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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 21:33
 
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LA RIVELAZIONE DEL SIGNORE RISORTO AI SUOI (20,1-29)


CAPITOLO VENTESIMO

­I fatti avvenuti al sepolcro.

Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.

Finito l’obbligo del riposo, il primo giorno dopo il Sabato, Maria di Magdala, che era presente alla crocifissione e quindi anche alla sepoltura di Gesù, di buon mattino, al buio, quindi prestissimo, si reca da sola al sepolcro.

Il sepolcro è aperto, la pietra è ribaltata. Questa la prima testimonianza. Maria non entra nel sepolcro. Vede la tomba aperta.

Da precisare in questa prima testimonianza che Maria è sola, non attende che le altre si sveglino, lei neanche ha dormito, attendeva il momento legale per potersi muovere e si muove. Ella deve correre al sepolcro, non può aspettare le altre, e se le altre non ci sono, ella può benissimo recarsi senza di loro.

Sapremo in seguito perché tanta fretta e tanta ansia nel cuore di arrivare al sepolcro non appena era consentito muoversi, poiché il giorno del Sabato era vietato anche camminare per più di un certo numero di metri, circa 2 Km in tutto.

Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: « Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno po­sto! ».

La notizia non può restare nascosta. Bisogna avvisare i suoi discepoli ed ella si reca da Simon Pietro che era assieme all’altro discepolo, quello che Gesù amava, Giovanni.

Da questa notizia sappiamo che Maria di Magdala era a conoscenza che Simon Pietro e l’altro discepolo erano assieme. Non sappiamo quando si siano ritrovati. Sappiamo tuttavia che Giovanni non fa menzione di Pietro presso la croce, dove erano presenti le tre “Maria” e il discepolo che Gesù amava. Di altri non si parla.

Dal modo come riporta la notizia dobbiamo tuttavia pensare che ella avesse dato voce alle altre donne, o che queste si siano aggiunte in un secondo momento. Ella dice infatti: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”.

Ella parla al plurale, quindi non è sola a sapere che la tomba è aperta e che la pietra è ribaltata. Sa anche che nel sepolcro il Signore non c’è. Quindi è da presumere che ella prima di correre verso Simon Pietro avesse avuto notizia, o perché ha visto personalmente, o perché le altre glielo hanno riferito, che Gesù non era nel sepolcro.

Sappiamo ora che la tomba era aperta, che la pietra era ribaltata, che Gesù non è nel sepolcro. Loro non sanno cosa sia avvenuto e pensano che qualcuno abbia portato via il Signore. Questa la loro deduzione, o almeno la deduzione di Maria di Magdala.

Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro di­scepolo, e si recarono al sepolcro.

Non appena udita la notizia della tomba vuota, Pietro e l’altro discepolo si recano al sepolcro.

Non sappiamo se prima di loro altri vi si siano recati. Questo lo ignoriamo. Sappiamo però che loro non attendono oltre, subito si incamminano verso il luogo della sepoltura di Gesù.

Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.

È qui precisato che Pietro e l’altro discepolo non vanno verso il sepolcro camminando, si recano correndo; viene anche detto che l’altro discepolo è più veloce di Pietro nella corsa e naturalmente arriva per primo.

Non entra però nel sepolcro. Si china verso l’interno per vedere come stessero in verità le cose, e chinatosi vide le bende per terra. Erano le bende che miste all’unguento di mirra e di aloe portato da Nicodemo, erano servite per avvolgere Gesù.

Gesù non è nel sepolcro. Abbiamo ora due testimonianze dell’assenza di Gesù dal sepolcro: quella di Maria di Magdala (e forse anche delle altre donne) e quella dell’altro discepolo.

Giunse intanto an­che Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma pie­gato in un luogo a parte.

Simon Pietro intanto giunse anche lui al sepolcro e vi entrò. Dal di dentro si vede ogni cosa. Le bende sono per terra, ma il sudario non è insieme alle bende. Esso è piegato e messo in un luogo a parte.

C’è in quest’ordine che si trova nel sepolcro una ulteriore testimonianza. Gesù non è stato certamente rubato, né portato via. Se fosse stato rubato, lo avrebbero preso così come esso era, mezzo imbalsamato per la sepoltura.

Da questa testimonianza di Pietro e dell’altro discepolo è da escludere categoricamente la manomissione del sepolcro. Ciò che è avvenuto non è avvenuto per mano d’uomo, altrimenti non si spiegherebbe ciò che nel sepolcro è rimasto e come è rimasto.

Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

Dopo che Pietro fece le sue constatazioni dal di dentro del sepolcro, vide cioè come le cose stessero in realtà, entra anche l’altro discepolo, il quale si era fermato sulla porta, a differenza di Pietro questi vede e crede.

Cosa vede e come vede? Cosa crede?

L’altro discepolo vede la tomba vuota, vede la non manomissione da parte dell’uomo, vede l’ordine e la compostezza, va oltre tutto ciò che è rimasto e con gli occhi della sua mente si apre alla risurrezione di Gesù. Egli dopo aver visto il sepolcro così come era stato lasciato da Gesù si apre al mistero della risurrezione, egli crede che Gesù è risorto dai morti.

Ma c’era bisogno della vista del sepolcro per credere, non era sufficiente la parola di Maria di Magdala che aveva loro annunziato che Gesù non era nel sepolcro e che non sapevano dove era stato posto?

La fede è sempre segnata, accompagnata cioè dal segno. Se manca il segno, su che cosa essa si può fondare? Solo sulla parola di Dio, o Parola di Gesù, ma la Parola quando si compie lascia sempre il segno del suo avvenuto compimento e quindi Giovanni crede alla Parola di Gesù, crede che essa si è compiuta, ma lo crede dal segno che la Parola ha lasciato, la tomba vuota, le bende per terra, il sudario messo in un luogo a parte, ma piegato.

La Parola da sola mai può essere creduta, per essere creduta deve essa compiersi nella storia, è nel momento in cui si compie che essa lascia il segno di credibilità, lascia quei segni che mette in condizione colui che la parola ha ascoltato di aprirsi alla fede.

Questo deve significare per tutti la necessità che la predicazione debba sempre compiersi attraverso una parola che lascia il segno nella storia della sua efficacia, della sua potenza, della sua forza di trasformazione del mondo; una parola non segnata dalla vita di chi l’annunzia, che non si compie in chi la proclama non è una parola credibile. Il compimento di essa diviene il segno di credibilità e quando la parola è corroborata dal suo compimento essa opera e genera la fede nel cuore dell’uomo.

Se Pietro e Giovanni avessero creduto senza osservare la storia, la loro fede sarebbe stata creduloneria, ma non fede, perché la fede ha bisogno, per sua intima natura, di quella ragionevolezza che viene dal suo farsi e dal suo compiersi nella storia.

Non che ogni parola debba compiersi nella storia al fine di essere creduta, ma la parola nel suo insieme ha parti che necessariamente debbono compiersi nella storia e spetta a colui che crede far sì che esse si compiano, e parti che riguardano l’eternità. Poiché la Parola è una, se si compie la sua parte visibile, si compirà di certo la sua parte invisibile, a causa della non separabilità delle parti nella parola.

Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.

Giovanni annota con molta saggezza e acume spirituale che i discepoli non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.

Essi non avevano compreso la Scrittura, perché per loro l’idea, o la concezione del Messia era di vita e non di morte, era di gloria e non di abbassamento, era di esaltazione e non di umiliazione. Questa loro idea falsata del Messia faceva sì che mai avrebbero potuto applicare al Messia le Parole della Scrittura; sicuramente essa parlava di qualche altro, ma non certamente del Messia di Dio.

Quando si legge la Scrittura a partire dalla storia e si riflette in essa l’idea della storia, la Scrittura rimane un libro sigillato per noi. Questa inversione dei ruoli, della Scrittura cioè che illumina la storia e la guida nei solchi della verità, e della storia invece che cammina per i fatti suoi, cercando nella Scrittura ciò che è di supporto alla propria idea, fa sì che si abbia sempre una visione distorta della verità rivelata. Sarà sempre la storia a governare l’interpretazione della Scrittura, anzi più che a governare a dettare l’utilizzo che bisogna fare di questa o quell’altra frase della Scrittura.

Questo uso improprio della Scrittura si verifica anche quando si vorrebbe trovare in essa una risposta immediata alla storia da vivere. La Scrittura non è stata data da Dio per trovare le risposte immediate alla storia immediata; essa ci è stata data perché mettiamo tutta la nostra storia nella sua verità, tutta la nostra vita in tutta la sua vita. Perché questo accada è necessario conoscere la sua vita, e soprattutto conoscere in realtà ciò che il Signore ha voluto dirci attraverso la sua Parola. Questo non sarà mai possibile finché si penserà che la Scrittura sia un libro da consultare alla maniera degli “oracoli pagani”: per ogni evento da vivere un oracolo domandato.

Dopo questa testimonianza di fede che nasce dalla visione della tomba vuota e del come le cose erano in essa predisposte, i discepoli se ne tornano a casa. A loro il sepolcro non serve più. Il sepolcro aveva loro parlato, li aveva rinviati alla Scrittura, la Scrittura aveva loro manifestato la risurrezione di Gesù. Se Gesù è risorto egli non è certamente nei paraggi del sepolcro, se ne possono andare e difatti se ne vanno.

Anche questo è insegnamento per noi. Una volta che si è entrati nella verità della fede, quanto ci ha aiutato a penetrare nel mistero non ci serve più, può essere abbandonato, perché ha finito la sua missione.

Questa regola non è per tutti uguale; ci sono alcuni che vivono un altro modo di rapportarsi alla verità storica, per intenderci al sepolcro vuoto, ed anche questa differente modalità di approccio è necessaria che noi rispettiamo. Il mistero di un’anima è sempre difficile da penetrare ed il Vangelo ci insegna che veramente è così. Se il Vangelo rispetta le vie di ognuno per entrare nel mistero di Gesù, anche noi dobbiamo imparare a rispettarle e mai deve accadere che la misura della fede di uno deve divenire misura per la fede di un altro.

L'apparizione a Maria di Màgdala.

Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù.

Maria di Magdala non lascia il sepolcro. Se ne sta all’esterno, nei suoi pressi, e piange. Anche se era fuori, il suo cuore era però dentro, e mentre piangeva si chinò verso il sepolcro e vide che vi erano due angeli in bianche vesti, l’uno seduto dalla parte del capo e l’altro dalla parte dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù.

Il sepolcro era vuoto quando sono entrati i due Apostoli, Pietro e l’altro discepolo, loro se ne erano andati, quindi il sepolcro sarebbe dovuto essere ancora vuoto, poiché nel frattempo nessun altro era venuto. Invece ella vede nel sepolcro due angeli.

La narrazione è così semplice, così lineare, che la presenza di due creature angeliche nel sepolcro non desta nessun stupore né in Maria di Magdala, né nel narratore di quegli eventi. È da supporre che l’esistenza degli angeli e la loro presenza nei fatti principali della storia della salvezza è così consueta che nessuno si stupisce. Anzi ci si stupirebbe se gli angeli non ci fossero, essendo la loro presenza un fatto abituale negli eventi salvifici di maggiore rilevanza.

Questo sta a significare come per la Scrittura l’esistenza degli angeli è così evidente, che si parla di loro come di un evento normale, usuale, di un fatto che non solo avviene, ma avviene come se esso stesso facesse parte della storia e del mistero. Maria infatti non si meraviglia della loro presenza nel sepolcro, né tanto meno si turba. Anzi entra in dialogo con loro. Sono loro che entrano in dialogo con lei.

Questo deve aiutarci ad entrare con più fede negli eventi della scrittura; alcuni si possono anche spiegare come un genere letterario, un modo di dire, ma se tutto si riduce ad un modo di dire, la verità storica qual è? Diverrebbe assai difficile capire la storia, che è poi la verità della salvezza, se quanto è descritto, è letto e interpretato come un genere letterario, un modo di dire, ma per dire che cosa?

Se questa apparizione di angeli è un genere letterario, se è un modo di dire, cosa dovrebbe dire a Maria di Magdala? Poiché in questo caso essi non dicono niente, pongono solo una domanda. Che genere letterario è questo che fa comparire due creature angeliche - inesistenti per quanti dicono che è un genere letterario e deve essere un genere letterario perché per loro gli angeli non esistono - per fare una sola domanda? E poi cosa chiedono di così importante? Il motivo del suo pianto.

Ed essi le dissero: « Donna, perché piangi? ».

Se invece si entra nella verità e quindi nella vera presenza, così come essa storicamente è avvenuta, il loro essere lì non è per fare una sola domanda, è per attestare la presenza di Dio in quel luogo, per manifestare un evento soprannaturale. Dove c’è l’Angelo, ivi c’è anche Dio, e se c’è Dio nel sepolcro, allora significa che c’è qualcosa di ben diverso da quanto pensava Maria di Magdala e cioè che Gesù fosse stato rapito.

Dalla presenza di queste due creature celesti, ella avrebbe potuto capirlo, invece ancora una volta si chiude nel suo dolore e non riesce a vedere, non riesce a pensare, non riesce a leggere quella storia che gli Angeli stavano per svelare al suo cuore e alla sua mente.

Allora la domanda non è più sul significato del pianto di Maria, ma sulla inutilità di quel pianto. Ella non deve piangere, perché Gesù non è stato rapito, non è stato asportato da mano d’uomo dal sepolcro. Il suo pianto è inutile perché Gesù è nuovamente in vita. Si comprende così la verità della presenza degli Angeli in ordine alla falsità del pianto di Maria. Maria di Magdala piangeva inutilmente, l’inutilità era dovuta al fatto della sua non conoscenza del mistero.

Perché Maria di Magdala non conosce il mistero di Gesù? Su questa domanda è giusto che si rifletta. Da essa dipende anche il nostro approccio vero a Gesù, approccio vero e sequela autentica che certamente ci sosterrà nei momenti difficili, se letti alla luce della verità di Gesù e non alla luce della nostra verità, di quella che noi pensiamo sia la verità.

Maria di Magdala va a Gesù attraverso l’amore, il suo è un amore grande, grandissimo, smisurato. Ella era stata attratta dal mistero di quest’uomo tanto da divenire ormai parte della sua vita. Per Maria di Magdala la sua vita è impensabile, non è vivibile, se non nel mistero di Gesù, se non nella vita e con la vita di Gesù.

Cosa è accaduto? L’amore non si è trasformato in una crescita altrettanto grande nella verità. Più grande è l’amore, più grande deve essere la fede; se la fede, che è visione reale del mistero di Gesù, non cresce, nel momento in cui la persona viene a mancare, c’è come un vuoto nel cuore, come un abisso, l’altro o l’altra si sente perduta, non perché è venuto a mancare l’oggetto del proprio amore, ma perché non si vede nella fede il perché l’oggetto del proprio amore è venuto a mancare, perché non si sa ancora che in verità non è venuto a mancare l’oggetto del nostro amore, solo che questo ha cambiato modo di essere, necessario per la sua vita, ma anche per la vita di chi lo ha amato e deve continuare ad amarlo.

In questo equilibrio di amore e di fede bisogna che si inquadri la vita del vero discepolo di Gesù, se avviene uno squilibrio dell’una virtù ai danni dell’altra, sia la fede che l’amore entrano in una sofferenza ed in un pianto che potrà solo essere asportato dal cuore dell’uomo rimettendo l’equilibro nel suo ordine e al suo giusto posto.

Rispose loro: « Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto».

Maria di Magdala risponde secondo la verità che c’è nel suo cuore. Ella piange perché la tomba è vuota, perché Gesù non è più lì e sicuramente qualcuno lo ha portato via.

Gesù per lei è il “mio Signore”. C’è in questa affermazione la confessione della fede, secondo la quale Gesù è veramente il “mio Signore”, il Signore di ogni uomo costituito tale da Dio.

Maria di Magdala attraverso questa risposta conferma che la sua ricerca di Gesù è fatta a partire dal suo amore, che è grandissimo per il “suo Signore”, ma che ella cerca non secondo la verità del “suo Signore”.

La vera ricerca del Signore è quella che si fa a partire dal suo essere, dalla sua essenza, dalla realtà che lo avvolge. Per fare questa ricerca è necessario che il nostro cuore si ricolmi anche di una fede grande; questa fede nasce solo dall’ascolto della Parola e della piena comprensione di essa.

Quando manca l’esatta comprensione della Parola della salvezza, ogni ricerca di Gesù è una ricerca non secondo verità. Tuttavia se essa è fatta dalla purezza dell’amore arriva all’oggetto ricercato (nel nostro caso al Soggetto che è sempre Dio). Quando essa è fatta non secondo la piena purezza dell’amore, quando l’amore è viziato, carente, inesistente, allora non è possibile raggiungere l’oggetto dell’amore, perché l’amore con il quale lo si cerca è manchevole.

Questo deve insegnarci che sono due le vie per la ricerca di Gesù, la via della Parola che porta all’amore purissimo di lui, la via dell’amore purissimo che porta necessariamente alla fede verissima in lui. Tuttavia almeno una via deve essere perfetta, se si vuole raggiungere la perfezione anche dell’altra. Amore e fede devono essere perfetti insieme se si vuole compiere il cammino dietro Gesù, fino al Golgota.

Esempio di perfetta fede e di perfetto amore è Maria Santissima, essa è alla croce perfetta nella fede e perfetta nell’amore ed è per questo motivo che ella, pur essendo presente alla croce, non è presente al sepolcro, la mattina dopo il sabato. Non è presente perché la sua fede ed il suo amore erano perfettissimi in lei e quindi lei attende la gloria della risurrezione, senza neanche passare per il sepolcro, a differenza di Giovanni, di Pietro, di Maria di Magdala, i quali vivono o di fede imperfetta, o di amore imperfetto, o di fede e di amore imperfetti insieme.

Giovanni e Maria di Magdala sono perfetti nell’amore, ma ancora imperfetti nella fede, l’uno ha avuto bisogno del segno e dall’altra della visione del Maestro. Pietro è ancora imperfetto nell’amore e nella fede, ha bisogno di crescere, hanno bisogno di raggiungere la perfezione sia della fede e sia dell’amore, ognuno secondo la sua maturità già acquisita in queste due virtù.

Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù.

Dopo aver finito di dare la risposta ai suoi interlocutori celesti, Maria si volta indietro e vede un uomo che stava lì in piedi. Era Gesù, ma ella non lo riconobbe.

Sicuramente Gesù aveva assunto altre sembianze. Anche il Vangelo secondo Luca attesta questa forma di presentarsi di Gesù ai suoi discepoli. Sulla via verso Emmaus si era presentato sotto le sembianze di un viandante.

C’è da domandarsi perché Gesù non assume la sua forma e si presenta sotto altre forme. La fede non è data dalla “figura” di Gesù. La figura esteriore, visibile, tutti potrebbero assumerla. La figura di Gesù non è Gesù.

Gesù lo si può riconoscere dalla sua “voce”. Egli lo ha insegnato quando ha raccontato la parabola del buon pastore e delle pecore che conoscono il vero pastore dalla voce, che ascoltano e seguono. Lo si deve riconoscere soprattutto dalla sua Parola, che essendo Parola di verità, ed essendo la Parola della verità, non può essere detta da nessun altro, se non da lui, o da chi è in lui una cosa sola.

La Parola della verità, la Parola-verità è solo di Gesù. Nessuno che viene in questo mondo ha Parole di verità. La verità è una sola ed è la sua vita e la sua persona. Dalla Parola che viene ascoltata possiamo arrivare alla persona che la dice. La Parola di Gesù la può dire solo Gesù. Quindi la Parola rivela sicuramente la persona e quando egli parla la sua Parola di verità sicuramente dobbiamo pervenire alla conoscenza della persona che la verità dice e quindi dobbiamo riconoscere Gesù.

I discepoli di Emmaus avvertivano nel cuore la presenza della verità, solamente che questa non riuscì da sola a smuoverli, ad aprirli alla fede. Essi hanno avuto bisogno di riconoscerlo attraverso l’eucaristia, lo spezzare il pane.

Quando non si arriva alla pienezza della conoscenza di Gesù attraverso la Parola, resta l’ultima ancora di salvezza che è lo spezzare il pane, il riceverlo direttamente, il mangiarlo. Ma lo si riconosce quando lo si mangia, se prima vi è stato l’annunzio della Parola di verità, altrimenti l’eucaristia è mangiata senza la conoscenza di Gesù. Questo è un pericolo nel quale si può inciampare e cadere.

Le disse Gesù: « Donna, perché piangi? Chi cerchi? ».

Gesù rivolge a Maria di Magdala, che ancora non lo ha identificato nell’oggetto della sua ricerca, la stessa domanda degli Angeli. Vi aggiunge anche il motivo del suo pianto. Ella piange perché ha perduto qualcuno, qualcosa. Gesù vuole sapere il motivo delle sue lacrime, chi è l’oggetto del suo cercare.

Gesù sa, ma vuole sapere, vuole che gli si dica il perché del pianto e delle lacrime. Questo deve condurre colui che veramente cerca a manifestare sempre l’oggetto della sua ricerca. Maria di Magdala per ben due volte viene fatta oggetto di una domanda. Si vuole conoscere il perché del suo pianto, delle sue lacrime.

Questa non è solo una domanda retorica, di convenienza. Potrebbe essere un invito a non piangere, perché non c’è motivo di tanto pianto, in quanto Gesù è già risorto. E di questo abbiamo già discusso abbondantemente e con dovizia di tematica. Ma la domanda potrebbe avere anche un altro significato, specie quella di Gesù, e precisamente di lasciarsi aiutare.

Ci sono dei momenti della vita di un uomo, di una donna, momenti assai particolari in cui è necessario non vivere da soli, non chiudersi in se stessi, neanche nell’amore più grande. È di obbligo aprirsi agli altri e volere farsi aiutare da chi può dare una mano di aiuto. Se questo non avviene, perché ci si chiude nel proprio dolore, si potrebbe cadere nella tentazione dell’abbandono della stessa ricerca, perché da soli è difficile pensare di risolvere il problema che attanaglia in quel preciso momento il cuore.

Gesù non sempre potrebbe venire direttamente lui ad aiutarci, potrebbe servirsi di un suo strumento, di una mediazione umana-secondaria, spetta a noi saperla riconoscere, accoglierla, accettare il suo aiuto, aprire il nostro cuore e chiedere sostegno e sollievo.

Maria di Magdala ora chiede aiuto al custode del giardino, o meglio a colui che egli reputa sia il custode del giardino.

Essa, pensando che fosse il custode del giar­dino, gli disse: « Signore, se l'hai portato via tu, dim­mi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo ».

Ancora una volta in Maria di Magdala parla il cuore, non parla la sua intelligenza, la sua razionalità. D’altronde non potrebbe essere diversamente, perché attualmente in lei c’è solo amore per il suo Maestro che non è più nel sepolcro, non sa dove sia stato portato, ma sa che vorrebbe cercarlo, spera di poterlo trovare e quindi si aggrappa ad ogni cosa che potrebbe indirizzarla verso il ritrovamento di Gesù.

Se quell’uomo è nel giardino, e se poi lui è anche il custode del giardino, sicuramente sa qualcosa. Può anche darsi che sia stato proprio lui a portare via dal sepolcro Gesù.

Da qui la domanda: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”.

L’amore fa dire a Maria ogni cosa, le fa pensare ogni cosa. Ella non pensa che al suo Gesù e questo pensiero è talmente forte in lei che oscura e vanifica ogni altro pensiero, ma anche è fonte di ogni altro pensiero. L’amore verso Gesù le fa anche pensare che un uomo possa giocare con un morto, possa cioè andare in un sepolcro, asportare una salma, nasconderla, per poi rivelarne la presenza in un altro luogo, in modo che chi è alla ricerca di essa possa andare a trovarla.

Quando l’amore detta il pensiero, perché non vive un simile pensiero d’amore, tutto potrebbe significare vaneggiamento, follia, pazzia. Ma in realtà così non è, perché l’amore è la forza più potente che esiste nel cuore di un uomo, di una donna, e solo chi è ricolmo di questa forza straordinaria, potente, divina, è capace di fare cose, che dalla ragione umana sono pensate assurde, impossibili, inattuabili.

Gesù le disse: « Maria! ».

Gesù non vuole che Maria di Magdala pianga ancora, ha già pianto abbastanza e se lui non la aiuta, ella difficilmente potrà uscire dal suo pianto e dare al suo cuore la pienezza della gioia. Per questo la chiama con il suo nome: “Maria!”.

Non è il nome pronunziato da Gesù che fa sì che Maria possa riconoscere Gesù, è la voce di Gesù che ella ascolta che lo fa riconoscere. Ora la voce è elemento essenziale per l’identificazione di una persona. La voce è personale. Dalla voce, Maria di Magdala riconosce il suo Signore, il suo Maestro.

Essa allora voltatasi verso di lui gli disse in ebraico: « Rabbuní! », che significa: Mae­stro!

È la gioia che ritorna nel cuore di Maria; è l’amore che ritorna ad essere appagato dalla persona ritrovata. È come se un mondo fosse finito per sempre, il mondo del pianto, dell’incertezza, della speranza delusa dalla vana ricerca, delle domande rivolte ma senza indicazione di contenuti di vero aiuto.

Tutto finisce, tutto ricomincia in questa frase di Maria. Gesù è il suo Maestro, quel Maestro che aveva ricolmato il suo cuore di un amore non umano, divino, di un amore che ella per un istante aveva perduto e che assieme all’amore perduto si era perduta anche lei dietro quell’amore, alla ricerca di esso, ricerca fino a qualche istante prima senza risultati.

È un momento di estasi, di nuova creazione, di ripresa della speranza, di rinascita della sua vita. Ora che ella ha visto il suo “Maestro”, può iniziare nuovamente a vivere, può sicuramente aggrapparsi a lui per sempre per non lasciarlo mai più in eterno.

L’amore, quando è purissimo ed intenso, vuole che l’oggetto del suo amore sia perennemente suo, ma non suo in modo solo spirituale, di una presenza di pensiero, il suo deve essere anche di una presenza reale, corporea. L’amore quando è intensissimo ha bisogno della presenza e questa presenza deve essere perenne, costante nei minuti, nelle ore, nei giorni, nei mesi, negli anni.

Quest’amore purissimo noi lo vivremo nell’eternità con Dio, dove lui ci coprirà della sua presenza e ci avvolgerà del suo amore come di un manto, come una luce che avvolge ogni cosa, così noi saremo avvolti dall’amore del Signore nell’eternità beata.

Quest’amore intensissimo sulla terra non è possibile viverlo se non in una maniera spirituale, con il solo cuore, con la volontà, con il pensiero, con la mente. Realmente ci sono solo degli attimi, dei momenti, delle ore in cui possiamo gustare la presenza di Gesù, stare vicini a lui, poi è necessario che lasciamo Gesù, che andiamo ad annunziare ai suoi fratelli che egli è vivo.

C’è una missione che ci attende e che noi dobbiamo compiere. Ma che cosa è la missione se non la comunicazione del nostro amore perché ogni altro entri nell’amore di Gesù, ami Gesù, che è il solo oggetto di ogni amore, con la stessa intensità con cui noi lo amiamo?

Ma se noi non amiamo Gesù, possiamo noi compiere la missione, possiamo noi proclamare che Gesù è il solo che ricolma il cuore e che gli dona pace? Il motivo per cui la missione non si compie è perché il cuore è povero di amore. A volte la missione si compie per annunziare una verità. Ma la verità non serve all’uomo, se questa verità che è poi l’intensissimo amore di Gesù per noi, non ha trasformato noi e non è anche il principio, il motore che spinge verso gli altri perché tutti entrino nell’amore del Signore.

Gesù le disse: « Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre...

Maria di Magdala è proprio questo che vorrebbe fare. Vorrebbe trattenere Gesù, per goderlo, per ricolmarsi il cuore, per imprigionarlo dentro di sé per sempre, per non lasciarlo più, per fare con lui una sola vita, una perenne vita di un amore intensissimo.

Gesù non vuole questo da lei. Questo che Maria di Magdala cerca è un amore che si può vivere solo nell’eternità. In questo mondo, finché siamo noi nel corpo, finché viviamo nella storia, non è possibile vivere di un amore così.

Dobbiamo, finché siamo nella storia, essere invece i testimoni di quest’amore e non soltanto i fruitori di esso. Ma per essere i testimoni dobbiamo lasciare Gesù ed andare presso i nostri fratelli per annunziare loro il grande mistero dell’amore di Gesù per loro, perché anche loro entrino in questa divina comunione con lui.

Qual‘ è l’annunzio che dobbiamo portare ai fratelli? Lo dice Gesù attraverso le Parole suggerite a Maria di Magdala.

ma va' dai miei fratelli e di' loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro ».

Il messaggio che bisogna portare al mondo è quello della risurrezione di Gesù, della sua ascensione gloriosa al cielo, dove siede alla destra del Padre, per esercitare il suo Sacerdozio eterno in nostro favore.

Assiso alla destra del Padre, egli intercede per noi e ci prepara quel posto perché noi lo raggiungiamo, perché ogni uomo che crede in lui, sia accanto a lui nella sua gloria.

Il messaggio che dobbiamo annunziare è una speranza nuova che si apre nel cuore dell’uomo grazie al mistero della morte di Gesù. Come per lui l’obbedienza al Padre si è trasformata in vita eterna e in risurrezione gloriosa, così anche per tutti coloro che crederanno in lui, la loro obbedienza alla sua Parola si trasformerà in abitazione nel cielo con Cristo, rivestiti della sua risurrezione e della sua gloria.

Il messaggio che dobbiamo recare è anche quello che con Gesù il Padre suo è anche il Padre nostro e il Dio suo è anche il Dio nostro.

Ma se il Dio suo e il Padre suo è anche il Dio nostro e il Padre nostro, significa che tutta la nostra vita dobbiamo viverla sul suo modello, dobbiamo farcela regolare da quella Parola di salvezza, che egli è venuto a portare sulla terra e per la quale non ha esitato ad andare incontro alla morte e alla morte di croce.

Se la sua Parola è la nostra Parola allora cambia totalmente il nostro modo di rapportarci con Dio; non è più lecito a nessuno intromettersi nel rapporto dell’uomo con il suo Dio e l’unico modo di intromettersi è quello di annunziare con tutta fedeltà la Parola di Gesù, perché la si accolga e la si viva e insieme alla parola si doni la sua grazia, che deve rigenerare un cuore e ricrearlo nuovo per opera dello Spirito Santo.

Se questo è il nuovo messaggio, se Gesù, la sua risurrezione, la sua Parola, il suo Dio, il Padre suo è il centro di questo messaggio, significa che bisogna fare perennemente attenzione a che si rimanga fedeli a questo annunzio, altrimenti tutto fallisce, tutto si perde, tutto si vanifica. Ma se questo è il solo messaggio, allora è giusto che i discepoli di Gesù si preparino ad una sequela che preveda la stessa sorte riservata al Maestro da questo mondo che vuole rimanere immerso nella menzogna e nella superbia della vita.

Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: « Ho visto il Signore » e anche ciò che le aveva detto.

Maria di Magdala ascolta Gesù, non lo trattiene. Ci sarà ancora modo di vedersi. Gesù non è ancora salito al Padre suo, non ha lasciato definitivamente questo mondo per non farsi mai più vedere, se non eccezionalmente, per motivi ancora e sempre di salvezza.

Ella corre dai suoi discepoli a riportare quanto Gesù le ha detto. Ma prima di riferire, manifesta loro la sua gioia dicendo di aver visto il Signore.

È questa una grazia specialissima che Gesù le aveva concesso. Non è di tutti vedere il Signore. Non è di tutti, perché non appartiene all’uomo la capacità di vederlo, non è una sua particolare attitudine, è invece dono dell’Onnipotente. Dopo che Gesù è risuscitato il suo corpo non è più materia, esso è spirito e quindi è sottoposto alla legge dello spirito che è l’invisibilità, l’onnipresenza, la presenza di tutto se stesso in ogni luogo ed ogni luogo è luogo della presenza dello spirito.

Questo spiega anche perché Gesù è potuto entrare nel cenacolo a porte chiuse; Gesù non è entrato nel cenacolo, perché nel cenacolo egli vi era dal momento della trasformazione del suo spirito. È quella dello spirito una presenza diversa da quella del corpo. Il corpo è limitato dallo spazio e dal tempo, è in un luogo e non può essere in nessun altro luogo. Lo spirito invece no. Egli è sempre ovunque, anche se non può manifestare la sua presenza, perché così vuole il Signore Dio.

Gesù la può manifestare dopo la sua risurrezione e di fatto la manifesta solo per una particolare grazia e questa grazia non è mai per la consolazione di un’anima, ma per un motivo ben preciso che è quello della salvezza del mondo. L’ultima ragione della manifestazione dello spirito è quella della fondazione della retta fede, della creazione di una carità viva, la costruzione nei cuori di una speranza forte.

È nella somma libertà di Dio e nella sua prescienza infinita e imperscrutabile scegliere a chi manifestarsi, come e quando. Ma a noi questo non è dato di poterlo prestabilire, a noi è dato semplicemente di saper discernere e ben distinguere ciò che è pura manifestazione di Gesù, da ciò che invece non è sua manifestazione.

La missione affidata da Gesù a Maria di Magdala è la prima missione dopo la risurrezione. Maria di Magdala è stata mandata da Gesù ad annunziare il suo mistero e i frutti di esso. È una missione all’interno della comunità. Questo dovrebbe anche convincerci che la missione non è solo verso i lontani, essa può essere anche per i vicini, per quanti cioè ancora non sono entrati a pieno nel mistero di Gesù, e vivono confusi e smarriti.

Ancora c’è da precisare che la missione è sempre personale. Da persona a persona. Questa è la missione efficace. Quando noi disgiungiamo la missione da una personale responsabilità, che sia precisa e puntuale, anche se da protrarre nel tempo, la missione fallisce.

Dire che la missione debba essere personale, deve significare una cosa sola. C’è prima di tutto una relazione che bisogna stabilire con Dio. Cosa vuole Dio che si dica e a chi vuole che lo si dica. Il mandante è sempre il Signore, e quindi è a lui che bisogna chiedere cosa vuole, quando lo vuole, come lo vuole. Senza questo rapporto diretto (od anche indiretto e quindi mediato con il Signore) non ci può essere alcuna missione.

Il rapporto diretto con il Signore deve anche tradursi in un rapporto diretto con gli uomini, perché è a loro che la missione è diretta, l’annunzio deve essere portato. Dove mi manda il Signore? Per quanto tempo? Per dire cosa?

Dove e quando è difficile saperlo con le nostre sole forze; il Signore potrebbe anche rivelarcelo direttamente, ma non è questo il suo modo abituale di agire. Se non c’è rivelazione diretta, ci può essere rivelazione indiretta, è il nostro forte amore per Gesù e per l’uomo da salvare che ci indicano tempi, momenti e luoghi della nostra missione. Quando nel cuore non regna un grandissimo amore, la missione neanche si pensa, o se si pensa, lo si fa per un periodo abbastanza limitato nel tempo, ma senza incidenza alcuna nella storia degli uomini, se non per quel momento in cui ci si è recati presso gli altri e si è parlato un poco con loro.

La missione è amore, l’amore è incontro, l’incontro con gli uomini deve produrre e generare l’incontro con Dio, l’incontro con Dio deve dar vita ad un nuovo amore, il nuovo amore si trasforma in incontro e così all’infinito. Se l’incontro con l’uomo non parte dall’amore ci si stanca e ci si ferma; se l’incontro con Dio non genera l’amore nel cuore, non ci saranno forze sempre fresche per la missione; essa a poco a poco si impoverisce fino a divenire inesistente.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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