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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 13:35
 
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Il processo davanti a Pilato.

Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio.

Gesù è ora condotto dalla casa di Caifa nel pretorio. Il pretorio era la sede giudiziaria del Governatore di Roma.

Prima di passare ad esaminare cosa accade di Gesù dinanzi al governatore di Roma, è giusto chiedersi perché Giovanni salta quanto è avvenuto nella casa di Caifa e cioè la confessione di Gesù di essere lui il Figlio di Dio che verrà un giorno sulle nubi del cielo.

Uno dei motivi più plausibili potrebbe essere questo. Per Giovanni è sufficiente che non si sia neanche impiantato il processo nella casa di Anna; se Anna che agiva e si comportava da sommo sacerdote, abbiamo visto infatti che tutti lo considerano il sommo sacerdote, neanche ha messo in piedi il processo, cosa avrebbe potuto fare Caifa, che viveva alle dipendenze del suocero? Niente, assolutamente niente.

Giovanni pertanto non ritiene necessaria la testimonianza di Gesù su se stesso, in quanto secondo la legge essa non aveva alcun valore e quindi la salta. Per Giovanni è essenziale che Gesù abbia proclamato di volersi appellare alla storia. È la storia che può giudicare Gesù, religiosamente parlando; ora la storia è sicuramente dalla sua parte, il sommo sacerdote lo sa e si ritira in buon ordine. Egli sa che il giudizio della storia non può essere cambiato né da lui, né da altri e quindi si dichiara impotente, dichiara la sua nullità dinanzi a Gesù.

Gesù esce dal confronto con il sommo sacerdote più che vincitore; la vittoria gli viene conferita dal suo appello alla storia. Politicamente vale la storia a dichiarare Gesù vincitore? Ciò che Giovanni dirà in seguito dimostrerà anche questa seconda verità.

Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e po­ter mangiare la Pasqua.

Il contatto con un pagano li rendeva impuri, cioè incapaci di poter mangiare la Pasqua. L’innocente uccisione di un uomo li lascia indifferenti. La cattiveria del cuore per loro era cosa “santa”, il contatto innocente con un altro di altra religione li costituiva non adatti per celebrare la festa.

La religione, ogni religione, ha la sua forza nella sana moralità; quando questa viene a mancare, inevitabilmente si cade in queste stranezze, che sono poi veri e propri abomini. È abominio che un uomo innocente venga condannato a morte, ma di questo la coscienza rimane tranquilla, adagiata su se stessa, come se nulla stesse per accadere. Invece per una inezia, per un niente, essa si allarma, prende ogni precauzione perché nessun impedimento rituale venga a frapporsi tra loro e la celebrazione della Pasqua ormai imminente.

Ma Gesù lo aveva detto: voi filtrate il moscerino e ingoiate un cammello; uccidete un uomo e reputate la sua morte una cosa santa; mentre ritenete contro la legge avere un semplice contatto con un altro uomo.

Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: « Che accusa portate contro quest'uo­mo? ».

Pilato è formale nella sua richiesta. Va loro incontro, ma egli ha una legge da osservare. Nessuno può essere condannato se non in seguito ad un reato. Qual è il reato commesso da Gesù? Questo chiede loro Pilato.

Senza reato non c’è colpevolezza, e senza colpevolezza non può esistere condanna. Questo il diritto. Su questo diritto Pilato vorrebbe costruire il processo.

Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato».

I Giudei, sommi sacerdoti ed altri, non hanno reati da presentare a Pilato, non c’è una precisa trasgressione della legge. Non possono che rimanere sul vago. Gesù è un malfattore e per questo è stato consegnato nelle sue mani.

Se Gesù è un malfattore, avrà sicuramente fatto qualcosa di preciso con la legge. Non basta l’accusa di malfattore per condannare un innocente. Se Gesù è un malfattore, avrà sicuramente fatto qualcosa di male, un’azione, ed è sull’azione singola che bisogna accusare, non in generale, dichiarando un uomo un malfattore.

Questo è un altro peccato della storia. Quando si vuole togliere di mezzo qualcuno lo si accusa di essere un trasgressore della legge, ma senza dire quale legge in particolare ha trasgredito. Questo è un giudizio sommario, un giudizio indegno dell’uomo. Ogni uomo ha diritto al suo buon nome, ha diritto di essere condannato per quello che ha fatto, e non per quello che si dice che lui sia. Ognuno potrebbe dichiarare un altro delinquente, malfattore, trasgressore della legge. Ma questo non è sufficiente. Per condannare un uomo c’è bisogno di una particolare trasgressione ed ogni trasgressione è classificata ed ad ognuna corrisponde una pena. Questo il diritto.

Allora Pilato disse loro: « Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra leg­ge!».

Pilato comprende che a norma di diritto non esistono dei precisi reati, o crimini, da addebitare a Gesù e non essendoci il crimine non c’è neanche il processo e di conseguenza neanche il giudizio.

Questo lui lo sa, ma vuole liberarsi di Gesù e pertanto dice loro di riprendersi Gesù e di giudicarlo secondo la legge religiosa, perché secondo la legge civile non vede alcuna possibilità.

Ma già il sommo sacerdote aveva constatato l’impossibilità di poter giudicare Gesù secondo la legge religiosa e per questo lo aveva condotto sotto la legge civile, che egli riteneva più ampia nelle accuse ed anche nelle pene.

Pilato commette un altro peccato. Vede l’infondatezza delle accuse e si rifiuta di prendere una decisione. Egli così si dimostra un debole, un incapace, un inadatto a rendere giustizia. Chi vuole rendere giustizia a qualcuno, deve essere forte, saggio, sagace, prudente, intelligente, deve fare sempre in modo che la giustizia trionfi e mai i pareri, i sentimenti, le volontà degli uomini, che sono sovente contro altri uomini e per questo, per motivi di sentimento, e non per motivi reali, intentano processi con il solo scopo di annientare l’altro uomo, pur sapendo che l’altro non ha fatto nulla di male.

Pilato così facendo non compie la giustizia, vorrebbe liberarsi dalle sue precise responsabilità. Questo è peccato contro il proprio ministero, è grave peccato di omissione.

Gli risposero i Giudei: « A noi non è consentito mettere a morte nessuno».

Ma neanche i Giudei vogliono assumersi la responsabilità di mettere a morte un uomo. Essi sanno che secondo la loro legge è assai difficile, mentre quella di Roma, per qualche cavillo giudiziario, è assai più elastica e quindi è facile trovare un capo di accusa, vero o presunto, da addurre contro Gesù così da farlo condannare.

In verità loro non avevano libertà politica e quindi non potevano emettere sentenza di morte contro nessuno. Il potere giudiziario era sotto l’occhio vigile dei Romani, i quali lo esercitavano con durezza, con violenza, con sopruso spesso, molto spesso ingiustamente.

Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire.

I Giudei conoscevano solo la morte per lapidazione. Rifiutando di prendersi Gesù e di condannarlo secondo la legge Giudaica, si compiva la Parola di Gesù che aveva predetto la sua morte per innalzamento da terra e cioè per crocifissione.

I Romani di solito per quanti non erano cittadini di Roma prediligevano una tale morte, che era sempre spietata e crudele e per di più assai esemplare.

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: « Tu sei il re dei Giudei? ».

Dovendo Pilato giudicare Gesù ed essendogli stato consegnato senza alcun capo di imputazione, non essendoci contro di lui nessuna accusa in particolare, inizia lui stesso l’istruttoria al fine di trovare una colpa plausibile di morte.

Chiede se lui è il re dei Giudei. Poiché nessuno poteva essere re nei territori occupati dai Romani, se non con il loro consenso e con il loro protettorato e assistenza militare e civile, uno che si fosse proclamato autonomamente re, sarebbe andato contro la legge di Roma, commettendo un crimine grave, passibile di morte.

Gesù rispose: « Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto? ».

Gesù chiede a Pilato se la domanda che lui gli ha posto è per sua diretta esperienza. Essendo lui governatore della Giudea, avrebbe dovuto sapere ogni fatto politico esistente in regione. Se lo avesse saputo prima avrebbe dovuto intervenire tempestivamente. Se non è intervenuto significa che non ne sapeva niente della sua regalità; se lui non sapeva, altri glielo avranno riferito.

Il riferito va sempre verificato, sul riferito non si mette a morte una persona. Poiché Pilato non sa chi è Gesù, non sa che lui è Re dei giudei, il fatto non può essere notorio, perché tutto ciò che era notorio sarebbe dovuto essere necessariamente a sua conoscenza; poiché è solamente voce, questa, egli ha l’obbligo di informarsi, di fare accurate ricerche, se realmente vuole essere giusto ed operare secondo il diritto.

Pilato rispose: « Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto? ».

Pilato non risponde alla domanda di Gesù. Gli dice però qual è la realtà dei fatti. Lui non è Giudeo, non è andato a cercarlo, non si è mai interessato della sua vita, né della sua opera. Non si è mai interessato perché l’attività di Gesù non era politica, e finché non si entra nella politica per Pilato non si commettono reati contro Roma.

Ma pur essendo stato lui lontano dalla sua azione, qualunque essa sia stata, anche se è stata a carattere religioso, chi lo ha messo nelle sue mani, chi glielo ha consegnato è stata la sua gente e i sommi sacerdoti.

Il problema da risolvere non è tra Pilato e Gesù e bensì tra Gesù, la sua gente e i sommi sacerdoti. Pilato sa di essere usato in questa circostanza e lui si lascia usare per convenienza.

Tuttavia l’uso non può essere così evidentemente palese; deve avere anche un senso di legalità e per questo chiede cosa abbia fatto Gesù di così grave da essere inviso alla sua gente e in più da essergli consegnato perché lui lo condanni a morte.

Rispose Gesù: « Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù ».

È giusto che Gesù risponda a Pilato. Questi gli aveva chiesto se lui fosse il re dei Giudei, la prima volta, la seconda volta voleva sapere semplicemente perché i sommi sacerdoti e la sua gente lo avevano consegnato nelle sue mani.

Gesù è re, ma non di questo mondo. Se Gesù fosse un re come tutti gli altri re del mondo, come gli altri re avrebbe un esercito, avrebbe avuto dei servitori che avrebbero combattuto per lui. Poiché non ha gente e né servi, né soldati che combattono per lui, egli non è un re come tutti gli altri re che si conoscono.

Tuttavia egli è re, ma non è re di quaggiù. La sua regalità appartiene all’ordine dello spirito e non del corpo, dell’anima e dell’eternità e non del tempo e per le cose di quaggiù, o semplicemente di questa terra.

Allora Pilato gli disse: « Dun­que tu sei re? ».

Pilato chiede ora a Gesù di confermare quanto egli ha detto. Vuole sapere se veramente Gesù sia re. Ci troviamo però su due concezioni diverse di regalità. Per Pilato una sola può essere la regalità, quella umana, terrena, quella politica. Per Gesù invece essa è un’altra, è spirituale, sopratemporale, soprannaturale, di verità, di giustizia, di amore, di luce, di pace. È una regalità che discende direttamente da Dio per condurre ogni anima a Dio, per dare a Dio il governo del mondo, attraverso la conduzione di ogni anima all’obbedienza alla parola della salvezza e della verità.

Quando si comprende questa doppia concezione di regalità, allora si comprenderà l’opera di Gesù e non la si temerà più, perché lui non è venuto per spodestare il re di Roma, lui è venuto per condurre ogni cuore sotto il governo del Padre suo.

Rispose Gesù: « Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce ».

Gesù risponde a Pilato affermativamente, confermando la sua domanda, il che equivale ad una ammissione certa di ciò che lui è: Tu lo dici, io sono re. Questa è la natura di Gesù, la regalità gli appartiene ed è sua e nessuno gliela può togliere.

Ora lascia la domanda di Pilato e introduce un altro discorso assai più impegnativo. Gesù dice per quale ragione egli è nato ed è venuto al mondo.

Egli è nato, egli è stato mandato nel mondo per rendere testimonianza alla verità. La verità è una, essa è di ordine spirituale, ma anche materiale, scientifica, storica, metafisica, fisica. Non c’è verità che non trovi il suo punto di partenza da Lui, perché per mezzo di lui furono create tutte le cose e senza di lui nulla esiste di tutto ciò che esiste.

La verità per Gesù è essenzialmente la Parola del Padre suo; egli è venuto a dire agli uomini che la Parola del Padre suo è la verità della loro vita, è la verità unica e sola e tutte le altre verità, sono verità solo se ancorate saldamente a questa, altrimenti l’uomo, senza la verità di Dio che dimora nel suo cuore, potrà anche usare le altre verità come menzogna e quindi non sono verità ma menzogne.

Se Gesù è venuto per rendere testimonianza alla verità, se ogni verità trova in lui la sua essenza e la sua consistenza, se lui è la parola della verità e la verità fatta parola, può ascoltare la sua voce, che è perfetta verità, se uno non è dalla parte della verità, se uno cioè non cerca la verità e non vive per essa?

Chi cerca la verità sa che Gesù è innocente, sa che è giusto, sa che dice il vero, sa anche che quanto ha fatto viene da Dio, perché è verità di ordine storico che nessuno può fare ciò che ha fatto Gesù se Dio non è con lui.

Pilato se vuole ascoltare la voce di Gesù, se vuole entrare nel suo mistero, deve anche lui schierarsi dalla parte della verità; ma se lui gioca con la verità, mai potrà ascoltare Gesù e quindi mai potrà entrare in possesso della verità che salva e redime e libera l’uomo da ogni schiavitù.

Gesù è perfettissimo nella sua risposta. Indica a Pilato il suo essere, la sua missione, ma anche mette Pilato dinanzi alla sua coscienza. Se vuole, lui potrà ascoltare la voce di Gesù che proclama la sua innocenza, che proclama anche il diritto di Dio su ogni uomo, in quanto egli è vero re, anche se non di questo mondo. Perché Pilato possa ascoltare la voce di Gesù è necessario che si schieri dalla parte della verità, che divenga un uomo di verità, che sia perennemente dalla verità e la verità non è solo di ordine metafisico, celeste, è anche di ordine terreno, quindi visibile ed udibile, perché riscontrabile.

Pilato se vuole può riscontrare l’innocenza di Gesù, perché anche questa è verità.

Gli dice Pilato: « Che cos'è la verità? ».

Pilato rimane per lo meno sconvolto dalla risposta di Gesù. Non sa cosa rispondere e si rivolge a Gesù con un semplice interrogativo. Prima gli aveva chiesto se fosse lui il re dei giudei, o meglio se lui fosse re dei giudei. Ora gli chiede cosa è la verità.

Tuttavia non si ferma per ricevere la risposta di Gesù, si allontana. In certi momenti della storia di una persona, c’è sempre la scelta da fare ed è quella di schierarsi dalla parte della verità.

Diviene però assai imbarazzante schierarsi in momenti assai difficili come per il caso di Gesù, se precedentemente non si è stati attenti a porsi e a schierarsi sempre dalla parte della verità. Chi prima ha giocato con la verità e ha fatto la giustizia a convenienza, come può fare la giustizia secondo verità se lui non si è addestrato a questa responsabilità?

E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: « Io non trovo in lui nes­suna colpa.

Che Pilato giochi con la verità, lo si deduce da quanto egli sta per fare. Lascia Gesù e ritorna dai Giudei e comunica loro che in Gesù non ha trovato nessuna colpa.

Se non ha trovato nessuna colpa, è suo obbligo rimandare libero Gesù. Un innocente non può essere trattenuto. Se Pilato trattiene Gesù, egli non è dalla verità, egli è dalla menzogna, perché egli non agisce conformemente alla verità storica che egli ha riconosciuto. Infatti lui stesso proclama alla folla dei Giudei di non aver trovato in Gesù nessun colpa. Si badi bene, nessuna colpa, né colpa grave, né colpa lieve.

Dopo questa confessione pubblica di innocenza da parte di Pilato nei confronti di Gesù, ogni cosa che verrà inflitta a Gesù come pena od anche come abuso e sopruso da parte di soldati o di altri, è un atto ingiusto, di violenza, è un disordine veritativo nei confronti di Cristo, è un peccato contro la verità storica, poiché da questa verità Pilato aveva desunto che Gesù è pienamente innocente. In lui non viene trovata nessuna colpa.

Come si può constatare sia Anna, che lo aveva interrogato durante la notte, sia Pilato che lo interroga all’alba devono concludere che Gesù è innocente, che contro di lui non c’è nessun capo d’imputazione, nessuna colpa ascrivibile al suo ministero o semplicemente alla sua persona.

Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei? ».

Se Gesù è innocente, se in lui non è stata trovata nessuna colpa, non si può chiedere alla folla dei Giudei che gli domandino la sua liberazione. Essi avrebbero potuto chiederla come atto di grazia, non come atto di giustizia, che competeva solo al governatore e a nessun altro, una volta constatata l’innocenza di Gesù.

Inoltre Pilato commette un altro grave errore di valutazione storica. Lui sapeva che Gesù era innocente, sapeva che i Giudei volevano servirsi di lui per togliere di mezzo Gesù in modo che la loro coscienza dinanzi al mondo potesse dichiararsi sempre innocente, pura, limpida. Chiedendo se volevano che egli liberasse loro il re dei Giudei, egli non fa che sbagliare in modo irreparabile.

Pilato sbaglia valutazione perché i Giudei non gli avevano presentato Gesù perché Pilato lo liberasse dopo averlo interrogato, ma perché Pilato lo condannasse a morte, anche senza interrogarlo, con processo sommario, come d’altronde essi stessi avevano fatto.

Quando non si è dalla parte della verità, si è necessariamente dalla parte della menzogna e dell’errore; che Pilato sia dalla parte dell’errore lo dimostra il fatto che prima afferma che in Gesù non c’è alcuna colpa e subito dopo chiede alla folla dei Giudei, che gli aveva presentato Gesù, perché lo condannasse se per caso non ci avesse ripensato e non volesse ora liberarlo a causa della sua innocenza constatata da lui.

I Giudei sapevano che Gesù era innocente; ma loro vogliono la sua morte. Essi non vogliono che Gesù sia liberato, non potranno volerlo. Perché allora Pilato è caduto in un errore così banale, così evitabile? La risposta è una sola: quando non si è dalla verità, quando non si è schierati dalla parte della luce, le tenebre avvolgono il nostro cuore, il nostro spirito, la nostra anima, la nostra mente, tutto di noi è avvolto nelle tenebre e sono queste tenebre che ci fanno sbagliare, ci fanno commettere errori così gravi nella valutazione e nelle decisioni, che la storia si meraviglia e resta attonita dinanzi al fallimento della nostra umanità.

Con questa domanda Pilato fallisce il suo ministero e da ministero di giustizia lo trasforma in un ministero di ingiustizia.

Allora essi gridarono di nuovo: « Non co­stui, ma Barabba! ».

La folla dei Giudei non avrebbe voluto sentire altro. Alla possibilità di scegliersi un condannato perché fosse liberato, essa non esitò per un solo istante a gridare la liberazione di Barabba.

Lo grida anche opponendo Barabba a Gesù: non vogliamo libero Gesù, vogliamo libero Barabba. Il che significa semplicemente: Gesù deve essere ucciso, Barabba vogliamo che sia libero.

Da precisare ancora un errore di giustizia commesso da Pilato. L’usanza voleva che si liberasse un condannato. Gesù non è stato mai condannato da Pilato. Quindi la proposta di Pilato è palesemente ingiusta. Ingiusta nella proposizione. Viene proposta una scelta tra un innocente ed un assassino. Prima ingiustizia. Viene scelto l’assassino e fatto morire l’innocente. Seconda ingiustizia, ancora più grave della prima.

Quando una folla arriva a scegliere il criminale perché sia liberato e per questa scelta condanna l’innocente, c’è solamente una cosa da dire: la folla non è formata nella giustizia, essa è una folla senza fondamenti morali. D’altronde, se i capi di Israele sono senza fondamento di Parola vera, necessariamente devono essere senza alcun fondamento di morale, e se loro che sono le guide non conoscono la via della giustizia, sono palesemente ingiuste, cosa sarà del popolo loro affidato? Esso sarà necessariamente governato dall’ingiustizia e dalle ingiuste scelte. Lo dimostra il fatto che la loro scelta è ingiusta, ma anche la proposta è ingiusta. È ingiusto Pilato, sono ingiusti i sommi sacerdoti, è ingiusta la folla.

Il solo giusto in questo processo è Gesù, in lui c’è solo luce di verità di amore, di giustizia, di santità, di ascolto del Padre, di purissima e perfettissima obbedienza a Dio. Chi vuole un popolo giusto, deve educarlo alla giustizia attraverso la sua rettitudine morale, chi vuole educare alla legalità secondo Dio, e non secondo l’uomo, deve vivere egli stesso come modello ed esempio nella legalità; la sua trasparenza di verità e di giustizia sono la garanzia per il popolo, il quale può aprirsi anch’esso alla nuova moralità che è sempre scelta secondo Dio e mai secondo l’uomo.

Barabba era un brigante.

Viene qui precisato chi era Barabba in verità. Egli era un brigante. Non viene specificato di che natura fosse il suo brigantaggio, è da supporre che fosse di natura politica, essendovi in Palestina frequenti sommosse contro l’occupante nemico.

Pilato sì che avrebbe voluto farsi re dei giudei per liberare la terra dei Padri dall’occupazione nemica. Ma Gesù lo aveva detto ai discepoli: il mondo ama ciò che è suo; se Gesù fosse stato del mondo, il mondo ora lo avrebbe scelto, poiché egli non era del mondo, il mondo lo ha rifiutato.

Sempre la storia camminerà per la scelta del brigante e per il rifiuto di Gesù. Gesù non è scelto perché non è un brigante, perché viene da Dio. Poiché la folla non conosce Dio, non può conoscere Gesù; se non lo conosce come suo non può sceglierlo, deve abbandonarlo alla sua sorte; non solo, vuole che sia tolto di mezzo, infatti essa gridava che non voleva libero Gesù, voleva libero Barabba.

Gesù pertanto viene condannato per non scelta, non per sua colpa. Questa la grande giustizia degli uomini. Altro grave peccato della storia.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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