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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 13:31
 
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La preghiera per la Chiesa.

Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me;

La preghiera di Gesù non è solo per i discepoli presenti, che vivono assieme a lui quest’ora solenne della sua vita. Gesù prega per quanti sono davanti a lui, ma anche per quanti attraverso la loro parola crederanno domani e sempre nel suo mistero.

La preghiera di Gesù è per ogni credente, di oggi, di domani, di sempre. Tutti sono avvolti da questa sua preghiera e tutti custoditi in essa per il tempo della storia.

In questa preghiera c’è una verità che deve essere messa in risalto. La fede in Gesù nasce dalla Parola annunziata; la Parola è annunziata da chi è stato consacrato alla verità, o nella verità. Si comprende ora perché Gesù ha chiesto al Padre che i suoi discepoli fossero consacrati nella verità ed anche perché lui stesso si è consacrato per i suoi discepoli.

Se manca la Parola, non nasce la fede, e un discepolo che non è nella parola non può generare la fede in Cristo nel mondo; il mondo rimane mondo e Gesù senza discepoli. Poiché Gesù ha mandato i suoi discepoli nel mondo perché generino la fede in ogni cuore, quest’opera di rigenerazione non può essere effettuata se non da chi è in possesso della Parola del Padre.

La Parola è il seme per la generazione di figli a Cristo, di figli a Dio Padre, di discepoli di Gesù. Questo deve convincere ogni discepolo di Gesù che occorre che in lui la Parola diventi sua carne e suo sangue. Solo se radicalmente trasformato dalla Parola, solo se interamente consacrato ad essa, egli potrà generare alla fede quanti il Padre chiama alla salvezza e loro si lasciano chiamare dal Padre. La chiamata del Padre senza la Parola vera del discepolo di Gesù non genera figli a Dio; manca l’elemento di fecondazione che è la Parola del Padre, che è stata affidata a Cristo e che Cristo Gesù ha affidato ai suoi discepoli.

perché tutti siano una sola cosa.

Viene qui manifesta un’altra verità. La preghiera di Gesù ha una finalità ben precisa. Gesù prega perché tutti coloro che hanno creduto, siano una cosa sola.

Se questa è la preghiera di Gesù per i credenti in lui, questa deve essere anche la preghiera di ogni credente, perché si diventi una cosa sola. Ma la cosa sola è data dall’unica Parola, che deve essere unica fede, unica carità, unica speranza.

La cosa sola si può costruire, si può divenire una cosa sola; è necessario per questo che si diventi una cosa sola con la Parola. Chi non diventa una cosa sola con la Parola, chi in qualche modo si discosta dalla Parola, impedisce al suo essere di divenire una cosa sola nella fede con gli altri credenti. Quando non si è una cosa sola, è il segno che non si è una cosa sola con la Parola; è nella Parola che avviene la divergenza e questa divergenza di accoglienza e di custodia della Parola nel cuore credente, si trasforma in separazione degli uni dagli altri. L’unità si costruisce sull’unicità e sull’unità di Parola.

Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

Gesù vuole che tra i suoi discepoli regni la stessa unità che c’è tra Lui e il Padre. Il Padre è in Lui, Lui è nel Padre, il discepolo deve essere nell’altro discepolo e viceversa. È possibile ottenere questa unità, è possibile realizzare questa cosa sola?

L’unità che è in Cristo e nel Padre, non è solo unità di essenza e di carità, ma è soprattutto unità di volontà e quindi di Parola. Tutta la volontà del Padre, manifestata ed espressa attraverso la Parola, è nel Figlio, e tutta la volontà del Figlio, manifestata e compiuta, è nel Padre sotto forma di purissima obbedienza. In questo scambio di volontà, interamente la volontà del Padre è nel Figlio, interamente la volontà del Figlio è nel Padre.

L’uomo non ha una sua propria volontà da comunicare all’altro uomo; egli ha solo la Parola di Dio da comunicare e quindi è necessario che tutta la Parola di Dio sia in lui e per lui nell’altro, attraverso la sua obbedienza di servizio, che è fatto in nome di Dio, ma sempre a favore del fratello. Quando questo avviene, si compie la cosa sola; cosa sola sempre da costruire e da edificare, poiché è sempre facile uscire dalla Parola, rompendo l’unità che solo nella Parola si costruisce e nella Parola diviene permanente, perenne.

Quando c’è questo scambio di obbedienza alla Parola che diviene servizio di carità e di amore verso l’altro, verso tutti indistintamente, l’altro vede la fede trasformata in carità e crede nel Dio amore, nel Dio carità, crede in Cristo, carità crocifissa per amore dei suoi fratelli, in obbedienza alla Volontà del Padre.

La carità visibile nella fede invisibile rende credibile il discepolo del Signore. La fede è realtà che è nel cuore, nell’anima, nello spirito. La carità invece è la trasformazione della Parola in obbedienza d’amore ed è quindi visibile. L’altro vede e crede in ciò che noi siamo; crede perché vede quello che noi siamo. Con la sola fede invece l’altro non vede e non vedendo non può credere.

E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola.

Perché questa unità tra i credenti si realizzi e si viva come segno di credibilità per gli altri, Gesù dona ai suoi discepoli tutto, ogni cosa che è sua la dona loro. Ha donato la sua pace, ha donato la sua gioia, ora dona la sua gloria.

L’uomo, ogni uomo, in fondo lavora perché tentato dalla sua superbia che lo spinge alla conquista di una gloria effimera e passeggera. C’è sempre in lui quel sentimento e volontà di essere, che sovente lo spinge a calpestare i fratelli, in modo che lui possa emergere, possa essere sopra gli altri, possa essere riconosciuto dagli altri importante, personaggio famoso, potente, capace.

Nell’obbedienza invece e nella Parola l’uomo può vivere solo a servizio degli altri, quindi nell’umiltà, nella semplicità, nel nascondimento, in quel silenzio che sa solo ascoltare il cuore del fratello. In questo servizio non c’è ricerca di gloria, ma l’uomo tende alla gloria; se tende ad una sua gloria, deve porsi contro gli altri, deve distinguersi dagli altri, deve cercare dagli altri il servizio.

Gesù invece promette il dono della sua gloria e la sua gloria è gloria divina, celeste, eterna, gloria che non tramonta, che dura fino alla consumazione dei secoli sulla terra e poi si esprimerà tutta nel regno dei cieli. Ma per fondare questa vita sulla gloria che viene da Dio e non dagli uomini, occorre fede nella sua Parola, occorre che l’uomo si convinca che solo la gloria che viene da Gesù è gloria vera.

Se si convince di questa verità che Gesù gli ha manifestato attraverso questa preghiera rivolta al Padre, allora egli non cercherà più la gloria che viene dalla sua persona, cercherà solo la gloria che viene da Gesù e che si trova solo nell’obbedienza alla Parola, solo nell’ascolto del Padre, che si trasforma in un servizio di carità e di amore in favore dei suoi fratelli. Questa gloria si costruisce nell’umiltà che è annientamento di se stessi al fine di cercare solo il bene che viene da Dio.

Chi cerca questa gloria proveniente dall’alto, può costruire l’unità, perché non cerca più se stesso. Se stesso non gli interessa più perché lui ha già trovato quello che si è tentati di cercare altrove, nelle cose della terra, che provocano tante divisioni. Lo ha trovato perché Gesù gliene ha fatto dono. Chi cerca la gloria che viene da Gesù e non dall’uomo, diviene libero, povero in spirito, distaccato; egli desidera e vuole solo l’obbedienza; le cose di quaggiù, sia di ordine spirituale, che di ordine materiale non gli interessano più, perché non sono per lui fonte di vera gloria.

A questa gloria dobbiamo indirizzare ogni uomo; ognuno deve essere educato a cercare solo la gloria che viene da Dio; l’unità tra i credenti in Cristo altrimenti non si può costruire, perché la ricerca della gloria che viene dall’uomo impedisce all’uomo di farsi servo dei fratelli, di farsi l’ultimo tra gli ultimi, per amare secondo la Parola, in obbedienza al Padre dei cieli.

Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.

Quando l’uomo non è più alla ricerca della gloria che proviene dalla terra, egli può inserirsi pienamente in Gesù, Gesù può vivere pienamente in lui, e Gesù vive con lui e in lui perfettamente nel Padre.

Questa è la perfezione dell’unità che Gesù desidera dai suoi discepoli. Quando questa unità si consuma e si vive, il mondo attraverso i discepoli sa che il Padre ha mandato il Figlio, sa anche che il Padre ama i discepoli di Gesù come ha amato Gesù e si apre alla fede.

Gesù chiede che il Padre sia tutto nei suoi discepoli, come è stato tutto in lui. Per essere tutto nei suoi discepoli, i discepoli devono essere interamente in Gesù. Si è in Gesù attraverso il loro dimorare nella Parola. Quando la Parola dimora in loro, loro dimorano in Gesù, ma quando Gesù dimora in loro e loro in Gesù, il Padre dimora in loro, è in loro. Se il Padre è in loro, perché loro sono in Gesù e sono in Gesù, perché sono nella Parola, allora tutto l’amore del Padre si riversa in loro e li avvolge. È questo amore avvolgente del Padre nei loro confronti che diventa il segno di credibilità. Il mondo sa allora che il Padre ama i discepoli di Gesù, sa che Gesù è stato mandato dal Padre, sa anche che i discepoli sono di Gesù e del Padre.

Solo Dio è amore. Chi ama, necessariamente deve essere in Dio e Dio in lui. Ama chi è nella Parola, chi trasforma la Parola in obbedienza. Quando questo accade, Dio e Gesù prendono possesso del discepolo, lo arricchiscono della loro verità e del loro amore, lo costituiscono verità ed amore per il mondo intero. Se invece Dio non è nell’uomo, perché l’uomo non è nella Parola, l’uomo è povero, assai povero, è semplicemente la sua umanità, ma l’umanità è povertà di amore, anzi assenza di amore; l’altro vede che siamo solo con noi stessi e non può credere in Gesù perché Gesù non è con noi, non è in noi.

Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato, poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo.

Gesù prega ora per la sorte eterna dei suoi discepoli. Egli vuole e chiede al Padre che li porti un giorno dove è lui, nel cielo. I suoi discepoli ora vivono nel segno della fede e credono in Gesù e in tutto quello che egli ha detto loro. Domani, nel giorno eterno in paradiso, essi dovranno constatare con gli occhi del loro spirito la verità di Gesù e quindi devono contemplare la gloria che il Padre gli ha dato, quella gloria che è sua prima della creazione del mondo, in quanto Dio e figlio di Dio, ma che è anche gloria della sua umanità, a causa della sua obbedienza.

Gesù ora volge lo sguardo alla sua eternità. Lui viene dall’eternità, viene dall’amore del Padre che lo ha generato. Ma i discepoli di questo mistero nulla conoscono, nulla sanno. Ma è giusto che la loro fede venga premiata, attraverso la loro introduzione nel cielo per contemplare la gloria di Gesù, attraverso la partecipazione a questa gloria, che Gesù ha già donato sulla terra, ma quella già donata è una pallida immagine della gloria che essi gusteranno nel cielo, assieme a lui per tutta l’eternità.

Conoscere la verità eterna di Gesù dona una infinita gloria a coloro che hanno creduto, essi sanno che la loro fede in Gesù non è stata vana, non è stata una illusione, la loro vita non è stata fondata sulla sabbia delle chimere umane, ma sulla roccia della verità eterna. La fede dei discepoli, dalla contemplazione della gloria eterna di Gesù, riceve un premio smisurato, una gloria che ricolmerà il cuore e lo inonderà di gioia indicibile.

Da questa affermazione di Gesù la fede dei discepoli nasce irrobustita, forte, irresistibile. Essi sanno veramente chi è Gesù e lo sanno perché lui non solo lo ha rivelato, ma ha dato loro l’appuntamento in Paradiso, dove potranno vederlo nella sua essenza divina, contemplarlo nella sua gloria, divenendo partecipi di essa, gioiendo ed esultando per tutta l’eternità a causa dell’accoglienza fatta da loro alla sua Parola.

Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, questi sanno che tu mi hai mandato.

Il Padre di Gesù è santo, è anche giusto. È giusto perché egli è il Dio delle giuste ricompense, ma anche il Dio che dona a ciascuno secondo le sue opere, e perché nulla di ingiusto egli opera nei riguardi delle sue creature. Egli è giusto perché è il solo che possa giustificare l’uomo, perdonando il suo peccato, liberandolo dalla sua colpa, introducendolo nella sua giustizia.

Gesù sa che il mondo non ha conosciuto il Padre, non lo conosce. Il mondo non ha accolto la Parola di verità che il Padre gli ha comandato di portare sulla terra. Non conoscendo la Parola del Padre, non conoscono neanche il Padre, che è l’autore della Parola e quindi la fonte della Verità. Non conoscendo la Parola, non conoscono neanche come vero il mediatore della Parola del Padre, Gesù e per questo lo hanno condannato, appendendolo al palo.

Gesù invece ha conosciuto il Padre perché ha accolto la sua Parola nel suo cuore e l’ha fatta divenire la sua stessa vita. La Parola in Gesù è la sua obbedienza, il suo ascolto. Chi ascolta la parola di Dio conosce Dio, ma l’ascolto è obbedienza, è compimento sino alla fine di tutta la Parola. Gesù tutto ha fatto secondo la parola del Padre e per questo può affermare di conoscere il Padre, di averlo conosciuto.

Anche gli Apostoli, o i discepoli, che hanno accolto la Parola di Gesù, non l’hanno accolta come sua Parola, bensì come Parola del Padre e in tal modo hanno riconosciuto che Gesù non parla di autorità propria, ma parla per autorità di Dio, perché viene da Lui, essendo stato mandato dal Padre.

Questa deve essere la via di ogni discepolo del Signore. Egli deve essere riconosciuto come inviato da Gesù, a sua volta inviato dal Padre. Se questa conoscenza non si compie, allora è giusto che ognuno si interroghi e si chieda perché egli non sia conosciuto come inviato di Gesù. Il motivo è solo uno: la Parola che egli dice, vive, proclama e compie, non è esattamente la Parola di Gesù. È parola dell’uomo e l’uomo non può riconoscere come appartenente a Dio ciò che appartiene alla terra. Questa è la ragione perché sovente non si è riconosciuti come appartenenti a Gesù, perché la Parola che noi diciamo non è di Gesù è nostra e nessuno può sperare di far passare la Parola di un uomo come Parola di Dio. Sarebbe questa una bestemmia.

E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro ».

Gesù è venuto sulla terra per farci conoscere il Padre, il suo nome, che è santo, vero, giusto. Conoscere il nome di Dio è essenzialmente conoscere Dio nel suo rapporto con la creatura e questa conoscenza deve essere solo obbedienziale, di sottomissione alla sua Signoria.

Questa conoscenza del nome di Dio deve essere l’occupazione missionaria per eccellenza di ogni discepolo di Gesù, come in realtà lo fu per Gesù.

Conoscere il nome di Dio è essenzialmente conoscere la sua Parola che è verità. Ma la Parola si conosce quando la si vive, dopo averla accolta nel proprio cuore.

Una volta conosciuto il nome di Dio, si deve rimanere e crescere in questa conoscenza, che avviene sempre attraverso la Parola. Dalla conoscenza l’amore di Dio si riversa nei nostri cuori, ed è lo stesso amore con il quale il Padre ha amato Gesù, ma se c’è l’amore del Padre in noi c’è anche Gesù che è l’Amore del Padre, la sua Carità, la sua Verità. Con l’amore del Padre Gesù discende in noi e abita in noi per sempre.

Gesù non può essere nel cuore nel quale c’è assenza dell’amore del Padre, non può esserci perché lui è l’amore del Padre ed è lo stesso amore con il quale il Padre lo ha amato che Gesù vuole che il Padre ami noi.

Gesù vuole che vi sia un solo amore tra noi e Dio, ed è l’amore con il quale il Padre ha amato lui. Dicendo questo egli non vuole che vi sia alcuna differenza nell’amore di Dio verso di lui e verso di noi. Un unico amore, con la stessa intensità, con la medesima durata, un amore che in noi è obbedienza e da parte di Dio glorificazione e risurrezione nell’ultimo giorno.

Chiedendo al Padre che ci ami con lo stesso amore con il quale Egli ha amato Gesù, vengono a noi aperte le porte della risurrezione gloriosa, ma anche e soprattutto le porte del martirio, perché l’amore che il Padre immette nel nostro cuore è così intenso e forte che l’anima credente si rende disponibile anche al martirio, a consacrare cioè l’amore del Padre con l’offerta della sua vita.

Un solo amore, una sola vita, una sola offerta, una sola testimonianza, una sola conoscenza. Questo Gesù chiede al Padre suo per noi in questa preghiera che è invocazione, ma anche manifestazione di tutto il cuore di Gesù e della sua divina ed umana essenza.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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