasto con la loro esperienza. Gesù, quella persona sconosciuta, che si trovava sulla spiaggia, ordina loro di gettare la rete a destra della barca. Loro obbediscono, gettano la rete, ed ecco il risultato inatteso. La rete si riempie di pesci! Come era possibile! Come spiegare questa sorpresa al di fuori di qualsiasi previsione. L'amore fa scoprire. Il discepolo amato dice: "E' il Signore". Questa intuizione chiarisce tutto. Pietro si getta in acqua per giungere più in fretta vicino a Gesù. Gli altri discepoli lo seguono in barca, trascinando la rete piena di pesci.
• Giovanni 21,9-14: La delicatezza di Gesù. Giungendo a terra, videro un fuoco di brace che era stato acceso da Gesù, dove lui stava arrostendo pesci e pane. Lui chiese loro di portare più pesci ed immediatamente Pietro sale nella barca e trae a terra la rete con centocinquanta pesci. Molti pesci, ma la rete non si rompe. Gesù chiama la moltitudine: "Venite a mangiare!" Lui ha la delicatezza di preparare qualcosa da mangiare dopo una notte deludente in cui non avevano pescato nulla. Un gesto molto semplice che rivela qualcosa dell'amore di Dio per noi. "Chi vede me vede il Padre" (Gv 14,9). Nessuno dei discepoli osava chiedere chi era, perché sapevano che era il Signore. Ed evocando l'eucaristia, l'evangelista Giovanni contempla: "Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro". Suggerisce così che l'eucaristia è il luogo privilegiato per l'incontro con Gesù risorto.


4) Per un confronto personale

• Ti è successo che qualcuno ti ha chiesto di gettare la rete alla destra della barca della tua vita, di fare qualcosa al contrario della tua esperienza? Hai obbedito? Hai gettato la rete?
• La delicatezza di Gesù. Com'è la tua delicatezza nelle piccole cose della vita?



5) Preghiera finale

Celebrate il Signore, perché è buono;
perché eterna è la sua misericordia.
Lo dica chi teme Dio:
eterna è la sua misericordia.
(Sal 117)

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30/04/2011 14:08
 
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padre Lino Pedron


L'apparizione del Risorto a Maria di Magdala è un riassunto dei versetti 11-18 del capitolo 20 di Giovanni. Per caratterizzare la figura della Maddalena, l'autore ricorre al testo di Luca (8,2), dove è detto che Gesù scacciò da lei sette demoni. Da tale notizia non è lecito dedurre che Maria fosse una grande peccatrice, ma piuttosto che era affetta da grave malattia, dalla quale Gesù l'aveva guarita.
Particolarmente stringato è il riassunto della storia dei due discepoli in cammino verso Emmaus, tratto dal capitolo 24 di Luca. All'evangelista interessa, anche questa volta, solo il fatto che i discepoli non credettero al racconto dei compagni.
Infine l'autore ricorda l'apparizione di Gesù agli Undici, riferendosi chiaramente al racconto di Luca (24,36-43). In questo brano viene denunciata pesantemente la mancanza di fede dei discepoli (vv. 11.13.14). Gli apostoli passano dal dubbio alla fede sotto l'urto delle manifestazioni di Gesù.
La fede nella risurrezione non è una scoperta umana, ma il prodotto di un annuncio fatto a noi da Dio mediante angeli o inviati vestiti di bianco (colore delle vesti del paradiso), e attraverso l'incontro diretto, visibile e palpabile con il diretto interessato, il Cristo risorto.
La risurrezione di Cristo (e la nostra futura risurrezione) è corporea, come lo fu anche la sua morte. La prova è il sepolcro vuoto, testimoniata da tutti e quattro i vangeli, ma soprattutto l'incontro con il Risorto, che non è un fantasma, ma ha carne e ossa, come hanno potuto constatare i discepoli, e che mangia davanti a loro una porzione di pesce arrostito (cfr Lc 24).
Gesù, il Nazareno crocifisso, è risorto. Questa è la parola fondamentale della fede cristiana.
Le ultime parole di Gesù: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura" (v. 15) mettono in risalto l'attività missionaria della Chiesa. Nel regno universale di Cristo, che abbraccia il cielo e la terra, viene sparso il seme della Parola. La missione della Chiesa è necessaria per volontà di Dio, che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti.

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02/05/2011 08:43
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 3,2

Come vivere questa Parola?

Nicodemo andò da Gesù, di notte.

Come vivere questa Parola?

Nicodemo, un fariseo capo dei Giudei, cioè una persona che sapeva il fatto suo, si reca da Gesù - e Giovanni annota - nel cuore della notte. Sappiamo che l'evangelista non si preoccupa di fornire ai lettori indicazioni cronologiche. Per lui quello che conta è il dato teologico, a cui, di conseguenza, è necessario risalire se non si vuol tradire il suo pensiero.

La notte è immagine della confusione, della poca chiarezza, del dubbio e anche del peccato e della consapevole (e quindi colpevole) chiusura. Realtà che accompagnano il nostro cammino esisten-ziale, affacciandosi, talvolta con più frequenza, in altri casi sporadicamente, ma che non è possibile e-ludere totalmente. Ma la notte è anche segno di ricerca di ciò che ancora non si ha.

Nicodemo, proprio con il rispettoso rivolgersi a Gesù nel cuore della sua notte, rivela la propria rettitudine interiore che lo spinge a interrogarsi e a interrogare e gli permette di approdare alla luce. Ri-comparirà infatti più avanti, non più nella notte bensì nella piena luminosità del giorno, per prendere le difese di Gesù (cf Gv 7,50-52) e per seppellirne il corpo (cf Gv 19,39).

Quando il cuore è immerso nella luce, anche se intorno a noi le tenebre infittiscono (come per gli altri capi dei Giudei ostinatamente chiusi nel loro preconcetto rifiuto di Cristo e come può capitare anche oggi in un contesto sociale paganeggiante), non si ha timore dell'impopolarità e delle possibili conseguenze di un coraggioso andare contro corrente pur di affermare con la vita e con la parola la ve-rità percepita.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, cercherò di individuare le tenebre che con maggiore fre-quenza si affacciano nel mio vissuto. Come Nicodemo, non starò ad indugiare in esse, ma le esporrò a Gesù perché le fughi con la sua luce.

Concedimi, Signore, di dimorare abitualmente nella luce che irradia dalla tua parola e che sola può diradare le tenebre che insidiano i miei passi.

La voce di un grande Papa

Gesù è la luce che vince le tenebre; il sale che dà sapore ai vostri verdi anni e all'intera vostra esistenza. È Lui che vi conserva nella bellezza e nella fedeltà a Dio, suo e nostro padre.

Giovanni Paolo II
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