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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 21:34
 
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Apparizioni ai discepoli.

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: « Pace a voi! ».

Quanto è stato raccontato fino a questo momento si è tutto svolto di mattina, alle prime luci dell’alba. I testimoni dell’evento sono tre: due hanno visto la tomba vuota, nella quale vi erano anche le bende ed il sudario di Gesù. Maria di Magdala ha visto anche due Angeli e subito dopo lo stesso Gesù che le dona l’incarico della prima missione: riferire ai suoi discepoli il mistero della sua risurrezione e il frutto della sua morte.

Siamo di sera. È passato un giorno. Il gruppo dei discepoli si ricompatta, Ora sono tutti nel cenacolo a porte chiuse. Essi hanno paura dei Giudei, temono che possa capitare loro ciò che è avvenuto per il Maestro.

Nel cenacolo, rigorosamente sbarrato, nessuno sarebbe mai potuto entrare. Invece Gesù si manifesta in mezzo a loro. Sappiamo perché Gesù ha potuto manifestarsi. Egli non ha compiuto alcun miracolo nell’essere lì presente, era prima ed è rimasto dopo, lì presente, in forma invisibile. Il miracolo, se miracolo si possa chiamare, è solo l’assunzione delle sue forme fisiche, per essere riconosciuto come il Gesù che era stato crocifisso; la stessa persona crocifissa è quella che ora compare ed appare nel cenacolo.

Gesù come prima parola augura la pace, più che augurarla, la dona. Egli è il datore della pace.

Cosa è la pace che Gesù dona ai suoi discepoli? La pace è creazione di una relazione nuova con Dio, con se stessi, con i fratelli, con l’intera creazione. Questa relazione nuova nasce dalla conoscenza vera che Gesù è venuto a portare in mezzo a noi. La pace è dono della missione di Gesù, perché è un frutto della sua parola.

La sua parola dona la retta conoscenza, questa come suo primo frutto genera la pace. La conoscenza è operata in noi dallo Spirito di Gesù e quindi anche la pace è l’opera dentro di noi del suo Santo Spirito.

Cosa è esattamente questa relazione nuova? È una relazione che nasce dalla nuova relazione dell’umanità di Gesù con il Padre suo. L’umanità di Gesù è la vera nuova umanità, obbediente, fedele, sottomessa a Dio, piena di amore per il Padre, ricca di perdono e di misericordia per gli uomini. Gesù vuole che la sua umanità sia il modello cui ogni uomo deve riferirsi, ma questo non sarà possibile se non inserendosi in essa e divenendo simile ad essa. Tutto ciò viene operato dallo Spirito del Signore, che ha come mandato dal Padre quello di farci creature nuove, creature cristiche, ad immagine cioè di Gesù.

Detto questo, mostrò loro le mani e il costato.

Gesù mostra loro le mani e il costato perché i discepoli vedano la perfetta somiglianza tra lui e il crocifisso. Egli non è un altro, differente dal crocifisso; egli è il crocifisso, ma è il crocifisso risorto.

L’identità tra il crocifisso ed il risorto è la verità della risurrezione. Se il risorto non fosse anche il crocifisso, non avremmo la risurrezione, perché non sarebbe lo stesso uomo. Uno solo è colui che è morto ed uno solo, lo stesso, è colui che risorge. Ma se uno solo è colui che muore e colui che risorge è anche uno solo colui che prima di morire e di risorgere ha rivelato il Padre. C’è una unità inscindibile ed inseparabile tra il Gesù che rivela il Padre, il Gesù che è crocifisso e il Gesù che risorge, questa unità e unicità è anche unità ed unicità di rivelazione e di manifestazione della verità.

E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

I discepoli sono pieni di gioia per questa visione. Il loro Maestro è ritornato nuovamente accanto a loro. Gesù lo aveva promesso, loro lo avrebbero veduto di nuovo e il loro cuore si sarebbe ricolmato di gioia. Anche questa parola si compie, ma tutte le parole di Gesù si compiono.

Questa gioia è intensissima, come intensissimo era stato lo smarrimento e la confusione per aver creduto perduto il Maestro, andato via per sempre. Questa gioia ancora è la manifestazione del loro amore per il Maestro. Ma ci sarà un’altra gioia che dovrà attenderli, quella di poter dare la vita per Gesù. Quando il loro cuore sarà ricolmato anche di questa gioia, allora essa sarà piena, perché sarà in tutto uguale a quella che ricolma ora il cuore di Gesù.

Gesù disse loro di nuovo: « Pace a voi! Co­me il Padre ha mandato me, anch'io mando voi ».

Dopo che essi gustano la gioia di essere nuovamente con lui, Gesù augura nuovamente la pace. È questo un augurio diverso e differente dal primo. È un augurio che è l’inizio di una vita nuova.

Se la vita nuova deve essere vita in tutto simile a quella del Maestro, la vita del Maestro dovrà essere la loro vita. Ora la vita di Gesù è stata una missione, un invio da parte di Dio in mezzo a noi, perché Gesù attraverso il suo amore e la sua verità, riconducesse ogni uomo al suo Creatore e Dio.

C’è pertanto un’unica missione: quella di Gesù, che in Gesù deve essere compiuta da ogni suo discepolo. Se la missione è di Gesù e deve essere compiuta solo in Gesù e con lui, è necessario che il discepolo di Gesù impari a diventare una cosa sola con lui e lo diventerà se entrerà in possesso della pace.

La pace è la visione veritativa della realtà, è il compimento secondo la grazia di questa verità con la quale si legge l’intera realtà. L’intera realtà Gesù ci ha insegnato a leggerla in modo diverso e l’ultimo suo insegnamento è stato dato dall’alto della croce.

La missione pertanto deve essere una, quella di Gesù, ma anche deve essere una nella modalità, secondo lo stile di Gesù, secondo il suo insegnamento e le modalità di svolgimento di essa. Se si esce da Gesù, se non si diventa una sola realtà con lui, la missione non è più sua, può essere anche degli uomini, ma non è certamente sua.

È importante che il missionario comprenda questo. Il missionario è colui che mai potrà avere una sua autonomia, un suo modo particolare e personale di essere, perché egli è inviato e l’inviato riceve già una consegna precisa. Nel caso di Gesù e di quanti vivranno la sua missione, la consegna è sul contenuto ed anche sulle modalità di parlare e di operare. Questo deve essere convinzione profonda da parte dell’inviato di Gesù, poiché il Padre non riconoscerà nessun missionario e nessuna missione operata in suo nome se non nel nome di Gesù, cioè in lui, nella sua nuova umanità, secondo le sue storiche modalità, svolta cioè in quell’amore capace di dare tutto se stesso perché la gloria di Dio ed il suo nome siano riconosciuti e confessati su tutta la terra. Poi il frutto della gloria resa al Padre si trasformerà in un merito di salvezza per il mondo intero. In tutto come avvenne per Gesù.

Il missionario pertanto è colui che è all’opera perché salga a Dio, attraverso il dono della propria vita, quella gloria che gli è stata sottratta dall’uomo; cosa che potrà avvenire solamente se lui rivelerà il Padre e tutta la sua verità, lo farà conoscere agli uomini. Per rivelare il Padre dovrà amare il Padre e i fratelli, da essere disposto a consegnare la propria vita, perché la verità del Padre, che è la nostra sottomissione a lui in quanto sue creature, venga accolta con un amore così grande da sacrificare ad essa tutta intera la nostra esistenza.

Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: « Ri­cevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati sa­ranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi ».

Gesù, alitando su di loro e infondendo in loro lo Spirito Santo, opera quella nuova creazione, ad immagine della sua nuova umanità.

In questo gesto di Gesù l’uomo viene fatto totalmente nuovo; si tratta in verità di un nuovo assoluto, un nuovo principio dell’umanità stessa. In questa novità ed in questo nuovo cominciamento della storia dell’uomo, ogni uomo deve essere inserito.

Per questo Gesù dona agli Apostoli il potere di rimettere i peccati. Cosa è in fondo la remissione dei peccati se non la distruzione di tutto ciò che è vecchio, di ciò che non si confà all’umanità, che è distruzione di essa, cambiamento verso la non umanità attraverso la sua sottrazione a Dio? Ora tutto questo vecchio modo di essere, di relazionarsi, di comportarsi viene dichiarato cancellato, rimesso e rimosso dal cuore dell’uomo.

Questi può iniziare nuovamente dal principio, può ricominciare dal nulla, come dal nulla un altro giorno, nel giorno di Dio, il sesto giorno, egli era stato fatto a sua immagine e a sua somiglianza, ad immagine e a somiglianza del suo creatore.

Ora non siamo più al settimo giorno, siamo al primo giorno, che è il giorno di Dio ed è nel primo giorno, nel giorno del Signore, che l’uomo dovrà farsi sempre nuovo, perennemente nuovo, dovrà immergersi nuovamente nell’umanità di Gesù, nel suo corpo, dal suo corpo lasciarsi alitare lo Spirito Santo, del suo corpo nutrirsi per diventare con lui una sola umanità, dopo essersi fatto ricostruire interamente nuovo dal potere che Gesù ha conferito agli apostoli, quello cioè di ricreare l’uomo, di rigenerarlo, cancellando il suo passato, rimettendolo e rimuovendolo dal suo cuore, perché non esista mai più in esso e non esistendo non lo condizioni.

Se il primo giorno è il giorno della nuova creazione dell’uomo, il giorno della nuova vita, in questo giorno egli deve rifarsi totalmente nuovo, perché porti la novità di Gesù nel mondo nei sei giorni che non sono né di Dio e né dell’uomo. Dopo il peccato appartengono a questo mondo; in questi sei giorni l’uomo si immerge totalmente nel mondo da dimenticare Dio, da dimenticare se stesso, da dimenticare la sua essenziale vocazione all’eternità, al Paradiso e non alla terra.

Questa diviene allora la missione di ogni uomo rigenerato e santificato in Cristo Gesù, divenuto nuovo in lui, incorporato nella sua umanità facente una sola cosa con lui. Egli deve riportare i sei giorni nuovamente al Signore. Tutto è del Signore, anche il tempo. Riportando il tempo, egli riporterà ogni altra cosa che si compie nel tempo. Quando avrà riportato ogni cosa al Signore, perché sua, attraverso la consegna degli altri sei giorni anche al Signore, allora l’uomo avrà svolto la sua missione, altrimenti egli non ha compiuto l’opera di Gesù, non l’ha compiuta perché è missione di Gesù ricondurre ogni cosa al Padre, riconsegnarla.

Il discepolo, l’apostolo del Signore, nel giorno del Signore opera la nuova creazione dell’uomo, lo rigenera e lo fa ad immagine di Gesù, riformato e riconfermato in Gesù a sua immagine, l’uomo esce dal cenacolo, si immerge tra i suoi fratelli come nuova creatura e così agendo ed operando tutto riporta nuovamente al Padre. Questa è la vera missione cristiana. Niente che esiste nel mondo ora appartiene al Signore, perché l’uomo se ne è appropriato e l’ha fatto suo, tutto di ciò che esiste nel mondo deve essere riconsegnato al Signore, perché è sua proprietà e l’uomo deve ridargliela.

Il primo giorno è il giorno del cenacolo. Tutti i discepoli del Signore vi dovranno ritornare per lasciarsi rifare nuovi da Gesù. Ma essi non dovranno ritornare soli, dovranno condurre con loro quanti il Padre ha dato loro perché anche essi si lascino fare nuovi in Cristo Gesù, per divenire in lui, nuovi suoi discepoli e collaboratori per riportare ogni cosa al Padre, per riconsegnarla a lui.

E così il discepolo del Signore sa due cose: sa che ogni primo giorno egli deve ridivenire nuovo, interamente nuovo, deve abbandonare tutto ciò che è mondo e si è attaccato al suo cuore e ai suoi pensieri, deve condurre nel cenacolo quanti per la sua parola e la sua opera hanno creduto nella novità operata da Cristo Gesù.

Se egli non avrà condotto nessuno nel cenacolo, significa una cosa sola: egli non avrà vissuto in novità di vita la sua presenza nel mondo ed il Padre dei cieli non gli ha dato per questo nessuna altra persona, lui non ha lavorato per la gloria di Dio.

Se non si parte da questo concetto di missione e da questa necessità vitale di rinnovarsi e di ricrearsi nel cenacolo nel giorno del Signore, per ricreare e santificare i sei giorni che ancora non sono di Dio e di ricondurre ogni uomo che non è ancora di Dio nel cenacolo, noi non abbiamo compreso niente di Gesù, né della sua missione, né del suo regno.

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.

Nel cenacolo non c’è Tommaso, anche lui apostolo del Signore. Viene qui tralasciato il motivo della sua assenza.

Il non dire il motivo per cui uno è assente o presente in un luogo è grande rispetto per la coscienza e per la persona. Nessun uomo deve rendere conto ad un altro uomo di quello che fa, perché Giudice dell’uomo è il Signore. Ogni uomo deve sempre però fare ogni cosa nel nome del Signore e quindi nel nome del Signore valutare la necessità o meno della sua presenza in un luogo anziché in un altro.

Può anche capitare e sovente avviene che non si è in un luogo per motivi che la coscienza non riesce a governare: per paura, per rispetto umano, perché distratti, disattenti, perché non sufficientemente convinti o per altri infiniti motivi. Tutto questo mondo interiore della coscienza, va lasciato alla coscienza ed è la coscienza che deve sempre esaminarsi dinanzi a Dio e leggersi secondo il suo grado di colpevolezza grave o semplicemente lieve, perché a poco a poco essa impari a saper rispettare i luoghi della sua presenza, che essendo luoghi di Dio, essa deve essere sempre dove Dio vuole che essa sia.

L’evangelista rispetta la coscienza di Tommaso, nota però la sua assenza, ma non rivela il motivo di essa. Se non lo rivela, a noi non interessa; ma anche non lo rivela, perché noi possiamo sempre imparare il rispetto di ogni coscienza. Ogni coscienza appartiene solo a Dio, è lui il suo Signore, il suo Giudice, il suo Padre.

Gli dissero allora gli altri discepoli: « Abbiamo visto il Signore! ».

Gli altri discepoli gli riferiscono quanto era avvenuto e soprattutto che essi avevano visto il Signore.

Da notare che di quanto è avvenuto nel Cenacolo, della novità operata in loro da Gesù, non viene detto nulla a Tommaso. Anche questo è comprensibile, ora è il momento della gioia, dell’esultanza, è il momento di uscire dalla tristezza e dal lutto. Poi verrà il momento di riferire ogni cosa, secondo i suoi particolari, perché è giusto che di quanto è avvenuto nel cenacolo questa sera nulla venga tralasciato. Ne andrebbe della salvezza del genere umano.

Non sappiamo neanche quando Gesù se ne sia andato dal cenacolo, né quando Tommaso sia entrato in esso. Sono tutti particolari che ci sfuggono. Il Vangelo è il libro della salvezza, non della curiosità umana. Anche questa omissione voluta dall’evangelista dovrebbe indurci sempre a mettere in evidenza due cose: la sfera ufficiale, la sfera personale, il privato ed il pubblico.

Il privato è ciò che è della persona ed è solo suo e non appartiene a nessun altro. Il pubblico invece è tutto ciò che si riveste di salvezza per l’uomo. Questo appartiene all’uomo da salvare. Attenersi a questa regola è saggezza, intelligenza, è anche via per una maggiore opera di evangelizzazione tra i fratelli.

Ma egli disse loro: « Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò ».

Tommaso risponde semplicemente loro che lui ha bisogno di altro per credere in quello che loro dicono. Lui deve vedere nelle mani di Gesù il segno dei chiodi e deve mettere il dito nel posto dei chiodi e inoltre deve mettere anche la mano nel suo costato. Solo allora potrà credere.

Quando si vede non si crede, si vede e basta. Se lui dovrà toccare Gesù, la sua è semplicemente esperienza di Gesù, non fede in Gesù. Questo deve essere chiaro per tutti. Avere esperienza di Gesù risorto non è credere in Gesù risorto.

La fede è vera, autentica quando è semplicemente fondata sul segno, ma il segno non è la realtà, il segno è semplicemente qualcosa di visibile, di tangibile, che rinvia ad una realtà più grande, misteriosa, arcana, divina.

Segno per Tommaso sarebbe dovuto essere la gioia dei suoi amici e discepoli come lui che gli avevano riferito di aver visto il Signore. Segno sarebbe stata la loro diversa modalità di rapportarsi tra il prima, quando Gesù era nella morte e nella tomba, ed il dopo; sarebbe dovuto essere il loro cambiamento radicale; essi dopo aver visto il Maestro vivo e risorto non erano più gli stessi di prima; se un uomo, molti uomini cambiano rapidamente, è da chiedersi sempre il perché del loro repentino cambiamento, della trasformazione del loro modo di vivere, di essere e di operare.

Tommaso tutto questo lo aveva notato nei suoi amici e attraverso questo segno avrebbe dovuto e potuto aprirsi ad una fede nelle loro parole. Le loro parole sono vere, perché vera è la loro vita ed è vera, perché prima era falsa, in quanto avevano vissuto l’esperienza di morte del Maestro non secondo parametri di fede e di verità, bensì secondo pensieri umani, che nulla hanno a che fare con la verità di Gesù, con la rivelazione del Padre.

Segno per lui sarebbe dovuto essere il numero elevato di quanti affermavano di aver visto il Signore. Quando c’è una testimonianza universale che afferma un’unica realtà, una sola verità, una sola esperienza, questo è il segno che la realtà descritta è vera, la verità annunziata può essere posta a fondamento di una nuova esistenza, può e deve essere pilastro della propria fede. Tommaso è uno, gli Apostoli sono dieci; se poi come è presumibile, nel cenacolo vi erano altre persone, e di sicuro erano presenti, e tutte queste persone dicevano la medesima verità, allora per Tommaso non ci sono motivi di scusa. La fede sarebbe stata ben fondata, poiché il numero dei testimoni avrebbe garantito per lui. Per tutti questi motivi il dubbio di Tommaso è irragionevole, è contro la stessa evidenza e quindi è mancanza di fiducia non in Gesù risorto, ma nella storia che è assai evidente ed assai certa, anzi certissima, della verità annunziata.

Questo insieme di verità e di circostanze concomitanti e convergenti devono convincerci che non sempre il dubbio è ragionevole, non sempre è consentito. L’uomo ha in sé la possibilità di potersi aprire alla fede e deve sempre farlo quando ci sono motivi sufficienti che lo indirizzano verso il mistero. Se lui non lo fa, allora manca non verso i testimoni, ma verso se stesso, poiché egli si priva di quei mezzi umani, attraverso i quali egli può, usandoli saggiamente, pervenire alla fede.

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi! ».

Gesù ascolta le parole di Tommaso, ma per otto giorni non si mostra, dona al suo discepolo la possibilità di riflettere ancora, di meditare le parole dei suoi amici, gli lascia quel tempo necessario perché possa attraverso le vie della storia accogliere il suo mistero.

Tommaso non retrocede dalla sua convinzione. Egli crederà solo allorquando avrà visto il Signore Risorto e lo avrà toccato con le sue mani.

Otto giorni sono il tempo per pervenire alla fede, se in otto giorni non si retrocede dalla stoltezza, non si retrocederà mai più. Finito il tempo dell’uomo, inizia il tempo di Dio. Gesù viene, nuovamente si ferma in mezzo a loro, dopo essere entrato nel cenacolo a porte chiuse. Augura e dona la sua pace. È il suo saluto, ma anche il suo dono.

Poi disse a Tommaso: « Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato, e non essere più incredulo ma cre­dente! ».

Subito dopo chiede a Tommaso di verificare secondo le sue parole la verità delle sue ferite, ma soprattutto di toccare con mano la sua identità. Egli ha voluto così e così sarà.

Tuttavia Gesù non può non rivolgergli un dolce rimprovero. Egli non deve essere più incredulo, ma credente.

Cosa gli ha voluto dire Gesù? Se ognuno per credere deve mettere la mano nel posto del chiodi e deve toccare tutte le sue ferite, dove è il posto per la fede? La fede ha le sue leggi e secondo queste leggi essa dev’essere trasmessa. Essa cammina per segni storici, non per visione personale. La visione può servire in rari casi, in casi del tutto speciali e singolari, ma non sempre si può passare attraverso la visione. Poi la visione sarà sempre di uno solo, non di tutti, e tutti gli altri devono credere nella verità della visione attraverso i segni che la storia adduce a testimonianza della verità di quanto affermato essere stato visto.

Rispose Tommaso: « Mio Signore e mio Dio! ».

Tommaso si ferma, dinanzi al Signore vivo e risorto, non va oltre, e confessa istantaneamente la sua fede. Quell’uomo non solo è il suo Signore, ma è anche il suo Dio.

Troviamo qui la prima vera, grande affermazione della fede dei discepoli in Gesù. Egli è il Signore, ma anche egli è il loro Dio, È il loro Signore perché è il loro Dio.

Ogni confessione di fede deve contenere questa affermazione di Tommaso, deve essere la proclamazione di questa verità. Se non si confessa che Gesù è il Signore, il mio Signore, se non si confessa che è Dio, il mio Dio, ogni confessione è falsata, oppure mancante in molte parti.

La fede completa è quando si proclama che Gesù è Dio, è il Signore, è il Giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio, è il mediatore unico tra Dio e l’uomo, è il rivelatore del Padre, è colui che ha portato la perfetta conoscenza di Dio in mezzo agli uomini.

Questo per rapporto al Padre, per rapporto a noi egli è il Redentore, il Salvatore, colui che ha tolto il peccato del mondo, colui che è venuto per battezzarci nella sua morte e nella sua risurrezione. Questa fede a poco a poco comincia a formularsi. Con Tommaso, già otto giorni dopo la Pasqua di Gesù, sappiamo chi è veramente Gesù. Egli è il mio Signore e il mio Dio. Più alta confessione di questa ancora non era stata pronunziata.

È vero che Gesù nel Vangelo di Giovanni si era lui stesso proclamato “Io Sono”, aveva detto di lui la sua uguaglianza con il Padre; ora sappiamo che egli è della stessa natura di Dio, egli è Dio. Sappiamo anche che egli è Figlio di Dio, che è ne seno del Padre. Se figlio, è figlio perché è stato generato. Ma Gesù ha anche detto che Lui e il Padre sono una cosa sola. Dalla successiva formulazione ed esplicitazione di fede sappiamo che Gesù è figlio per generazione ed è uguale a Dio, perché sono con il Padre e lo Spirito Santo l’unica natura divina.

Gesù gli disse: « Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto cre­deranno! »

Gesù non vuole che si arrivi alla fede per mezzo della visione, egli vuole che si viva la legge della fede e per Gesù essa è una sola. La testimonianza di quanti già credono, il segno che la loro vita offre.

Ora nel cenacolo c’è la testimonianza dei discepoli di Gesù che concordi affermano di aver visto il Signore. C’è in loro il cambiamento di vita, c’è quella gioia indicibile che attesta della verità di quanto essi hanno affermato.

Testimonianza e segno di vita sono la via ordinaria della fede e Gesù conferisce una particolare beatitudine a tutti coloro che passeranno per questa via. Costoro saranno beati.

L’altra via, quella della visione, a Tommaso è stata concessa perché utile al piano di Dio in ordine allo stabilire una volta per tutte la legge della fede. In altre occasioni o circostanze, in casi di non fede il Signore interverrà ma sempre passando attraverso la via storica che rimane in eterno la testimonianza e quindi la parola unitamente al segno che il portatore della parola necessariamente dovrà unire se vuole essere creduto, se vuole che quanti hanno ascoltato la sua testimonianza si aprano al mistero di Gesù morto, sepolto, risorto, ora glorioso nel cielo.

Coloro ai quali viene rivolta la testimonianza e dato il segno di verità possono anche non aprirsi alla fede. La non accoglienza appartiene al mistero dell’uomo e della sua incredulità. Ma nessuno può presentarsi ad un altro per testimoniare la risurrezione di Gesù se non attraverso e per mezzo del segno della sua vita rinnovata, cambiata, portata interamente nella Parola di quel Gesù che egli annunzia essere risuscitato dai morti.

Quando questa unità di parola e di segno si ricompone, la fede può nascere nel cuore di chi è stato attratto da Dio, perché sia interamente consegnato a Cristo Gesù, perché lo accolga come suo Signore e Dio.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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