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Chi l'ha visto - casi irrisolti

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2023 09:26
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03/10/2011 22:11
 
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Assolti per non aver commesso il fatto Amanda Knox e Raffaele Sollecito..

Sentenza politica??..il dna nn c'è piu' ma i dubbi restano..
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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04/10/2011 14:53
 
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tv.repubblica.it/cronaca/parolisi-torna-sul-luogo-del-delitto-il-video-girato-dai-carabinieri/77372?video=&ref...

le bugie di Parolisi sul luogo dell'omicidio della moglie a 2 giorni dal ritrovamento..A un certo punto dice pure "ho schizzato qua per delicatezza " ( a 3'30" ) con tanto di mimata ..

senza ritegno sto personaggio..
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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05/10/2011 14:53
 
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Re:
Sound72, 03/10/2011 22.11:

Assolti per non aver commesso il fatto Amanda Knox e Raffaele Sollecito..

Sentenza politica??..il dna nn c'è piu' ma i dubbi restano..



Potere degli USA,di cui siamo servi da oltre 60 anni.C'è stato un lobbying esagerato,hanno speso milioni per influenzare i giudici.
Se fosse stata negra originaria del congo sarebbe finita diversamente.
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24/11/2011 09:52
 
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ma perchè Michele Misseri deve continuare ad essere intervistato, a fare passerella da una tv all'altra a raccontare cazzate e mezze verità? uno imputato e ( reo confesso ) di occultamento di cadavere, ovvero gettare una ragazzina strangolata in un pozzo, che ancora oggi va in giro a dire altre verità arrampicate, che se nn verrà creduto Sara nn riposerà mai in pace? ma visto che nn c'è ritegno e pudore a livello di giornalismo esiste un cazzo di giudice che se proprio nn può essere risbattuto dentro gli impone di parlare solo coi familiari e ai domiciliari fino al processo?boh.
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01/12/2011 12:31
 
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ieri hanno parlato della scomparsa da 20 giorni di un tifoso della Roma, Mirco, che spesso chiamava anche le radio private.
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10/01/2012 10:07
 
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Straccia, resta il mistero, ecco le quattro ipotesi
Il giallo di Pescara



Roberto Straccia. Intorno alla sua scomparsa resta il mistero. Ecco le quattro ipotesi del giallo


1. L’INCIDENTE. "E’ scivolato in mare mentre correva"

Non ci credono in molti all’ipotesi di una scivolata ad una perdita di aderenza sulla superficie su cui Roberto stava correndo, ma c’è una ragazza, un’amica dello studente di Moresco, che prende seriamente in considerazione questa possibilità, perché lei quel giorno era sul lungomare di Pescara e dice che c’era tanto vento, che le onde erano alte, che ha rischiato di finire in acqua: “Era prima di pranzo e mi ero recata al porto turistico per una passeggiata, come faccio spesso, anche quando le condizioni climatiche non sono delle migliori. Quel giorno, però, c’era un forte vento che tirava da sud. Non era freddo, ma le raffiche ti spostavano e le onde erano alte almeno tre metri. Quando mi sono avvicinata al faro, ho rischiato di essere travolta dal mare grosso. Mi sono dovuta aggrappare ad un ferro per non cadere. Mi sono spaventata e sono tornata subito a casa: ero completamente bagnata”.

E’ VERO, Roberto non sapeva nuotare e, se fosse caduto accidentalmente in mare, non avrebbe avuto scampo. Però, per ipotizzare un incidente simile, bisogna anche pensare che il ragazzo abbia cambiato il percorso che abitualmente faceva per andare a correre.
Un percorso che andava dalla sua casa di Pescara, in via D’Annunzio, fino al monumento della Nave di Cascella, che si trova nella direzione opposta al porto. E poi perché andare in quel posto, cambiando le proprie abitudini, in un giorno di vento forte e mare grosso? Improbabile per un ragazzo che tutti definiscono metodico e abitudinario.

2. L'OMICIDIO Ucciso e gettato in acqua più a sud di Pescara. Il giallo della chiave

ANCHE se bisognerà attendere i risultati dell’autopsia per conoscere le cause del decesso, prende sempre più corpo l’idea che Roberto possa essere stato ucciso. E’ possibile che la corrente possa averlo trascinato per oltre 350 chilometri in quella direzione? Come può la salma aver superato le tante insenature, con fondali rocciosi, che ci sono da Ortona in poi? E soprattutto, come può non essersi incagliato nel promontorio del Gargano, che, ha detta di esperti pescatori del luogo, rappresenta una sorta di ostacolo insormontabile per le cose trasportate a sud dalla corrente? Su questo argomento le tesi degli esperti sono contrastanti. C’è chi è possibilista, ma anche chi ritiene quasi impossibile che la salma possa essere stata trasportata dal mare fino alle scogliere del capoluogo pugliese. Quest’ultima ipotesi è stata presa in seria considerazione dai carabinieri del Reparto operativo di Pescara, che conducono le indagini fin dal giorno della scomparsa del ragazzo. I militari dell’Arma, a questo punto, non escluderebbero alcuna eventualità, anche quella che Roberto possa essere stato gettato in acqua molto più a sud di Pescara. Roberto non sapeva nuotare e lo sapevano in molti. Lo sapevano anche i suoi amici, che spesso, bonariamente, lo prendevano anche in giro. Ora lo sanno anche i carabinieri che, sicuramente, si staranno chiedendo perché una persona che non sapeva nuotare sarebbe dovuta andare a correre in posti tipo la banchina del porto dove si trova il faro. Unico luogo da dove sarebbe potuto cadere in acqua ed essere trascinato fuori dalle zone protette dalla diga foranea. Poi c’è il giallo della chiave di un portone blindato trovata in una tasca del giubbotto che Roberto indossava durante la sua ultima corsa. Una chiave che non corrisponderebbe a quella della sua abitazione. E allora ecco i sospetti, le domande: di chi è? Che cosa apre? Doveva consegnarla a qualcuno senza sapere che era un oggetto pericoloso? E’ di una casa di un amica, di un amico? Non sarà facile dare risposte precise a tutte queste domande, ma gli inquirenti ci stanno provando e gli scenari che potrebbero aprirsi sono tanti.

3. IL MALORE "Anche gli sportivi vittime di infarto"

E’ SE ROBERTO, nonostante i suoi 24 anni, la sua tempra e il suo fisico allenato, avesse avuto un malore e fosse poi caduto in mare? Un’eventualità assolutamente da non scartare, anche se l’ispezione cadaverica effettuata nell’istituto di medicina legale di Bari, non avrebbe fatto emergere elementi che possano avvalorare questa tesi.
Il medico legale romano, Giovanni Di Tommaso, che ha seguito il caso da spettatore, non la ritiene un’ipotesi tanto remota: “Non è raro che malori, anche piuttosto gravi, vengano accusati da atleti o persone allenate. Purtroppo si viene a conoscenza solo di casi mortali e di sportivi conosciuti, di eventi tragici consumatisi sui campi di calcio o su ribalte nazionali ed internazionali. La percentuale di malori seri ad atleti è molto più alta di quello che si pensa”.
Di Tommaso comunque spiega che, nel caso il ragazzo avesse accusato qualcosa di grave, questo dovrebbe emergere palesemente dall’autopsia: “In caso di infarto, di ischemia, di ictus, di aneurisma o di collasso, sarebbe impossibile non trovare tracce durante l’esame autoptico”.

I COMPAGNI di appartamento di Roberto hanno sempre raccontato che il ragazzo stava bene e non aveva mai dato segni di malessere. Però è anche vero che nella stanza delle studente di Moresco sono state trovate dai carabinieri, due scatole vuote di Moment, un antidolorifico per il mal di testa. E se Roberto avesse avuto da tempo dolori al capo? E se fossero stati un segnale di qualcosa di più grave di cui nessuno si era reso conto e che si è manifestato il giorno della sua scomparsa?

4. IL SUICIDIO Quell’episodio del 2004 alimenta i sospetti di un gesto estremo

IL SUICIDIO è stata una delle prime ipotesi degli inquirenti. Un’ipotesi basata sul rinvenimento nella sua stanza di due scatole vuote di farmaci antidolorifici (Moment) e su un fatto accaduto nel 2004, quando Roberto finì in ospedale dopo aver ingerito una sostanza venefica contenuta in un bibita acquistata al supermercato. I carabinieri, che si occuparono del caso, inizialmente pensarono ad un gesto estremo, ma poi fu chiarito che si trattò di un incidente. Il padre del ragazzo però ritirò la denuncia contro la multinazionale produttrice della bibita e questo, all’esame degli inquirenti, è sembrato sufficiente per alimentare dei sospetti. Sospetti sempre respinti dal padre, dagli amici e anche dallo psichiatra Alessandro Meluzzi, che si sta occupando del caso come consulente.
E’ proprio Meluzzi a fornire il profilo psicologico di Roberto: “Ci troviamo di fronte ad un ragazzo modello e di buona famiglia che non aveva alcun motivo per un gesto estremo. Mi risulta che stesse attraversando un bel momento della sua vita, era sereno e tutto apparentemente filava liscio. Solo un evento esterno, improvviso e imprevedibile avrebbe potuto far scattare la molla. Qualcosa però che dovrebbe essere accaduto nelle sue ultime ore di vita. Ma questo, al momento, dalle indagini non è ancora emerso”.

ilrestodelcarlino
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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14/01/2012 11:36
 
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il Comune di Avetrana ha deciso di costituirsi parte civile e di chiedere un risarcimento per i ‘danni morali’ conseguenti al delitto, per la pubblicità negativa che questa vicenda ha provocato alla cittadina pugliese. Inoltre il Comune è anche intenzionato a chiedere il risarcimento delle spese sostenute per il funerale, la sepoltura, i fiori e i volantini della ricerca che in un primo momento gli amministratori comunali avevano ‘offerto’, per una somma pari a 12 mila euro.

e certo che invece chiedendo il risarcimento per i "volantini di ricerca, i fiori e il funerale" te la rifai l'immagine....
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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27/10/2012 09:49
 
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Ergastolo per Parolisi

TERAMO - E' stato lui. Il 18 aprile del 2011 nel bosco di Ripe di Civitella non c'era nessun altro oltre a Melania e Salvatore. E ad uccidere la moglie con 35 coltellate, e' stato il caporalmaggiore Parolisi, l'addestratore di reclute con alle spalle missioni in Afghanistan e Kosovo. Mentre la loro bimba, 18 mesi, era in macchina. Dopo quattro ore di camera di Consiglio, il Gup di Teramo Marina Tommolini ha ritenuto valida la ricostruzione dell'accusa e ha condannato al termine di un processo con rito abbreviato Parolisi alla pena più dura, l'ergastolo. Fine pena mai.

CRUDELTA'. Salvatore e' dunque colpevole di omicidio, aggravato dalla crudeltà, dal vincolo di parentela e dalla minorata difesa. Il Gip ha ritenuto le aggravanti prevalenti sulle attenuanti, e ha condannato il caporal maggiore ad una provvisionale complessiva di due milioni di euro: uno per la bambina, 500mila a testa per i genitori di Melania. Ma non solo: il Gup Tommolini ha anche tolto la patria potesta' a Salvatore: una pena che peserà forse quanto l’ergastolo visto che in questi mesi di carcere Parolisi ha ripetuto piu' volte di volersi aggrappare a sua figlia per andare avanti.

LUI URLA. ''Sono innocente, sono innocente'' e' l'unica cosa che Salvatore ha detto ai suoi legali quando ormai ha capito che era finita. Ma non ha versato una lacrima, almeno non durante tutta l'udienza. Si e' invece lasciato andare ad un pianto dirotto, urlando la propria innocenza, mentre faceva rientro al carcere di Castrogno, alla periferia di Teramo. Quel giorno di aprile dell'anno scorso, dunque, Parolisi non si sarebbe mai recato con la moglie sul pianoro di Colle San Marco e non l'avrebbe mai vista allontanarsi subito dopo l’ora di pranzo per andare alla toilette, come ha sempre sostenuto, ma sarebbe andati direttamente nel bosco di Ripe di Civitella. Dove l'ha brutalmente uccisa, infierendo poi sul cadavere per depistare le indagini.

MOTIVAZIONI. Cosa ha convito il giudice a condannare Parolisi lo si saprà entro 90 giorni, quando saranno depositate le motivazioni della sentenza. Ma contro di lui la procura aveva raccolto una montagna di indizi: dalle tracce di Dna sulle labbra e sull'arcata dentaria della donna ai 52 testimoni che dicono di non aver visto n‚ lui n‚ Melania nel prato di Colle San Marco. Fatto sta che quando il gup ha pronunciato la sentenza di condanna, Parolisi non era in aula. Lui, dicono i legali, voleva esserci e si è trattato solo di una “imprecisione del giudice”. Ma è un fatto che a chiederne la presenza è stato il padre di Melania, Gennaro. Ed è un fatto che quando il gup Tommolini ha fermato la lettura del dispositivo e ha chiesto alle guardie carcerarie di accompagnare Salvatore in aula, lui ha fatto sapere di non volere, visto che aveva ormai saputo il verdetto dal suo avvocato.

LE REAZIONI. “Questa non è una vittoria, la nostra famiglia ha perso” sono state le parole piene di dignità e forza di Michele, il fratello di Melania, subito dopo la sentenza. I Rea hanno accolto il verdetto con un lungo abraccio: papà Gennaro, Michele, zii e cugini si sono stretti l'un l’altro e hanno pianto. Piangeva Gennaro, quando all'uscita dell'aula con un filo di voce ha detto “non ha vinto nessuno, non ha vinto nessuno”, e piangeva la zia Franca, “siamo usciti tutti sconfitti”. ''Siamo soddisfatti perché‚ la sentenza ha rispettato in pieno l'impianto accusatorio, nel quale abbiamo sempre creduto” ha commentato il procuratore capo di Teramo Gabriele Ferretti. Parole ribadite dall'avvocato della famiglia Rea, Mauro Giommi. ''Quando c’è una pena all'ergastolo e una persona che non c'è più non si può essere contenti. Ma siamo soddisfatti perch‚ la sentenza riconosce che il quadro indiziario era fondato''.

SOLDATO. Annunciano battaglia invece gli avvocati di Salvatore. ''E' una situazione difficile ma andremo avanti: leggeremo le motivazioni e impugneremo la sentenza – dice l'avvocato Valter Biscotti – Salvatore èun soldato, un combattente e sa che bisogna combattere questa battaglia lunga e difficile. Ma ci sono diversi punti critici che siamo sicuri di poter superare negli altri gradi di giudizio''. Quando il cellulare della penitenziaria è uscito dal tribunale, Salvatore è stato salutato dai fischi dei teramani assiepati fuori dal tribunale. Forse non li avrà neanche sentiti, con in testa quella parola: ergastolo.
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27/10/2012 09:57
 
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Re:
Sound72, 10/27/2012 9:49 AM:

Ergastolo per Parolisi

TERAMO - E' stato lui. Il 18 aprile del 2011 nel bosco di Ripe di Civitella non c'era nessun altro oltre a Melania e Salvatore. E ad uccidere la moglie con 35 coltellate, e' stato il caporalmaggiore Parolisi, l'addestratore di reclute con alle spalle missioni in Afghanistan e Kosovo. Mentre la loro bimba, 18 mesi, era in macchina. Dopo quattro ore di camera di Consiglio, il Gup di Teramo Marina Tommolini ha ritenuto valida la ricostruzione dell'accusa e ha condannato al termine di un processo con rito abbreviato Parolisi alla pena più dura, l'ergastolo. Fine pena mai.

CRUDELTA'. Salvatore e' dunque colpevole di omicidio, aggravato dalla crudeltà, dal vincolo di parentela e dalla minorata difesa. Il Gip ha ritenuto le aggravanti prevalenti sulle attenuanti, e ha condannato il caporal maggiore ad una provvisionale complessiva di due milioni di euro: uno per la bambina, 500mila a testa per i genitori di Melania. Ma non solo: il Gup Tommolini ha anche tolto la patria potesta' a Salvatore: una pena che peserà forse quanto l’ergastolo visto che in questi mesi di carcere Parolisi ha ripetuto piu' volte di volersi aggrappare a sua figlia per andare avanti.

LUI URLA. ''Sono innocente, sono innocente'' e' l'unica cosa che Salvatore ha detto ai suoi legali quando ormai ha capito che era finita. Ma non ha versato una lacrima, almeno non durante tutta l'udienza. Si e' invece lasciato andare ad un pianto dirotto, urlando la propria innocenza, mentre faceva rientro al carcere di Castrogno, alla periferia di Teramo. Quel giorno di aprile dell'anno scorso, dunque, Parolisi non si sarebbe mai recato con la moglie sul pianoro di Colle San Marco e non l'avrebbe mai vista allontanarsi subito dopo l’ora di pranzo per andare alla toilette, come ha sempre sostenuto, ma sarebbe andati direttamente nel bosco di Ripe di Civitella. Dove l'ha brutalmente uccisa, infierendo poi sul cadavere per depistare le indagini.

MOTIVAZIONI. Cosa ha convito il giudice a condannare Parolisi lo si saprà entro 90 giorni, quando saranno depositate le motivazioni della sentenza. Ma contro di lui la procura aveva raccolto una montagna di indizi: dalle tracce di Dna sulle labbra e sull'arcata dentaria della donna ai 52 testimoni che dicono di non aver visto n‚ lui n‚ Melania nel prato di Colle San Marco. Fatto sta che quando il gup ha pronunciato la sentenza di condanna, Parolisi non era in aula. Lui, dicono i legali, voleva esserci e si è trattato solo di una “imprecisione del giudice”. Ma è un fatto che a chiederne la presenza è stato il padre di Melania, Gennaro. Ed è un fatto che quando il gup Tommolini ha fermato la lettura del dispositivo e ha chiesto alle guardie carcerarie di accompagnare Salvatore in aula, lui ha fatto sapere di non volere, visto che aveva ormai saputo il verdetto dal suo avvocato.

LE REAZIONI. “Questa non è una vittoria, la nostra famiglia ha perso” sono state le parole piene di dignità e forza di Michele, il fratello di Melania, subito dopo la sentenza. I Rea hanno accolto il verdetto con un lungo abraccio: papà Gennaro, Michele, zii e cugini si sono stretti l'un l’altro e hanno pianto. Piangeva Gennaro, quando all'uscita dell'aula con un filo di voce ha detto “non ha vinto nessuno, non ha vinto nessuno”, e piangeva la zia Franca, “siamo usciti tutti sconfitti”. ''Siamo soddisfatti perché‚ la sentenza ha rispettato in pieno l'impianto accusatorio, nel quale abbiamo sempre creduto” ha commentato il procuratore capo di Teramo Gabriele Ferretti. Parole ribadite dall'avvocato della famiglia Rea, Mauro Giommi. ''Quando c’è una pena all'ergastolo e una persona che non c'è più non si può essere contenti. Ma siamo soddisfatti perch‚ la sentenza riconosce che il quadro indiziario era fondato''.

SOLDATO. Annunciano battaglia invece gli avvocati di Salvatore. ''E' una situazione difficile ma andremo avanti: leggeremo le motivazioni e impugneremo la sentenza – dice l'avvocato Valter Biscotti – Salvatore è un soldato, un combattente e sa che bisogna combattere questa battaglia lunga e difficile. Ma ci sono diversi punti critici che siamo sicuri di poter superare negli altri gradi di giudizio''. Quando il cellulare della penitenziaria è uscito dal tribunale, Salvatore è stato salutato dai fischi dei teramani assiepati fuori dal tribunale. Forse non li avrà neanche sentiti, con in testa quella parola: ergastolo.




giusto per curiosità...
ma ha ancora il grado militare?
non ci sono stati provvedimenti disciplinari perché ha usato sue foto in divisa nei social network?
la divisa non è un'emblema dello stato?

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Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better.
(Samuel Beckett, Worstward Ho)
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27/10/2012 10:03
 
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dovrebbe essere solo "sospeso" dal servizio.

Nel caso molto diverso di Schwazer i CC nn ci hanno pensato 2 volte a cacciarlo..
Ogni Arma ha i suoi criteri..o forse no ..
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27/10/2012 10:12
 
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Re:
Sound72, 10/27/2012 10:03 AM:

dovrebbe essere solo "sospeso" dal servizio.

Nel caso molto diverso di Schwazer i CC nn ci hanno pensato 2 volte a cacciarlo..
Ogni Arma ha i suoi criteri..o forse no ..




per me sarebbe clamoroso mantenerlo nei ranghi.
al di là della condanna per omicidio e dell'abuso di emblemi dello stato (per la verità non so nemmeno se in italia rappresenta un reato), sembra che la sua condotta come responsabile per l'addestramento delle reclute non sia stato molto limpido, per usare un eufemismo.
non avevo più seguito il caso schwazer. pensavo che anche lui fosse solo sospeso dal servizio.

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23/01/2013 12:28
 
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"vita di un ragazzo che ha perduto se stesso"?
non si può veramente leggere!
lasciamo perdere che corona va pesantemente sui 40, ma sempre questo vittimismo oleoso deve esserci?
"calisto tanzi. vita di un ragazzo che ha perduto le misure".
"luciano moggi. vita di un ragazzo che ha perduto l'anima".
"totò parolisi. vita di un ragazzo che è stato frainteso".




ah, ha pianto all'arresto. lasciatelo libero, dai!

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23/01/2013 14:25
 
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la pau-u-u-u-u-ra fa scuola [SM=x2478856]



i vari tweet e like di supporto ve li risparmio.

chissà quanto avrà pagato la repubblica per questo documento esclusivo?
[Modificato da BeautifulLoser 23/01/2013 14:26]

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26/03/2014 22:51
 
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ma il PM Abate del caso Uva? [SM=g27993]

che vergogna, che rabbia anzi [SM=g27996] ..l'hanno rimosso adesso che mancano due mesi alla prescrizione...
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27/03/2014 08:05
 
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Anzi che non l'hanno promosso...
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Sono la rovina della Roma


01/12/2014 17:05
 
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QUARANT’ANNI DOPO LA MORTE DELLO SCRITTORE A OSTIA
Omicidio Pasolini, svolta dal Dna
E Pelosi: «Fu ucciso da tre persone»

Sugli abiti del regista sangue di altre persone. «Pino la Rana» (condannato a 9 anni e 7 mesi per il delitto) sentito dal pm Minisci ribadisce la sua verità: «Lo picchiarono davanti ai miei occhi, poi usarono un’auto identica alla sua per finirlo»
di Giulio De Santis
Pino Pelosi con la polizia sul luogo del delitto a fine Anni Settanta (Ansa)

ROMA - «Pasolini è stato ucciso da tre persone. Lo hanno picchiato a sangue davanti ai miei occhi. Erano romani. Due erano i fratelli Borsellino. È stato vittima di un agguato studiato in ogni dettaglio. Lo convinsero ad andare a Ostia con la scusa di trattare la vendita delle pizze del film Salo, rubato tempo prima. Lui aveva con se i soldi. Era una scusa per tendergli un imboscata». Parla davanti al pm Francesco Minisci il personaggio chiave del delitto Pasolini. Giuseppe Pelosi, condannato in Cassazione a 9 anni e 7 mesi di carcere (nel 1979) per l’omicidio, era stato convocato lunedì 1 dicembre a piazzale Clodio dalla Procura, che intende fare luce su una rosa di nomi che avrebbero avuto un ruolo nell’omicidio dello scrittore, regista e poeta, ucciso il 2 novembre del 1975.
«Fu ucciso con un’auto gemella»
Nella deposizione resa da «Pino la rana» davanti al pm, l’ex «ragazzo di vita» ha parlato del ruolo svolto da Giuseppe Mastini detto «lo Zingaro» - un amico di Pelosi - la sera dell’omicidio, ma sul punto «Pino» si è limitato a escludere la presenza dello «zingaro» sulla scena del delitto. Nel corso dell’interrogatorio Pelosi ha sostenuto che la macchina utilizzata per investire il regista non fosse quella di Pasolini. «I tre sconosciuti arrivano all’idroscalo pochi minuti dopo di noi. Ci avevano seguito. Attesero che io scendessi dalla macchina e ci aggredirono. Dopo averlo pestato, uno di loro sali su un Alfa identica a quella del regista e lo investirono. È la prova che avevano preparato tutto nei dettagli». Un’altra circostanza su cui la procura si è soffermata è il momento in cui Pelosi conobbe lo scrittore bolognese: «Ho sempre detto che lo conobbi quella notte. Ma non è vero. Incontrai Pasolini quattro mesi prima. Diventammo amici».
Far luce su chi era presente all’idroscalo

Pasolini e Pelosi
La deposizione sugli ultimi attimi di vita dello scrittore è servita agli inquirenti per chiedere a Pelosi spiegazioni su alcune persone sospettate di essere state presenti all’idroscalo di Ostia la notte dell’omicidio. Il mistero quarantennale della morte di Pasolini potrebbe essere a una svolta: il difensore di Pelosi, Alessandro Olivieri, aveva già annunciato che il suo cliente non si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere. E Pelosi ha collaborato con gli inquirenti.
Tracce genetiche di un nuovo sospettato

Tracce di Dna sugli abiti di Pasolini
A imprimere una sterzata alle indagini la scoperta di tracce di Dna diverso da quello di Pelosi sugli indumenti indossati da Pasolini la notte della tragedia. Un’analisi voluta dal cugino della vittima, Guido Mazzon, che ha fatto riaprire il caso nel 2010 con la denuncia dell’avvocato Stefano Maccioni: i codici genetici sarebbero stati abbinati a dei nomi che la Procura ha inserito in una lista di sospettati, non ancora tecnicamente indagati. Una scoperta possibile dai progressi dei test.
Le due versioni del presunto omicida

La folla intorno al corpo di Pasolini nel novembre 1975
Fino ad oggi, Pelosi - che ottenne la semilibertà nel 1982 - aveva dato due versioni. Per anni si era autoaccusato dell’omicidio. Poi il 7 maggio del 2005 in un’intervista alla Rai aveva ritrattato. A uccidere Pasolini, secondo Pino, sarebbero state dunque tre persone, come ha ribadito lunedì 1 dicembre. Una versione che aveva già confermato nel dicembre 2011 durante un incontro pubblico con Walter Veltroni, durante il quale aveva aggiunto: «Il killer è ancora vivo». La sentenza definitiva della Cassazione del 1979 ha stabilito che Pelosi ha agito da solo. Alcuni elementi però mettono in dubbio la ricostruzione ufficiale.
I dubbi sulla ricostruzione ufficiale
È la notte del 2 novembre del 1975 quando Pelosi e Pasolini vanno Ostia con l’Alfa dello scrittore per un incontro intimo. Il 17enne, un classico «ragazzo di vita», si sarebbe però rifiutato all’ultimo momento e in preda all’ira lo avrebbe prima percosso e, poi, lo avrebbe investito con l’auto per ucciderlo. Due circostanze non tornano. Prima della tragica fine dell’intellettuale, i due avrebbero avuto una violenta discussione e sarebbero venuti alle mani, come confermano le percosse sul corpo del regista, massacrato di botte. Però i vestiti di Pelosi erano puliti: com’è possibile? Inoltre Pelosi era gracile, mentre Pasolini, 53 anni, aveva una forza non comune. Difficile credere che Pelosi lo abbia sopraffatto da solo, è il ragionamento che continua a fare chi ancora indaga sul caso. QUARANT’ANNI DOPO LA MORTE DELLO SCRITTORE A OSTIA
Omicidio Pasolini, svolta dal Dna
E Pelosi: «Fu ucciso da tre persone»
Sugli abiti del regista sangue di altre persone. «Pino la Rana» (condannato a 9 anni e 7 mesi per il delitto) sentito dal pm Minisci ribadisce la sua verità: «Lo picchiarono davanti ai miei occhi, poi usarono un’auto identica alla sua per finirlo»
di Giulio De Santis
Pino Pelosi con la polizia sul luogo del delitto a fine Anni Settanta (Ansa) Pino Pelosi con la polizia sul luogo del delitto a fine Anni Settanta (Ansa) shadow
ROMA - «Pasolini è stato ucciso da tre persone. Lo hanno picchiato a sangue davanti ai miei occhi. Erano romani. Due erano i fratelli Borsellino. È stato vittima di un agguato studiato in ogni dettaglio. Lo convinsero ad andare a Ostia con la scusa di trattare la vendita delle pizze del film Salo, rubato tempo prima. Lui aveva con se i soldi. Era una scusa per tendergli un imboscata». Parla davanti al pm Francesco Minisci il personaggio chiave del delitto Pasolini. Giuseppe Pelosi, condannato in Cassazione a 9 anni e 7 mesi di carcere (nel 1979) per l’omicidio, era stato convocato lunedì 1 dicembre a piazzale Clodio dalla Procura, che intende fare luce su una rosa di nomi che avrebbero avuto un ruolo nell’omicidio dello scrittore, regista e poeta, ucciso il 2 novembre del 1975.
«Fu ucciso con un’auto gemella»
Nella deposizione resa da «Pino la rana» davanti al pm, l’ex «ragazzo di vita» ha parlato del ruolo svolto da Giuseppe Mastini detto «lo Zingaro» - un amico di Pelosi - la sera dell’omicidio, ma sul punto «Pino» si è limitato a escludere la presenza dello «zingaro» sulla scena del delitto. Nel corso dell’interrogatorio Pelosi ha sostenuto che la macchina utilizzata per investire il regista non fosse quella di Pasolini. «I tre sconosciuti arrivano all’idroscalo pochi minuti dopo di noi. Ci avevano seguito. Attesero che io scendessi dalla macchina e ci aggredirono. Dopo averlo pestato, uno di loro sali su un Alfa identica a quella del regista e lo investirono. È la prova che avevano preparato tutto nei dettagli». Un’altra circostanza su cui la procura si è soffermata è il momento in cui Pelosi conobbe lo scrittore bolognese: «Ho sempre detto che lo conobbi quella notte. Ma non è vero. Incontrai Pasolini quattro mesi prima. Diventammo amici».
Far luce su chi era presente all’idroscalo
Pasolini e Pelosi
Pasolini e Pelosi
La deposizione sugli ultimi attimi di vita dello scrittore è servita agli inquirenti per chiedere a Pelosi spiegazioni su alcune persone sospettate di essere state presenti all’idroscalo di Ostia la notte dell’omicidio. Il mistero quarantennale della morte di Pasolini potrebbe essere a una svolta: il difensore di Pelosi, Alessandro Olivieri, aveva già annunciato che il suo cliente non si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere. E Pelosi ha collaborato con gli inquirenti.
Tracce genetiche di un nuovo sospettato

Tracce di Dna sugli abiti di Pasolini
A imprimere una sterzata alle indagini la scoperta di tracce di Dna diverso da quello di Pelosi sugli indumenti indossati da Pasolini la notte della tragedia. Un’analisi voluta dal cugino della vittima, Guido Mazzon, che ha fatto riaprire il caso nel 2010 con la denuncia dell’avvocato Stefano Maccioni: i codici genetici sarebbero stati abbinati a dei nomi che la Procura ha inserito in una lista di sospettati, non ancora tecnicamente indagati. Una scoperta possibile dai progressi dei test.
Le due versioni del presunto omicida
La folla intorno al corpo di Pasolini nel novembre 1975
La folla intorno al corpo di Pasolini nel novembre 1975
Fino ad oggi, Pelosi - che ottenne la semilibertà nel 1982 - aveva dato due versioni. Per anni si era autoaccusato dell’omicidio. Poi il 7 maggio del 2005 in un’intervista alla Rai aveva ritrattato. A uccidere Pasolini, secondo Pino, sarebbero state dunque tre persone, come ha ribadito lunedì 1 dicembre. Una versione che aveva già confermato nel dicembre 2011 durante un incontro pubblico con Walter Veltroni, durante il quale aveva aggiunto: «Il killer è ancora vivo». La sentenza definitiva della Cassazione del 1979 ha stabilito che Pelosi ha agito da solo. Alcuni elementi però mettono in dubbio la ricostruzione ufficiale.
I dubbi sulla ricostruzione ufficiale
È la notte del 2 novembre del 1975 quando Pelosi e Pasolini vanno Ostia con l’Alfa dello scrittore per un incontro intimo. Il 17enne, un classico «ragazzo di vita», si sarebbe però rifiutato all’ultimo momento e in preda all’ira lo avrebbe prima percosso e, poi, lo avrebbe investito con l’auto per ucciderlo. Due circostanze non tornano. Prima della tragica fine dell’intellettuale, i due avrebbero avuto una violenta discussione e sarebbero venuti alle mani, come confermano le percosse sul corpo del regista, massacrato di botte. Però i vestiti di Pelosi erano puliti: com’è possibile? Inoltre Pelosi era gracile, mentre Pasolini, 53 anni, aveva una forza non comune. Difficile credere che Pelosi lo abbia sopraffatto da solo, è il ragionamento che continua a fare chi ancora indaga sul caso.


[Modificato da keyser soeze 01/12/2014 17:06]
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04/12/2014 00:12
 
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stasera il servizio di Rinaldi m'ha fatto cacare sotto

il pezzo sull'omicidio di Antonella Di Veroli

c'ho ancora i brividi
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17/12/2014 19:50
 
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Stasi condannato..16 anni grazie, credo,al rito abbreviato [SM=g27994] forse gli peseranno di piu' le spese processuali.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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18/12/2014 13:02
 
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ma come funziona?dopo primo secondo grado e cassazione se si rifà il processo c'è un grado solo e la cassazione di nuovo?
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22/01/2015 16:26
 
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CORSERA (D. DALLERA) - Dov’è finito quel Rudi Garcia che bucava schermo, giornali, radio e web per spontaneità e originalità di pensiero? Al suo arrivo a Roma aveva colpito e sorpreso per libertà di giudizio. Da qualche settimana, invece, si presenta un Garcia che si attacca a qualsiasi banalità, a qualsiasi scusa, parole già ascoltate e già lette, contagiato dalla tipica malattia del nostro calcio, per giustificare eventuali battute d’arresto della sua bella Roma. Rivogliamo il Garcia di una volta. La sua faccia vissuta, ma ancor di più le sue parole, mai gettate al vento, avevano conquistato tutti, non solo i tifosi giallorossi. Analisi accurate, verità scomode confidate con eleganza, rispetto dell’interlocutore, scuse poche, saggezza tanta e anche originalità di pensiero, come quella frase sulla «chiesa riportata al centro del villaggio», dopo la vittoria nel suo primo derby. Non amava cavalcare l’onda popolare. Una lezione per tanti colleghi più portati alla banalità e propensi a piagnucolare per eventuali torti subiti. Ecco invece il nuovo Garcia: per esempio, quello delle ultime 24-48 ore, incapace di riconoscere che quel rigore gentilmente fischiato dalll’arbitro Di Bello contro l’Empoli era più falso dei soldi di Monopoli, non è un bel vedere, né un bel sentire. Non faccia l’allenatore italiano che attacca l’arbitro quando perde, che conta i centimetri sul fuorigioco, che vede congiure ovunque, che nega anche l’evidenza. Se il rigore di martedì, che ha consentito alla Roma di qualificarsi ai quarti di Coppa Italia ,è stato molto generoso, perché ostinarsi a dire, come ha fatto Garcia, anche davanti a una moviola facile da interpretare, che sì, quel rigore c’era? Insistere in questa versione così lontana dalla realtà porta a due risultati. Primo: far arrabbiare ancor di più l’Empoli. Non se lo merita. Secondo: la voglia di sintonizzarsi su «Chi l’ha visto?» con la speranza di ritrovare il grande, vecchio Garcia. Quello vero.

...dove l'unica cosa che mi sento di discutere è l'indulgere sul concetto che il Garcia dello scorso anno fosse "quello vero".
io direi semplicmente "era quello dello scorso anno punto".
era meglio. non so se era quello vero, se era un caso, se era na finta, se era un copione. era meglio punto.


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