Prima di raccontare la storia della Losa delle Coppelle, è importante che riporti qualche passo sulla storia dei massi erratici.
Lo spunto al mio scritto è derivato da una piccola parte della relazione che ho svolto per il mio tirocinio.
Ora pian piano, attraverso un percorso, vorrei ispirare anche voi, ricordando l'effetto che suscita la visione di una grande pietra.
I massi erratici della val di Susa presentano micro-morfologie superficiali conseguenti alle due principali tappe della loro storia geologica: il periodo di trasporto glaciale con la conseguente esarazione che ha lasciato superfici striate e una forma generale abbastanza levigata e il periodo successivo in cui hanno agito i processi di degradazione meteorica.
Alcuni massi, trovandosi lungo i percorsi dei torrenti, sono stati levigati dalle acque correnti.
Molte morfologie sono state spesso scambiate per segni dell'uomo: vero è che la maggior parte non lo sono, ma molte sono state modificate volutamente o comunque usate in qualche modo senza apportare modifiche.
Tuttavia, si sa pochissimo su cosa effettivamente rappresentassero i massi per le antiche popolazioni.
Sovente rocce aguzze o grossi massi isolati sono simboli del culto a una divinità chiamata Penn, nell'interpretatio romana Iuppiter Poeninu.
Esempi di coppelle scavate dall'uomo, in particolare dalle popolazioni precedenti la venuta dei Celti, si trovano nel piccolo eppure ben corredato museo presso Lanslevillard in Val Maurienne, ai piedi del Colle del Moncenisio.
In virtù dei potenziali e di ciò che hanno sempre ispirato all'essere umano questi grandi massi, il significato che Eliade e la Gimbutas risaltano è quello più lucente.
Ma perché tornare al principio che fu nei tempi antichi proprio con loro?
Perché riportando passi dei loro pensieri è più facile intuire la bellezza suggestiva che suscita la visione di queste grandi pietre.
Mircea Eliade disse: "non saprei dire se gli uomini hanno mai adorato i sassi in quanto sassi. [...] Li hanno adorati o se ne sono serviti come strumenti di azione spirituale, come centri di energia destinati alla difesa propria o a quella dei loro morti. [...] La loro funzione era magica più che religiosa".
È una prova a sostegno dell'antico significato magico dei massi l'erezione su di essi sin da tempi remoti di statue della Vergine, croci o cappelle, pratica che testimonia l'affermazione della cristianità in luoghi precedentemente adibiti ad altri culti.
Fra le credenze, la più documentata e diffusa in molte parti del mondo è quella delle "pietre fecondatrici" o "pietre della fertilità".
In megaliti e massi l'antenato, "fissato" nell'interiorità dello stesso, diventa da presenza rancorosa verso i viventi, strumento di difesa e di accrescimento della vita.
Così i Samoiedi pregano e offrono oro alla
pyl-paja (la
donna-sasso), e gli sposi novelli camminano sopra un sasso perché la loro unione sia feconda.
Deboli vestigia di queste usanze, eredi di un culto antico, sopravvivono nella
glisse (
scivolata) francese, in cui per avere figli le donne scivolano lungo una pietra consacrata, oppure nella
friction, in cui si siedono sopra un monolito, dormono sopra un masso, vi strofinano il ventre o le natiche.
Nel medioevo furono emesse dal clero e dai re numerose leggi contro il culto delle pietre.
Una credenza similare è quella delle "pietre forate", attraverso cui venivano fatti passare i bambini per assicurargli buona salute: non è escludibile che tale usanza fosse praticata anche presso alcuni gruppi di erratici valsusini, in cui lo spazio fra massi accostati naturalmente a formare una galleria è stato artificialmente ripulito da detriti e terriccio, come presso il masso della Veneria o la Pera Morera.
La "losa delle coppelle" di Avigliana, ora custodita nella chiesa più vecchia del borgo, è stata trovata alla torbiera di Trana. Dopotutto la valle è ricca di corsi d'acqua e non stupisce il fatto che i ritrovamenti siano maggiori in questa zona: in virtù di ciò si deve tener conto del fatto che il legame tra pietra e acqua è sempre stato forte nei tempi arcaici.
Il reperto risale almeno a 3000 anni fa e presenta incise venticinque coppelle, le quali sembrano corrispondere alle costellazioni dell'Orsa Maggiore e dell'Orsa Minore.
Nel libro
“Trattato di storia delle religioni” di Eliade vi è un interessante capitolo intitolato
“Le pietre sacre, epifanie, segni e forme” che, secondo l’autore, per la coscienza religiosa del primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una ierofania: «non v'è nulla di più nobile e di più terrificante della roccia maestosa, del blocco di granito audacemente eretto.
Il sasso, anzitutto, è. Rimane sempre se stesso e perdura […], colpisce.
Nella sua grandezza e nella sua durezza, nella sua forma e nel suo colore, l'uomo incontra una realtà e una forza appartenenti a un modo diverso da quel mondo profano di cui fa parte.
Una roccia, un ciottolo, sono oggetti di devozione perché rappresentano o imitano qualche cosa, perché vengono da qualche posto.
Il loro valore sacro è dovuto a questo, non alla loro stessa esistenza.
Il sasso proteggeva la morte, poiché come la pietra è incorruttibile, così l'anima del defunto doveva durare indefinitamente, senza disperdersi. […]
L'anima “fissata” su un sasso è costretta ad agire in favore della fertilità. Per questo i sassi sono mezzo di fecondazione dei campi e delle donne […] “abitazione simbolica dello spirito” […]
I Khasi dell'Assam credono che la Grande Madre del clan sia rappresentata dai dolmen (“
maw-kynthei”, i “
sassi-femmina”), e che il Grande Padre sia presente nei menhir (“
maw-shynrang”, i “
sassi-maschi”).
Il culto non è rivolto al sasso, bensì allo spirito che lo anima, al simbolo che lo consacra. Il sacro è grazie alla forza spirituale di cui portano il segno […]
L'idea implicita dei riti legati alle pietre fecondatrici è che possano fecondare le donne sterili, sia grazie allo spirito dell'antenato che vi abita, sia in virtù della loro forma (
“donna gravida”, “donna di sasso”) […]
La teoria che diede origine a queste pratiche, non sempre si è conservata nella coscienza di chi ancora continua a osservarle. Talvolta è stata sostituita o modificata; qualche volta è caduta in dimenticanza in seguito a qualche rivoluzione religiosa. […]
Questa devozione è molto vaga: a Moutiers la popolazione manifesta un timore religioso e un pio rispetto per la pietra
Chevetta (
Pietra della Civetta) senza sapere di lei altro che questo: protegge il villaggio e, finché durerà, né il fuoco né l'acqua potranno mai fargli del male. […]
Che il menhir costituisca un'epifania della Dea Civetta lo si ricava dalle steli preistoriche della Francia meridionale, della Spagna e del Portogallo […].»
A questo punto riprendere un passo della Gimbutas chiarisce meglio il possibile significato delle coppelle della nostra losa: un'affinità magica tra gli occhi della civetta e una coppella o una coppella in un cerchio concentrico, simboli del centro della sorgente, è rappresentata in un graffito su pietra nella tomba megalitica di Sess Kilgreen.
L'atto stesso di fusione dei due simboli, occhi e coppelle, era un rituale che assicurava le forze della vita.
La “Losa delle Coppelle” ricorda il Baildon Moor nello Yorkshire, riportato nel libro di Marija.
L'archeologa mostra come gli occhi con cui la Madre Terra, o meglio, la Grande Madre è ritratta suggeriscono l'epiteto di “onnivedente”.
Tuttavia gli occhi rimandano con ancora più forza a una sorgente divina: il concetto di occhi come sorgente giunge a noi dal Paleolitico Superiore.
L'esempio più bello è la statuetta proveniente da Dolni Věstonice, dalla quale una corrente liquida fluisce lungo il corpo della stessa e che ha inizio nella zona degli occhi.
I tratti predominanti delle grosse rocce in Occidente e nelle isole del Nord sono appunto piccole cavità rotonde, le “coppelle”. In alcuni casi una pietra antropomorfica ne è tutta ricoperta.
Non di rado sono circondate da cerchi e rappresentano un'evidente metafora: occhi, i quali sono al contempo fonte divina, acqua di vita e suoi ricettacoli quando cade.
Questo significato è suggerito dal fatto che simili coppelle hanno mantenuto parte di tale accezione simbolica nella subcultura contadina europea, la quale attribuisce poteri curativi all'acqua di pioggia che vi si raccoglie dentro.
Una coppella è un pozzo in miniatura: i pozzi sotto le grandi pietre erano sacri e considerati misteriose sorgenti d'acqua, portatrice di vita.