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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 21:32
 
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Nel seno del Padre

I soldati. I soldati sono responsabili di ogni azione, gesto, parola, che va oltre l’esatta esecuzione del comando ricevuto. Nell’esecuzione di ogni sentenza, occorre che ci si attenga alla più stretta osservanza di quanto è stato comandato, o previsto dalla legge. Ogni piccola o grande interferenza costituisce un peccato contro l’uomo, contro la dignità della sua persona, nel caso di Gesù un peccato contro la dignità della Persona divina. Anche questa è ingiustizia che regna sulla terra; anche in questo settore è necessario che ognuno personalmente si rifiuti di partecipare in qualche modo a tutto ciò che è contro la legge. Il martirio cristiano è anche questo rifiuto e se bisogna perdere la vita per non divenire collaboratori di ingiustizia, ogni altra cosa può essere persa, purché si rispetti sempre la dignità della persona umana.
Ecco l’uomo. Gesù è il vero uomo, egli è l’uomo nuovo, egli è l’uomo. Ad immagine di lui dovrà divenire ogni altro che vorrà dirsi e chiamarsi vero uomo, vorrà dirsi semplicemente di essere uomo. Chi è Gesù e in che cosa consiste la sua vera umanità? La vera umanità di Gesù è nel vero rapporto con il Padre, al quale consegna interamente la sua vita; è nel vero rapporto con gli uomini, con i quali vive solamente una relazione di mitezza, di fortezza, lasciandosi fare da loro ogni ingiustizia, sopportando per amore e con amore ogni loro sopruso ed infierimento. Tutte queste cose egli le ha subite, poiché aveva messo nelle mani del Padre la sua vita e sapeva che il Padre gliel’avrebbe ridata tutta nuova, tutta spendente di luce e di gloria eterna. Gesù è l’uomo della fede, della speranza, della carità; è su queste tre virtù che si costruisce l’uomo nuovo, l’uomo ad immagine dell’uomo che è Gesù.
Condanna indiretta. Gesù non è stato condannato direttamente; pur essendo stato trovato senza colpa, senza che egli avesse commesso un reato, la sua condanna non fu in alcun caso emessa a causa di lui; Pilato emise la condanna di morte a favore di se stesso. Dovendo scegliere tra Cristo e se stesso, scelse se stesso; indirettamente scelse contro Gesù. Questa la vera storia della condanna di Gesù. Per liberare Gesù avrebbe dovuto pronunciare una sentenza contro se stesso e questo era troppo per lui. I Giudei lo sapevano e lo hanno messo con le spalle al muro. Qui finisce il gioco crudele di Pilato con Gesù, qui finisce anche la farsa dei Giudei, i quali pensavano in qualche modo di poter indurre Pilato a condannare direttamente Gesù, per un qualche cavillo legale, per una qualche accusa anche se infondata. Ma Gesù non poteva essere condannato se non per una non scelta, per un rifiuto di sceglierlo. Pilato lo condanna perché non può scegliere lui, i Giudei lo condannano perché non vogliono scegliere lui, scelgono Barabba. Ognuno condanna Gesù perché Gesù non può essere scelto; se si sceglie Gesù bisogna non scegliere se stessi. Pilato è il rappresentante umano di ogni non scelta di Gesù, di ogni scelta della propria persona.
Cesare è il loro re. I Giudei non scegliendo Gesù come loro re, non possono neanche scegliere Dio come loro re; sarebbe stato il controsenso della storia. Uno non può rifiutare Gesù come suo re ed affermare di avere Dio per suo re. Dio ormai ci governa in Gesù; o Gesù è re e anche il Padre è re. O Gesù non è re e neanche il Padre lo è. I Giudei non riconoscono Gesù come loro re, non possono riconoscere il Padre, riconoscono invece come loro re Cesare. Cesare era il loro oppressore, il loro aguzzino, colui che li teneva in schiavitù politica. Quando non si sceglie Gesù come re della propria anima, necessariamente si deve scegliere l’uomo come proprio re e chi sceglie l’uomo è un idolatra.
In mezzo a due ladroni. Gesù viene crocifisso in mezzo a due ladroni. È questa l’umanità. Il ladrone è colui che toglie ciò che non è suo ad un altro, cui la cosa appartiene come a suo legittimo proprietario. L’uomo è il ladrone per eccellenza ed ogni uomo è un ladrone, perché toglie a Dio ciò che a Dio appartiene: la sua gloria, che è data a lui attraverso l’obbedienza dell’uomo, l’osservanza della sua volontà. Gesù non è ladrone; gli altri sono ladroni perché hanno derubato Dio del suo onore, della sua gloria, della sua Signoria sulla loro vita. Di questi ladroni che rubano la gloria a Dio uno è buono, l’altro è cattivo; è buono colui che riconosce la giustizia di Dio, si converte alla sua Parola, chiede il suo intervento. Costui entrerà nella gloria del cielo, perché ridona a Dio, per mezzo di Gesù, quella gloria che è sua. L’altro ladrone invece muore da ladrone, muore radicato nel suo peccato; muore da ladrone con la refurtiva nella sua anima e nel suo cuore; subirà la sorte di colui che ha rubato, dovrà restituire fino all’ultimo spicciolo di gloria e per tutta l‘eternità dovrà confessare che solo Dio è il Signore, ma lo confesserà lontano da Dio, nel regno del buio e della morte eterna.
Gesù il Nazareno, il re dei Giudei. Nonostante che i Giudei abbiamo sconfessato Gesù ed il Padre suo, viene qui solennemente affermato che è solo Gesù il re dei Giudei, il re dei veri Giudei. I Giudei vorrebbero che Pilato facesse ricadere su Gesù la responsabilità della sua condanna, facendogli scrivere: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”, perché apparisse come un usurpatore della gloria di Dio, Pilato non acconsente alle loro richieste e dinanzi al mondo intero confessa, pur nella più grande incoscienza, la verità di Gesù. Egli è il re dei Giudei. È, non si è detto. È la sua natura e la sua persona che è così, per costituzione, non per volontà. Questa la verità su Gesù e oltre questa verità non si può andare; andare oltre sarebbe andare contro la verità storica e Pilato in questo caso è il testimone della storia.
La tunica. La tunica è l’immagine della Chiesa; ad ogni suo figlio la grave responsabilità di mantenerla unita, intatta, senza divisioni. La si mantiene senza lacerazioni, se come i soldati si vuole non lacerarla, ci si mette d’accordo per conservarla intatta. La si conserva intatta ad una sola condizione: che si accolga la Parola di Gesù, la si legga e la si comprenda alla luce dello Spirito, e su di essa si fondi interamente la propria vita, consumandosi perché la Parola sia il nostro quotidiano modo di essere e di esistere, di vivere e di operare come unica Chiesa del Signore Gesù.
Gesù, la Madre, il discepolo. Tra Gesù, la Madre ed il discepolo deve sempre esistere una relazione essenziale: di maternità e di figliolanza. La stessa relazione essenziale, sostanziale, spirituale che è esistita ed esiste tra Gesù e la Madre sua, deve essere sempre posta e vissuta tra la Madre e il discepolo. Maria vive pertanto una duplice relazione identica: con Gesù e con il discepolo di Gesù, la vive con Gesù come la vive con il discepolo e la vive con il discepolo come la vive con Gesù. Ma anche il discepolo deve vivere questa relazione essenziale con la Madre. Senza questa relazione egli non è vero discepolo di Gesù, gli manca l’essenza stessa del suo essere, come Gesù è dall’essenza e dalla vita di Maria, e senza l’essenza e la vita da Maria, egli non sarebbe Gesù, così è del discepolo, egli deve essere dall’essenza e dalla vita di Maria, altrimenti egli non è il discepolo di Gesù. Nel discepolo di Gesù viene a compiersi lo stesso mistero che è nel Cristo Gesù. Il Cristo Gesù è generato da Dio fin dall’Eternità in quanto Verbo del Padre, viene generato da Maria in quanto Gesù di Nazaret, c’è in Gesù una doppia nascita; la stessa, identica doppia nascita deve avvenire nel cristiano; egli è generato da acqua e da Spirito Santo: nasce come figlio di Dio, per adozione; viene generato misticamente da Maria, sempre per opera dello Spirito Santo, nasce come vero discepolo di Gesù. Senza queste due nascite non c’è il discepolo di Gesù, come senza le due nascite non c’è il Verbo della vita. Il Verbo della vita è da due nascite, il discepolo di Gesù è da due nascite. Queste due nascite dicono la perfezione del suo essere cristiano. Maria è così necessaria come Madre al cristiano, così come è stata necessaria come Madre al Verbo della vita.
Un unico amore. Maria, Madre di Gesù e del cristiano, deve essere amata da un unico amore: l’amore di Gesù che diviene tutto ed interamente amore del cristiano. Il cristiano deve amare Maria non con un suo proprio amore, ma con lo stesso, l’unico amore di Gesù, quello che abitava nel suo cuore, che viene dato al cristiano, perché crescendo in esso, possa amare Maria sempre con intensità di affetto, di sentimenti, di dedizione, di vera figliolanza. Quando questo amore viene tutto riversato nella Madre, allora il discepolo di Gesù è perfetto nell’amore anche per i fratelli; se invece in lui non cresce l’amore per la Madre, non crescerà neanche l’amore per i fratelli. Ogni caduta di missione è un segno, è il segno che nel cuore del cristiano non regna tutto il suo amore per la Madre; gli altri figli dell’unica Madre non sono conosciuti, non sono amati, non vengono portati alla conoscenza di Gesù. Chi non conosce e non ama la Madre non può conoscere ed amare il Figlio, non può conoscere ed amare tutti gli altri figli, non può conoscere né amare quanti sono stati chiamati ad essere figli di Maria.
La sete di Gesù. Gesù ha sete; la sua è sete non di acqua, è sete di Dio. Egli ha sete del Padre suo. Abbeverandosi al suo amore di Padre e ricolmando tutto il suo cuore di quest’acqua nuova che è la perfetta conoscenza nello Spirito del cuore del Padre, egli la può riversare interamente dal suo cuore all’umanità intera. Ed infatti dopo che Gesù ha manifestato il suo desiderio dell’acqua dello Spirito e dell’amore verso il Padre che avrebbe dovuto ricolmare il suo cuore, egli quest’acqua nuova di verità e di grazia la ha effusa nel mondo, perché questi fosse inondato da essa e si aprisse alla novità di vita che è data proprio dall’acqua e dallo Spirito, dall’acqua e dal sangue che è sgorgato dal suo costato aperto. Questa stessa sete deve avere il cristiano, di essa deve ricolmare il suo cuore, se vuole effonderla nel mondo sotto pioggia di grazia, di verità, di conversione e di salvezza.
Lo spirito consegnato. Dopo che Gesù ha tutto compiuto, gli resta ancora una cosa da fare: ridare il suo spirito al Padre, perché lo custodisca per tutta l’eternità nello scrigno della vita, nel suo regno di luce e di gloria. Gesù dona al Padre lo spirito ma non nella forma in cui lo aveva ricevuto; lo spirito è paragonabile ad un talento, quando si ritorna il talento a Dio, bisogna ritornarglielo dopo averlo fatto fruttificare. Gesù ha fatto fruttificare il suo spirito, lo a portato al massimo della sua crescita morale e spirituale. Attraverso di esso ha compiuto prodigi, miracoli e segni, ha annunziato tutta la Parola del Padre, ha vissuto tutta la misericordia per gli uomini. La sua fruttificazione è stata abbondante. Rendere lo spirito significa per Gesù manifestare la gloria del Padre in tutta la sua essenza, poiché il suo rendimento dello spirito non è un fatto semplicemente naturale, è un fatto puramente obbedienziale. Quando si rende lo spirito per obbedienza, e l’obbedienza è purissimo amore, il purissimo amore è perfezione dell’opera comandata, allora è il segno che veramente Dio si ama e amandolo lo si riconosce come il Signore della propria vita, e riconoscendolo lo si proclama. In questa proclamazione di Dio fino alla morte e nella morte è il rendimento della gloria che è del Padre e solo sua.
Acqua e sangue. Gesù ha fatto tutto per amore del Padre, ha fatto tutto in vista della salvezza dell’uomo. Dio Padre dona a Gesù il primo frutto della sua obbedienza, gli dona la salvezza del mondo, la sua rinascita, il suo rinnovamento, la sua rigenerazione. Da questo momento l’uomo può ritornare nella vita, può rinascere alla vita di Dio, può ricominciare - se vuole e se passa attraverso la fede nella Parola di Gesù - a ridivenire uomo, quell’uomo fatto da Dio a sua immagine e somiglianza. Dal costato di Cristo, dall’alto della croce, dalla nuova roccia, colpita dal bastone di un non “giudeo”, di un pagano questa volta, sgorga l’acqua della vita, l’acqua che deve far ritornare in vita quanti sono morti, ma anche mantenere in vita tutti coloro che hanno scelto di lasciarsi inondare dall’acqua e dal sangue che sono sgorgati dal costato aperto di Gesù Signore.
L’amore per Gesù morto. C’è un amore ed una adorazione per Gesù morto che devono essere messi in una luce tutta loro. Questo amore e questa adorazione devono però nascere da una profonda comprensione del mistero. Gesù versa l’acqua e il sangue dall’alto della croce, quando è morto. Nel mentre che egli è morto diventa sorgente di vita, dalla sua morte la nostra vita, dal suo annientamento la nostra rigenerazione. La via di Gesù deve essere via di ogni suo discepolo; per questo è necessario che ogni suo discepolo abbia una perfetta conoscenza del mistero della morte di Gesù e di Gesù morto. Se Gesù ha dato la vita dalla sua morte, egli l’ha data perché la morte è il supremo, l’ultimo gesto, quello definitivo che manca all’amore di Gesù per il Padre. Finché l’amore non sarà perfetto, finché l’amore non sarà tutto donato al Padre, il Padre non può mandare il suo Spirito, la sua acqua per la rigenerazione del mondo e per la sua rinascita. Gesù morto è questo dono completo, perfetto, totale. Se Gesù ha versato l’acqua e il sangue dalla sua morte, ciò deve voler significare per tutti i suoi discepoli che la loro più grande opera per la salvezza del mondo sarà ed avverrà solo nella loro morte, offerta al Padre per obbedienza, per sottomissione alla sua volontà. Il cristiano morto nella morte di Gesù diviene principio di nuova rigenerazione del mondo e solo allora. Sapere questo è compiere ogni cosa vedendola sempre come un cammino iniziale e perfettivo che dovrà condurre alla perfetta e completa donazione di se stessi al Padre dei cieli.
Colui che hanno trafitto. Da Gesù morto nasce anche la fede nel cuore dei credenti. Costoro guardando a colui che hanno trafitto con sguardo di fede, riceveranno uno spirito di adorazione, di contemplazione del mistero, di apertura ad esso; riceveranno quella fede necessaria per aderire al Signore Gesù in modo giusto e perfetto. Gesù deve essere sempre guardato con gli occhi della fede; chi non lo guarda così, non potrà mai avere quello spirito di contemplazione che lo rende partecipe del suo mistero di morte, che lo chiama a divenire in lui uno stesso mistero di morte per la vita.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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