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LA "SELEZIONE NATURALE"

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2022 18:12
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24/04/2010 21:44
 
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Ciao Darwin?

Perché la selezione naturale non spiega nemmeno l’evoluzione

Il loro libro, uscito a febbraio in America e in arrivo a metà aprile in Italia (si intitola “Gli errori di Darwin” ed è edito da Feltrinelli) promette di portare nuove fascine al fuoco delle polemiche che animano il dibattito sull’evoluzionismo.

Loro sono Jerry Fodor, filosofo del linguaggio e cognitivista cresciuto alla scuola di Noam Chomsky, e Massimo Piattelli-Palmarini, biofisico e scienziato cognitivo dell’Università dell’Arizona. Insieme, in duecentocinquanta pagine, spiegano perché il principio darwiniano di selezione naturale come causa dell’evoluzione sia da considerare archeologia, e perché l’ostinazione neodarwinista a volerlo salvare faccia male alla scienza. “La nostra critica – dice al Foglio Piattelli-Palmarini – è totalmente laica e lontana da risonanze creazioniste o legate al ‘disegno intelligente’. E’ una critica fatta in nome di una scienza migliore, di una spiegazione dell’evoluzione biologica interamente naturalistica”. Una critica che però non dimentica, scrivono gli autori, che “in realtà, non sappiamo molto bene come funzioni l’evoluzione; non lo sapeva neanche Darwin, e non lo sa esattamente (per quel che possiamo stabilire) nessun altro. ‘Sono necessarie ulteriori ricerche’, come si usa dire. Può darsi che siano necessari secoli di ulteriori ricerche”.

Per ora, a centocinquant’anni dalla formulazione del principio della selezione naturale come causa dell’evoluzione, “Gli errori di Darwin” lo mette radicalmente in discussione. Non si tratta più, come ha scritto sul Corriere della Sera il darwinista Telmo Pievani, di formulare una “teoria evoluzionistica estesa”, ma di “un vero capovolgimento”, spiega Piattelli-Palmarini: “E’ Pievani, insieme con un illustre evoluzionista italiano che insegna in America, Massimo Pigliucci, a invocare una teoria darwiniana ‘estesa’. Per quanto riguarda Fodor e me, ci sembra che l’estensione sia tale da escludere che la teoria possa ancora dirsi darwiniana. La selezione naturale esiste, ma non è il meccanismo che genera specie nuove. Nel libro diciamo che la selezione è l’accordatore del pianoforte, non il compositore di sinfonie”. Detto questo, “Darwin era uno dei più grandi scienziati di ogni tempo, e geniale è la sua idea di selezione naturale. Ma, ripeto, non è il meccanismo dell’evoluzione e non è nemmeno il più importante. Non diciamo che ogni spiegazione che si basi sull’adattamento sia sbagliata. Ce ne sono di giuste, perché si appoggiano anche a considerazioni di genetica, di biochimica, di embriologia”.

Basta e avanza, per offendere l’ortodossia ultradarwinista di personaggi come Richard Dawkins, Steven Pinker, Daniel Dennett, impegnati a chiedere di scegliere tra Dio e Darwin. Piattelli-Palmarini e Fodor scrivono che, da atei, non sono “affatto convinti che queste due opzioni esauriscano tutte quelle possibili”. Ma il loro libro si occupa di altro: “Noi critichiamo l’idea che la selezione naturale sia considerata ‘la’ legge della biologia – dice Piattelli-Palmarini – e non pensiamo che in biologia una legge unica e universale debba per forza esistere”.

“Gli errori di Darwin” si apre con la rassegna di duecentoquaranta lavori pubblicati sulle più importanti riviste di biologia del mondo: “Vi sono riportati dati, fatti, meccanismi alieni dalla selezione naturale. Dall’uscita del libro in America, si sono aggiunti (ne diamo conto nell’edizione italiana) altri lavori di illustri biologi che vanno nello stesso senso. Molti, va detto, continuano a dirsi neodarwiniani perché non traggono tutte le conseguenze. Altri sono invece espliciti critici del neodarwinismo, e considerano morta la stessa ‘nuova sintesi’, che dagli anni Cinquanta mette insieme teoria della selezione naturale e genetica”.

Il libro di Fodor e Piattelli-Palmarini ha già incassato recensioni lusinghiere, oltre a critiche severe, come quella di Pigliucci su Nature. Piattelli-Palmarini non si nasconde che “la teoria della selezione naturale è stata ed è una bandiera di razionalità e di scientificità. Il mio coautore, Jerry Fodor, ha tenuto lo scorso anno una conferenza su questi temi a Londra. Un signore anziano si è alzato dalla platea e lo ha rimproverato: queste cose non vanno dette e scritte, perché i creazionisti se ne sarebbero approfittati. ‘Anche se sono vere?’, gli ha chiesto Fodor. ‘Soprattutto se sono vere’, è stata la risposta”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

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02/07/2010 00:04
 
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GIUSEPPE SERMONTI
Perché la mosca non e un cavallo
Che cosa fa mosca la mosca e cavallo il cavallo? Il problema sembra così ovvio che
non val la pena porselo. Sappiamo che cosa fa albino un albino, talassemico un
talassemico e non staremo a perdere tempo di fronte a una domanda così banale. E
invece la domanda va posta, e la risposta non c'è... Sarà una differenza di codice
genetico, si dice l'uomo della strada. E non è giusto, benché la dizione sia entrata
nell'uso, e si dica "il mio codice genetico", per dire la mia costituzione profonda e
personale. Sbagliatissimo. Il "codice genetico", cioè il cifrario della vita è identico in
tutti i viventi, dal batterio all'elefante, senza eccezioni. Tutti usiamo lo stesso alfabeto
cellulare. Allora, se non è l'alfabeto, saranno i testi scritti con questo a differenziare le
specie?
La lettura dei testi che compongono l'informazione genetica, cioè dei "geni" delle
varie specie, è in corso da più di trenta anni e ha portato alla sconcertante
conclusione: i geni sono sostanzialmente gli stessi in tutti gli animali, solo soggetti a
una minima variazione neurale che non ne altera la funzione. Un gene che svolge
una data funzione nella mosca non si distingue da quello che svolge la stessa
funzione nel cavallo. Essi sono intercambiabili. Ma allora, nasce subito la domanda,
come si sono separati, nel corso dell'evoluzione, la mosca e il cavallo?
Rispose François Jacob, pochi anni dopo: "A generare la diversificazione degli
organismi non sono state le novità biochimiche ... Ciò che distingue una farfalla da un
leone, o un verme da una balena è molto meno una differenza nei costituenti chimici
che nell'organizzazione o distribuzione di questi costituenti".
Come dire, ciò che distingue un quadro da un altro non sono i colori usati, ma la loro
dislocazione. Che cosa stabilisce la dislocazione delle sostanze viventi? Nel
moscerino dell'aceto (drosofila) furono isolati mutanti senza occhi, con torace doppio,
con zampe al posto delle antenne. I geni interessati sono stati "mappati" e il risultato
è stato sorprendente ed emozionante. Essi si trovano tutti adiacenti, in una serie
allineati di dieci. Il primo è preposto al segmento anteriore e via via di seguito,
segmento per segmento, fino alla coda. Il pacchetto di geni è come un moscerino in
miniatura, inserito tra la baraonda degli altri geni. La ricerca dei geni ordinatori si
estese ad altre specie animali. Al topolino, a un anfibio, alla sanguisuga e infine
anche all'uomo. E quei geni furono trovati, nel loro pacchetto, ed erano gli stessi
ovunque, nello stesso ordine, con le stesse, caratteristiche. Si arrivò alla conclusione
che tutti gli animali hanno la stessa sequenza di geni a decretare l'ordine delle loro
regioni corporali.
Quel pacchetto, si concluse, è antichissimo e universale, alla radice di tutto il regno
animale, rimasto intatto durante tutta l'evoluzione zoologica, il che vuol dire per oltre
mezzo miliardo di anni.
Un moscerino privo del gene che sovraintende alla regione oculare non ha occhi. Se
andiamo a prelevare quello stesso gene nel pacchetto regolatore di un gattino e lo
trasferiamo nell'uovo del moscerino cieco, accadrà una cosa meravigliosa e cioè che
il moscerino riacquisterà gli occhi. E i suoi occhi saranno gli sfaccettati occhi rossi
della sua specie benché il gene regolatore provenga da un gattino con occhi tondi e
azzurri. Queste sono le sbalorditive scoperte della genetica più recente, scoperte
poco note, tuttavia, perché estranee al mito che la vita sia nel Dna, tutta nel Dna,
nient'altro che nel Dna.
A questo punto il lettore si chiederà, dal momento che il Dna è risultato così

universale, che spazio rimanga all'ingegneria genetica, al progetto genoma, ai ceppi
transgenici, alla terapia genica. Il fatto di essere ubiquitario non esime il gene
dall'essere perfetto. E' sufficiente un minuscolo difetto in un gene per metterlo fuori
uso e produrre una malattia, la cecità, la morte. Come un frustolino nel motore può
fermare un TIR. L'ingegnere genetico lavora sulle minuzie di una macchina chimica
che non sopporta errori. E quegli errori minuziosi possono produrre malattie,
deficienze, disastri.
Ma non c'è idea più sbagliata di quella che la macchina prodigiosa si sia formata
attraverso la correzione di innumerevoli difettucci, cioè attraverso una serie
accidentale di "mutazioni" vantaggiose. Le piccole differenze, i minuscoli difetti
(talvolta con esiti gravi) degli organismi sono dovuti alle mutazioni del Dna, ma le
grandi diversità, che distinguono tra loro le specie, gli ordini, le classi e che
riguardano la forma esteriore e l'organizzazione generale, quelle non dipendono dal
Dna, ma da elusive informazioni spaziali, campi morfogenetici immateriali, archetipi
indefinibili. Nessun biologo molecolare ci dirà mai se il genoma che sta analizzando è
di un genio o di un imbecille, è di un bianco o di un nero, e neppure se è quello di una
mosca o quello di un cavallo. Ci dirà solo di quali malattie generiche è portatore, ci
rivelerà i difetti ma non le virtù.
E aggiungerà che le inafferrabili bellezze non lo interessano neppure.

Tratto da Il Giornale del 3 ottobre 2000
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11/07/2010 22:31
 
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Fausto Carioti su "Libero"
Articoli CR - Evoluzionismo
CR n.1120 del 5/12/2009

La stessa comunità scientifica è tutt'altro che concorde con le ipotesi sviluppate
da Charles Darwin nell'Origine delle specie. La novità è che molti di questi
scienziati adesso iniziano a rendere pubbliche le loro critiche. Un libro importante
uscirà nei prossimi giorni per le Edizioni Cantagalli. Si intitola (e il titolo già dice
tutto) Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, ed è stato curato da Roberto de
Mattei, Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il volume, che
"Libero" ha potuto leggere in anteprima, raccoglie gli interventi tenuti in un
convegno a porte chiuse che si è svolto a Roma lo scorso febbraio nella sede del
Cnr. Unoccasione che ha visto a confronto biologi, paleontologi, fisici, genetisti,
chimici, biologi e filosofi della scienza di livello internazionale.
La tesi illustrata 150 anni fa da Darwin e portata avanti dai suoi epigoni è
riassumibile in tre assiomi. Primo: «Tutti gli esseri organici che hanno vissuto su
questa terra sono derivati da una singola forma primordiale, nella quale la vita è
stata per la prima volta infusa» (come scritto dallo stesso Darwin nellOrigine
delle specie). Secondo: la selezione naturale è stata «il più importante, anche se
non esclusivo, strumento di modificazione» attraverso il quale le forme di vita più
complesse si sono evolute da quelle più semplici. Terzo, non esiste alcun
"progetto": le mutazioni sono casuali e alcune rendono certi individui più adatti
alla sopravvivenza; trasmettendole ai loro eredi, rendono possibile levoluzione.
Un corpus teorico che, secondo i documenti che il Cnr sta per rendere pubblici,
fa acqua da tutte le parti. Il fisico tedesco Thomas Seiler mette il darwinismo alla
prova della seconda legge della termodinamica, secondo la quale lentropia, che
può essere definita come il caos in natura, non può mai diminuire. E «l'ipotetico
emergere della vita da processi materiali indiretti, come suggerito dalla teoria
evoluzionistica, non è conforme» a questa legge. Ma anche «la successione di
piccole variazioni genetiche che portano alla costruzione di un organo
completamente nuovo tramite selezione naturale», prevista dal darwinismo, «è
un processo da escludere di entropia decrescente». Non a caso, nota Seiler,
malgrado siano stati descritti più di 1,3 milioni di tipi di animali, «nessun
organismo mostra segni di essere in evoluzione verso una complessità
maggiore. Come previsto, lentropia biologica non sta diminuendo». Insomma, la
fisica stessa si ribella allipotesi darwiniana.
Levoluzionismo presuppone inoltre lunghissimi tempi geologici, nei quali ­ come
affermano i suoi sostenitori, «limpossibile diviene possibile, il possibile probabile
e il probabile virtualmente certo». La sequenza degli strati dei fossili marini, ad
esempio, secondo i darwinisti confermerebbe processi durati milioni di anni. Ma il
paleontologo francese Guy Berthault sostiene che, calcolato con nuovi metodi
più attendibili, il periodo di sedimentazione dei fossili si rivela assai più breve di
quanto creduto sinora e il tempo degli sconvolgimenti geologici si accorcia
drasticamente. Tanto da essere «insufficiente per levoluzione delle specie, come
risulta concepita dai sostenitori dellipotesi evoluzionista».
Dominique Tassot, che in Francia dirige il Centre dEtudes et de prospectives sur
la Science, invita a non confondere tra «micro-evoluzione» e «macro-
evoluzione». Nel primo caso rientrano le mutazioni adattative accertate, che
riguardano caratteri secondari come il colore, lo spessore della pelliccia di un
animale, l'altezza, la forma del becco e così via. Ma «è paradossale», sostiene,
«estendere il significato della parola "adattamento" per indicare levoluzione di
nuovi organi del corpo», come «il passaggio dalle squame alle piume o dalle
pinne alle zampe», esempi di macro-evoluzione: fenomeno «che manca di
qualsiasi verifica empirica o di base teorica».
Il genetista polacco Maciej Giertych sottolinea che «siamo a conoscenza di molte
mutazioni che sono deleterie» e anche «di mutazioni biologicamente neutrali»,
ma le cosiddette «mutazioni positive», che consentirebbero levoluzione delle
specie, «sono più un postulato che una osservazione». Lesempio che più di
frequente viene fatto, ladattamento di certe erbacce al diserbante atrazina, «in
nessun modo aiuta a sostenere la teoria dell'evoluzione», perché si tratta di un
adattamento «positivo soltanto nel senso che protegge funzioni esistenti», ma
«non fornisce nuova informazione, per nuove funzioni o organi». A conti fatti,
secondo Giertych, «l'evoluzione dovrebbe essere presentata nelle scuole come
un'ipotesi scientifica in attesa di conferma, come una teoria che ha sia sostenitori
che oppositori. Per di più, sia gli argomenti a favore della teoria che quelli
contrari dovrebbero essere presentati in modo imparziale».
La verità, banale e meravigliosa allo stesso tempo, è che, come scrive de Mattei,
«dal punto di vista della scienza sperimentale, entrambe le ipotesi sulle origini,
sia l'evoluzionista che la creazionista, sono inverificabili. Su questi temi ultimi non
è la scienza, ma la filosofia, a doversi pronunciare».
[Modificato da Credente 11/07/2010 22:35]
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13/07/2010 22:15
 
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UNA TEORIA IN CRISI

  Questo studio esamina il libro "Evolution: a Theory in Crisis" ("Evoluzione: una teoria in crisi") di Michael Denton (Bethesda, Maryland, U.S.A.: Adler e Adler, 1986, pp. 368). L'autore è un biologo molecolare e medico; non è un creazionista e nessuna delle sua argomentazioni o delle conclusioni a cui giunge hanno a che fare con considerazioni religiose. Il libro di Denton, vincendo diverse opposizioni, è stato stampato in francese (Londreys, Paris, 1988) ed ha avuto un tal successo di vendite che ne è stata fatta una seconda edizione tascabile. Ormai sono sempre più numerosi coloro che, pur non essendo mossi da motivazioni religiose, rifiutano, o sono comunque molto insoddisfatti, delle diverse forme di darwinismo.

di John W. Oller, prof. di Linguistica nell'Università del Nuovo Messico (U.S.A.), tratto dalla rivista "Proiezioni", n. 4, giugno 1990, pp. 23-26 (traduzione di Paolo Veneziani e Leigh Pennington).

   

1.  MICRO E MACRO EVOLUZIONE

  Evoluzione: una teoria in crisi, il libro scritto da Michael Denton, è una critica scientifica al darwinismo ortodosso; può essere considerato logico, riflessivo, acuto e molto ben scritto. In esso Denton si dimostra sensibile ed imparziale, dimostrando raro discernimento e, al tempo stesso, compassione nei confronti di Charles Darwin. Egli fa distinzione tra la microevoluzione e la macroevoluzione. La prima si verifica nell'ambito di determinati genotipi. I fringuelli delle Isole Galapagos descritte da Darwin illustrano quale possa essere la microevoluzione; la stessa cosa avviene con la sovrapposizione circumpolare tra alcune specie di gabbiani e le tante varietà di mosche della frutta nelle isole Hawaii. È opportuno però osservare che l'allevamento selettivo di piccioni, polli, tacchini, bovini, cavalli, cani, gatti e molti altri animali domestici, porta ad uguali risultati in tempi più brevi.

La macroevoluzione, cioè la seconda tesi, si sarebbe verificata se l'evoluzione avesse dato inizio ad una prima cellula, oppure scavalcando poi diversi genotipi e passando, per esempio, da un rettile ad un uccello. La microevoluzione, invece, è evidente in diverse parti del mondo fra molte specie viventi, originata dall'allevamento selettivo (la distribuzione geografica fu la fonte principale d'ispirazione di Darwin, che la chiama "l'origine di tutti i miei pensieri". Vedi Charles Darwin, "The Origin of Species" sesta edizione, 1872, ristampata a New York: Collier, 1962, p. 25. Citato da Denton, p. 45). La microevoluzione, però, riesce a dimostrare unicamente la teoria dell'evoluzione particolare di Darwin (cioè la variazione che si verifica nell'ambito di determinati genotipi). La teoria generale (cioè quella che sostiene l'evoluzione riferita alle classi) richiede invece uno sviluppo verticale (macroevoluzione) e non laterale. Il problema della macroevoluzione è quello di dover dimostrare come le diverse forme di vita autosufficienti abbiano potuto avere inizio per puro caso. Denton cita Monod, il quale affermò che «unicamente il caso è all'origine di ogni innovazione, di tutta la creazione esistente nella biosfera. Puro caso, assolutamente libero, ma completamente cieco» (Jacques Monod, "Change and Necessity", London: Collins, 1972, p. 110, citato da Denton, p. 43). Il caso, presumibilmente, diede vita al primo organismo. Si trattava forse di un batterio, di un'alga, oppure di un protozoo. La teoria prosegue affermando che il caso, successivamente, produsse degli invertebrati complessi e delle piante, seguiti dai pesci, poi dagli anfibi, dai rettili, dagli uccelli e, per ultimo, dai mammiferi.

Secondo Denton, la prova di una tale sequenza esige qualche dimostrazione: una catena ininterrotta, o di fossili di transizione, o di esseri intermedi sopravvissuti; oppure una ricostruzione plausibile delle stesse catene, unitamente ai rispettivi posizionamenti ecologici. Il problema sta nel dimostrare come ogni singolo anello della catena potesse vivere abbastanza a lungo, per permettere il sorgere di quello successivo. L'ipotetico collegamento nella gerarchia dei genotipi potrebbe diventare plausibile soltanto se si potesse presentare una serie di transizioni complete: le prove sperimentali, naturalmente, sono molto più difficili da riprodurre, per cui il punto di discussione si riduce a pura plausibilità. Se tali transizioni si sono mai realizzate, allora le forme intermedie dovrebbero trovarsi nei fossili e negli organismi viventi. Le classi esistenti dovrebbero sovrapporsi. Chiari confini fra le stesse dovrebbero essere l'eccezione piuttosto che la norma.

 

2.  FOSSILI CONTRO DARWIN

  Sebbene Darwin sperasse che le transizioni fossili si potessero trovare in tempi più o meno brevi, nessuna ne venne mai fuori. Furono trovati solo esempi insignificanti di microevoluzione, ma praticamente nulla che potesse andare oltre a ciò che si può raggiungere con l'allevamento selettivo. La possibilità di poter misurare, con accuratezza, le distanze tra le classi esistenti si è verificata solo dopo un periodo di quasi cento anni dall'opera di Darwin.

Esaminiamo, per esempio, il caso dei Celacantidi sulla base dei ritrovamenti fossili, gli evoluzionisti credettero che si trattasse di una forma intermedia tra i pesci e gli anfibi, le ricostruzioni fatte dimostrarono però che i Celacantidi avevano caratteristiche sia di anfibio che di pesce. In tempi più recenti, alcuni Celacantidi sono stati pescati vivi nell'oceano indiano, vicino alla provincia del Capo, nell'Africa del Sud. E si trattava di pesci. Tutte le ricostruzioni fatte in precedenza si dimostrarono errate. Queste vicende fanno vede come i fossili forniscono una base molto debole da cui dedurre dettagliate caratteristiche riguardo la presunta catena esistente tra le diverse classi.

 

3.  A LIVELLO MOLECOLARE NON SI VEDE EVOLUZIONE

  Tuttavia Denton fa notare che i progressi fatti nella microbiologia rendono ora possibile di fornire un nuovo esempio dimostrativo. Cioè, è attualmente possibile confrontare direttamente i "mattoni della costruzione di base" (cioè, le proteine) di tutto ciò che ha vita. Denton fa notare che sono le proteine quelle che determinano «tutta la biologia di un organismo, tutte le sue caratteristiche anatomiche, tutte le sue funzioni fisiologiche e metaboliche» (p. 303). È pertanto difficile credere che la struttura proteinica e l'evoluzione non siano in relazione tra di loro. Denton scrive: «La sequenza degli amminoacidi di una proteina esaminata in due organismi diversi, si può  facilmente confrontare, mettendo le due sequenze  stesse una a fianco all'altra e contando il numero di posizioni  laddove le catene si differenziano» (p.275). E queste differenze «possono essere quantificate con precisione e fornire un concetto del tutto nuovo per la misurazione delle differenze tra le specie» … «Mentre il lavoro proseguiva su questo fronte, divenne chiaro che ogni singola proteina aveva una sequenza leggermente diversa, nelle diverse specie, e che le specie più vicine avevano, tra di loro, delle sequenze più affini. Quando le sequenze  dell'emoglobina di diversi mammiferi, come per esempio l'uomo e il cane, furono messi a confronto, la divergenza sequenziale notata fu del 20% circa, mentre esaminando l'emoglobina di due specie dissimili come quelle dell'uomo e della capra, fu riscontrata una divergenza sequenziale che sia aggira sul 50%» (p. 276).

Tali confronti permettono di provare la validità o meno dell'ipotesi suggerita dall'ortodossia neo-darwiniana. Supponiamo, per esempio, che i batteri siano venuti all'esistenza molto tempo prima delle specie multicellulari, come per esempio i mammiferi. Supponiamo inoltre che i batteri abbiano caratteristiche più vicine alle piante che non a quelle dei pesci, e meno ancora a quelle degli anfibi e dei mammiferi. Se ciò fosse vero, dovremmo avere la conferma di questi "fatti" nelle sequenze degli amminoacidi delle proteine comuni. Ad esempio, tutti i suddetti gruppi utilizzano il citocromo C, quale proteina che interviene nella produzione dell'energia. In tali proteine le differenze dovrebbero mostrare una sequenza evoluzionistica. Invece, il citocromo C dei batteri, quando viene confrontato con le corrispondenti proteine esistenti  nel cavallo, nel piccione, nel tonno, nel baco da seta, nel frumento e nel  lievito, dimostrano che tutte sono equidistanti dal batterio. La differenza che si nota fra il batterio ed il lievito non è inferiore a quella esistente fra il batterio ed il mammifero, o a quella di qualsiasi altra classe.

  E il quadro non cambia quand'anche scegliessimo altre classi o proteine diverse. Le  classi tradizionali  di organismi si identificano per mezzo di sequenze fisiologiche, e le relative distanze esistenti tra di loro rimangono sempre uguali a prescindere dalle sequenze evoluzionistiche che si sono ipotizzate. Denton osserva, per esempio, che gli anfibi non possono essere inseriti in una classe che si situa tra quella dei pesci e quella dei vertebrati terrestri. Contrariamente a quella che è la teoria ortodossa gli anfibi si trovano alla stessa distanza dai pesci, similmente a quella che separa i rettili dai mammiferi (p. 285). Qualsiasi confronto si voglia fare, si ha la conferma che l'ipotesi dell'evoluzione generale è falsa. Denton  scrive: «La scoperta più significativa portata alla luce dal confronto delle sequenze degli amminoacidi nelle proteine, è costituita dalla  totale impossibilità di inserirla  in qualsiasi quadro di tipo evoluzionistico» (p. 289).

In conclusione si può affermare  che «l'intero concetto dell'evoluzione crolla» (p. 291) perché «le diversità, a livello molecolare, si trovano in un sistema gerarchico altamente ordinato. A livello molecolare, ciascuna classe è unica, isolata e senza alcun rapporto con le altre classi intermedie» (p. 290).

 

  4.  ALTERNATIVE CONTRO IL BUONSENSO

  Oltre a ciò, gli adattamenti di tipo accidentale che sarebbero necessari seguendo la tesi dell'evoluzione generale, si dimostrano veri fallimenti della logica. Le mutazioni fortuite causate  dalle radiazioni, da ripetuti errori, o da altre cause che vengono formulate, producono ben raramente forme di vita migliori: mai classi più perfette. Le prove a favore dell'evoluzione generale mancano in modo totale ed i pronostici di tale teoria sono falsi. Darwin confessò che l'unicità di forme viventi specifiche e la provata mancanza di loro  incroci tramite innumerevoli anelli di transizione, costituisce un'ovvia difficoltà (p.56). Tuttavia egli ammise la possibilità di cambiamenti graduali dovuti alla selezione naturale,  la quale non può produrre delle notevoli improvvise modifiche: essa può avere luogo solo attraverso fasi modeste e lente (p. 57).

A distanza di più di un secolo, la testimonianza dei fossili non conferma per nulla l'ortodossia darwiniana. Ironicamente, ammettendo questo "segreto professionale paleontologico" (Stephen Jay Gould, "The Panda's Thumb", new York. Norton, 1980, p. 181, citato da Denton a p. 194), il professor Stephen Jay Gould, dell'università di Harward, ha acquistato non poca fama e gloria. Dai tempi di Darwin ai nostri giorni, ovunque, tutti i ricercatori di biologia si sono trovati davanti ad abissi insormontabili. Eppure essi pretendono che tali abissi non esistano. Tutto ciò ha permesso la formulazione della teoria dei "salti quantitativi" di Gould, idea che Darwin rigettò esplicitamente.

L'idea di Gould assomiglia alle fantasie di Fred Hoyle ed a quelle di Francis Crick relative alle civiltà extraterrestri (Fred Hoyle, "The Intelligent Universe", London: Michael Joseph, 1983. Vedi anche Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe, "Evolution From Space", London; Dent, 1981.  Francis Crick e L.E. Orgel, "Directed Panspermia", Icarus 19, 341-346). E mentre Gould, assieme al suo collega Niles Eldridge, parla di salti improvvisi e miracolosi nel progresso evolutivo ("Punctuated equilibria: an alternative to phylectic gradualism", 1973, pp. 82-115), Hoyle e Crick propongono la panspermia (sperma di vita proveniente da una civiltà extraterrestre). Tutte queste teorie fanno a pugni col buon senso. Denton le respinge e conclude affermando che un modello perfetto presuppone un'intelligenza superiore. Ma a differenza di Gould, Eldridge, Hoyle e Crick, egli non propone delle teorie che siano frutto di un'immaginazione senza limiti, ma lo fa seguendo una logica dalla quale non si può sfuggire.

   Denton nota, inoltre, che il problema del modello evolutivo e della sua soluzione trovano un'analogia quasi perfetta nelle difficoltà che si possono incontrare nello scrivere dei libri in una determinata lingua. Nel mentre il numero degli eventuali libri è altissimo, il numero delle frasi senza significato è più grande ancora e può essere infinito. Sarebbe da ingenui affermare che le probabilità di poter formulare per caso anche un solo paragrafo (formato da un paio di centinaia di parole) siano infinitamente piccole, perché anche tali paragrafi presuppongono che, a monte, esista un'intelligenza.

Allo stesso modo, le possibili sequenze della materia che forma la vita costituiscono un'infinitesima proporzione delle possibili combinazioni. Il problema consiste nel dare una spiegazione al come una tale sequenza abbia potuto formarsi per caso. Denton ne considera le possibilità e cita Hoyle e Wickramasinghe, i quali pensano che le probabilità che una sola cellula vivente potesse formarsi spontaneamente siano dell'ordine di uno contro dieci elevato a 40.000 «una probabilità decisamente infinitesimale… anche se tutto l'universo fosse composto d'una miscela organica» (p. 323). Riferendosi poi Denton alla «eleganza ed all'ingenuità di concessioni che rientrano nella sfera del trascendente, e che conseguentemente sono in contrasto con la tesi della casualità» egli si chiede: «Ma è veramente credibile che il caso abbia potuto generare una realtà, l'elemento più piccolo della quale (si tratti di una proteina funzionale o di un gene) è di una complessità tale che supera qualsiasi prodotto concepito dall'intelligenza umana?».

Concludendo, Denton afferma che gli avvocati che difendono l'evoluzione ortodossa assomigliano alla Regina Rossa nell'“Alice nel Paese delle Meraviglie” (un libro di Lewis Carroll). Quando Alice protestò dicendo che non c'era alcuna utilità nel credere alle cose impossibili, la Regina rispose: «Devo dirti che non hai molta esperienza» … «quando io avevo la tua età, lo facevo per una mezz'ora al giorno. E, a volte, ho persino creduto in sei cose impossibili prima di far colazione».

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22/07/2010 09:20
 
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In un programma di Alberto Angela si è parlato di Lucy facendo credere ai telespettatori che il fossile rappresenti l'anello mancante; Lucy è ritenuto dagli stessi scienziati evoluzionisti solo un fossile di scimmia:

Gli evoluzionisti Donald Jhonson e Tim White, dopo il ritrovamento di Lucy (un fossile così nominato), hanno pensato all'Australopitecus afarensis come antenato dell'uomo, mentre gli evoluzionisti Ronald Clarch, Filis Tobias e Lee Berger, paleoantropologo alla Johannesburg's University di Witwatersrandi, hanno pensato all'Australopitecus africanus (detto anche Australopiteco gracile). Lee Berger, in particolare, è giunto alla conclusione che l'andatura di A. africanus era più vicina al modello delle scimmie antropomorfe di quanto non lo fosse quella di Lucy e così è caduta l'idea che l'Afarensis avesse dato origine, per via di una divaricazione di fylum, all'Africanus, come pensavano Donald Jhonson e Tim White.

 

 SI E' SCOPERTA L'INVALIDITA' DEI FOSSILI DEI CRANI USATI 
DAGLI EVOLUZIONISTI PER L'INGANNO DELL'UMANITA'

Questi fossili, per tanti anni, sono presentati agli uomini come delle prove piu' importanti della teoria dell'evoluzione. Per questa causa tutti credettero che l'evoluzione fosse una realta' scientifica,        dimostrata con le prove decisive. Invece la realta' non e' cosi. I reperti fossili non hanno presentato mai una prova da giustificare la teoria         dell'evoluzione. Questi fossili che vedete, non sono altro che' dei prodotti di una falsificazione oppure delle presentazioni ingannevoli degli evoluzionisti in favore della teoria dell'evoluzione.

L'inganno Zinjanthropus
Il cranio trovato nel 1959 era presentato come la dimostrazione dell'evoluzione umana. Diversi periodici scientifici hanno pubblicato  diversi disegni immaginari eseguiti sulla base di questo cranio. Ma nel 1960 si e' noto che il cranio non era una prova dell'evoluzione umana.  Perfino Mary Leakey, paleontologa darwinista che ha scoperto il fossile, accetto' che non era "l'antenato primitivo dell'uomo".

L'inganno di Ramapithecus
I fossili trovati nel 1932 nell'India sono chiamati i Ramapithecus. La pretesa era che questi fossili avevano delle caratteristiche di una creatura meta' uomo-meta' scimmia  ed appartenevano al primo antenato dell'uomo. Invece negli anni seguenti, alla fine delle analisi dettagliate sui fossili si era dichiarato che Ramapithecus non era altro che una specie scomparsa di orangutan. Nel 1982, questa realta' si e' annunciata nella rivista Science nell'articolo intitolato: "L'uomo perde un suo antenato".

La falsificazione dell'uomo di Piltdown
Il cranio di Piltdown trovato in Inghilterra nel 1912 fu esposto per più di quarant'anni nel British Museum e fu presentato in tutto il mondo come la grande dimostrazione della pretesa "dell'evoluzione dell'uomo". In verita' il fossile consisteva solamente da una falsificazione scientifica degli evoluzionisti.  Una mandibola di orang-utan  era attaccata ad un cranio umano e poi si erano usati alcuni chimici per ottenere un'apparenza antica. Con la dettagliata analisi condotta a termine dagli scienziati nel 1953, venne resa nota  decisivamente al pubblico che il fossile dell'uomo di Piltdown era un prodotto della frode. All'indomani, il fossile falso venne rapidamente rimosso dal British Museum e dalla letteratura.

L'inganno d'Australopithecus Afarensis
Dopo tutte queste sconfitte, l'ultima speranza degli evoluzionisti fu il fossile d'Australopithecus Afarensis, chiamato "Lucy".  Questo fossile fu considerato come la dimostrazione piu' importante della pretesa dell'evoluzione umana negli anni 80 e 90.  Pero', un nuovo esempio d'Australopithecus Afarensis scoperto nel 1999, ha rivelato che era una specie di scimmia scomparsa assolutamente non simile all'uomo. "Adieu Lucy" (Addio Lucy), con il titolo della copertina del volume del Maggio 1999, la famosa rivista scientifica francese Science et Vie, ha dovuto  rivelare  la necessita' di rimuovere la specie di scimmia Australopithecus dal falso albero genealogico umano disegnato dagli evoluzionisti.  

La cantonata dell'uomo di Neandertal
I Neandertaliani sono dei membri di una specie umana scomparsa. Invece gli evoluzionisti hanno presentato i fossili Neandertaliani come "una specie umana primitiva". Tutti i reperti degli ultimi 30-40 anni dimostrano che essi erano una specie umana e che avevano la capacita' di parlare, un certo livello di cultura e civilta', usavano gli strumenti musicali.  Ormai gli evoluzionisti non possono presentare i fossili Neandertaliani come la prova dell'evoluzione.

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22/07/2010 09:31
 
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di Werner Gitt
 
 

In tempo per l’anno di Darwin, il 2009, il giornale tedesco «Die Zeit» pubblicò il 31 dicembre un articolo a due pagine con il titolo «Grazie, Darwin!». In seguito, altre quattro pagine intere erano dedicate al tema dell’evoluzione. Qui si ringrazia un uomo che nacque 200 anni fa e divenne famoso con il suo libro rivoluzionario «L’origine delle specie» che fu pubblicato 150 anni fa.

Già il filosofo Immanuel Kant (1724 – 1804) affermò con orgoglio: «Datemi la materia, io voglio crearne il mondo.» Anche il matematico e astronomo francese Laplace (1749 – 1827), 50 anni più tardi, asserì trionfalmente di fronte a Napoleone: «Le mie teorie non hanno bisogno dell’ipotesi ‘Dio’!». Tali personaggi ed altri padri dell’ateismo scientifico, cercavano una spiegazione per l’origine della vita escludendo Dio. La risposta apparentemente mancante la diede Darwin perché aprì le menti alla possibilità che l’origine della vita potesse essere spiegata in «modo naturale». Mentre lui stesso considerò la conseguenza di quest’affermazione in modo ancora titubante, il mondo d’oggi, che diventa sempre più ateista, acclama a non finire il suo patrono celebrandolo con un sacco di pubblicazioni. Fino al viaggio di Darwin alle isole Galapagos (1835) si confidava nella dottrina del filosofo greco Aristotele, il quale aveva stabilito che le specie sono immutabili. Dalle forme varie dei becchi dei fringuelli Darwin concluse giustamente che le specie possono adattarsi e mutare. La deduzione susseguente, che tutta la vita derivi da un albero genealogico comune, però, non si può giustificare scientificamente. Darwin stesso riconobbe che la sua teoria aveva un grande punto debole, perché nella natura mancavano quasi completamente reperti fossili delle forme transizionali. Ciò nondimeno: grazie a questa tesi di Darwin l’uomo perse la posizione privilegiata che il Creatore gli aveva destinato e da allora venne considerato solo quale discendente del regno animale.

Motori dell’evoluzione

Come motori dell’evoluzione si definiscono oggi i seguenti elementi: la mutazione, la selezione naturale, l’isolamento, le lunghissime cronologie, il caso e la necessità, nonché la morte.

Tutti questi fattori esistono certamente, ma ciascuno di essi è privo delle necessarie nuove informazioni creative.

• La mutazione può soltanto cambiare l’informazione genetica già esistente. Senza la preesistenza dell’informazione DNA l’evoluzione non può neanche avviarsi. Per definizione, la mutazione è un meccanismo accidentale senza alcuna meta prestabilita, cosicché non può procreare nuove forme (p. es. inventare nuovi organi).

 • La selezione naturale favorisce l’individuo con le caratteristiche ottimali per la sua sopravvivenza e provvede che i geni più vantaggiosi abbiano una probabilità maggiore di essere trasmessi. Grazie alla selezione si scarta o si distrugge ciò che già esiste, cosicché non avviene alcun miglioramento, né si genera qualcosa di nuovo.

• Pure gli altri fattori evoluzionistici summenzionati possono essere eliminati come agenti creativi. Consideriamo dunque pochi esempi scelti dal mondo degli organismi viventi ed esaminiamo se i fattori evoluzionistici, che operano a caso, sarebbero stati in grado di produrre le seguenti progettazioni.

La riproduzione sessuale

Secondo l’evoluzionismo «l’invenzione» della riproduzione sessuale è una condizione fondamentale per l’evoluzione positiva degli esseri viventi. Grazie a sempre nuove combinazioni genetiche nascono molte variazioni, solo quelle sopravvivranno al processo di selezione che meglio si adattano al loro ambiente. Ci sono due ragioni perché questo processo non possa essere adatto ad assicurare il desiderato trend evolutivo della prolificazione.

1. La riproduzione sessuale non può essere avviata da un processo evoluzionistico, ma sarebbe soltanto possibile se ambedue i sessi fossero equipaggiati con organi completi e pienamente funzionanti. Secondo l’evoluzione, per definizione, non esistono invece strategie che governano e seguono un obiettivo specifico. Come occorrerebbe lo sviluppo degli organi necessari per la riproduzione per migliaia di generazioni, se gli organismi viventi non possono moltiplicarsi senza tali organi? Se però si esclude un’evoluzione lenta, allora come si spiega la comparsa improvvisa di organi così vari e complessi che devono essere armonizzati in tutti particolari per funzionare? Oltre a ciò, tali organi devono essere disponibili nello stesso luogo. 2. Anche se per una volta ammettiamo che la possibilità della riproduzione sessuale possa essere «caduta dal cielo», la combinazione del patrimonio ereditario non genererebbe per principio nuove informazioni. Coltivatori e allevatori hanno dimostrato, con i loro innumerevoli esperimenti, che dopo tante generazioni d’allevamento le mucche rimangono mucche, e che partendo dal frumento non si producono mai girasoli! La cosiddetta microevoluzione (cambiamento entro le specie) è verificabile, mentre non ci sono alcune prove per la macroevoluzione (formazione di nuove specie).

La tecnica ingegnosa dei globuli rossi

In ogni millimetro cubico di sangue (1 mm3 = 1 μl = 1 microlitro) abbiamo 5 milioni di globuli rossi. Ciò vale a dire che in una goccia di sangue ce ne sono 150 milioni. Sono come dei sommergibili ultra specializzati che non trasportano a bordo siluri micidiali, ma svolgono dei compiti d’importanza vitale. • 175’000 volte i globuli, nella loro breve vita di 120 giorni, fanno rifornimento di ossigeno e allo stesso tempo scaricano nel polmone il prodotto dell’ossidazione, cioè l’anidride carbonica (CO2).

• Questi piccolissimi battelli di trasporto sono così minuscoli da passare addirittura all’interno dei vasi sanguigni molto sottili (i capillari) raggiungendo in quel modo tutte le parti del corpo.

• Ogni secondo si generano due milioni di nuovi globuli che contengono una sostanza colorante rossa, l’emoglobina – un composto chimico molto interessante e molto complesso.

L’emoglobina è necessaria per il trasporto dell’ossigeno già durante lo sviluppo embrionale. Fino al terzo mese della vita intrauterina il fabbisogno d’ossigeno è notevolmente diverso da quello nello stadio fetale (dal terzo mese in poi) e per questa ragione, ogni fase necessita di un tipo particolare d’emoglobina che possiede una diversa struttura chimica. Poco prima della nostra nascita tutte le nostre sorgenti di produzione dei globuli rossi lavorano a pieno regime, modificando un’altra volta l’emoglobina in un tipo adatto per l’adulto. Le tre specie di emoglobina non si possono essere generate per caso, perché sono le sole (tra moltissime) variazioni capaci di trasportare la quantità necessaria di ossigeno, senza la quale sopraggiungerebbe la morte. Non basta che nei primi due stadi della crescita intrauterina si producono le molecole giuste, per evitare la morte certa, anche la terza molecola deve essere perfettamente accordata. Per la fabbricazione dell’emoglobina ci vogliono necessariamente questi tre meccanismi biologici fondamentalmente diversi che devono pure modificare la loro produzione al momento giusto!

Da dove viene un meccanismo così complicato e preciso? Tutti i concetti evoluzionistici falliscono a questo punto interamente, perché gli organismi viventi nei loro stadi intermedi incompleti, che secondo l’evoluzione sarebbero sbocciati da soli in un meccanismo complesso, non sarebbero mai sopravvissuti. Il concetto della «complessità irreducibile» vale anche per il sistema immunitario dell’organismo umano o per i flagelli (organodi locomozione) con i quali si spostano i batteri. Anche in questi casi gli organismi viventi «in sviluppo» non avrebbero mai raggiunto il loro stadio odierno. E’ più ovvio dedurre che tutti gli elementi erano già completi fin dall’inizio e ciò sarebbe soltanto possibile se un Creatore sapiente li avesse concepiti e creati così pienamente funzionanti.

Il volo del piviere dorato orientale

Il piviere dorato orientale è un bellissimo uccello. E ogni pulcino esce dal suo uovo in Alaska. Giacché l’inverno lì è freddissimo, gli uccelli migrano alle Isole di Hawaii. La meta si trova a 4500 km di distanza e l’uccello deve volare senza fermarsi perché non c’è isola dove potrebbe riposare e non sa nuotare. Per il volo il piviere dorato ha un «serbatoio carburante» che equivale ai 70 grammi di grasso che ha accumulato durante l’estate. In più ha un ulteriore riserva di 6,8 grammi nel caso che incontrasse venti contrari. Poiché non può interrompere il suo viaggio per tre giorni e mezzo, volando giorno e notte, e in aggiunta deve mantenere la sua rotta esattamente sul minuto d’angolo, ha bisogno di un autopilota che funzioni con assoluta precisione. Se manca le isole, significa morte certa perché a perdita d’occhio non c’è alcun’altra possibilità di atterraggio. Se non fosse fornito di quella quantità precisa di grasso, non potrebbe sopravvivere.

Anche in questo caso «la mutazione e la selezione» sarebbero nuovamente state degli strumenti insufficienti. È più plausibile supporre che il piviere dorato sia stato creato così fin dall’inizio

– già attrezzato con tutto quello che gli serviva per il suo tipo di vita.

L’evoluzione è un

concetto ragionevole?

Le illustrazioni tratte dal mondo degli organismi viventi, che abbiamo considerato brevemente, dimostrano che in generale ci sono piani di costruzione con scopi precisi. Ecco degli altri esempi:

• Il capodoglio, che è un mammifero, è attrezzato in modo da poter emergere da una profondità di 3000 m nel mare, senza rischiare la morte per malattia da decompressione.

• Una quantità immensa di batteri microscopici nel nostro intestino è equipaggiata con «motori» elettrici che permettono a questi organismi di avanzare e di retrocedere.

• La vita nella maggior parte dei casi dipende dal perfetto coordinamento funzionale dei vari organi (p.es. cuore, fegato, i reni).

Organi incompleti, che si trovano ancora in fase di sviluppo, non servono a nulla. Chi ragiona in quest’ambito secondo la tesi del Darwinismo, deve sapere che l’evoluzionismo non conosce in prospettiva il prodotto finito, cioè non può intravedere un organo che un giorno funzionerà. Il biologo evoluzionista tedesco G. Orsche affermò correttamente: «Organismi che si trovano in certe fasi dell’evoluzione non possono certo, come fa un imprenditore, chiudere la ditta per lavori di restauro.».

L’intelligenza e la sapienza che si manifestano nelle opere della creazione sono proprio meravigliose. È quindi più che ovvio concludere che ci deve essere un Autore che ha ideato tutte le opere della creazione.

Da dove viene l’informazione?

Nelle discussioni scientifiche l’argomentazione più convincente è sempre quella che riesce ad applicare le leggi naturali in modo da escludere un processo o uno sviluppo. Le leggi naturali non conoscono eccezioni. Per questa ragione, il cosiddetto «moto perpetuo», per esempio, quale meccanismo che si muove perpetuamente senza rifornimento d’energia dall’esterno è una macchina impossibile.

Oggi sappiano ciò che Darwin a suo tempo non poteva sapere, vale a dire che le cellule di tutti gli organismi contengono una quantità quasi inimmaginabile d’informazioni (DNA) le quali poi sono concentrate nella densità massima conosciuta. La formazione degli organi è governata dalle informazioni esistenti, tutti i processi negli organismi funzionano perché governati dalle informazioni – e la produzione di sostanze del corpo (p. es. 50’000 proteine nel corpo umano) si svolge perché governata dalle informazioni. Il sistema razionale dell’evoluzione non potrebbe mai funzionare se ci fosse la possibilità che nella materia nascesse l’informazione in seguito a processi accidentali. Infatti, tutti i piani di costruzione dell’organismo individuale e tutti i processi complessi che si svolgono nelle cellule, esigono informazioni precise di base.

L’informazione è un parametro non materiale che dunque non ha gli attributi della materia. Le leggi naturali sui parametri non materiali, in modo particolare l’informazione, definiscono che la materia non può mai generare da sé un parametro non materiale. Inoltre possiamo affermare: l’informazione può nascere soltanto tramite un autore attrezzato d’intelligenza e volontà. Con questo è chiaro: chi crede che l’evoluzione sia ragionevole, crede a un «moto perpetuo dell’informazione» a qualcosa cioè che le leggi naturali universalmente valide negano categoricamente. In questo modo si è colpisce il tallone d’Achille dell’evoluzione, mettendola scientificamente fuori combattimento.

Qual è l’origine della vita?

In mezzo al chiasso dell’evoluzionismo dei nostri giorni, dobbiamo chiederci: «Qual è la vera origine della vita ?» L’evoluzione non sa spiegare in alcun modo come forme di vita possano originarsi da materie morte. Stanley Miller (1930 – 2007), conosciuto e menzionato in ogni libro della biologia per il suo esperimento del «brodo primordiale» (1953), ammise 40 anni più tardi che non esistono ipotesi attuali convincenti per quanto riguarda l’origine della vita. Le dichiarò tutte «assurde», rispettivamente le definì «invenzioni dell’immaginazione». Il microbiologo Louis Pasteur (1822 – 1895) scoperse qualcosa di fondamentale:

«La vita può soltanto nascere dalla vita».

Prof. Dott. Ing. Werner Gitt

[Modificato da Coordin. 22/07/2010 09:32]
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26/07/2010 21:47
 
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L'EVOLUZIONISMO DEGLI IGNORANTI
Maurizio Blondet - 15/11/2005 - (EFFEDIEFFE Giornale-on-line)
Varie osservazioni di lettori più o meno ostili mi
obbligano a tornare sul tema dell'evoluzionismo e
della teoria che vi si oppone, «intelligent design»
(non «creazionismo»). A questo mi spinge anche un
senso di pietà. C'è in giro una incredibile ignoranza,
colpa della cosiddetta pubblica istruzione, del fatto
che ormai, senza fabbriche e industrie, la gente è
lontana dalla tecnica e dal modo di pensare scienti-
La Longisquama: il fossile ritrovato
si rivelò poi un clamoroso falso,
fico (un operaio della Breda anni `50 sapeva più di
assemblato per l'occasione
fisica che un bocconiano), e della superficialità che è
il modo di vita della massa umana. Per esempio:
Un tizio su Indymedia, fra vari insulti al mio indirizzo, crede di aver trovato la prova
che mi smentisce: «e i microbi? I microbi che acquistano la resistenza agli anti-
biotici?».
Eh sì, siamo a questo. Sfugge completamente al tizio il fatto che la resistenza agli
antibiotici non rende i microbi né diversi né evoluti: sono i soliti microbi.
La capacità di acquisire resistenza è scritta nel loro codice genetico fra gli altri
caratteri. È come pretendere che una bella ragazza al sole, la cui pelle si abbronza per
difendersi dai dannosi raggi solari, si «evolve».
Evoluzione è, per gli evoluzionisti, ben altra cosa: il passaggio da una specie infe-
riore ad una superiore, dal rettile all'uccello, da quello al mammifero.
Dalla coppia di scimpanzé o di australopitechi, nasce un bambino umano.
Le modeste variazioni osservate da Darwin (poveretto, non sapeva ancora nulla del
DNA) in animali confinati in qualche isola del Pacifico per selezione naturale «non»
sono evoluzione: sono variazioni all'interno della specie fissa.
L'esempio spesso citato dai fanatici del darwinismo, quello delle falene che in
Inghilterra sono più scure per nascondersi meglio nel paesaggio annerito da fumi indu-
striali (tra l'altro è un falso: si tratta di un esperimento fatto con falene morte incollate
agli alberi, per vedere quante ne mangiavano gli uccelli), «non» è evoluzione.
Non si è mai constatato un solo passaggio da una specie a un'altra. Il famoso «anello
mancante», continuamente «scoperto», è stato continuamente smentito: dall'archeop-
terix al pitecantropo al Longisquama (dinosauro pennuto, scoperto falso) all'uomo di
Piltdown (altro falso), tutti sono stati bocciati come anelli mancanti.
La paleontologia trova, negli strati fossili, processi del tutto diversi dall'evoluzione.
Constata periodiche esplosioni di forme viventi, a cui seguono massicce estinzioni.
Tra l'altro (breve parentesi) il passaggio evolutivo a forme di vita «superiori»,
grazie al caso e alla selezione naturale, contrasta con il «secondo principio della termo-
dinamica». In base a questo principio, il caso aumenta l'entropia, non la diminuisce.
Se prendete un boccale con uno strato di palline bianche e sopra uno strato di palline
nere, e agitate bene, in breve le palline si mescoleranno: entropia, il degrado irre-
versibile di ogni e qualunque ordine. Se sperate di riuscire, a forza di agitare, a ri-
mettere i due strati di palline come erano prima, potete agitare il boccale per millenni:
1

«mai più» le palline torneranno in ordine. Per farlo, dovete gettare le palline sul tavolo
e fare una cernita, facendo due mucchietti, uno bianco e uno nero.
Questo si chiama «aggiungere informazione» al sistema, ed è un intervento «esterno
e intelligente».
C'è persino un biologo che mi oppone: altro che complessità irriducibile, il sangue
delle lamprede («primitive») ha un'emoglobina di una sola catena proteica, mentre ogni
altro animale ha emoglobina a quattro catene. Una vera fesseria. Il punto è che la
lampreda, come tutti i suoi pari (ciclostomi) non è più «primitiva» di un pesce fornito di
mascelle. È solo che, perfettamente adattata al suo ambiente (nicchia ecologica) non ha
bisogno di un sangue più sofisticato; stando ferma aggrappata a uno scoglio, non
consuma l'ossigeno di cui ha bisogno un ghepardo o un tonno.
Poi ci sono animali fantastici, inspiegabili da alcuna teoria.
Il limulus, una specie di granchio (ma è parente degli aracnidi), il cui sangue non è
rosso ma blu: perché non è basato sul ferro (emoglobina è ferro, e si lega all'ossigeno
ossidandosi), ma sul rame. Quale scopo funzionale ha questo unico sangue a base di
rame? Non si sa.
Il limulus, «primitivo» come nessun altro (viene ritenuto vicino agli estinti trilobiti),
ha anche una vista ad intensificazione di luce: di notte, la sua acuità visiva aumenta di
2000 volte. Che se ne fa? Non si sa. In ogni caso non sembra un carattere primitivo.
Un altro mi accusa di aver usato «darwinismo» al posto di «evoluzionismo».Vero.
Il darwinismo era la teoria mitologica iniziale, quella che vedeva la «lotta per
l'esistenza». L'evoluzionismo sofisticato ha abbandonato il concetto di «lotta per
l'esistenza». Ora la sopravvivenza del più adatto non significa la sopravvivenza del più
aggressivo; è la sopravvivenza di colui «che riesce a passare i suoi geni alla progenie».
La vita non fa più la guerra, fa l'amore: l'ideologia si evolve con la cultura corrente.
La cosa è ripetitiva.
Stephen J. Gould, in quanto marxista, ha abbandonato il mito evoluzionista dei
piccoli graduali miglioramenti per gli «equilibri puntuati»: esplosione improvvisa di
nuove specie, senza transizione (Gould era un paleontologo).
Insomma, il riformismo liberale alla Darwin (concorrenza, lievi miglioramenti)
diventa, per Gould, la «rivoluzione» leninista, il passaggio immediato ad un nuovo
ordine, ovviamente superiore. Purtroppo, i suoi amici evoluzionisti hanno definito
Gould «il Gorbaciov del darwinismo»: nei suoi tentativi di salvare il mito scientistico,
lo ha distrutto, come Gorby ha distrutto il comunismo sperando di riformarlo.
Presa alla lettera, la teoria di Gould direbbe: un bel giorno, da due rane (anfibi) è
nato un rettile; un altro giorno, da due rettili è nato un uccello; ancora più avanti, da una
coppia di uccelli un mammifero o un marsupiale. E da due scimmie, un bambino
umano. Una catena di miracoli mai constatati, da far impallidire d'invidia ogni crea-
zionista biblico.
Un altro mi oppone: «e il Neanderthal?». Constato desolato che ancora c'è chi crede
­a questo punto è la cultura scientifica­ che il Neanderthal sia un antenato primitivo
dell'Homo Sapiens Sapiens. Invece era un cugino, un collaterale. Non è venuto
«prima» dell'uomo, ha convissuto con l'uomo per millenni.

I presunti antenati dell'uomo mostrati nelle enciclopedie dei ragazzi e nei docu-
mentari della CNN sono, come sanno bene gli addetti ai lavori, dei collaterali. L'albero
genealogico umano non è un albero, ma un cespuglio con tanti rami alla base.
Il Neanderthal era un vero uomo, con un tallone di Achille: era specializzato.
Aveva un odorato fantastico, che ne faceva un grande cacciatore.
L'uomo che è sopravvissuto (il Sapiens) non è specializzato. Il che significa che non
è tutt'uno con una precisa nicchia ecologica, che spazia in ogni ambiente.
L'uomo ha uno strano carattere, quello della neotenia: mantiene in modo perma-
nente caratteri infantili, che anche i primati (gorilla e scimpanzé) hanno, ma solo per
poche settimane d'infanzia. Fronte bombata, poco pelo, faccia verticale, lineamenti fini,
denti deboli. E niente zanne, artigli, corna e coda. Indifeso: ed è per questo che è
sopravvissuto.
Le creature super-difese, «specializzate», sono legate al loro ambiente.
Le scimmie quadrumani (così si arrampicano sugli alberi) alla foresta tropicale.
Portatele al di là dei Tropici, e si ammalano di tubercolosi.
Le giraffe, sono specializzatissime.
Animali «primitivi» ed «evoluti», lamprede, dinosauri e picchi, non sono mai im-
perfetti, non hanno organi incipienti e incompleti. Sono tutti perfetti, ossia perfet-
tamente inseriti nella loro nicchia ecologica. Ma basta che la nicchia ecologica cambi
(per ragioni climatiche, magari) e gli specializzati si estinguono, i non specializzati
vivono.
La maggior specializzazione della scimmia rispetto all'uomo fa dire a Sermonti il
paradosso (molto serio) che la scimmia è «posteriore» all'uomo, è il discendente del-
l'uomo; non suo padre, ma suo nipote. Se i due hanno un antenato comune, questo
ipotetico antenato non doveva ancora essere fornito degli apparati specializzati della
scimmia; doveva essere, come l'uomo, un essere «infantile», non quadrumane, senza
coda, senza pelo, senza zanne, eretto, non ancora predeterminato per una precisa nic-
chia ecologica. Un uomo è la scimmia più «primitiva». L'uomo è più vicino all'origine.
Non m'illudo di aver convinto. Mi limito a rimandare chi volesse ancora inter-
loquire al mio libro, «L'Uccellosauro ed altri animali» (Effedieffe) in cui ho esposto
tanti elementi che la brevità, qui, mi vieta.
Ma prima di interloquire, molti dei miei interlocutori dovrebbero interrogarsi su se
stessi: da dove viene la rabbia, l'odio con cui difendono l'evoluzionismo? La furia
personale, il disprezzo, con cui attaccano chi gli propone (non gli impone) un'altra
ipotesi? L'odio non è mai un segno di alta evoluzione.
L'odio per le idee nuove e mai sentite prima è un sintomo di involuzione gravis-
sima: che denuncia la discesa dal livello umano ­l'uomo che sopravvive è aperto alle
idee, la sua «nicchia ecologica» non è la natura, ma la cultura, non il mondo esterno,
ma l'interiore, dove progetta, sogna e rinnova­ verso quello entomologico.
Le formiche non hanno bisogno di idee nuove, perché fanno tutto sempre allo stesso
modo da milioni di anni. Se una formica volesse dire una cosa diversa, il formicaio la
aggredirebbe come un «intruso».
Temo infatti che questo sia il destino dell'uomo ultimo: ci stiamo trasformando in
un formicaio, vogliamo diventare api e formiche. L'involuzione della specie.
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27/07/2010 16:34
 
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Dalla rivista Science et Foi ­ anno 1999
L' EVOLUZIONE - REALTÀ O IPOTESI ?
Prof. Alois Wimmer
NDLR: abbiamo il piacere di presentarvi un articolo pubblicato già alcuni anni fa negli annali n° 6 del Gymnasium di Stato di Steyr/Werndlpark in Austria.
L'autore, che ci onora della sua amicizia, ci ha dato il suo accordo di pubblicazione. Nonostante la data in cui questo articolo venne scritto, il suo valore di
sintesi resta di attualità.
"La serie di prove di ordine paleontologico che esistono sull'evoluzione dell'uomo possono essere interpretate non solo in un senso, ma in sensi ben
differenti. Fino ad oggi, per esempio, non è possibile, partendo dalle scoperte che sono state fatte, ricostruire l'albero genealogico dell'uomo in modo
univoco. Questa incertezza caratterizza le affermazioni della scienza..." (estratto dalla rivista "Unterricht Biologie", n° 31, p.3, marzo 1979).
Sul canovaccio di questa "incertezza delle affermazioni della scienza" riguardante l'evoluzione (dell'uomo), le righe che seguono vorrebbero essere un
invito a riprendere su nuove basi la riflessione su questa vecchia questione.
Molti scienziati moderni si comportano come se fosse provato che la prima apparizione della vita si è prodotta per auto-organizzazione della materia a
seguito di collisioni cieche, dunque per caso. Ecco come si presenta la tesi:
IL CASO ha determinato ORDINE

LA DISORGANIZZAZIONE ha determinato l' AUTO-ORGANIZZAZIONE

LA MATERIA INANIMATA ha determinato LA VITA


Da nessuna parte, nello stato attuale del mondo, si è potuto osservare o realizzare sperimentalmente qualcosa del genere (il che sarebbe peraltro la
condizione assoluta per la conferma scientifica di un tale postulato).
A ciò si oppone l'esperimento di S.L. Miller, Science 117 (1953) 528(1): in un'atmosfera
di vapore acqueo misto a metano e ammoniaca, egli fece agire delle cariche elettriche su questa miscela gassosa. Dopo qualche tempo si trovò in questa
"atmosfera primitiva" e in questo "oceano primitivo" dell'alanina e altri componenti della vita. (Qui si potrebbe far notare: esiste sì un certo ordine nella
materia, ma il tutto sta nel sapere se esista ordine sufficiente per produrre spontaneamente la vita a partire dal caos).
Cosa avviene in seguito? Sotto l'effetto della disgregazione dell'acqua, l'alanina diviene alanilanina - appare dunque una catena di aminoacidi. La reazione è
reversibile, essa va dunque nel senso di una sintesi o di una disintegrazione secondo il grado di concentrazione dei componenti. La reazione non sà da se
stessa decidere se deve operare una composizione o una decomposizione. É la quantità d'acqua che determinerà lo svolgimento della reazione.
In caso di sottrazione d'acqua, si ottiene dell'organizzazione.
In caso di aggiunta d'acqua, della disorganizzazione.
Là dove esistono delle grandi quantità d'acqua, non c'è possibilità che la vita appaia. Se si aggiunge all'acqua del bianco d'uovo, dunque una catena di
aminoacidi, si produce una decomposizione.
Di conseguenza, l'ultimo posto in cui potrebbe apparire la vita, è appunto l'acqua, l'oceano primitivo.
Le molecole di alanina si presentano sotto due forme, due isòmeri. A titolo di comparazione, si può dire che le nostre mani, anch'esse, si presentano sotto
due modalità: sono identiche, ma differenti nello spazio. Le mani e i guanti devono in effetti corrispondersi. Ogni cellula è un sistema di mani sinistre e di
guanti sinistri; nel momento in cui le mani sinistre scivolano nei guanti sinistri si effettua il cambiamento di materia, che si produce molto rapidamente; in
biologia li si chiama sistemi "recettore-accettore". Migliaia di mani sinistre accoppiate danno i bianchi d'uovo. Se si produce dell'alanina, come altri
componenti della vita, per caso (Miller), si fabbrica il 50% di guanti sinistri e il 50% di guanti destri. Ora, in Scienze si dichiara che la vita fondata su dei
"guanti sinistri e dei guanti destri" non è vitale. L'esperimento di Miller produce 50/50.
Bisogna dunque trovare un metodo FORTUITO per separare guanti sinistri e guanti destri. Luis Pasteur ha concepito un metodo che riesce a effettuare la
separazione. Vi si arriva unendo la molecola del Racemato sia alle molecole sinistre sia alle molecole destre corrispondenti. Ma è impossibile pervenirvi per
caso. L'apparizione fortuita della vita cozza dunque già contro questa realtà; la realtà delle configurazioni sinistre e destre.
Anche il grande CRICK (Premio Nobel con James D. WATSON nel 1962), lo scopritore del codice genetico, è giunto in questi ultimi tempi alla convinzione che
non è PER CASO che questo codice ha fatto la sua apparizione nel nostro mondo. Egli propone dunque come spiegazione che il codice genetico è stato
inviato sulla terra da esseri intelligenti venuti dall'aldilà del sistema solare. Dei germi viventi sono arrivati qui in veicoli simili a delle meteoriti, ma ben
imballati per essere protetti contro le radiazioni solari. Egli qualifica il suo postulato "Directed Panspermia" (=Panspermia orientata)
(2) (cit. pag.102).
L'evoluzione esige pertanto che la materia si elevi su una pendenza ascendente, che dal caos esca da se stesso un ordine -con ciò essa si oppone dunque
chiaramente e direttamente ai suoi princìpi fondamentali, essenziali alle leggi delle scienze naturali. Prendiamo l'esempio della Fisica: il secondo principio
della termodinamica mostra che la materia, lasciata a sè, non può portare che verso il disordine. Se il disordine aumenta, l'entropia si accentua. Questo
principio è universale, tanto che l'insegnamento dell'evoluzione deve conformarvisi. Se poi passiamo alla chimica, sappiamo che in certi laboratori si è
riusciti a ottenere del "vivente semplice"; ma il processo di sintesi era concepito in modo tale che il chimico lavorava sempre utilizzando la sua ragione
(Logos) e l'informazione, dopo di che, per quanto è in suo potere, egli esclude il caso. Il chimico si conforma dunque a delle pratiche (bibliche), le quali
sono diametralmente opposte alle esigenze dei neo-darvinisti.
Passiamo adesso ad alcuni punti pratici:
Come determinare l'età relativa dei fossili?
Per determinare l'età relativa delle formazioni geologiche, ciò che conta di più sono i fossili che esse contengono. La presenza, in un certo strato, di
organismi dalla costituzione "primitiva" o "semplice" significa un'età più antica per la roccia in questione. Per contro, se gli esseri viventi vi presentano un
"grado di sviluppo maggiore", ciò significa un'età più giovane per questa formazione geologica. La Geologia storica si appoggia dunque essenzialmente sulla
scienza degli organismi fossilizzati (Paleontologia). Beninteso, queste speculazioni presuppongono implicitamente che si ammetta un'evoluzione. Si
dichiara: questa roccia è antica perché contiene dei fossili di organismi primitivi. Così la Stratigrafia prova l'Evoluzione, e l'ipotesi evoluzionista a sua volta
rende la stratigrafia possibile.
L'Enciclopedia Britannica sottolinea dal canto suo questo circolo vizioso, nel suo articolo "Geology" (1956, vol. 10, p. 168)
(3), p. 167."Se se ne giudica dallo stretto punto di vista filosofico, non si può negare che i geologi ragionano in circolo. La successione degli organismi fu
determinata secondo l'analisi dei loro resti fossili così come sono sepolti nelle rocce, e l'epoca relativa delle rocce è a sua volta determinata
secondo i resti di organismi fossili che esse contengono".
Se però ci si imbatte su dei reperti "che non concordano", silenzio di morte, come nel caso in cui si sono trovate delle tracce di passi umani contemporanee
alle tracce di dinosauri nel suolo gessoso del fiume Paluxy, vicino a Glen Rose in Texas; o si risponde nel modo seguente: "... le scoperte [...] sarebbero
aberranti, giacché, secondo la teoria di Darwin, nessun uomo sarebbe vissuto all'epoca dei Sauri..." (nota 2, p.48).
Dunque i fatti non hanno che da piegarsi ai dati della teoria! A questo proposito, bisogna far notare che impronte umane ancora "più antiche" (era
Carbonifera) sono state segnalate dal Scientific American in varie zone, come in Virginia, Pennsylvania, Kentucky, Illinois, ecc... (gennaio 1940, nota 2, p.
202)
(4).
1 - A.E. WILDER-SMITH, Vortrag in der Arbeiterkammer, Linz; 1978-09-25.
2 - A.E. WILDER-SMITH, Grundlage zu einer neuen Biologie, 2ª edizione; Hânnsler-Verlag-Stuttgart, 1977.
3 - J.C. WHITCOMB & H.M. MORRIS - Die Sintflut; Hânnsler, Stuttgart, 1877.
4 - NDLR: Sulla stratificazione vi rinviamo, naturalmente, ai lavori decisivi di G. Berthault, disponibili presso il segretariato e di cui facciamo
frequentemente eco in "Science et Foi".
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01/08/2010 22:47
 
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LA PALEONTOLOGIA ALLA RICERCA DI UNA LOGICA
Dr. J. M. Clerq

É abbastanza eccezionale ritrovare del DNA nelle ossa antiche, giacché questa molecola si degrada molto rapidamente dopo la morte. Tuttavia, allorché le condizioni di conservazione sono state favorevoli, lo si ritrova talvolta in ossa vecchie di 3/4000 anni. In questo caso può essere effettuata un'analisi genetica. Ma l'avvenimento che stiamo per relazionare, pur se raro, fa pensare.

A - La freccia indica un frammento di tessuto ancora elastico, il che sfida la teoria che sostiene che tali tessuti daterebbero 65 milioni di anni.
B - Un altro esempio di "apparenza di freschezza" che, anche qui, rende poco credibili "i milioni di anni".
C - Regioni dell´osso che mostrano una struttura fibrosa ancora presente, in comparazione alla maggior parte delle ossa di fossili dove questa struttura è inesistente. Si pretende che queste ossa abbiano 65 milioni di anni, tuttavia riescono a mantenere questa struttura.

Uno scienziato americano, S. Woodward, ha sottomesso ad analisi genetica due grandi ossa di dinosauro, ritrovate in una formazione di carbone
bituminoso dello stato dell'Utah, datato del cretaceo superiore e stimato di 80/85 milioni di anni secondo i metodi di datazione ammessi in geologia.
Tuttavia queste due ossa di dinosauro non erano fossilizzate in modo abituale, ma erano cerose; è d'altronde questo aspetto che attirò l'attenzione di Woodward e lo decise ad analizzarle. Un frammento osseo fissato all'ematoxilin-eosina, rivelò la presenza inattesa di nuclei di cellule e del collagene di tessuto congiuntivo. Si prestavano le condizioni per estrarne il DNA e sottoporlo a un'analisi genetica al fine di compararlo a quello delle specie attuali e così poter determinare il grado di somiglianza con altre specie come gli uccelli, i rettili e i mammiferi. Questa comparazione potrebbe, si pensava, permettere di stimare il momento della separazione di queste specie nel corso dell'evoluzione. Fu preso in considerazione il gène Cytocroma-b mitocondriale perché la sua sequenza di nucleotìdi è ben conosciuta per numerose specie animali, vegetali e batteriche. Il risultato di questa comparazione si è rivelato totalmente inatteso: il DNA studiato e proveniente dalle due ossa di dinosauro era altrettanto lontano da quello dei rettili quanto da quello degli uccelli o dei mammiferi. Siccome nel quadro evoluzionista si ammette che gli uccelli e i rettili hanno avuto, nel corso dell'evoluzione della loro specie, un antenato comune con i dinosauri, questo risultato sorprendeva per una simile divergenza da quel che era accettato: i dinosauri non avrebbero dunque alcun legame di parentela con gli uccelli e i rettili.

Sinistra: le strutture flessibili nell´osso del T.Rex sono state identificate come essere dei vasi sanguigni. Se l´osso avesse 65 milioni di anni, non vi si troverebbero dei tessuti molli come i vasi sanguigni.

Destra: Si è potuto estrarre queste strutture microscopiche da qualcuno dei vasi sanguigni, e, a guardarvi, "esse hanno l´aria di cellule", hanno detto i ricercatori.

Piuttosto che rimettere in causa la teoria dell'evoluzione, o per lo meno lo schema insegnato dell'albero dell'evoluzione delle specie elaborato da Darwin, gli scienziati preferirono dubitare delle ossa: erano o no ossa di dinosauro? S. Woodward non si sarà ingannato?
Altre questioni sono certamente state sollevate, ma i paleontologi si son ben guardati dal porle, giacché esse avrebbero distrutto la logica sulla quale
questa scienza si appoggia:
- Com'è possibile ritrovare del DNA di 80 milioni di anni, allorché esso si degrada molto velocemente dopo la morte, anche se si conserva relativamente bene nelle ossa, e l'analisi genetica di ossa vecchie di appena qualche migliaio d'anni è raramente cosa realizzabile?
- Non sarà piuttosto il sistema di datazione ad essere errato, essendo i dinosauri ben più recenti?
In questo caso, tutte le età genealogiche sono da rivedere!
- Com'è che i dinosauri studiati sono stati sotterrati, viventi, in una formazione bituminosa del cretaceo superiore? La risposta include il catastrofismo, e in questo caso le basi della geologia sono di nuovo chiamate ad essere riconsiderate!
Quando si nega l'esistenza del Diluvio, con gli sconvolgimenti geologici che l'hanno accompagnato, la geologia e la paleontologia non possono che effettuare delle piroette scientifiche inverosimili per integrare nella logica del loro sistema tutte le incoerenze che infiorano le scoperte nei domìni della paleontologia, della geologia e della preistoria... magra logica alla ricerca di se stessa perché essa ignora la vera logica volendo ignorare il Creatore del mondo.
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08/08/2010 21:59
 
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ARCHEOLOGIA PROIBITA
di Michael A. Cremo
Quello che la scienza preferisce ignorare. Scoperte,
tradizione, establishment accademico.
Questo testo trae ispirazione da quanto riportano le antiche fonti
sanscrite dell'India, generalmente indicate come "Veda" o
"letteratura vedica".
Fra gli scritti vedici tradizionali abbiamo i "Purana" o "storie", che
raccontano della nascita e dello sviluppo della vita e della civiltà
umana sul nostro pianeta in un ciclico corso e ricorso di
centinaia di milioni di anni.
L'unità base di tali cicli epocali è chiamata "il Giorno di Brahma",
dal nome della omonima divinità indù, la cui durata è 4,3 miliardi
di anni.
Il "Giorno di Brahma" è seguito da una "Notte di Brahma", che
dura altrettanto. Alla Notte segue un Giorno, in una successione
senza fine. Durante il Giorno la vita, inclusa quella umana, si
manifesta nel 'universo, ma ciò non avviene durante la Notte.
In base agli antichi calendari sanscriti, oggi dovremmo trovarci
da circa 2 miliardi di anni nell'attuale Giorno di Brahma.
L'archeologia vedica si attenderebbe dunque di trovare tracce di
vita umana già circa 2 miliardi di anni fa. Il perché è presto detto.
Le storie dei Veda ci parlano anche di uomini-scimmia.
L'idea di uomini-scimmia non è dunque stata inventata dagli
scienziati europei del XIX secolo, dal momento che già migliaia
di anni fa i saggi che redassero i Veda ne fecero specifica
menzione. Però secondo loro con questi esseri coesistevano
anche uomini come noi e dunque l'uomo non discenderebbe
dalla scimmia, bensì avrebbe convissuto con tali creature
addirittura per centinaia di milioni di anni.
I concetti sul a evoluzione e la storia umana di cui sopra sono in
ogni caso necessariamente diversi da quelli che abbiamo
ricevuto da Charles Darwin e dai suoi moderni seguaci.
Il Darwinismo è tuttora in auge nell'ambito della scienza
moderna, ma oggi le critiche non mancano, quantunque tale
teoria suoni estremamente convincente.
I Darwinisti ritengono che la vita abbia avuto inizio su questo
pianeta circa 2 miliardi di anni fa, data indiscussa considerata la
più remota per l'apparizione del e sue prime forme sul a Terra.
Tali indizi si riferiscono ai fossili di piccole creature unicel ulari,
sul tipo del e odierne alghe.
La loro età corrisponde, sorprendentemente, proprio al 'inizio
del 'attuale "Giorno di Brahma".
I Darwinisti sostengono altresì che le prime scimmie si
manifestarono circa 40 milioni di anni fa, i primi uomini-scimmia
fra i 5 e i 6 milioni di anni fa, e i primi esseri umani simili a noi
circa 100.000 anni fa; inoltre affermano che le scoperte di varie
prove fisiche a supporto di ciò finora registrate dagli scienziati
confermano totalmente tali ipotesi.
In realtà, quando con Richard Thompson ho deciso di affrontare
una analisi approfondita di tutti i riscontri a livel o paleontologico
ed archeologico relativi al 'intero vasto lasso di tempo degli ultimi
due miliardi di anni, è emerso che, nonostante l'opinione
attualmente dominante, l'apparente presenza umana si
manifesta ben al di fuori degli schemi indicati dal Darwinismo.
Di tutto ciò ci siamo occupati, con tutte le fonti e documentazioni
relative, nel nostro corposo best-sel er internazionale, tradotto in
varie lingue, "Forbidden Archaeology: the hidden history of the
human race" (Trad. it. parziale: Archeologia proibita: la storia
segreta della razza umana, Gruppo Edit. Futura, Milano 1998) e
nel successivo volume "Forbidden Archaeology's impact".
A questo punto ci si chiederà per quale ragione, se i dati da noi
raccolti e divulgati mostrano quanto detto, non se ne senta al ora
parlare.
La ragione di ciò è dovuta ad un inevitabile e pressoché naturale
processo di "filtraggio della conoscenza" da parte del moderno
mondo scientifico, ieri come oggi.
In altri termini, è come se il mondo accademico, da sempre e per
definizione istituzionale e conservatore, costituisse un vero e
proprio "filtro" per le idee e le scoperte scientifiche nuove.
Nella misura in cui si conformi a tale "filtro", che risulta
necessariamente e "fisiologicamente" formato da concetti "fissi"
e "tradizionali", qualsiasi nuovo elemento è destinato a
"passare" con maggiore o minore rapidità senza eccessivi
problemi, e verrà così facilmente inserito in libri di testo,
discusso dagli scienziati ed esibito nei musei. Ma se un dato non
si adatta al "filtro" con tutto il suo contesto di idee fisse, esso
verrà al ora per forza di cose contrastato, rigettato, dimenticato,
ignorato e magari perfino soppresso a bella posta. E non lo
vedrete mai menzionato in testi accademici, oggetto di
conferenze o dibattiti a livel o scientifico e tanto meno inserito
nel patrimonio museale (anche se potrebbe rimanervi sepolto e
ignorato nei magazzini con i tanti "pezzi" non destinati ad essere
esibiti in quanto dichiarati "di minore importanza" e di cui
nessuno sa né saprà così mai nul a). In campo archeologico,
tale particolare processo di "filtraggio della conoscenza" sta
andando avanti in questi termini da almeno 150 anni, come
anche solo pochi esempi varranno a dimostrare.
Alcuni risalgono al 'archeologia di ieri, altri a quel a di oggi.
Un caso che merita di essere ricordato risale al XIX secolo, e
precisamente alla famosa "corsa all'oro" che richiamò in
California gente in cerca di fortuna da tutto il mondo.
Per estrarre l'oro, i minatori scavavano gal erie nelle pendici
delle montagne, penetrando nella viva roccia. Ma veniamo a
Table Mountain, nella regione delle miniere d'oro della California.
Qui i cercatori d'oro, scavando a centinaia di metri di profondità,
si imbatterono in numerosi scheletri umani antichi non dissimili
dai nostri, e non certo in resti di uomini-scimmia. Così pure
furono trovati strumenti ed armi di pietra a centinaia, in diverse
zone dello stesso sito. Fra di essi un pesto ed un mortaio, non
molto diversi da quelli oggi noti. Solo che c'era un problema.
Entrambi gli oggetti furono trovati in strati rocciosi corrispondenti
alla parte inferiore del periodo geologico chiamato Eocene,
proprio di 50 milioni di anni fa.
Un archeologo che accettasse le concezioni vediche non
sarebbe affatto sorpreso di rilevare tracce umane in quel 'epoca,
naturalmente, in quanto si attenderebbe di trovarne ben prima,
fino forse a circa 2 miliardi di anni or sono. Ma per un normale
archeologo tutto ciò è contraddittorio e inconcepibile, riferendosi
ciò ad un'epoca anteriore alla comparsa delle scimmie e dei
primi antropoidi.
Le scoperte sopra ricordate nelle miniere d'oro della California
furono segnalate al mondo scientifico dal Dr. J. D. Whitney, un
geologo statale californiano.
Egli scrisse un documentatissimo e corposo volume su tali
scoperte, che fu anche pubblicato dal 'Università americana di
Harvard nel 1880. Ciò nonostante nessuno parla più oggi di quei
dati, in conseguenza del processo di "filtraggio della
conoscenza" di cui abbiamo accennato.
Lo scienziato responsabile di tale "filtraggio" conoscitivo fu, nel
caso specifico, il Dr. Wil iam B. Holmes, un influente antropologo
della "Smithsonian Institution" di Washington, D.C., che al
riguardo dichiarò testualmente, con sorprendente sincerità: "Se il
Dr. Whitney avesse compreso la teoria del 'evoluzione umana
come è oggi accettata, egli avrebbe esitato ad annunciare le sue
conclusioni, a dispetto del 'imponente contesto testimoniale con
cui si è confrontato".
In altri termini, se i fatti non si adattano alla teoria del 'evoluzione
umana indicata da Darwin, essi vanno messi da parte e la
persona che li riferisse o sostenesse va screditata.
Esattamente quel o che è avvenuto e tuttora avviene.
Ho anche avuto una mia esperienza personale nel processo di
"filtraggio della conoscenza" in rapporto alle scoperte nelle
miniere d'oro californiane. Alcuni anni or sono, infatti, operavo
come consulente di un programma televisivo sul e "Misteriose
Origini del 'Uomo" ("The Mysterious Origins of Man") realizzato
dalla NBC, la più popolare rete TV degli USA, e presentato da
un testimonial d'eccezione, il famoso attore hol ywoodiano
Charlton Heston. La maggior parte degli americani considerano
le parole di questo attore-presentatore - inamovibile
nell'immaginario collettivo del pubblico dal ruolo profetico-
sacrale proprio del suo Mosè ne "I Dieci Comandamenti" di Cecil
De Mil e - allo stesso livel o di quelle che potrebbe indirizzarci
Dio stesso. Durante le riprese del programma, raccomandai ai
produttori di recarsi al Museo di Storia Naturale del 'Università
della California a Berkeley in quanto in esso si trovavano i
manufatti di 50 milioni di anni fa estratti dalle miniere d'oro
californiane. Ma i responsabili del Museo rifiutarono di
concedere il permesso di filmare tali manufatti. Ciò nonostante,
fummo egualmente in grado di utilizzare ed esibire alcune delle
vecchie fotografie scattate nel XIX secolo. Si ricordi inoltre che
gli scienziati darwinisti americani hanno fatto pressioni di ogni
mezzo sul a NBC perché il programma non fosse mandato in
onda, fortunatamente senza riuscirci. È significativo che la NBC
abbia poi pubblicizzato la trasmissione rivolgendosi agli
americani con lo slogan: "Guardate il programma che gli
scienziati non vogliono che vediate!".
Adesso consideriamo un caso più recente nella storia
del 'archeologia.
Nel 1979, Mary Leakey trovò dozzine di impronte in una località
del 'Africa Orientale chiamata Laetoli, in Tanzania. La scienziata
dichiarò anche che esse non potevano essere distinte da quelle
lasciate dai piedi di essere umani odierni, solo che esse si
trovavano in strati costituiti da ceneri vulcaniche solidificate di
3.700.000 anni fa: un'epoca in cui, secondo le concezioni
scientifiche attuali, uomini in grado di lasciarle non avrebbero
dovuto esistere. Come darne ragione, al ora?
Gli scienziati, a questo punto, si sono limitati ad ipotizzare che
3.700.000 anni fa abbia necessariamente dovuto esistere in
Africa "un qualche tipo di uomo-scimmia con i piedi fatti come i
nostri", e che ciò sia al 'origine di tali impronte. La proposta è
interessante, ma è totalmente priva di qualsivoglia elemento di
prova a livel o scientifico. Anche perché gli scienziati hanno già
da tempo a disposizione gli scheletri di un uomo-scimmia vissuto
3.700.000 anni or sono in Africa Orientale, il cosiddetto
"Australopiteco".
E la struttura del piede di un Australopiteco si differenzia
nettamente da quel a del 'uomo d'oggi.
La questione venne fuori nel 1999, quando partecipai al
Congresso Archeologico Mondiale di Cape Town, in Sud Africa.
Fra gli oratori figurava anche Ron Clarke, che nel 1998 aveva
scoperto uno scheletro praticamente completo di Australopiteco
in località Sterkfontein, in Sud Africa. Tale scoperta era stata
ampiamente pubblicizzata sui media di tutto il mondo come "il
più antico antenato del 'uomo". L'esemplare era in effetti vecchio
di 3.700.000 anni, come le impronte di Laetoli. Ma c'era un
problema.
Ron Clarke, infatti, ricostruì i piedi del suo Australopiteco di
Sterkfontein in termini scimmieschi; e su questo niente da dire,
visto che le ossa delle estremità inferiori della creatura erano
decisamente scimmieschi. Per esempio, si vede che l'al uce è
molto allungato e proteso lateralmente, sul tipo del pol ice di una
mano umana; ma così pure che anche le altre dita sono
decisamente allungate, di almeno una volta e mezzo in più
rispetto al piede del 'uomo. Pertanto tale piede non presentava
certo caratteristiche umane. Di conseguenza, dopo che Clarke
ebbe presentato la sua relazione congressuale, alzai la mano e
gli posi direttamente una domanda: "Perché mai la struttura del
piede del 'Australopiteco di Sterkfontein non corrisponde alle
impronte scoperte da Mary Leakey a Laetoli, che sono
contemporanee (3.700.000 di anni fa) e simili a quelle lasciate
dal 'uomo moderno?"
La risposta non era facile. Ron Clarke sosteneva di avere
scoperto il più antico antenato dell'uomo, eppure esseri
apparentemente come noi andavano in giro in Africa nella stessa
epoca. Sapete come ha risposto? Egli sostenne che era stato
proprio il "suo" Australopiteco a lasciare in effetti le impronte di
Laetoli, solo che, per giustificare le caratteristiche di queste
ultime, si doveva al ora ritenere che camminando dovesse
spostare l'al uce tutto a ridosso delle altre quattro dita del piede,
con queste tutte ripiegate su loro stesse: insomma, era un po'
come se un acrobata che volesse procedere eretto ma
reggendosi sugli arti superiori camminasse sui pugni invece che
sul e mani!
Non c'è neanche bisogno di dire che tale spiegazione era ed è
del tutto risibile, e che io risi, infatti. Ma la platea, composta da
una grande maggioranza di archeologi accademici di
impostazione evoluzionista, si guardò bene dal farlo, in un
silenzio totale. Le regole di comportamento del 'Establishment
scientifico dominante sono e restano ferree.
Quando poi gli scienziati finiscono con lo scoprire "qualcosa che
non deve essere scoperto", possono soffrirne non poco a livel o
professionale. È il caso della Dott.sa Virginia Steen-McIntyre,
una geologa americana che conosco personalmente.
Nei primi anni Settanta, alcuni archeologi statunitensi scoprirono
alcuni strumenti ed armi in pietra in località Hueyatlaco, in
Messico. Fra questi reperti figuravano punte di freccia e di
lancia. Era chiaro fin dal 'inizio per gli archeologi che le avevano
scoperte che tali armi erano state usate da uomini come noi, e
non certo da uomini-scimmia. Ma a che epoca risalivano
esattamente?
In genere in questi casi la risposta la danno i geologi, in funzione
degli strati geologici in cui sono i reperti. Nel caso specifico fu
coinvolta Virginia Steen-McIntyre che, utilizzando i quattro più
recenti metodi di datazione geologica con i col eghi dello "United
States Geological Survey", determinò che gli strati in cui si
trovavano i reperti risalivano a 300.000 anni fa!
Quando il dato fu comunicato al capo degli archeologi, la sua
risposta fu immediata quanto seccata ed incredula: "Impossibile!
Non esistevano uomini 300.000 anni or sono in nessun luogo del
mondo!". Quanto al Nord America, le odierne teorie indicano la
comparsa del 'uomo non prima di 30.000 anni a. C., com'è noto.
E al ora cosa fecero gli archeologi?
In primis, rifiutarono di pubblicare la data di 300.000 anni fa. In
secundis, vi sostituirono invece una datazione più "logica":
20.000 anni or sono. Ciò in quanto un pezzo di conchiglia
rinvenuto a ben 5 chilometri dal sito in cui i reperti furono
rinvenuti aveva fornito una datazione al Carbonio 14 riferita,
appunto, a 20.000 anni fa!
Ma la Dott.sa Virginia Steen-McIntyre non si dette per vinta,
ribadendo i dati rilevati. Solo che ciò le comportò una pessima
reputazione a livello professionale nonché la perdita
del 'insegnamento universitario, mentre tutte le possibilità di
avanzamento acquisite con la sua precedente attività presso
l'"United States Geological Survey" furono bloccate. La
scienziata ne fu così disgustata che si ritirò in una cittadina delle
Montagne Rocciose, in Colorado, rimanendo in silenzio per anni.
Finché io non venni a sapere del suo caso e lo menzionai in ,
"Forbidden Archaeology: the hidden history of the human race",
conferendo al suo lavoro l'attenzione che merita. È anche grazie
a ciò che oggi il sito di Hueyatlaco in Messico viene studiato da
archeologi dalla mente più aperta, e c'è da sperare che le
conclusioni della Steen-McIntyre trovino presto ulteriore
conferma.
Ma veniamo al 'Italia.
Alla fine del XIX secolo (1880) il geologo Giuseppe Ragazzoni
rinvenne a Castenedolo, nel Bresciano, un cranio umano
anatomicamente moderno, unitamente ai resti scheletrici di altre
quattro persone. Il tutto si trovava in strati geologici
corrispondenti ad un'epoca di 5 milioni di anni fa, ed era logico
che la cosa apparisse inconcepibile.
"Nulla di misterioso" direbbero all'unisono gli scienziati
darwinisti. "Solo qualche migliaio di anni fa qualcuno morì, e i
suoi contemporanei ritennero di dover scavargli una tomba
molto profonda in fondo ala quale col ocarono il corpo che, così
inserito in strati di ben maggiore antichità, sembra oggi
appartenere ad un'epoca che viceversa non gli è propria". Tutto
chiaro, dunque?
Non proprio. Un fatto simile, definito una "sepoltura intrusiva",
può in effetti verificarsi.
Ma nel caso specifico Ragazzoni, un geologo professionista, era
ben consapevole di tale possibilità. "Se si fosse trattato di una
sepoltura - dichiarò - gli strati superiori a quelli in cui il corpo è
stato rinvenuto sarebbero stati anche solo parzialmente alterati o
comunque disturbati dal 'interramento del corpo in profondità". E
le sue verifiche avevano escluso ciò, a conferma che gli scheletri
risalivano davvero agli strati rocciosi in cui erano stati rinvenuti,
ossia 5 milioni di anni fa.
Spostiamoci adesso in Belgio.
All'inizio nel XX secolo il geologo A. Rutot fece una serie di
interessanti scoperte in quel paese. Egli infatti portò alla luce
centinaia di strumenti ed armi in pietra, estraendoli da strati
rocciosi corrispondenti a 30 milioni di anni fa. Ho sopra detto
della difficoltà invariabilmente manifestatasi qualora si richieda di
vedere oggetti "scomodi" per l'Establishment accademico in
relazione ai ritrovamenti della fine del XIX secolo in California.
Stavolta però a me fu possibile vedere e anche fotografare i
reperti recuperati da Rutot, durante un giro di conferenze in
Olanda e Belgio. A Bruxelles chiesi infatti ad un mio
accompagnatore di visitare al Museo Reale di Scienze Naturali
la col ezione di Rutot e, sebbene i responsabili del museo
avessero negato la sua esistenza, alla fine saltò fuori un
archeologo che sapeva di cosa stavamo parlando e ci indicò i
pezzi in questione. Non c'è neanche bisogno di dire che però
essi non sono visibili al pubblico.
Di quanto bisogna risalire nel tempo per citare casi simili?
Nel dicembre del 1862, ad esempio, negli Stati Uniti un giornale
scientifico chiamato "The Geologist" riferì della scoperta di uno
scheletro umano completo ed anatomicamente moderno a 30
metri di profondità nella Macoupin Country, in Il inois, USA. In
base al resoconto scientifico agli atti, direttamente al di sopra
dello scheletro vi era uno strato roccioso continuo ed inalterato
dello spessore di più di un metro, esteso orizzontalmente in tutte
le direzioni per vari metri tutt'intorno, Cosa, questa, che esclude
necessariamente qualunque possibilità di una sepoltura
intrusiva.
Solo che, secondo i resoconti geologici del caso, gli strati che
inglobavano lo scheletro risalgono a 300 milioni di anni: un dato
totalmente impossibile per l'archeologia ortodossa.
300 milioni di anni fa corrispondono ad un'epoca anteriore alla
comparsa dei dinosauri sul a Terra.
Si tenga presente che tutto quello che abbiamo finora
menzionato è stato effettuato e riscontrato da scienziati
professionisti, ovvero debitamente riportato nella letteratura
scientifica professionale ed accademica.
Ma è altresì logico che se ritrovamenti e scoperte
"controcorrente" del genere hanno riguardato, come abbiamo
visto, non pochi esponenti della scienza ufficiale, è così pure
altrettanto possibile che abbiano spesso coinvolto anche
persone al di fuori del 'ambito scientifico, ovvero gente comune.
E le segnalazioni di costoro, seppur non riferite da riviste
scientifiche, possono in effetti apparire anche nelle pagine dei
giornali di informazione e di costume e nella stampa popolare. E
non per questo sono meno vere.
A livello esemplificativo riferisco un resoconto giornalistico
estratto dal "Morrisonvil e Times", un piccolo quotidiano locale
edito nella cittadina di Morrisonvil e, in Il inois, nel 1892. Esso
riferisce di una donna che stava mettendo dei pezzi di carbone
nella sua stufa "fin de siecle". Uno di tali pezzi si spezzò
improvvisamente in due e dal suo interno emerse una catena
d'oro. Alle due estremità erano rimasti attaccati i due pezzi del
blocco di carbone, a dimostrazione che la catena era contenuta
al 'interno del pezzo successivamente divisosi. In seguito alle
indicazioni fornite dal giornali, siamo riusciti a risalire alla miniera
da cui era stato estratto.
E successivi riscontri effettuati oggi presso il "Geological
Survey", dello Stato del 'Il inois indicarono che il carbone ivi
estratto è vecchio di 300 milioni di anni. Per inciso, la stessa
epoca del sopra citato scheletro umano rinvenuto poco più di
trenta anni prima, sempre in Il inois, nel a Macoupin County.
Se vogliamo tornare alla letteratura strettamente scientifica, la
"Scientific American" riferì nel 1852 di un bel vaso metal ico
estratto da un massiccio strato roccioso di 5 metri di profondità
nella zona di Boston. Orbene, secondo i resoconti geologici
attuali l'età del a roccia in quel a località è di 500 milioni di anni!
Gli oggetti più antichi che ho incontrato nella mia ricerca sono
comunque delle sfere metal iche rinvenute del 'ultimo ventennio
dai minatori a Ottosdalin, nella regione del Transvaal
Occidentale, in Sud Africa. Sono oggetti del diametro variabile
da 1 a 2 centimetri e presentano dei curiosi solchi paral eli lungo
il loro "equatore". Le sfere sono state esaminate da esperti in
metal urgia prima di essere filmate per il già citato programma
TV "The Mysterious Origins of Man", e il loro parere è stato
concorde: non esiste spiegazione per giustificare una
formazione naturale dei solchi e, dunque, le sfere appaiono il
prodotto di una qualche tecnologia intelligente. Fatto è che
provengono da un deposito minerario geologicamente vecchio di
oltre 2 miliardi di anni!
Potrei continuare a lungo, riferendo a piacere innumerevoli dati
citati nel mio volume "Forbidden Archaeology: the hidden history
of the human race" e nel suo seguito " volume "Forbidden
Archaeology's impact". Ma a questo punto è meglio fermarsi.
Vorrei concludere però con un'ultima considerazione.
È stato ossessivamente sostenuto e monotonamente ripetuto
dai Darwinisti che tutte le prove fisiche raccolte a tutt'oggi sono
assolutamente coerenti con il loro quadro sul e origini del 'Uomo,
per il quale esseri simili a noi sono apparsi circa 100.000 anni fa,
dopo una graduale evoluzione dalle scimmie antropoidi. Tutto
considerato, oggi si deve invece dire che tale affermazione va
ritenuta del tutto falsa e fuorviante.
Per incredibile che possa sembrare, esistono infatti molteplici
scoperte che suggeriscono inequivocabilmente la presenza di
esseri apparentemente simili a noi in periodi cronologici
compresi fra i 100.000 e i 2 miliardi di anni fa. Il che non è affatto
incoerente con le fonti vediche di cui abbiamo parlato, con
buona pace di un Establishment scientifico conservatore e
miope timoroso di perdere le certezze sul e quali ha costruito il
proprio potere accademico.
Non sarà mai tardi quando gli scienziati della nostra epoca,
dominati da un'arroganza antiscientifica, comprenderanno che la
Tradizione, probabile eredità di conquiste scientifiche acquisite
in un passato senza ricordo, va considerata con maggiore
rispetto ed attenzione. "Nihil su sole novi", dicevano giustamente
i Latini.
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10/08/2010 22:16
 
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   Oggi sappiano ciò che Darwin a suo tempo non poteva sapere che le cellule di tutti gli organismi contengono una quantità quasi inimmaginabile di informazioni (DNA) le quali poi sono concentrate nella densità massima conosciuta.
   La formazione degli organi è governata dalle informazioni esistenti, tutti i processi negli organismi funzionano perché governati dalle informazioni - e la produzione di sostanze del corpo (p. es. 50000 proteine nel corpo umano) si svolge perché governata dalle informazioni.

Il sistema razionale dell'evoluzione non potrebbe mai funzionare se ci fosse la possibilità che nella materia nascesse l'informazione in seguito a processi accidentali. Infatti, tutti i piani di costruzione dell'organismo individuale e tutti i processi complessi che si svolgono nelle cellule, esigono informazioni precise di base.

L'informazione è un parametro non materiale che dunque non ha gli attributi della materia. Le leggi naturali sui parametri non materiali, in modo particolare l'informazione, definiscono che la materia non può mai generare da sé un parametro non materiale.
Inoltre possiamo affermare: l'informazione può nascere soltanto tramite un autore attrezzato d'intelligenza e volontà. Con questo è chiaro: chi crede che l'evoluzione sia ragionevole, crede a un «moto perpetuo dell'informazione» a qualcosa cioè che le leggi naturali universalmente valide negano categoricamente.

Questo rappresenta il tallone d'Achille dell'evoluzione, a cui la scienza non ha ancora dato una risposta valida.
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10/08/2010 22:21
 
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Il volo del piviere dorato orientale

Il piviere dorato orientale è un bellissimo uccello. E ogni pulcino esce dal suo uovo in Alaska. Giacché l’inverno lì è freddissimo, gli uccelli migrano alle Isole di Hawaii. La meta si trova a 4500 km di distanza e l’uccello deve volare senza fermarsi perché non c’è isola dove potrebbe riposare e non sa nuotare. Per il volo il piviere dorato ha un «serbatoio carburante» che equivale ai 70 grammi di grasso che ha accumulato durante l’estate. In più ha un ulteriore riserva di 6,8 grammi nel caso che incontrasse venti contrari. Poiché non può interrompere il suo viaggio per tre giorni e mezzo, volando giorno e notte, e in aggiunta deve mantenere la sua rotta esattamente sul minuto d’angolo, ha bisogno di un autopilota che funzioni con assoluta precisione. Se manca le isole, significa morte certa perché a perdita d’occhio non c’è alcun’altra possibilità di atterraggio. Se non fosse fornito di quella quantità precisa di grasso, non potrebbe sopravvivere.

Anche in questo caso «la mutazione e la selezione» sarebbero nuovamente state degli strumenti insufficienti. È più plausibile supporre che il piviere dorato sia stato creato così fin dall’inizio – già attrezzato con tutto quello che gli serviva per il suo tipo di vita.
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12/08/2010 15:02
 
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Formazione delle razze (= micro-evoluzione)

Rispetto ai tempi di Darwin, ora sappiamo molto di più anche sulla formazione della diversità e delle razze. Egli osservò la diversità all'interno di ogni specie e la stabilizzazione di questa diversità. Egli osservò che fringuelli in varie isole isolate differiscono nella forma del loro becchi. Questo lo portò a postulare l'evoluzione come meccanismo di differenziazione delle popolazioni. In natura si trovano diversità derivanti dalla miscelazione (ricombinazione) di risorse genetiche (alleli) nel processo di riproduzione sessuale, soprattutto durante la loro riduzione per divisione (meiosi) che porta alla formazione dei gameti. In questo processo le caratteristiche ereditate dalla madre e dal padre sono mescolate in modo che i gameti risultanti (ovociti, cellule spermatiche, granuli di polline) sono tutti geneticamente diversi. Oggi sappiamo che, sia nella formazione delle razze che avviene in natura, che in quella che avviene con il miglioramento genetico, le razze sono la conseguenza dell’isolamento, della selezione e della deriva genetica. Senza isolamento non ci sono razze. Se abbiamo un cane di razza e, per un attimo, trascuriamo l'isolamento lasciandolo accoppiare con cani di altre razze, finiamo poi con l’ottenere dei bastardi, o, per parlare in modo più professionale, la varietà nobile torna al pool genico privo di selezione. La selezione è un processo che elimina ciò che in alcune condizioni di vita è meno adatto per la vita (per esempio, le falene bianche sulle cortecce nere sono individuate e mangiate dagli uccelli), o che è considerato inutile da chi effettua il miglioramento genetico. La deriva genetica è la perdita accidentale di alcuni geni che si verifica in piccole popolazioni – le razze isolate o selezionate sono di solito numericamente esigue -. Questo processo è simile alla perdita accidentale del numero di cognomi in piccole comunità umane isolate; quando qualcuno non ha figli, il suo cognome scompare.

Ora sappiamo che né l'isolamento, né la selezione, né la deriva genetica accrescono il pool genico. E’ esattamente il contrario – i geni si riducono -. La formazione delle razze è un processo che va in direzione opposta rispetto all’evoluzione. E’ un processo che porta verso la riduzione delle risorse genetiche. Insegnare ai bambini che questo è un esempio di un piccolo passo nell’evoluzione è semplicemente sbagliato. Ciò risulta loro fuorviante.

Naturalmente, quando dall'industria termina l’emissione di fuliggine sia la corteccia di betulla che le falene ritornano bianche. Nessuna nuova specie è stata costituita. Non c’è stato isolamento rispetto alle popolazioni di falena più lontane dall’industria, e nella popolazione selvaggia esistono sia geni per il colore bianco che per il colore nero. Quello che è cambiato è il solo criterio di selezione. Ora sono le falene nere appoggiate sulla corteccia di betulla ad essere notate più facilmente dagli uccelli. Lo stesso avviene nel miglioramento genetico fatto dall’uomo. In un certo periodo avevamo bisogno di pomodori con bucce delicate, in modo da poterli digerire più facilmente. Ora abbiamo bisogno di quelli con bucce più dure, in modo che non si rompano durante la raccolta meccanica. Quindi si impiegano diverse razze di pomodoro a seconda che essi siano destinati al consumo diretto e raccolti a mano, o che siano destinati alla trasformazione industriale (ketchup, zuppe, paste, succhi di frutta) e raccolti meccanicamente, e si impedisce l’incrocio fra le due.


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17/08/2010 19:41
 
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Darwin non aveva ragione. Lo dicono anche gli
atei
Il saggio di Jerry Fodor e Massimo Piattelli Palmarini dimostra che la teoria
evoluzionista fa acqua. Persino per i positivisti. Nei viventi ci sono strane
costanti che si ripetono, forme perfette ed armoniche
di Roberto de Mattei*
Esiste una particolare specie di vespa (Ampulex compressa) che usa
un cocktail di veleni per manipolare il comportamento della sua preda,
uno scarafaggio. La vespa femmina paralizza lo scarafaggio senza
ucciderlo, poi lo trasporta nel suo nido e deposita le sue uova nel
ventre della preda, in modo che i neonati possano nutrirsi del corpo
vivente dello scarafaggio. Mediante due punture consecutive, separate
da un intervallo temporale molto preciso e in due parti diverse del
sistema nervoso dello scarafaggio, la vespa riesce letteralmente a
«guidare» nel suo nido già predisposto la preda trasformata in uno
«zombie». La prima puntura nel torace provoca una paralisi
momentanea delle zampe anteriori, che dura qualche minuto,
bloccando alcuni comportamenti ma non altri. La seconda puntura,
parecchi minuti più tardi, è direttamente sul capo. La vespa dunque
non deve trascinare fisicamente lo scarafaggio nel suo rifugio, perché
può manipolare le antenne della preda, o letteralmente cavalcarla,
dirigendola come se fosse un cane al guinzaglio o un cavallo alla
briglia. Il risultato è che la vespa può afferrare una delle antenne dello
scarafaggio e farlo andare fino al luogo adatto allovodeposizione. Lo
scarafaggio segue la vespa docilmente come un cane al guinzaglio.
Pochi giorni più tardi, lo scarafaggio, immobilizzato, funge da fonte di
cibo fresco per la prole della vespa.
Questa macabra ma illuminante storia entomologica è
presentata dai cognitivisti Jerry Fodor e Massimo Piattelli
Palmarini nel libro, appena stampato da Feltrinelli, Gli errori di
Darwin, come uno degli argomenti più efficaci per confutare
levoluzionismo darwiniano secondo cui gli organismi viventi
traggono la loro origine da una «casuale» selezione naturale.
Nel simile comportamento delle vespe, infatti, molte cose
avrebbero potuto andare in altro modo. «La natura biochimica

del cocktail di veleni - osservano gli autori - avrebbe potuto
essere molto diversa, risultando o del tutto inefficace o, per
eccesso, letale per la preda. La scelta del momento e dei punti in
cui pungere avrebbe potuto essere sbagliata in molti modi, per
esempio consentendo allo scarafaggio di riprendersi e di
uccidere la vespa, di lui molto più piccola. La vespa avrebbe
potuto non "capire" che la preda può essere guidata al
guinzaglio, dopo le due magistrali punture, e avrebbe potuto
tentare di trascinare faticosamente il corpo piuttosto voluminoso
nel suo nido. E via di questo passo. I modi in cui questa
sequenza comportamentale avrebbe potuto uscire di strada sono
in effetti innumerevoli. Neanche il più convinto fra gli
adattamentisti neo-darwinisti suppone che gli antenati della
vespa abbiano tentato alla cieca tutti i tipi di alternative e che
siano state progressivamente selezionate soluzioni sempre più
valide, fino a che non è stata trovata la soluzione ottimale, che è
stata conservata e codificata nei geni» (p. 108). Per quanto
lungo possa essere il tempo in cui le vespe sono in circolazione,
non è possibile immaginare lemergere «a casaccio» di un
comportamento così complesso, sequenziale, rigidamente pre-
programmato. «E allora? Nessuno lo sa, al momento. Simili casi
di programmi comportamentali innati complessi (raffinate
ragnatele, procacciamento del cibo nelle api come abbiamo visto
prima, e molti altri) non possono essere spiegati direttamente
mediante fattori ottimizzanti fisico-chimici o geometrici. Ma non
possono essere spiegati nemmeno dalladattamento
gradualistico. È corretto ammettere che, anche se siamo disposti
a scommettere che un giorno si troverà una spiegazione
naturalistica, per il momento non ne abbiamo nessuna. E se
insistiamo che la selezione naturale è lunica via da esplorare,
non ne avremo mai una» (p. 109).
Per i darwinisti tutto ciò che esiste è «imperfetto», perché in
continua evoluzione. La selezione naturale non «ottimizza» mai,
ma si limita a trovare soluzioni localmente soddisfacenti. Fodor e
Piattelli Palmarini, invece, dimostrano lesistenza di casi di
soluzioni ottimali che smentiscono la tesi darwiniana. «Quando
morfologie specifiche simili si osservano nelle nebulose a
spirale, nella disposizione geometrica di goccioline magnetizzate
sulla superficie di un liquido, nelle conchiglie marine,
nellalternarsi delle foglie sui fusti delle piante e nella
disposizione dei semi in un girasole - scrivono i nostri due autori
- è molto improbabile che ne sia responsabile la selezione
naturale» (pp. 88-89).
Fodor e Piattelli Palmarini non vogliono avere niente a che fare
con il «disegno intelligente», ma il loro libro va letto accanto a
quello di Michael J. Behe, La scatola nera di Darwin. La sfida
biochimica allevoluzione (Alfa & Omega, 2007). Professore di
biologia alla Lehigh University in Pennsylvania, Behe ha
dimostrato come levoluzionismo non è in grado di spiegare
strutture e processi «irriducibilmente complessi» come quelli
esemplificati dalla biochimica degli organismi viventi. La
complessità biochimica di un microbo non è inferiore a quella di
una pianta o di un animale.
Levoluzionismo suppone che le specie viventi siano state
precedute da strutture imperfette e incompiute,
progressivamente trasformatesi nelle attuali. Tanto i reperti
paleontologi quanto le specie viventi provano invece lesistenza
di specie tra loro distinte con strutture in sé compiute. Nella scala
dei viventi e nella gerarchia delle specie esistono evidentemente
gradi di perfezione diversi. Ogni specie tuttavia può definirsi
perfetta nella sua struttura e nessun organismo in natura mostra
di essere in evoluzione verso una complessità maggiore. Tutti gli
animali a noi noti, a cominciare dalluomo, sono «produzioni high
tech», ha osservato il biologo Pierre Rabischong (in
Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, Cantagalli, 2009, pp.
177-194, a mia cura).
Dove si deve cercare la soluzione? Esistono «regole», «norme»,
«vincoli alla stabilità» che Peter Timothy Saunders ha chiamato
«leggi della forma» (An Introduction to Catastrophe Theory,
Cambridge, 1980), riecheggiando quanto già Sir DArcy
Wentworth Thompson sosteneva nel 1917 nel suo Growth and
Form. Fodor e Palmarini ricordano anche la successione del
matematico pisano Fibonacci, secondo cui ogni termine è uguale
alla somma dei due precedenti. È la nota «sezione aurea» o
«proporzione divina», che si riscontra nelle leggi armoniche della
fisica, della chimica, della biologia, della mineralogia e che
disturba non poco i teorici dellevoluzionismo.
Tutto ciò che è vivente ha una sua struttura biologica e si
presenta come espressione di una «forma» che va oltre le sue
componenti materiali. La forma è la perfezione prima di quanto
esiste, ciò che determina la differenza di un essere dallaltro,
determinandone la sua originalità. La forma rinvia alla specie,
che prima di essere lunità di base della classificazione
tassonomica degli esseri viventi, è una categoria logica che ha
un fondamento nelle cose. Nella filosofia tradizionale la specie di
ogni cosa deriva da quella forma che la rende una cosa
concreta, con unessenza specifica. Nella riflessione filosofica,
infatti, è il principio che determina lessenza e la struttura
dellessere come tale (Aristotele, Fisica, III, 2, 194 b 26;
Metafisica, V, 2, 1013 b 23).
Levoluzionismo, come già osservava Etienne Gilson, è un ibrido
connubio fra una teoria filosofica e una teoria scientifica, che è
impossibile dissociare. La posizione di Fodor e Piattelli Palmarini
capovolge quella dei cosiddetti «teo-evoluzionisti». Questi ultimi
rifiutano la concezione filosofica di Darwin, ma ne salvano la
teoria scientifica, cercando di conciliarla con il «creazionismo».
Fodor e Piattelli Palmarini mettono in discussione lipotesi
scientifica della selezione naturale, ma riaffermano la loro fede
filosofica nellateismo evoluzionista. Per criticare Darwin,
lAccademia esige infatti una professione pubblica di
«anticreazionismo». Gli autori del saggio che abbiamo
presentato ribadiscono di voler essere iscritti allalbo degli
«umanisti ufficialmente laici». «In effetti - scrivono - entrambi ci
proclamiamo atei, completamente, ufficialmente, fino all'osso e
irriducibilmente atei» (p. 11). È questo il prezzo pagato per
ammettere candidamente che «non sappiamo molto bene come
funzioni levoluzione» (p. 12).
Cè bisogno di proclamarsi «cattolici, completamente,
ufficialmente, fino allosso e irrimediabilmente cattolici», per
spiegare che la macroevoluzione non funziona semplicemente
perché è una teoria, filosofica e scientifica, falsa e infondata?
* Vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche
«Il Giornale» del 3 aprile 2010
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28/08/2010 20:53
 
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IL NEODARWINISMO, E LE SUE PRETESE

L’uomo ha avuto la necessità di classificare e ordinare in gruppi tutti gli esseri viventi. Gli organismi viventi sono stati divisi in generi (gruppi di viventi con specifiche caratteristiche) e specie, identificate , oltre che dalle caratteristiche comuni anche dalla possibilità di generare individui.

Il regno dei viventi è diviso in 5 gruppi che partono dal più semplice, quello delle Monere, fino al regno degli animali, quello più complesso. Il regno animale comprende milioni di specie differenti. Tra le molteplici specie appartenenti al mondo animale, l’uomo ha specificato diversi gruppi di appartenenza partendo da una prima e fondamentale differenziazione: esseri vertebrati ed esseri invertebrati. Senza addentrarci nella complessa rete gerarchica della divisione che l’uomo ha riscontrato si può certamente essere d’accordo nel sostenere che le varie classificazioni sono riferite a caratteri comuni e ben precisi che evidenziano l’appartenenza ad una o ad un altro genere familiare che comprendono le varie specie (famiglia lupo/cane che comprende le diverse specie di cani).

Ciò che possiamo osservare è che qualsiasi genere/specie ha una serie di caratteristiche semantiche “ferme nel tempo”; si può catalogare ogni essere vivente nel suo genere/specie di appartenenza, sia vivo che morto, ciò non cambia nulla, le sue peculiarità di appartenenza ad una o ad un altro genere/specie restano comunque invariate. I caratteri di appartenenza ad una o ad altra genere/specie sono ben catalogate e rigorosamente precise in tutti i manuali di scienze naturali, i canoni di identificazione sono ben definiti e dettati da un ben limitato campo variabile.

Quindi, come tutti i manuali specificano, i generi familiari hanno caratteristiche ben definite e ben fissate nel tempo. La teoria di Darwin, che si basa sulla evoluzione della specie, ha alla base un concetto ben preciso che è quello della variazione nel tempo. La contraddizione della teoria applicata al dato certo, fissità del genere familiare di appartenenza, dimostra l’irragionevolezza delle argomentazioni a sostegno della predetta teoria.

Non è possibile conciliare ciò che è accettato da tutti, cioè la catalogazione del genere familiare/specie, con una teoria che ne vuole contraddire l’essenza, cioè la fissità nel tempo dalle famiglia di genere a cui appartiene la specie, con un’ipotesi non verificata ed evidentemente in contrasto con la più elementare capacità raziocinante dell’essere umano.

L’illogicità della pretesa neodarwiniana è assoluta. Ogni essere vivente, come d’accordo, ha una sua specifico genere e specie di appartenenza, un essere in fase di “trasformazione” a quale genere/specie apparterrebbe? Con chi si potrebbe riprodurre? E’ evidente che non avrebbe catalogazione e quindi andrebbe in contrasto con ciò che è certo, cioè il concetto specifico di appartenenza di ogni essere vivente ad un genere e conseguentemente alla sua specie. E’ la scienza stessa che nega ogni validità scientifica alla scuola di Darwin.
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02/05/2011 16:15
 
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L'Archaeoraptor: una menzogna evoluzionista!
Laurent Glauzy
Nel 1999, i difensori dell´evoluzionismo pretendono di aver trovato "l´anello mancante" tra il dinosauro
e l´uccello. Di cosa si tratta? In Cina, nella provincia di Lianing, è stato scoperto uno strano fossile:
rassomiglia a una strana creatura, metà dinosauro e metà uccello: un dinosauro con le ali e delle piume,
o un uccello con una coda e dei denti di dinosauro.
Lo si chiama Archeoraptor. La corrente evoluzionista è in subbuglio. Alcune settimane dopo, una
èquipe di ricercatori cinesi dichiara che l´Archeoraptor è falso. Tuttavia, un gran numero di scienziati
avevano frettolosamente dichiarato che questo fossile era un uccello della preistoria[1]. Cos´è dunque
avvenuto? Dei contadini cinesi molto scaltri realizzano che c´è un mezzo molto semplice per
guadagnare parecchio denaro sovrapponendo due veri fossili. Il primo è il corpo di uno Yanornis, una
specie estinta di uccelli mangiatori di pesci, e il secondo riproduce la coda di un piccolo dinosauro.
Immediatamente e senza riserve, la stampa si impadronisce dell´informazione. L´impatto è enorme!
Giacchè l´Archeoraptor stabilisce i dogmi sull´evoluzione della specie. Si può infine rispolverare
Darwin e i suoi scritti fantasmagorici. Si può anche dire che "i dinosauri non sono scomparsi. Essi si
sono sparsi con prodigalità sulla terra sotto forma di uccelli. Gli uccelli discendono dunque dai
dinosauri". Il celebre National Geographic[2] dà il tono. Esso chiama l´animale fossile: Archaeoraptor
liaoningensis. I suoi lettori devono essere soddisfatti di tanta scienza. Che fortuna! Sotto il titolo
Feathers for T. Rex (Delle piume per T. Rex) Christopher Sloan, uno dei principali redattori della rivista,
annuncia fieramente la novità: "Possiamo ora dire con certezza che gli uccelli sono dei Terapodi (una
sorta di dinosauri), come possiamo affermare che gli uomini sono dei mammiferi". Disegni
rappresentanti dei dinosauri con le piume compongono l´iconografia del dossier.
Tutto è convenuto, confermato e sentenziato dalla scienza dei tempi moderni. Giornali, riviste e
pubblicazioni popolari, di divulgazione scientifica, diffondono all´unisono l´informazione.
Il Museo di Storie naturali (Museum voor Natuurwetenschappen) di Bruxelles organizza, dal 25 ottobre
2002 al 25 maggio 2003, l´esposizione Dig a Dino. Nulla è lasciato al caso! Nel dossier didattico
(pagina 13) sotto il titolo Nu bestaan er nog altijd dinosauriërs! (I dinosauri esistono ancora!), è scritto:
"I dinosauri non sono completamente scomparsi. Alcuni Terapodi, piccoli dnosauri carnivori, sono
evoluti in uccelli! L'Archaeopteryx, di cui si erano trovati sette scheletri ben conservati in Baviera,
sarebbe uno di questi primi uccelli. La maggior parte dei Paleontologi penso anche che gli uccelli sono
dunque dei dinosauri a parte intera...". Allucinante! Segnaliamo che Fred Hoyle e una èquipe di
scienziati hanno tra l´altro denunciato che il "fossile" dell´Archaeopteryx (sorta precedente di
Archaeoraptor) esposto al British Museum, era stato fabbricato con del gesso e dei fini tratti di pittura
disposti su uno strato iniziale di calcare. E, colmo del ridicolo, vi erano riconoscibili le impronte dei
falsari[3].
Nell´articolo intitolato Dino's in je tuin! (Il Dino è nel tuo giardino!), Zonneland scrive sulla
esposizione: "I Dinosauri non sono scomparsi. Quasi tutti gli scienziati sono ora convinti che essi sono
gli antenati degli uccelli. Di conseguenza, ciò che vediamo nei nostri giardini, sono delle versioni
moderne di dinosauri[4]". Il reputatissimo giornale olandese Het Nieuwsblad titola in maniera esplicita:
"Dino is verwant met specht" (Il Dinosauro è parente del picchio[5]).
Lontano da questo baccano mediatico, degli scienziati (evoluzionisti) hanno preferito mantenesi freddi.
Alan Feduccia, ornitologo di fama mondiale e autore di una enciclopedia sugli uccelli viventi e
fossilizzati, afferma che gli uccelli non possono discendere dai dinosauri. Oltre a importanti differenze
relative alle strutture polmonari, embrionali e digitali, l´anatomia generale del dinosauro è troppo
lontana da quella dell´uccello: i dinosauri possiedono una grande coda e delle grandi zampe posteriori,
mentre sulla parte superiore del loro corpo le zampe sono piccole. Sempre sotto un´angolazione
evoluzionista, le datazioni fissano l´apparizione dell'Archaeoraptor a milioni di anni dopo quella delle
prime specie di uccelli.
2
Peraltro, al fine di cercarvi un secondo fossile, dei paleontologi cinesi si portano sui luoghi
dell´Archaeoraptor. Cosa vedono? Dei contadini che dissotterrano dei fossili e li vendono di
contrabbando ad aquirenti stranieri. Quando il responsabile della spedizione, il ´paleontologo Xu Xing,
trova un fossile somigliante stranamente alle fotografie del National Geographic, allora gli si dice che
l'Archaeoraptor non esiste. È questo assemblaggio di due fossili, che ha bizzarramente ingannato la
serietà e la prudenza degli "scienziati" del National Geographic.
La verità ora è divulgata da altri giornali. L'articolo Piltdown Bird (l'uccello di Piltdown) del mensile
New Scientist, del gennaio 2000, racconta i fatti ricordando un´altra frode, quella dell´uomo di
Piltdown, sapientemente ribattezzato Eanthropus Dawsoni. Anche allora gli evoluzionisti reclamano di
aver trovato "l´anello mancante", quello che proverebbe che l´uomo discende proprio dalla scimmia.
Riassumiamo i fatti: Piltdown si situa nel sud dell´Inghilterra. Nel 1912, nella contea del Sussex, vien
"trovato" un cranio che sarà esposto per quarant´anni al British Museum. Questo cranio è il volgare
montaggio di una mascella di Orangutan nella quale sono stati fissati dei denti limati e invecchiati per
farli credere di un uomo preistorico. Il tutto viene poi adattato a un cranio d´uomo[6]. Il celebre
modernista e framassone di alto grado[7], il Padre Gesuita sviato Pierre Teilhard de Chardin, è accusato
dal paleontologo americano Stephen Jay Gould di aver contribuito a questo imbroglio[8]. Ricordiamo
che gli uomini di Neandertal, del Nebraska, di Java, Lucy, sono ugualmente il risultato di altre ben tristi
mistificazioni, "compilazioni" scientifiche per le quali le "prove" non mancavano[9], che sotto la
direzione del Dottor Tite, il British Museum non ebbe al contrario nessuno scrupolo a utilizzare il
contestatissimo Carbonio 14 e a decretare che la Sacra Sindone era un falso del Medio Evo: "l´intervallo
di datazione del tessuto della Sindone determinato con un tasso di affidabilità del 95% si situa tra il
1260 e il 1390 della nostra èra"[10]. In compenso, il British Museum non si pronuncia sulla tecnica di
"fabbricazione" della Santa Sindone. Conveniamo che il "falsario" della Sacra Sindone doveva essere un
genio sorprendente. Egli è riuscito a fare una cosa che la "scienza" non riesce né a rifare né a spiegare! É
dunque in anticipo sulla scienza del XX secolo! D´altronde, noi non abbiamo cessato di scrivere che
sono i Rockefeller e i Carnegie che hanno fornito i supporti finanziari per lo sviluppo del Darwinismo
negli Stati Uniti. Tutto quadra!. Ancora una volta, questi elementi ci obbligano a domandarci se
l´evoluzionismo non sia l´espressione degenerata di un complotto anti-Dio ordito dalla piramide di
Satana sotto la ferula di talmud-finanziari dirigenti una coorte di valletti servitori, massoni, gli stessi
cavalli di Troia infiltrati nella Chiesa moderrnista!
Comunque sia, gli scribacchini del National Geographic sembrano poco ispirati dalle rivelazioni fatte
sull´Archaeoraptor. L´edizione del marzo 2000 concede con avarizia 10 righe, nelle colonne delle
lettere ai lettori, e 5 nella pubblicazione dell´ottobre 2000. Neanche la grande stampa è più coraggiosa.
Essa tarda a trasferire l´informazione sulla vera natura dell´Archaeoraptor. Tre anni dopo l´uscita del
sensazionale dossier del National Geographic e senza magna pompa, Kits vi si rassegna nel suo n° 7 del
1° dicembre 2002 (pagina 3), Het Nieuwsblad (pagina 1 dei programmi TV) il 5 gennaio 2003, Gazet
van Antwerpen (pagina 29) il 6 gennaio 2003. La stampa televisiva olandese ha fatto lo stesso sulle
catene informative Overleven e Canvas il 5 gennaio 2003 alle ore 21[11].
"Un po´ di scienza allontana da Dio, molta scienza avvicina". (Luis Pasteur)
Lblancy@aol.com
[1] Kits (bi-mensuel pour adolescents ) du 01/12/02 ; p.3.
[2] National Geographic n° 196 de novembre 1999 ; pp 98-107.
[3] Philip Stott dans De mythe van de evolutie (1993) ; p. 19.
[4] Zonneldand (84è année) n° 5 du 04/10/02 ; p.16.
[5] Het Nieuwsblad du 20/12/02, p. 20.
[6] De mythe van de evolutie ; p. 20.
[7] Johannes Rothkranz dans Die kommende Diktatur der Humanität oder die Herrschaft des
Antichristen; vol. III, p. 35.
[8] www.dinosoria.com/piltdown.htm.
[9] Cf. Créationnisme et géocentrisme, ces autres révisionnismes (LJ n° 307 du 20/11/03) p. 19-a.
[10] hcrouzablanque.free.fr/parties/pre.htm.
[11] Leviathan n°27 d'avril 03.
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01/10/2011 20:38
 
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Antibiotici:    smentita definitivamente l’evoluzione dei batteri

Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Enzo Pennetta, biologo e insegnante di scienze naturali, laureatosi nel 1984 in Scienze biologiche presso l’Università “La Sapienza” e nel 1989 in Farmacia sempre presso la stessa università. E’ autore del libro Inchiesta sul darwinismo: come si costruisce una teoria” (Cantagalli 2011), ricostruzione storica del progressivo inserimento della teoria di Darwin all’interno del dibattito scientifico e della realtà sociale, dando origine al complesso fenomeno del “darwinismo”.

 

di Enzo Pennetta*
*biologo (www.enzopennetta.it)

 

Quante volte abbiamo sentito dire che l’evoluzione dei batteri è dimostrata dalla loro capacità di sviluppare la resistenza agli antibiotici? Effettivamente si tratta di un “mito” che, nonostante le smentite, ha attraversato inalterato i decenni, così come i grafici con l’evoluzione del cavallo e i disegni taroccati di Haeckel con la falsa somiglianza tra gli embrioni.

Come già anticipato, l’idea che i batteri potessero “evolvere” acquisendo un nuovo carattere per la resistenza agli antibiotici, venne già smentita negli anni ’50, quando i genetisti americani Joshua ed Esther Lederberg, fecero degli esperimenti utilizzando la tecnica del replica plating, consistente nel preparare due colonie batteriche identiche e sottoporne solo una all’azione degli antibiotici. La colonia mostrò che alcuni batteri avevano sviluppato la resistenza all’antibiotico e che tutte le generazioni successive la mantennero dimostrando che si trattava di una caratteristica genetica. Andando però a confrontare la posizione delle popolazioni resistenti con la piastra messa da parte (identica a quella utilizzata) scoprirono che i batteri resistenti agli antibiotici erano già presenti anche in quella, e nelle stesse posizioni in cui erano “comparsi” i batteri “evoluti” in quella utilizzata per l’esperimento. La conclusione dello studio di Joshua ed Esther Lederberg fu che la capacità di resistere agli antibiotici non è una nuova caratteristica, e che quindi non dimostra che si sia in presenza di un caso di evoluzione.

Ma, sempre in tema di resistenza agli antibiotici, è di questi ultimi tempi la notizia che il microbiologo Martin J. Blaser, della New York University, analizzando dei batteri ritrovati nel permafrost dello Yukon, e risalenti a 30.000 anni fa, ha scoperto che essi contengono i geni per la resistenza a numerosi antibiotici. Ne dà notizia il New York Times del 31 agosto 2011 in un articolo intitolato: “Researchers Find Antibiotic Resistance in Ancient DNA. Va inoltre tenuto conto del fatto che i batteri possono trasmettere facilmente la capacità di sopravvivere agli antibiotici, infatti possono scambiarsi il gene per la resistenza come “si condividono le figurine”: «I batteri condividono questi geni l’uno con l’altro come le figurine di baseball», ha commentato infatti al riguardo il microbiologo Stuart Levy della Tufts University.

In definitiva si potrebbe dire che si tratta di una specie di esperimento di replica plating condotto su scala planetaria, e in più con una coltura “messa da parte” 30.000 anni fa. Ma se la resistenza agli antibiotici era presente circa 30.000 anni prima del loro utilizzo in terapia, come sarebbe possibile dire che i ceppi oggi resistenti siano un esempio di evoluzione della specie provocato dai farmaci? Questo dovrebbe implicare che la resistenza sviluppata dai batteri verso gli antibiotici non potrà più essere proposta come una dimostrazione dell’evoluzione secondo i meccanismi neo-darwiniani.

In teoria sì, ma si accettano scommesse sul contrario.

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10/10/2011 22:57
 
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E se l’evoluzione fosse prevedibile?

di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.

 A quanto pare, i paladini del neo-darwinismo non se la stanno passando troppo bene, ultimamente. Uno smacco recente è venuto dall’Australopithecus sediba, un ominide che pare dare fastidio comunque lo si classifichi: se fosse un nostro antenato diretto, infatti, metterebbe in dubbio il gradualismo darwiniano sullo sviluppo cerebrale; se non lo fosse… farebbe fare una figura barbina ai divulgatori che l’avevano già definito – un po’ troppo frettolosamente – il mitico “anello mancante” tra Australopithecus e Homo.

Nel mese di agosto, poi, è apparso su Nature un articolo dal titolo apparentemente innocuo (“L’evoluzione parallela di specie domestiche di “Caenorhabditis” si concentra sui geni dei recettori feromonici”), ma dal contenuto alquanto fastidioso per i seguaci di Dawkins. Il concetto chiave, qui, è “evoluzione parallela”: in pratica, il lavoro dimostra che popolazioni distinte di una stessa specie – o addirittura specie diverse – evolvono in maniera identica a parità di condizioni ambientali. Il che porterebbe a concludere che l’evoluzione biologica sia, in qualche misura, scientificamente prevedibile. Vediamo dunque come sono andate le cose per i nostri vermetti, secondo quanto riportato da ScienceNow.

Cinquanta anni fa, alcuni biologi americani cominciarono ad allevare una specie di vermi nematodi, la Caenorhabditis elegans. Ora, un verme neonato ha davanti a sé due possibili strade: o matura in tre giorni, si riproduce e poi muore in capo a due settimane; oppure entra in uno stato di animazione sospesa, detto “larva dauer”. Le larve dauer non mangiano, e possono sopravvivere a condizioni ambientali estreme per mesi, prima di diventare adulti. Normalmente sono la carenza di cibo, la temperatura sbagliata o l’affollamento eccessivo a provocare questa trasformazione. I vermi si accorgono di essere in tanti grazie alle particolari molecole emesse dai propri simili, i feromoni: quando c’è troppo feromone in giro, diventano larve dauer.

Nel 2009, i ricercatori della Rockfeller University di New York notarono che una certa varietà da laboratorio di Caenorhabditis elegans aveva iniziato a comportarsi in maniera diversa: i giovani maturavano rapidamente nonostante l’affollamento, e non diventavano quasi mai larve dauer. In natura, l’affollamento corrisponde in genere a carenza di cibo, perciò ha senso che un verme “entri in letargo” in attesa di tempi migliori. In laboratorio, dove c’è sempre nutrimento in abbondanza, gli individui di maggior successo sono invece quelli che ignorano il segnale di “troppa folla” e si riproducono velocemente. Gli scienziati della Rockfeller sono riusciti a scoprire una particolare mutazione genetica che elimina due geni responsabili di un certo recettore di feromoni; la perdita di questi geni ritarda la riproduzione, mentre il recupero di uno dei due spinge i vermi alla maturazione. Si è così scoperto che la presenza o l’assenza di questi geni determina la velocità di maturazione e riproduzione dei vermi. Soddisfatti di aver trovato la causa genetica del cambiamento evolutivo, i ricercatori hanno cercato di capire se la stessa eliminazione di geni fosse coinvolta in altri casi di sparizione dello stato dauer. È saltato fuori che un gruppo di Caenorhabditis elegans, preparate per un esperimento da eseguire sullo Space Shuttle Columbia, si adattava all’affollamento seguendo esattamente la stessa strada genetica. Ma la sorpresa maggiore è venuta dall’analisi di un’altra specie di nematodi da laboratorio, la Caenorhabditis briggsae, che a sua volta aveva recentemente perso lo stadio dauer. Il fatto è che la specie C. briggsae si è separata dalla C. elegans ben venti milioni di anni fa, abbastanza da avere geni dei recettori feromonici diversi. Ciononostante, è risultato che ai vermi della C. briggsae mancavano i geni che sono gli equivalenti più prossimi a quelli mancanti alla C. elegans.

Lo studio pubblicato su Nature, in definitiva, sembrerebbe suggerire una considerazione “pericolosa”: l’evoluzione, lungi dal procedere a tentoni, in qualche modo sa esattamente dove andare. Questo punto di vista, nettamente in contrasto con la filosofia neo-darwinista, è in realtà confortato da altre ricerche indipendenti: qui si può vedere, per esempio, un lavoro su specie affini alla Drosophila Melanogaster, che conferma l’evoluzione genetica parallela sotto identiche pressioni ambientali.

Cosa si può arguire, in generale, dalle ricerche citate? Secondo alcuni, come Simon Conway Morris, se ne potrebbe addirittura dedurre che la comparsa dell’Uomo non sia affatto il risultato inaspettato di una storia totalmente contingente, ma che sia invece in qualche modo implicita nelle leggi dell’Universo – quindi inevitabile. Praticamente, il contrario di quanto va sostenendo il filosofo Telmo Pievani. Altri, come gli esobiologi della Stanford University, sembrano avvicinarsi alle posizioni di Conway Morris, rimanendo però possibilisti sull’effettivo ruolo della contingenza nell’evoluzione dell’Uomo – un ruolo che sarebbe comunque significativo, ma non preponderante. D’altra parte, essi riconoscono francamente che la comparsa di esseri intelligenti nell’Universo deve essere in ogni caso un evento rarissimo, se non unico. Insomma, sembrerebbe quasi che le leggi fisiche fondamentali, le leggi dell’evoluzione biologica e l’intreccio di innumerevoli eventi contingenti (in proporzione ancora sconosciuta) abbiano concorso alla comparsa necessaria di almeno un organismo vivente capace di comprendere l’Universo – e forse di non più di uno. Comunque stiano le cose, però, a quanto pare la scienza sta ormai cominciando seriamente a chiedersi se davvero il neo-darwinismo sia l’unico, e definitivo, schema in cui è possibile inquadrare lo studio dell’evoluzione.

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19/11/2011 23:33
 
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Nick Matzke ammette che la selezione naturale

non spiega l’evoluzione


di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico

 

I frequentatori del sito UCCR conoscono molto bene il nostro interesse per le ricerche scientifiche che, sempre più chiaramente ormai, evidenziano l’incapacità del paradigma darwinista nello spiegare i meccanismi evolutivi (vedi, per degli esempi recenti, qui, qui, e qui). I nostri lettori sanno anche che – contrariamente a quanto la divulgazione scientista tende a far credere – esistono diversi approcci critici al darwinismo, tutti razionalmente validi, e che l’UCCR non propende pregiudizialmente per nessuno (vedere qui, per citare solo un caso tra i tanti).

Siamo sicuri solo di un fatto (che riteniamo ampiamente sostenuto dai risultati scientifici): il meccanismo darwiniano di mutazione casuale/selezione naturale non è in grado di rendere conto della comparsa di nuova informazione biologica – vale a dire, della speciazione o macro-evoluzione. Fatta questa doverosa premessa, passiamo ad analizzare il caso scientifico da cui è emersa la sorprendente dichiarazione del darwinista Mick Matzke.

Dunque, tutto nasce da un articolo di Dennis Venema (“L’evoluzione e l’origine dell’informazione biologica”, Parte 1 e Parte 2) pubblicato sul blog di BioLogos – l’organizzazione fondata dal genetista Francis Collins allo scopo di promuovere l’integrazione tra scienza e fede cristiana. Nella seconda parte, Venema esprimeva la sua opinione che il punto di vista dell’Intelligent Design (vale a dire, l’idea che dell’informazione complessa specificata non possa comparire attraverso meccanismi naturali) sia errata, portando – a sostegno della sua tesi – i risultati del lavoro pluriennale di Richard Lenski sull’Escherichia coli, il cosiddetto Long Term Evolution Experiment (Esperimento di Evoluzione a Lungo Termine). Nel settembre 2011 Casey Luskin, del Discovery Institute (il centro studi del movimento dell’Intelligent Design), dà il via a una lunga risposta, suddivisa in otto parti, alla provocazione di Venema. Fin qui, secondo me, niente di particolarmente nuovo o strano: fa tutto parte della normale dinamica interpretativa dei risultati scientifici, soprattutto quando questi riguardano i meccanismi dell’evoluzione; e in certi casi la dialettica tra due punti di vista quali quello dell’Intelligent Design e del BioLogos – sebbene indubbiamente entrambi critici della filosofia darwinista – può assumere toni anche abbastanza accesi.

Qualcosa di molto interessante, invece, è accaduto nei commenti al quinto articolo della serie di Luskin. Qui, infatti, è intervenuto a un certo punto Nick Matzke, già portavoce del National Center for Scientific Education e noto ultra-darwinista. Per capire bene come siano andate le cose, mi riferirò da qui in avanti al resoconto che ne dà lo stesso Casey Luskin dalle pagine di Evolution News.  Discutendo con Luskin di un vecchio articolo comparso su Nature, relativo all’evoluzione di un certo gene presente nei maschi della Drosophila (indicato come “Sdic”), Matzke ammette – sorprendentemente – che la “spiegazione più dettagliata” della sua origine secondo lo schema evolutivo darwiniano è un caso in cui non si sa nemmeno dire quale fosse l’ipotetica funzione per cui la selezione naturale stava operando. Nonostante ciò, Matzke afferma che “nessuno è riuscito a fornire una spiegazione migliore”!
Si noti che gli autori del lavoro sulla Drosophila avevano affermato, nell’articolo in questione: “Non sappiamo ancora come [il gene] Sdic contribuisca alla funzione dell’assonema spermatico, o perfino se sia essenziale per la fertilità maschile [...] Sebbene un promotore specifico testicolare sia essenziale per [il gene] Sdic, questa insolita regione regolatrice non si è realmente ‘evoluta’. Essa era, al contrario, originale, creata de novo dalla giustapposizione fortuita di sequenze [genetiche] opportune”

Luskin fa notare a Matzke che la sua affermazione ha conseguenze alquanto funeste per la filosofia darwinista: “Se si asserisce che la selezione naturale era all’opera, e non si sa nemmeno esattamente quale funzione veniva selezionata, allora non si sa molto, e certamente non si è dimostrato che la selezione naturale fosse all’opera [...]. Hai appena ammesso che la “spiegazione più dettagliata” dell’evoluzione di un gene rappresenta un caso in cui i ricercatori: non conoscono nemmeno la precisa funzione del gene; perciò non sanno esattamente quale funzione veniva selezionata; e perciò non sanno se ci sono passi che richiedano mutazioni multiple per garantire un vantaggio [evolutivo];
• e perciò non hanno nemmeno iniziato a dimostrare che i geni possano evolvere in maniera passo-passo;
• e perciò non sanno se ci siano sufficienti risorse probabilistiche per produrre [direttamente] il gene mediante duplicazione+mutazione+selezione.
In effetti, hai appena ammesso che le spiegazioni darwiniane dell’origine dei geni sono incredibilmente povere di dettagli

Luskin conclude: “In quanto indicazioni rivelatrici della forza delle spiegazioni darwiniane, i commenti di Matzke dovrebbero preoccupare i suoi colleghi attivisti nella lobby dell’evoluzione”. Non possiamo che concordare.

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08/12/2011 22:05
 
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L’imbarazzante silenzio di Richard Dawkins sull’evoluzione…

C’è un video che gira da anni, maggiormente promosso con tutta evidenza dal movimento creazionista, nel quale il più famoso difensore del neo-darwinismo nonché il maggiore leader dell’ateismo militante moderno, Richard Dawkins, rimane in assoluto e imbarazzato silenzio per ben 17 secondi alla domanda: “Ci può fare un esempio di una mutazione genetica o di un processo evolutivo in cui si possa vedere un incremento di informazioni nel genoma?”.

Il fatto è avvenuto molto prima che il noto zoologo andasse in pensione annunciando: Ho fallito: ho perso la mia battaglia per l’ateismo, riconoscendo di non aver intaccato la fede dei credenti ma solo di aver contribuito alla crescita del creazionismo. E’ avvenuto molto prima di quando il biologo premio Nobel Gerald Edelman ha respinto completamente l’unico argomento scientifico per cui è conosciuto Dawkins, ovvero il concetto del “meme”. Ed è avvenuto molto prima di quando l’ormai pensionato neodarwinista è stato letteralmente coperto di insulti dagli iscritti (e abbandonato da tanti di loro) al suo sito web per aver osato inserire una sorta di filtro per le eccessive offese verso i credenti.

 

Come si vede, Dawkins chiede imbarazzato di fermare la registrazione e poi riprende senza rispondere alla domanda. Come ha fatto notare il biologo Enzo Pennetta, che ha pubblicato recentemente questo filmato sul suo sito web www.enzopennetta.it, è abbastanza incomprensibile che non si possano mostrare casi verificati e osservabili di evoluzione in atto al di fuori della “favoletta” della solita Biston betularia, che non è affatto tale, come d’altra parte cominciano a riconoscere numerosi evoluzionisti (uno su tutti Michael Majerus, docente di Cambridge e tra i più importanti esperti di farfalle al mondo, ma anche uno dei suoi più noti promotori, Jerry Coyne). Nel migliore dei casi, infatti, si tratta di un altro esempio di microevoluzione, uno dei tanti che viene registrato continuamente (al contrario di quanto sostengono i creazionisti). Anche se, c’è perfino il dubbio nella comunità scientifica che questo tipo di farfalle allo stato selvatico si posi davvero sui tronchi di betulle, dato che si è scoperto che molte fotografie presenti sui libri di testo sono state inscenate appositamente (una sorta di Uomo di Piltdown moderno, insomma).

La selezione naturale, comunque, non può spiegare la forma e l’esistenza di tutti gli esseri viventi poiché non crea alcuna novità, non ne ha il potere. E Dawkins lo sa benissimo, come si è potuto notare, tant’è che non riesce a dimostrare il contrario. Lo ha riconosciuto anche Gerd Müller, tra i più prestigiosi evoluzionisti europei, docente presso l’Università di Vienna dove dirige il Dipartimento di Biologia teorica, speaker del Center for Organismal Systems Biology e grande esperto di EvoDevo. Ha scritto nel 2003: «Nel mondo neodarwiniano il fattore motivante del mutamento morfologico è la selezione naturale, che può spiegare la modificazione e la perdita di alcune parti del corpo. Ma la selezione non ha capacità innovativa: elimina o conserva ciò che già esiste. Gli aspetti generativi e ordinatori dell’evoluzione morfologica sono pertanto assenti dalla teoria evoluzionistica» (G. Müller, “Homolgy: The Evolution of Morpholigical Organization”, Mit Press, Vienna Series in Theoretical Biology, Harvard 2003, pag. 51)

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08/12/2011 22:10
 
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[Modificato da Credente 11/05/2021 13:38]
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01/09/2012 23:01
 
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L’antropologo Tattersall
spiega l’inadeguatezza della spiegazione neodarwinista

Il celebre antropologo Ian Tattersall, responsabile della divisione di Antropologia dell’American Museum of Natural Historydi New York, fondatore della Hall of Human Biology and Evolution dell’American Museum e vincitore del prestigioso premio W. W. Howells dell’American Anthropologican Association, è uno dei tanti scienziati in opposizione alla teoria del “neo-darwinismo”, ovvero una delle posizioni che cercano di spiegare l’evoluzione biologica, cioè un fatto in gran parte supportato -per quanto riguarda la “microevoluzione”- da innumerevoli evidenze fossili.

Una teoria -quella neodarwinista- che però vieneindebitamente esaltata per pure ragioni ideologiche e anti-teiste, tanto che lo stesso termine “neo-darwinismo” è diventato ambiguo, sinonimo di una posizione filosofica più che di una ipotesi scientifica. Per molti non è nemmeno una spiegazione scientifica, come tutto quel che termina con -ismocome ha spiegato il biologo darwinista Francisco Ayala: «noi scienziati parliamo di Darwin, non di darwinismo o neodarwinismo». Per altri il neodarwinismo è una tautologia, anzi una vera e propria anti-teoria come l’ha chiamata il premio NobelRobert Laughlin (R.Laughlin ‘Un Universo Diverso’ Codice Editore) e come ben spiegatodal dott. Alessandro Giuliani. Al neodarwinismo si oppongono sempre più studiosi per mere questioni scientifiche (un esempio qui), come hanno fatto Massimo Piattelli Palmarini Jerry Fodor nell’ormai noto volume “Gli errori di Darwin” (Feltrinelli 2010), ma tanti altri sono anche interessati a confutarne le pretese filosofiche di stampo riduzionista che vengono diffuse attraverso tale teoria, anche correndo il rischio di essere tacciati di “creazionismo” (che è un po’ uno spauracchio usato in modo molto simile all’accusa di “omofobia”).

Tattersall, ospite del “Meeting per l’amicizia tra i popoli” 2012, evento culturale organizzato da Comunione e Liberazione, sembra posizionato ad un’opposizione puramente scientifica, come già aveva fatto notare in precedenza il prof. Enzo Pennetta (anche più recentemente). Ha infatti respinto in una recente intervista l’idea di unaevoluzione lineare e graduale, così come vuole il cardine del neodarwinismo (una sorta di continuum tra i primati e l’uomo), affermando: «L’idea di una evoluzione graduale era la posizione degli scienziati che hanno elaborato la cosiddetta teoria sintetica nella prima metà del secolo scorso e che riducevano i fenomeni evolutivi alla competizione e selezione naturale. Verso gli anni ‘70 però è diventato sempre più chiaro che questo modello non era adeguato. Soprattutto la documentazione fossile mostrava l’evidenza di un cammino con interruzioni e periodi di assenza di cambiamento». Questo ovviamente riduce il ruolo della selezione naturale, esaltata come unica spiegazione dai filosofi infervorati come Telmo Pievani e gli scienziati controversi come Richard Dawkins. E infatti, ha continuato l’antropologo americano: «Ciò significa che la selezione naturale non è l’unico fattore dei cambiamenti evolutivi e che altri agenti sono coinvolti, comprese le interazioni con l’ambiente: i mutamenti ambientali sono in effetti un grande “driver” dell’evoluzione. Naturalmente interviene anche il caso. Bisogna però considerare che quando parliamo dei processi evolutivi spesso siamo portati a semplificare le cose: in realtà noi non guardiamo al singolo processo ma a una storia fatta dall’accumularsi di molti e diversi elementi».

Soffermandosi sul ruolo del “caso”, tanto a cuore agli anti-teisti, ha però puntualizzato:«Caso è una parola delicata. Certo, il caso è un elemento presente in tutta la nostra esperienza umana e non è incomprensibile che nel corso dell’evoluzione biologica intervengano cambiamenti casuali, insorgano differenze e variazioni, dovute anche al fatto che cambia l’ambiente, che si verificano fenomeni improvvisi, disastri naturali, a volte catastrofici. La mia idea della selezione naturale è che sia molto importante ma cheagisca più nelle fasi di stabilizzazione delle popolazioni che nel produrre le novità e i mutamenti. Per spiegare questi bisogna introdurre altri fattori». L’antropologo dunque concorda con il celebre  biologo e genetista statunitense Richard Lewontinsecondo cui«il segreto, ancora largamente misterioso, risiede senz’altro in proprietà interne, nell’organizzazione dei sistemi genetici, non nella selezione naturale», e in un’altra occasione: «la teoria di Darwin della selezione naturale ha delle falle fatali».

Tattersall tuttavia non concorda con il paleontologo Simon Conway Morris secondo cui la comparsa dell’Homo Sapiens sarebbe stata inevitabile, ma ci tiene comunque a ribadirel’unicità dell’uomo rispetto a tutte le altre creature: «noi uomini ricostruiamo il mondo nella nostra testa e produciamo oggetti frutto di questa rielaborazione; non ci limitiamo, come altri animali, a reagire agli stimoli che arrivano dal mondo. Pensando alle grandi scimmie, capita spesso di sentire dire che “hanno fatto cose che finora si pensava facessero solo gli uomini”: tuttavia non si può affermare che arrivino ad avere una capacità simbolica. È questo l’abisso cognitivo tra noi e le scimmie». E sopratutto: «il passaggio dall’Homo ”non simbolico” all’Homo ”simbolico” era impensabile, ma è accaduto; ed è accaduto in un unico evento, non gradualmente».

Sotto l’intervista di Tattersall, pubblicata su “Ilsussidiario.net” ha commentato il prof.Andrea Moro, linguista e neuroscienziato, ordinario di linguistica generale presso la Scuola Superiore Universitaria IUSS Pavia dove è responsabile della Classe di Scienze Umane e presso l’università Vita-Salute San Raffaele. Ha voluto sottolineare che secondo lui «la posizione importante di Tattersall sottolinea un filone di ricerche ben affermato: le scimmie non parlano “perché non possono”. Tuttavia il motivo, a mio avviso, non sta nella simbolizzazione [...]. La vera differenza, come intuì Cartesio, sta semmai nel fatto che nessun animale può ricavare senso dalla combinazione dei simboli, cioè da quello che dall’epoca ellenistica chiamiamo “sintassi” [...]. Ed è proprio dalla combinazione di simboli, dalla sintassi cioè, che si spalanca l’infinito nel linguaggio umano, e solo in quello. È questo il fatto inaspettato e clamoroso che differenzia noi da tutti gli altri animali. E questo “infinito presente” è anche alla base di altre capacità cognitive umane come la musica. Come diceva Chomsky negli anni 50 del secolo scorso “gli esseri umani sono progettati in modo speciale” per apprendere il linguaggio secondo modalità che ci portano dritti a riconoscere il mistero».

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13/07/2013 22:12
 
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La genetica moderna ha smentito
il darwinismo classico

Genetica 
 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

L’origine in Terra di tante forme di vita, diverse eppure simili, è un problema che ha interrogato l’uomo da sempre, dando luogo a miti e speculazioni. Nel 1837 Charles Darwin, alla fine di un “lungo ragionamento” iniziato col suo viaggio intorno al mondo – durante il quale aveva osservato ambienti diversissimi, dal Sud America all’Africa, dall’Australia all’Asia, raccogliendovi oltre 4.000 reperti di specie vegetali ed animali – credette di aver trovato la risposta nel binomio caso + selezione naturale.

Per Darwin, dati uno o pochi organismi iniziali sulla cui origine egli non avanzò ipotesi, tutte le specie si sono sviluppate l’una dall’altra; e il motore dell’evoluzione (durata 4 miliardi di anni, come ora si ricava dalle età dei fossili) sta nella successione di piccole mutazioni casuali, i cui effetti cumulativi sulle prestazioni degli individui sono selezionati; con la sopravvivenza dei più efficaci a moltiplicarsi nel loro habitat. Come l’atleta mosso dalla competizione rafforza con l’allenamento i muscoli e progredisce nelle sue performance, così la lotta quotidiana per la ripartizione delle risorse adattò i becchi dei fringuelli alle specialità alimentari di ogni isola delle Galapagos moltiplicandone le varietà. Lo stesso accadde altrove per le altre specie, via via fino a coprire mare, terra e cielo delle più forti e più prolifiche in ogni nicchia. Fino all’uomo.

Secondo tale proposta, la selezione naturale non fa soltanto la spogliazione come una massaia agli scaffali del supermarket, così spiegando in maniera convincente la scomparsa accertata di molte specie, ma in cooperazione col caso creerebbe anche la novità – come al supermarket non fa la massaia, ma l’azione di rifornimento del commerciante –. Darwin era consapevole dell’importanza cruciale del meccanismo della selezione naturale nella sua teoria, perché sapeva che un monologo del caso avrebbe potuto svolgere solo ruoli comici nel teatro della scienza. Sicché nel suo capolavoro egli mise bene in evidenza fin dal titolo (“The origin of species by means of natural selection”) e nelle introduzioni a tutte le edizioni finché fu in vita, che la selezione naturale era per lui “la causa principale delle modificazioni” tra specie, ammettendo che una smentita di questa assunzione avrebbe invalidato la sua teoria.

Ebbene, “oggi” la creatività della selezione naturale, buona forse per le conoscenze fisiche e chimiche di metà ‘800, non sta più in piedi. Da allora è passato un tempo enorme per il progresso scientifico, un’epoca di scoperte rivoluzionarie superiori a quelle avvenute in tutti i secoli precedenti di storia umana: una biologia evolutiva che non tenesse conto di questa accelerazione sarebbe come una chimica ferma a Lavoisier, ignara della tavola di Mendeleev e del polimerismo del carbonio, ecc., o come una fisica ferma a Laplace, senza elettromagnetismo, relatività einsteiniana, meccanica quantistica, ecc. Ho scritto “oggi” tra virgolette, perché la congettura di Darwin è saltata invero da 60 anni, precisamente il 28 febbraio 1953, allorché Francis Crick e James Watson annunciarono la funzione genetica della doppia elica del DNA. Perché la genetica moderna contraddice la selezione naturale come causa dell’origine delle specie?

La molecola di DNA è presente in tutte le cellule degli organismi viventi, in quelle di un gambo o di una gamba, di una foglia o di un becco, di una radice o di un’unghia, ecc. Ogni individuo di ogni specie ha la sua molecola di DNA che lo caratterizza, replicata identicamente centinaia di migliaia di miliardi di volte nel suo organismo. Ma il DNA non è solo la carta d’identità dei viventi, è molto di più: è il programma che prima della nascita guida l’embrione a selezionare e ad assemblare dall’ambiente, particella dopo particella, la materia e l’energia necessarie allo sviluppo dell’organismo e poi in vita guida nelle cellule la produzione continua di proteine necessarie al suo metabolismo. Una cellula non è “uno schifo, una roba molle, fatta di cose spesso che non servono, messe lì, che uno si porta dietro dall’evoluzione”, come il Cicapindottrina gl’ingenui alla superstizione, ma è un’organizzazione olistica avente il DNA comesuper-programma delle routine proteinogenetiche eseguibili dagli organelli, infinitamente superiore al più avanzato sistema robotico industriale per complessità cibernetica e al www per complessità di grafo (“interattoma”).

Nell’information technology un programma è una sequenza di istruzioni e, in un dato linguaggio, coincide con una disposizione di un numero di simboli, ripetuti volte. Per es., il programma al distributore automatico di benzina più vicino a casa mia è scritto in lingua italiana ed è una disposizione di = 33 simboli (le lettere dell’alfabeto italiano, più alcuni caratteri speciali e le cifre 1-6) ripetuti = 324 volte. Nel termine “sequenza” è inteso che le istruzioni di un programma hanno un ordine: se non ci credete, provate a caricare il serbatoio della vostra auto scambiando l’ordine delle operazioni al distributore!

In un programma informatico il numero dei simboli può cambiare da un linguaggio all’altro, ma il minimo è di = 2 simboli (codice binario). Il programma della vita, dal batterio all’uomo, usa un codice di = 4 simboli (i 4 “nucleotidi” A, T, C, G), di cui non ci serve qui sapere il significato. Così la molecola di DNA del batterio Mycoplasma genitalium è una disposizione dei 4 nucleotidi ripetuti = 580.000 volte, mentre nell’uomo i 4 nucleotidi sono ripetuti 3,2 miliardi di volte. E il fatto che sintassi, linguaggio, sistema operativo (RNA) e cibernetica siano uguali per tutte le specie vegetali e animali è per me una prova che la speciazione è stata causata dallo stesso meccanismo, come già per via puramente razionale aveva intuito Sant’Agostino: “In principio furono creati solamente i germi… delle forme di vita, che in seguito si sarebbero sviluppate gradualmente” (Confessioni). Per contro, il campo dell’informatica artificiale, dominato dall’anarchia di linguaggi, sistemi operativi e device non comunicanti, tutti allegramente in lotta contro l’interoperabilità reciproca, è il risultato delle logiche del mercato conteso tra le tante aziende dell’IC&T.

Qualcuno potrà stupirsi dell’esistenza di molecole composte di decine di miliardi di atomi; ma quando si dice che la vita sulla Terra è fondata sul carbonio, ci si riferisce proprio alla proprietà speciale che ha questo elemento chimico di “polimerizzare”, cioè di formare lunghe catene di molecole più piccole, tra loro unite attraverso “ganci” come i vagoni in un treno. Nel DNA i vagoni sono i nucleotidi e il gancio che li unisce è un legame chimico particolare (legame fosfodiesterico), che è asimmetrico, così da dare ordine alla stringa distinguendo il nucleotide che viene prima da quello che viene dopo.

Ora, veniamo al punto. Come si può trasformare un treno merci in un altro, con una disposizione dei vagoni diversa ed eventualmente più lunga? La risposta è ovvia: 1) spezzando i ganci, 2) riordinando i vagoni e riattaccandoli e 3) aggiungendo altri vagoni nell’ordine desiderato. Allo stesso modo, per la trasformazione del DNA d’una specie in quello d’un’altra (da un “cariotipo” ad un altro) servono meccanismi capaci di spezzare i legami fosfodiesterici, scambiare alcuni nucleotidi di posto, ed aggiungerne o toglierne altri in un certo ordine. Ma se la quotidiana lotta per la sopravvivenza può con l’esercizio far saltare più in alto o più in lungo un canguro vivo e vegeto, o farlo correre più veloce e per più tempo, essa non può spezzarne i legami fosfodiesterici, né riordinarne i nucleotidi, né sintetizzarne di nuovi così da fargli cambiar specie, per il semplice motivo che essa agisce solo dopo l’esecuzione del programma nei fenotipi già sintetizzati: qui, nell’insieme dei caratteri osservabili di un individuo già sviluppato, essa può solo eliminare quegli organismi che, meno adatti all’habitat, così perdono la battaglia con i condòmini per la ripartizione delle risorse. Mentre a livello di genotipo (il corredo genico di un individuo), la selezione naturale può solo impedire ad un organismo di nascere o di svilupparsi ogniqualvolta una modifica genetica, per qualsiasi ragione intervenuta, provochi un crash del programma.

Insomma la selezione naturale nell’evoluzione biologica agisce come la scelta del consumatore nelle evoluzioni economica o tecnologica: interviene dopo che forme coerenti con il mercato sono apparse per scartare le meno gradite. La selezione naturale spiega la scomparsa di alcune forme, ma non spiega la genesi di nessuna, né più né meno della massaia che alleggerendo gli scaffali del supermercato non li arricchisce solo per questo di nuovi prodotti. La selezione naturale ha ruolo esclusivamente nell’eliminazione di individui e specie già esistenti e nella prevenzione di nuove speciemai nella loro creazione. Ma questo non l’aveva già insegnatoThomas R. Malthus per le classi sociali della specie umana nel suo “Essay of the principle of the population” (1798)?

Certo, da Gregor Mendel in poi le leggi della genetica spiegano il differenziarsi di varietà e razze all’interno delle specie; ma nessuna risposta scientifica esse danno all’evoluzione interspecifica, che è ben altro. Qui la variazione della razza inciampa sull’invalicabile confine della specie: “Ogni specie vera presenta una barriera genetica, possiede un cariotipo originale. Ad ogni specie corrisponde un cariotipo; e poiché i cromosomi contengono migliaia di geni, si evidenzia chiaramente che ciò che separa la specie è qualcosa di ordine di grandezza assai diverso da una mutazione genetica” (Jérôme Lejeune).

La genetica moderna ha smentito il darwinismo classico e la Sintesi moderna, in quanto fusione di genetica e darwinismo, è auto-contraddittoria. Se nel XX secolo la formulazione riduzionistica della biologia, dipendente da una fisica obsoleta (perché superata dalla meccanica quantistica) è arrivata ad un vicolo cieco, lasciandoci “senza una visione del futuro e solo con il ronzio d’una gigantesca macchina biotecnologica” (Carl Woese), oggi la biologia deve liberarsi dal meccanicismo e dall’imperialismo farmaceutico, per rifondarsi come scienza fondamentale alla guida dell’interdisciplinarità scientifica, con focus sulla fenomenologia emergente, non lineare, olistica della forma biologica. Deve assumere la missione di capire il mondo e la vita, oltre che di servire l’industria.

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16/07/2013 18:21
 
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I vincoli interni che guidano l’evoluzione

Ancora una volta la Chiesa si è mostrata contraria al Creazionismo protestante, ma anche lontana da un concetto di evoluzione determinato esclusivamente da caso e necessità, come vorrebbero coloro che hanno fatto della biologia evolutiva la bandiera del nuovo ateismo scientifico. I vari Pievani, Dawkins e compagnia bella sono arenati da anni su un modello evolutivo neo-darwinista, ormai superato, basato sul gradualismo, sulla selezione naturale come unico fattore esplicativo dell’evoluzione e sulla macro-evoluzione come una micro-evoluzione semplicemente protratta nel tempo e in condizioni di isolamento geografico. Il neodarwinismo, nonostante sia l’approccio maggioritario negli evoluzionisti, si trova oggi in rotta di collisione con le nuove acquisizioni della biologia molecolare.

Lo ha spiegato, ad esempio, Stuart A. Newman, professore di Biologia presso il New York Medical College, dicendo: «gli scienziati hanno ancora solo idee abbozzate su come le complesse forme viventi sono sorte nel corso dell’evoluzione [...]. Anche le cellule “semplici” sono abbastanza complesse e le origini della vita cellulare sono ben lungi dall’essere risolte». Inoltre, il processo microevolutivo immaginato da Darwin e sostenuto dai neodarwinisti, «non tiene conto in alcun modo plausibile i modelli marcoevolutivi, come le differenze tra ostriche e cavallette, pesci e uccelli. Infatti, il gradualismo adattazionista, anche se ancora popolare in alcuni ambienti scientifici, è sempre più messo in discussione e trovato difettoso dai biologi evoluzionisti che lavorano in un set esteso di discipline». In un precedente articoloaveva invece mostrato come la selezione naturale non possa più essere considerata come il meccanismo esclusivo del cambiamento macroevolutivo. Lo scienziato ha quindi evidenziato come «a differenza della presunzione del modello standard, tuttavia, lo scenario fisico-genetico per l’origine delle forme multicellulari complesse non è affatto aperto e senza limiti», ma risponde a vincoli interni pre-esistenti.

Tutto questo è stato confermato in un “recente” articolo del biologo italiano Alessandro Giuliani, ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità dove si occupa della modellizzazione matematica e statistica dei sistemi biologici, nonché collaboratore di UCCR. Citando uno studio su Nature ha mostrato come l’approccio neodarwinista stia venendo pian piano demolito. Non solo, ma, come già fatto dal prof. Newman, ha spiegato anche come non sia possibile oggi evitare di sostenere una visione dell’evoluzione iscritta in una “canalizzazione”generata da leggi fisiche (o vincoli) pre-esistenti.

A sostenere questo nuovo approccio all’evoluzione biologica c’è anche il nuovo libro diTerrence William Deacon, antropologo americano, docente presso l’Helen Wills Neuroscience Institute e membro della Cognitive Science faculty presso l’University of California. In“Incomplete Nature” ha parlato dei processi di auto-organizzazione della materia mostrando l’inadeguatezza delle spiegazioni riduzionistiche. Nel volume ha insistito molto sul fatto che lateleologia, in un modo o nell’altro, ha un posto nelle scienze naturali. Lo scienziato americano si è spinto anche oltre (forse troppo), spiegando che secondo lui anche il pensiero cosciente «in linea di principio potrebbe essere spiegato in termini naturali, da una sorta di architettura di vincoli interni».

Ludovico Galleni, docente di Zoologia presso l’Università di Pisa, lo ha spiegato in modo sintetico parlando del «chiaro segno della presenza di vincoli interni, morfologici e/o genetici che, una volta raggiunta una soluzione morfologica, condizionano i passi successivi, ben al di là del gioco sconnesso mutazione-selezione» (L. Galleni in “Complessità, evoluzione, uomo”, Jaca Book 2011, pag. 162).

Il paleontologo francese Yves Coppens, professore onorario presso il Collegio di Francia e scopritore dell’ominide Lucy, lo ha spiegato a sua volta in modo definitivo: «La materia è partita da una situazione estremamente semplice per andare verso una situazione nel tempo più complicata e questa situazione più complicata era nello stesso tempo più organizzata [...]. Questa vita è condizionata, c’è una costrizione genetica [...]. E’ impressionante vedere che anzitutto c’è un senso e poi c’è del senso: un senso è la direzione, “del senso” è significato. Tutto è così» (Y. Coppens in “Complessità, evoluzione, uomo”, Jaca Book 2011, pag. 102).

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22/06/2018 22:37
 
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A guidare l’evoluzione non è il caso ma «precisi percorsi interni»




CasualitàIl prof. Stuart A. Newman, docente di Biologia presso il New York Medical College, ha spiegato che il «gradualismo adattazionista, anche se ancora popolare in alcuni ambienti scientifici, è sempre più messo in discussione e trovato difettoso dai biologi evoluzionisti che lavorano in un set esteso di discipline». Questo perché, ha scritto ancora, «lo scenario fisico-genetico per l’origine delle forme multicellulari complesse non è affatto aperto e senza limiti», ma risponde a vincoli interni pre-esistenti.


Diversi altri evoluzionisti, da diverso tempo, stanno riconoscendo una direzionalità internaall’evoluzione biologica, mettendo da parte quella casualità estrema assunta a divinità da certi polemisti antiteisti. Ad esempio, lo zoologo dell’Università di Pisa Ludovico Galleni, ha parlato del «chiaro segno della presenza di vincoli interni, morfologici e/o genetici che, una volta raggiunta una soluzione morfologica, condizionano i passi successivi, ben al di là del gioco sconnesso mutazione-selezione» (L. Galleni in “Complessità, evoluzione, uomo”, Jaca Book 2011, pag. 162).


Insomma, a guidare l’evoluzione (anche umana) non è soltanto casualità ma, sopratutto, una misteriosa direzionalità. La celebre rivista “New Scientist” si è occupata di questo nell’ultimo numero -ripreso anche sui media– raccontando come «il caso domina il nostro mondo» e come, in ultima analisi, esso appaia sempre meno casuale. Lo ha fatto dando la parola a Andreas Wagner, biologo dell’Università di Zurigo e del Santa Fe Institute che da dieci anni studia le mutazioni casuali dell’evoluzione ed è giusto a questa conclusione nel suo libro “Arrival of the Fittest: Solving Evolution’s? Greatest Puzzle” (Current 2015): più che di «sopravvivenza del più adatto» bisognerebbe parlare di «arrivo del più adatto». Un arrivo non derivato dal frutto della casualità su un numero enorme di tentativi, ma da precisi «percorsi» attraverso i quali l’evoluzione trova l’innovazione in modo più efficiente e sempre più lontano dalla casualità.


Ritornano alla mente le parole del celebre biologo e genetista statunitense Richard Lewontin, quando ha spiegato che «il segreto, ancora largamente misterioso dell’evoluzione, risiede senz’altro in proprietà interne, nell’organizzazione dei sistemi genetici, non nella selezione naturale». Il principale argomento della propaganda scientista, questo vorremmo far notare, è dunque semplicemente una vecchia ed errata credenza. «La selezione naturale è l’orologiaio cieco, cieco perché non vede dinanzi a sé, non pianifica conseguenze, non ha in vista alcun fine», scriveva Richard Dawkins nel 1996. Erano affermazioni anacronistiche già allora, figuriamoci oggi.


Ma anche se avesse avuto ragione Dawkins, se l’evoluzione biologica non fosse teleologica, dove sarebbe il problema? Non ci sarebbe, come ha spiegato il filosofo tedesco Robert Spaemann, della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco: «non è necessario che il processo evolutivo venga inteso come processo teleologico, vale a dire che in esso il generatore del nuovo non sia il caso. Ciò che è il caso visto dal punto di vista della scienza naturale, può essere intenzione divina tanto quanto ciò che è riconoscibile per noi come processo orientato verso un fine. Dio agisce tanto attraverso il caso quanto attraverso leggi naturali» (R. Spaemann, “Dio oggi. Con Lui o senza lui cambia tutto”, Cantagalli 2010, p.75).



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26/10/2019 20:41
 
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Il chimico brasiliano Marcos Eberlin nell suo ultimo libro ":la vita rivela pianificazione e scopo " mette in evidenza la sfida che la pianta carnivora flytrap di Venere rappresenta per la teoria evoluzionistica darwiniana.


Il dott.Eberlin illustra il problema: Venus è una pianta pigliamosche e possiede un apparato sofisticato di cattura delle mosche ed inoltre un sistema digestivo enzimatico per la loro digestione.
Ora, se fosse vera una evoluzione a piccoli passi casuali la pianta non avrebbe avuto nessun vantaggio selettivo ad avere per prima cosa il sistema acchiappa mosche se non si fosse formato contemporaneamente il sistema digestivo, e anche viceversa.

Si sarebbero dovuti evolvere contemporaneamente per dare un vantaggio selettivo alla pianta ,e come, dato che se non sono presenti tutti insieme tutte le strutture complesse  la pianta non avrebbe potuto avere un vantaggio selettivo.
E come sarebbe potuto accadere simile vantaggio evolutivo anche in altri quattro generi di piante carnivore che hanno lo stesso sistema? Ancora una volta, ma si possono fare altri mille esempi, la teoria darwiniana viene messa in crisi da queste stupefacenti strutture.
fonte: http://www.origini.info/argomento/biologia/491-eberlin,-darwin,-chimica,-scienza,-evoluzione,-creazionismo,-aiso.html


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20/02/2022 17:33
 
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Problema 4 ) La selezione naturale lotta per correggere i tratti vantaggiosi nelle popolazioni
Nel 2008, 16 biologi da tutto il mondo si sono riuniti ad Altenberg, in Austria, per discutere i problemi con il moderno modello evolutivo neodarwiniano. La rivista Nature ha coperto questa conferenza "Altenberg 16", citando scienziati di spicco che dicono cose come: “La origine delle ali e l'invasione della terra . . . sono cose di cui la teoria evoluzionistica ci ha detto poco». “Non si può negare la forza della selezione nell'evoluzione genetica. . . ma a mio avviso questo è stabilizzare e perfezionare forme che hanno origine a causa di altri processi.” "La sintesi moderna è straordinariamente efficace nel modellare la sopravvivenza del più adatto, ma non nel modellare l'arrivo del più adatto". Nel Problema 3, abbiamo appreso che le mutazioni non possono generare molti tratti complessi negli organismi viventi su scale temporali evolutive ragionevoli. Ma le mutazioni sono solo una parte del meccanismo evolutivo standard: esiste anche la selezione naturale. E l'evoluzione darwiniana non solo comunemente non riesce a spiegare "l'arrivo del più adatto" attraverso le mutazioni, ma spesso lotta anche per spiegare la "sopravvivenza del più adatto" attraverso la selezione naturale. I biologi evoluzionisti spesso presumono che una volta che le mutazioni producono un tratto funzionalmente vantaggioso, si diffonderà facilmente (diventerà "fissato") in tutta una popolazione per selezione naturale.
Ad esempio, immagina una popolazione di volpi dal pelo castano che vive in una regione innevata. Una volpe nasce con una mutazione che rende la sua pelliccia bianca, anziché marrone. Questa volpe ora ha un vantaggio nella caccia alle prede e nella fuga dai predatori, perché la sua pelliccia bianca le fornisce mimetizzazione nell'ambiente innevato. La volpe bianca sopravvive, trasmettendo i suoi geni alla sua prole, che è anche abile a sopravvivere e riprodursi. Nel tempo, il carattere del pelo bianco si diffonde in tutta la popolazione. È così che dovrebbe funzionare, in teoria. Nel mondo reale, tuttavia, la semplice generazione di un tratto funzionalmente vantaggioso non garantisce che persista o si fissi. Ad esempio, cosa succede se per caso la volpe bianca inciampa, si rompe una gamba e viene mangiata da un predatore, senza mai trasmettere i suoi geni? Forze o eventi casuali possono impedire a un tratto di diffondersi in una popolazione, anche se fornisce un vantaggio. Queste forze casuali sono raggruppate insieme sotto il nome di "deriva genetica". Quando i biologi esaminano la matematica della selezione naturale, scoprono che, a meno che un tratto non dia un vantaggio selettivo estremamente forte, la deriva genetica tenderà a sopraffare la forza della selezione e impedirà agli adattamenti di prendere piede in una popolazione. Questo problema sottovalutato è stato riconosciuto da alcuni scienziati evoluzionisti che sono scettici sulla capacità della selezione naturale di guidare il processo evolutivo. Uno di questi scienziati è Michael Lynch, un biologo evoluzionista dell'Università dell'Indiana, che scrive che "la deriva genetica casuale può imporre una forte barriera al progresso dei perfezionamenti molecolari mediante processi adattivi". Osserva che l'effetto della deriva sta "incoraggiando la fissazione di mutazioni leggermente deleterie e scoraggiando la promozione di mutazioni benefiche”. Allo stesso modo, Eugene Koonin, uno dei principali scienziati del National Institutes of Health, spiega che la deriva genetica porta alla “fissazione casuale di cambiamenti neutri o addirittura deleteri”.
Ridondanza complessa
Dal punto di vista di Lynch, ci sono molti sistemi cellulari che aiutano nella sopravvivenza, ma sono ridondanti. Di conseguenza, fungono da meccanismi di backup che vengono utilizzati solo quando un sistema primario altamente efficace si guasta. Poiché vengono utilizzati solo di rado, questi sistemi sono esposti solo occasionalmente al setaccio di selezione. Eppure questi sistemi possono essere estremamente complessi ed efficienti. Come può un sistema che viene utilizzato solo raramente, o solo occasionalmente necessario, evolversi a un livello di complessità così elevato ed efficiente? Dopo aver osservato i molti "strati" di complessi meccanismi cellulari coinvolti in processi come la replicazione del DNA, Lynch pone una domanda cruciale: Sebbene queste linee di difesa stratificate siano chiaramente vantaggiose e in molti casi essenziali per la salute cellulare, poiché l'emergere simultaneo di tutti i componenti di un sistema non è plausibile, sorgono immediatamente diverse domande. In che modo la selezione può promuovere la creazione di livelli aggiuntivi di meccanismi di miglioramento della forma fisica se le linee di difesa primarie stabilite sono già altamente raffinate? Lynch non crede che la selezione naturale sia all'altezza del compito. In un articolo del 2007 su Proceedings of the US National Academy of Sciences intitolato "La fragilità delle ipotesi adattive per le origini della complessità dell'organismo", spiega che tra i biologi evoluzionisti, "Ciò che è in questione è se la selezione naturale sia una forza necessaria o sufficiente per spiegare l'emergere delle caratteristiche genomiche e cellulari fondamentali per la costruzione di organismi complessi”.
Usando un linguaggio simile, un articolo sulla rivista Theoretical Biology and Medical Modeling conclude che “è importante che i biologi valutino realisticamente ciò che la selezione può e non può fare in varie circostanze. La selezione potrebbe non essere né necessaria né sufficiente per spiegare numerose caratteristiche genomiche o cellulari di organismi complessi". Lynch è chiaro nelle sue opinioni: "non ci sono prove convincenti empiriche o teoriche che la complessità, la modularità, la ridondanza o altre caratteristiche dei percorsi genetici siano promosse per selezione naturale”.
Dannato se ti appelli alla selezione, dannato se non lo fai
Al posto della selezione naturale, tuttavia, i biologi evoluzionisti come Lynch propongono una deriva genetica casuale per spiegare l'origine di complesse caratteristiche biologiche. Secondo Lynch, "molti aspetti della complessità a livello genomico, molecolare e cellulare nelle specie multicellulari devono probabilmente la loro origine a queste forze non adattative, che rappresentano poco più che risultati passivi..." Ma riconosce che queste "forze non adattative dell'evoluzione sono di natura stocastica». Stocastico, ovviamente, significa casuale. Può una forza rigorosamente casuale - che non ha motivo di preservare caratteristiche che potrebbero fornire qualche vantaggio - spiegare le caratteristiche biologiche altamente complesse - come la replicazione del DNA o la bioluminescenza - che sembrano finemente sintonizzate per svolgere utili funzioni biologiche? La biologa Ann Gauger è scettica sulla spiegazione di Lynch, poiché osserva che "non offre alcuna spiegazione su come le forze non adattative possano produrre la complessità genomica e organica funzionale che osserviamo nelle specie moderne". Allo stesso modo Jerry Coyne sottolinea la principale carenza nei ricorsi alla deriva genetica: Sia la deriva che la selezione naturale producono un cambiamento genetico che riconosciamo come evoluzione. Ma c'è una differenza importante. La deriva è un processo casuale, mentre la selezione è l'antitesi della casualità. … In quanto processo puramente casuale, la deriva genetica non può causare l'evoluzione degli adattamenti. Non potrebbe mai costruire un'ala o un occhio. Ciò richiede una selezione naturale non casuale. Ciò che la deriva può fare è causare l'evoluzione di caratteristiche che non sono né utili né dannose per l'organismo. Coyne osserva inoltre: "L'influenza di questo processo su un importante cambiamento evolutivo, tuttavia, è probabilmente minore, perché non ha il potere di modellamento della selezione naturale. La selezione naturale rimane l'unico processo che può produrre adattamento». Ma in un certo senso concordando con Lynch, anche lui riconosce che «la deriva genetica non solo è impotente a creare adattamenti, ma può effettivamente sopraffare la selezione naturale». Il dibattito sul fatto che la selezione naturale, o la deriva genetica, sia più influente nell'evoluzione continuerà senza dubbio. Ma ci sono poche ragioni per credere che da qualunque parte vinca questo dibattito, verrà offerta una soluzione materialistica praticabile. La biologia evolutiva si trova ora di fronte a un problema: La selezione naturale è un meccanismo troppo inefficiente per superare le forze casuali e correggere il tipo di adattamenti complessi che osserviamo nelle popolazioni perché è facilmente sopraffatto da forze casuali come la deriva genetica. La vita è piena di adattamenti altamente complessi ed efficienti, ma la deriva genetica casuale non offre alcuna ragione giustificabile per ritenere che tali caratteristiche avranno motivo di sorgere. In sostanza, la deriva genetica è come invocare il meccanismo della "mutazione-selezione", ma meno tutta la selezione. Questi soggetti si spostano verso tutte le difficoltà che abbiamo visto nel Problema 3, in cui le mutazioni casuali non erano in grado di costruire caratteristiche biochimiche come proteine funzionali o semplici interazioni proteina-proteina, perché erano necessarie più mutazioni coordinate per produrre quei tratti. In assenza di selezione, non c'è motivo per le sole mutazioni casuali - cioè la deriva genetica - per produrre qualcosa di utile. Sfortunatamente, il pubblico è raramente informato di questi problemi o di questo dibattito. Secondo Lynch, la selezione naturale è tipicamente descritta come un meccanismo "onnipotente (senza alcuna prova diretta)" in grado di costruire caratteristiche biologiche complesse. Avverte che "il mito che tutta l'evoluzione può essere spiegata dall'adattamento continua a essere perpetuato dal nostro continuo omaggio al trattato di Darwin nella letteratura popolare". La realtà è che né le forze non casuali come la selezione naturale, né le forze casuali come deriva genetica, possono spiegare l'origine di molte caratteristiche biologiche complesse.
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20/02/2022 17:37
 
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Problema 5: l'apparizione improvvisa di specie nella documentazione fossile non supporta l'evoluzione darwiniana
La documentazione sui fossili è stata a lungo riconosciuta come un problema per la teoria evoluzionistica. in Origin of Species, Darwin spiegò che la sua teoria lo portava a credere che "il numero di varietà intermedie, che sono esistite in precedenza sulla terra, deve essere veramente enorme". Tuttavia, ha riconosciuto che la documentazione fossile non ha documentato queste forme di vita “intermedie”, chiedendosi: “Perché allora ogni formazione geologica e ogni strato non è pieno di tali legami intermedi?” La risposta di Darwin ha mostrato la natura tenue delle prove a sostegno delle sue idee: “La geologia sicuramente non rivela una catena organica così finemente graduata; e questa, forse, è l'obiezione più ovvia e più grave che si possa muovere contro la mia teoria». Oggi, circa 150 anni dopo, su migliaia di specie conosciute dai reperti fossili, solo una piccola parte è considerata candidata alle forme intermedie di Darwin. In genere mancano prove fossili di intermedi evolutivi, come ammise il defunto paleontologo evoluzionista Stephen Jay Gould: "L'assenza di prove fossili per stadi intermedi tra le principali transizioni nella progettazione organica, in effetti la nostra incapacità, anche nella nostra immaginazione, di costruire intermedi funzionali in molti casi, è stato un problema persistente e assillante per i resoconti graduali dell'evoluzione”. Darwin tentò di salvare la sua teoria dell'evoluzione graduale sostenendo che i fossili intermedi non si trovano a causa dell'"estrema imperfezione della documentazione geologica". Ma negli ultimi decenni, questa scusa ha perso credibilità. I paleontologi oggi generalmente riconoscono che, sebbene la documentazione sui fossili sia imperfetta, è comunque adeguata per valutare le domande sull'evoluzione. Uno studio su Nature ha riportato che "se ridimensionati al... livello tassonomico della famiglia, gli ultimi 540 milioni di anni di reperti fossili forniscono una documentazione uniformemente buona della vita del passato". Un altro articolo in Paleobiology ha valutato la nostra conoscenza dei fossili e ha concluso che "la nostra visione della storia della diversità biologica è matura". I paleontologi ora riconoscono sempre più che i "salti" tra le specie, senza intermedi, non sono semplicemente il risultato di un record incompleto. Niles Eldredge, paleontologo evoluzionista e curatore dell'American Museum of Natural History, la mette in questo modo con Ian Tattersal: "I campioni saltano e tutte le prove dimostrano che i campioni sono reali: le lacune che vediamo riflettono eventi reali nella storia della vita — non l'artefatto di una povera documentazione fossile". Questa conclusione non è arrivata facilmente, poiché uno scienziato che ha studiato sotto Gould ha sentito il bisogno di implorare i suoi colleghi che "i biologi evoluzionisti non possono più ignorare la documentazione fossile sul terreno che è imperfetto».
Un modello di esplosioni
L'eventuale realizzazione che la documentazione fossile non è del tutto incompleta ha costretto i biologi evoluzionisti ad accettare che la documentazione mostri uno schema di esplosioni, non un'evoluzione graduale degli organismi viventi. Un libro di testo di biologia spiega questo: "Molte specie rimangono praticamente invariate per milioni di anni, poi improvvisamente scompaiono per essere sostituite da una forma del tutto diversa, ma correlata. Inoltre, la maggior parte dei principali gruppi di animali compaiono bruscamente nella documentazione fossile, completamente formati e senza fossili ancora scoperti che formino una transizione dal loro gruppo genitore".
Probabilmente l'esempio più famoso di comparsa improvvisa è l'esplosione del Cambriano, dove quasi tutti i principali phyla animali viventi compaiono. Un libro di testo di biologia degli invertebrati spiega questo: "La maggior parte dei gruppi animali rappresentati nella documentazione fossile appaiono per la prima volta, completamente formati e identificabili per quanto riguarda il loro phylum, nel Cambriano, circa 550 milioni di anni fa. Questi includono tipi anatomicamente complessi e distintivi come trilobiti, echinodermi, brachiopodi, molluschi e cordati. …"
La documentazione fossile non è quindi di alcun aiuto per quanto riguarda l'origine e la prima diversificazione dei vari phyla animali… Gli scienziati evoluzionisti riconoscono di non poter spiegare questa rapida apparizione di diversi piani corporei degli animali con i processi darwiniani classici o altri meccanismi materiali noti. Robert Carroll, un paleontologo della McGill University, sostiene in Trends in Ecology and Evolution che "L'estrema velocità del cambiamento anatomico e della radiazione adattativa durante questo breve periodo di tempo richiede spiegazioni che vanno oltre quelle proposte per l'evoluzione delle specie all'interno del biota moderno".
Allo stesso modo un altro articolo sostiene che "la microevoluzione non fornisce una spiegazione soddisfacente per la straordinaria esplosione di novità durante l'esplosione del Cambriano" e conclude che "le principali transizioni evolutive nell'evoluzione animale devono ancora essere spiegate in modo causale". Allo stesso modo un articolo del 2009 in BioEssays ammette che «il chiarire le basi materialistiche dell'esplosione cambriana è diventato più sfuggente, non meno, quanto più sappiamo dell'evento stesso».
Ma l'esplosione del Cambriano non è affatto l'unica esplosione di vita registrata nella documentazione sui fossili. Riguardo all'origine dei principali gruppi di pesci, l'ex geoscienziato della Columbia University Arthur Strahler scrive che: "Questo è un punto a favore nell'accusa dei creazionisti che può solo evocare all'unisono dai paleontologi un appello di nolo contendere [no contest]". Un articolo in Annual Review of Ecology and Systematics spiega che l'origine delle piante terrestri "è l'equivalente terrestre della tanto dibattuta 'esplosione' cambriana delle faune marine". Per quanto riguarda l'origine delle angiosperme (piante da fiore), i paleontologi hanno scoperto una "grande fioritura tipo di evento esplosivo". Come afferma un documento: Nonostante molte ricerche e analisi di diverse fonti di dati (ad esempio, reperti fossili e analisi filogenetiche che utilizzano caratteri molecolari e morfologici), l'origine delle angiosperme rimane poco chiara. Le angiosperme compaiono piuttosto improvvisamente nella documentazione fossile... senza antenati evidenti per un periodo di 80-90 milioni di anni prima della loro comparsa. In modo simile, molti ordini di mammiferi appaiono in modo esplosivo. Niles Eldredge spiega che "ci sono tutti i tipi di lacune: assenza di forme 'transizionali' gradualmente intermedie tra le specie, ma anche tra gruppi più grandi - tra, diciamo, famiglie di carnivori o ordini di mammiferi". C'è anche un’esplosione improvvisa dei volatili, con i principali gruppi di uccelli che compaiono in un breve periodo di tempo. Un articolo su Trends in Ecology and Evolution intitolato "Evolutionary Explosions and the Phylogenetic Fuse" spiega: Una lettura letterale della documentazione fossile indica che il primo Cambriano (circa 545 milioni di anni fa) e il primo Terziario (circa 65 milioni di anni fa) furono caratterizzati da periodi di evoluzione morfologica enormemente accelerati che segnarono l'aspetto dei phyla animali e ordini di uccelli e mammiferi placentari, rispettivamente.
Naturalmente ci sono una manciata di esempi in cui scienziati evoluzionisti credono di aver trovato fossili di transizione che documentano la graduale evoluzione darwiniana. L'origine delle balene è stata definita un "esempio cardine per la macroevoluzione", dove si ritiene che circa 55 milioni di anni fa, alcuni mammiferi terrestri abbiano perso gli arti posteriori e si siano evoluti in balene completamente acquatiche. In particolare, si afferma che ci siano mammiferi terrestri fossili con ossa dell'orecchio simili alle balene e mammiferi fossili simili a balene che conservano gli arti posteriori. Anche se l'esperto di vertebrati e balene Phillip Gingerich ammette che abbiamo solo "fossili che illustrano tre o quattro passaggi che collegano il precursore delle balene ai mammiferi di oggi", assumiamo per un momento che esista una sequenza completa di fossili, e dimentichiamoci che tale sequenza è stata in passata erroneamente identificata in almeno tre circostanze. È sufficiente per dimostrare che questa transizione è avvenuta? Anche se ci sono fossili che sembrano potenziali forme intermedie, se la storia evolutiva complessiva non ha senso, allora i fossili non possono essere di transizione. In questo caso, l'evoluzione darwiniana delle balene dai mammiferi terrestri deve affrontare serie sfide matematiche dalla genetica delle popolazioni. Sarebbero stati necessari molti cambiamenti per convertire un mammifero terrestre in una balena, tra cui:
-Emersione di uno sfiatatoio, con controllo della muscolatura e dei nervi
- Modifica dell'occhio per una visione subacquea permanente
- Capacità di bere acqua di mare
- Arti anteriori trasformati in pinne
- Modifica della struttura scheletrica
- Capacità di allattare i piccoli sott'acqua
- Origine dei trematodi della coda e della muscolatura
- Blubber per isolamento termico
Molti di questi necessari adattamenti richiederebbero molteplici modifiche coordinate. Ma come abbiamo visto nel Problema 3, tali mutazioni simultanee richiedono periodi di tempo estremamente lunghi per manifestarsi attraverso il meccanismo darwiniano. L'evoluzione delle balene ora incontra un grave problema. I reperti fossili richiedono che l'evoluzione delle balene dai piccoli mammiferi terrestri dovrebbe aver avuto luogo in meno di 10 milioni di anni!!!. Può sembrare un tempo lungo, ma in realtà è drammaticamente breve, soprattutto dato che le balene hanno dimensioni ridotte della popolazione e lunghi tempi di generazione. Il biologo Richard Sternberg ha esaminato matematicamente i requisiti di questa transizione e lo esprime in questo modo: "Troppi ricablaggi genetici, troppo poco tempo". Le origini delle balene forniscono quindi un interessante caso di studio delle transizioni evolutive: in una rara occasione in cui ci sono effettivamente fossili che potenzialmente mostrano tratti intermedi, l'evoluzione neo-darwiniana non guidata è invalidata dal breve lasso di tempo concesso dalla documentazione fossile.
Se questo "caposaldo" della macroevoluzione non regge a un esame accurato, cosa ci dice questo su altri casi in cui gli evoluzionisti propagandano presunti fossili di transizione?
Origini umane e documentazione fossile
In effetti, al pubblico viene comunemente detto che ci sono fossili che documentano l'evoluzione degli esseri umani da precursori simili a scimmie, ma uno sguardo più attento alla letteratura tecnica racconta una storia diversa. I fossili di ominidi generalmente rientrano in uno di due gruppi: specie simili a scimmie e specie simili a esseri umani, con un divario ampio e illimitato tra di loro. Nel 2004, il famoso biologo evoluzionista Ernst Mayr ha riconosciuto l'apparizione improvvisa degli esseri umani: I primi fossili di Homo, Homo rudolfensis e Homo erectus, sono separati dall'Australopithecus da un'ampia lacuna non colmata. Come si spiega questo apparente divario? Non avendo fossili che possano fungere da anello mancante, dobbiamo ricorrere all'antico metodo della scienza storica, la costruzione di una narrazione storica. Alla luce di tali prove, un articolo sul Journal of Molecular Biology and Evolution ha definito l'apparizione dell'Homo sapiens "una rivoluzione genetica" in cui "nessuna specie di australopitecina è ovviamente di transizione". La mancanza di prove fossili per questa ipotizzata transizione è confermata da I paleoantropologi di Harvard Daniel E. Lieberman, David R. Pilbeam e Richard W. Wrangham: Delle varie transizioni avvenute durante l'evoluzione umana, la transizione dall'Australopithecus all'Homo è stata senza dubbio una delle più critiche per grandezza e conseguenze. Come per molti eventi evolutivi chiave, ci sono sia buone che cattive notizie. In primo luogo, la cattiva notizia è che molti dettagli di questa transizione sono oscuri a causa della scarsità di reperti fossili e archeologici. Quanto alle “buone notizie”, ammettono ancora: “sebbene ci manchino molti dettagli su come, quando e dove sia avvenuto il passaggio dall'Australopithecus all'Homo, abbiamo dati sufficienti prima e dopo il passaggio per fare alcune deduzioni sul natura generale dei cambiamenti chiave che si sono verificati”. In altre parole, la documentazione sui fossili fornisce australopitechi simili a scimmie (“prima”) e Homo (“dopo”) simili a quelli umani, ma non fossili che documentano una transizione tra di loro. In assenza di intermedi, ci restano le "inferenze" di una transizione basata rigorosamente sul presupposto dell'evoluzione darwiniana. Un commentatore ha proposto che l'evidenza implichi una "teoria del big bang" dell'aspetto del nostro genere Homo. Ciò non costituisce un resoconto evolutivo convincente delle origini umane.
Piuttosto che mostrare una graduale evoluzione darwiniana, la storia della vita mostra uno schema di esplosioni in cui nuove forme fossili vengono all'esistenza senza chiari precursori evolutivi. L'antropologo evoluzionista Jeffrey Schwartz riassume il problema: Noi siamo ancora all'oscuro dell'origine della maggior parte dei principali gruppi di organismi. Appaiono nei reperti fossili come fece Atena dalla testa di Zeus - in piena regola e impaziente di andare, in contraddizione con la rappresentazione darwiniana dell'evoluzione come risultante dal graduale accumulo di innumerevoli variazioni infinitesimamente minuscole. . .”. Ciò pone una grande sfida all'evoluzione darwiniana, inclusa l'idea che tutti gli animali siano imparentati attraverso una discendenza comune.
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20/02/2022 17:38
 
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Problema 6: la biologia molecolare non è riuscita a produrre un grande "albero della vita"
Quando i fossili non sono riusciti a dimostrare che gli animali si sono evoluti da un antenato comune, gli scienziati evoluzionisti si sono rivolti a un altro tipo di prova, i dati sulla sequenza del DNA, per dimostrare un albero della vita. Negli anni '60, all'incirca nel periodo in cui il codice genetico fu compreso per la prima volta, i biochimici Émile Zuckerkandl e Linus Pauling ipotizzarono che se le sequenze di DNA potessero essere utilizzate per produrre alberi evolutivi - alberi che corrispondevano a quelli basati su caratteristiche morfologiche o anatomiche - questo avrebbe fornito "al meglio un'unica prova disponibile della realtà della macroevoluzione». Così iniziò uno sforzo decennale per sequenziare i geni di molti organismi e costruire alberi evolutivi ("filogenetici") basati su "molecolari". L'obiettivo finale è stato quello di costruire un grande "albero della vita", mostrando come tutti gli organismi viventi sono collegati attraverso una comune ascendenza universale.
L'assunzione principale
La logica di base dietro la costruzione di alberi molecolari è relativamente semplice. In primo luogo, i ricercatori scelgono un gene, o una suite di geni, che si trova in più organismi. Successivamente, quei geni vengono analizzati per determinare le loro sequenze nucleotidiche, quindi è possibile confrontare le sequenze geniche di vari organismi. Infine, viene costruito un albero evolutivo basato sul principio che più la sequenza nucleotidica è simile, più la specie è strettamente correlata. Un articolo sulla rivista Biological Theory lo mette in questo modo: La sistematica Molecolare si basa (in gran parte) sul presupposto, chiaramente articolato per la prima volta da Zuckerkandl e Pauling (1962), che il grado di somiglianza complessiva rifletta il grado di parentela. Questa ipotesi è essenzialmente un'articolazione di una caratteristica importante della teoria: l'idea di una discendenza comune universale. Tuttavia, è importante rendersi conto che è una mera supposizione affermare che le somiglianze genetiche tra specie diverse derivano necessariamente da una discendenza comune. Operando rigorosamente all'interno di un paradigma darwiniano, questi presupposti fluiscono però naturalmente. Come spiega il suddetto articolo sulla teoria biologica, l'assunto principale alla base degli alberi molecolari "deriva dall'interpretazione della somiglianza molecolare (o dissomiglianza) tra i taxa nel contesto di un modello darwiniano di cambiamento continuo e graduale". Quindi si presume che la teoria sia idonea a costruire un albero. Ma anche, se l'evoluzione darwiniana fosse vera, la costruzione di alberi che utilizzano sequenze diverse dovrebbe rivelare uno schema ragionevolmente coerente tra geni o sequenze differenti. Ciò rende ancora più significativo il fatto che gli sforzi per costruire un grande "albero della vita" utilizzando il DNA o altri dati di sequenze biologiche non siano stati conformi alle aspettative. Il problema fondamentale è che un gene fornisce una versione dell'albero della vita, mentre un altro gene fornisce una versione molto diversa e contrastante dell'albero. Ad esempio, come discuteremo più avanti, l'albero dei mammiferi standard pone gli esseri umani più strettamente legati ai roditori che agli elefanti. Ma gli studi su un certo tipo di DNA chiamato geni microRNA hanno suggerito il contrario: che gli esseri umani fossero più vicini agli elefanti che ai roditori. Tali conflitti tra alberi basati sui geni sono estremamente comuni.
I dati genetici non stanno quindi dipingendo un quadro coerente dell'ascendenza comune, mostrando che le ipotesi alla base della costruzione degli alberi comunemente falliscono. Ciò porta a domande giustificate sul fatto che l'ascendenza comune universale sia corretta.
Conflitti alla base dell'albero della vita
I problemi sono sorti per la prima volta quando i biologi molecolari hanno sequenziato i geni dai tre domini di base della vita - batteri, archaea ed eukarya - ma quei geni non hanno permesso a questi gruppi di base della vita di essere risolti in uno schema ad albero. Nel 2009, la rivista New Scientist ha pubblicato una storia di copertina intitolata "Perché Darwin si sbagliava sull'albero della vita" che spiegava questi dilemmi: I problemi sono iniziati all'inizio degli anni '90, quando è diventato possibile sequenziare veri geni batterici e arcaici piuttosto che solo RNA. Tutti si aspettavano che queste sequenze di DNA confermassero l'albero dell'RNA, e a volte lo facevano ma, soprattutto, in massima parte no. L'RNA, ad esempio, potrebbe suggerire che la specie A fosse più strettamente correlata alla specie B rispetto alla specie C, ma un albero fatto di DNA suggeriva il contrario. Questo tipo di dati ha portato il biochimico W. Ford Doolittle a spiegare che “i filogenitori molecolari non riusciranno a trovare il 'vero albero', non perché i loro metodi siano inadeguati o perché abbiano scelto i geni sbagliati, ma perché la storia della vita non può essere rappresentato come un albero”. New Scientist la mette così: “Per molto tempo il Santo Graal è stato quello di costruire un albero della vita... Ma oggi il progetto è a pezzi, fatto a pezzi da un assalto di prove negative”.
Molti evoluzionisti a volte rispondono che questi problemi sorgono solo quando si studiano microrganismi come i batteri, organismi che possono scambiare geni attraverso un processo chiamato "trasferimento genico orizzontale", confondendo così il segnale delle relazioni evolutive. Ma questa obiezione non è del tutto vera, dal momento che l'albero della vita è messo in discussione anche tra gli organismi superiori in cui tale scambio genetico non è prevalente. Carl Woese, un pioniere della sistematica molecolare evolutiva, spiega: “Incongruenze filogenetiche possono essere viste ovunque nell'albero universale, dalla sua radice alle ramificazioni principali all'interno e tra i vari taxa fino alla composizione degli stessi raggruppamenti primari”. Allo stesso modo, l'articolo del New Scientist osserva che "la ricerca suggerisce che anche l'evoluzione di animali e piante non è esattamente simile ad un albero". L'articolo spiega cosa è successo quando il microbiologo Michael Syvanen ha cercato di creare un albero che mostrasse relazioni evolutive utilizzando 2000 geni di un gruppo eterogeneo di animali: Ha fallito. Il problema era che geni diversi raccontavano storie evolutive contraddittorie. ... i geni inviavano segnali contrastanti. ... Circa il 50 per cento dei suoi geni ha una storia evolutiva e il 50 per cento un'altra, come ci si aspetterebbe in una scelta casuale. I dati erano così difficili da risolvere in un albero che Syvanen si lamentò: "Abbiamo appena annientato l'albero della vita". Molti altri articoli nella letteratura tecnica riconoscono problemi simili.
Conflitti tra rami superiori
Un documento del 2009 in Trends in Ecology and Evolution osserva che "Una sfida importante per l'incorporazione di così grandi quantità di dati nell'inferenza degli alberi delle specie è che storie genealogiche contrastanti spesso esistono in geni diversi in tutto il genoma". Allo stesso modo, in un articolo in Genome si sono studiate le sequenze di DNA in vari gruppi animali e scoperto che "diverse proteine generano diversi alberi filogenetici".
Un articolo del giugno 2012 su Nature riportava che brevi filamenti di RNA chiamati microRNA "stanno distruggendo le idee tradizionali sul modello ad albero del mondo animale" Il biologo di Dartmouth Kevin Peterson, che studia i microRNA, si è lamentato: "Ho esaminato migliaia di geni di microRNA e non riesco a trovare un solo esempio che possa supportare l'albero tradizionale". Secondo l'articolo, i microRNA hanno prodotto "un diagramma radicalmente diverso per i mammiferi: uno che allinea gli esseri umani più strettamente agli elefanti che ai roditori". Peterson lo ha detto senza mezzi termini: "I microRNA sono totalmente inequivocabili ... danno un albero completamente diverso da quello che vogliono tutti gli altri".
Conflitti tra molecole e morfologia
Non tutti gli alberi filogenetici sono costruiti confrontando molecole come il DNA di specie diverse. Molti alberi si basano sul confronto della forma, della struttura e del piano corporeo di diversi organismi, chiamati anche "morfologia". Ma sono comuni anche i conflitti tra alberi basati sulle molecole e alberi basati sulla morfologia. Un documento del 2012 che studiava le relazioni dei pipistrelli lo ha chiarito, affermando: "L'incongruenza tra filogenesi derivata da analisi morfologiche e molecolari e tra alberi basati su diversi sottoinsiemi di sequenze molecolari è diventata pervasiva poiché i set di dati si sono espansi rapidamente sia nei caratteri che nelle specie". Questo non è certo l'unico studio a incontrare conflitti tra alberi basati sul DNA e alberi basati su caratteristiche anatomiche o morfologiche. I libri di testo spesso affermano che la discendenza comune è supportata usando l'esempio di un albero di animali basato sull'enzima citocromo c che corrisponde al tradizionale albero evolutivo basato sulla morfologia. Tuttavia, i libri di testo menzionano raramente che l'albero basato su un enzima diverso, il citocromo b, contrasta con l'albero evolutivo standard. Come ha osservato un articolo in Trends in Ecology and Evolution: “il gene mitocondriale del citocromo b implicato porta a. . . un'assurda filogenesi dei mammiferi, indipendentemente dal metodo di costruzione dell'albero”. Gatti e balene rientravano all'interno dei primati, raggruppandosi con scimmie e strepsirhine (lemuri e loris) ad esclusione dei tarsi. Il citocromo b è probabilmente il gene più comunemente sequenziato nei vertebrati, il che rende questo sorprendente risultato ancora più sconcertante.
Sorprendentemente, un altro articolo su Trends in Ecology and Evolution concludeva che "la ricchezza di proposte morfologiche e molecolari in competizione delle filogenesi prevalenti degli ordini dei mammiferi ridurrebbe l'albero dei mammiferi a un cespuglio irrisolto, l'unico coerente con la relazione evolutiva è probabilmente il raggruppamento di elefanti e mucche di mare”.
A causa di tali conflitti, un importante articolo di revisione su Nature riportava che “le disparità tra alberi molecolari e morfologici” portano a “guerre di evoluzione” perché “alberi evolutivi costruiti studiando le molecole biologiche spesso non assomigliano a quelli ricavate dalla morfologia». Infine, uno studio pubblicato su Science nel 2005 ha cercato di utilizzare i geni per ricostruire le relazioni dei phyla animali, ma ha concluso che “nonostante la quantità di dati e l'ampiezza dei taxa analizzati, le relazioni tra la maggior parte dei phyla animali sono rimaste irrisolte. " L'anno successivo, gli stessi autori pubblicarono un articolo scientifico intitolato "Cespugli nell'albero della vita", che offriva conclusioni sorprendenti. Gli autori riconoscono che "una grande frazione di singoli geni produce filogenesi di scarsa qualità", osservando che uno studio "ha omesso il 35% di singoli geni dalla loro matrice di dati, perché quei geni hanno prodotto filogenesi in contrasto con la convinzione convenzionale". Il documento suggerisce che "alcune parti critiche dell'albero della vita possono essere difficili da risolvere, indipendentemente dalla quantità di dati convenzionali disponibili". L'articolo sostiene anche che "la scoperta ricorrente di cladi (cespugli) persistentemente irrisolti dovrebbe forzare una rivalutazione di diversi presupposti ampiamente diffusi della sistematica molecolare".
Sfortunatamente, un presupposto che questi biologi evoluzionisti non sono disposti a rivalutare è il presupposto che l'ascendenza comune universale sia corretta. Fanno appello a una miriade di argomenti ad hoc - trasferimento genico orizzontale, attrazione di rami lunghi, evoluzione rapida, diversi tassi di evoluzione, teoria coalescente, campionamento incompleto, metodologia errata ed evoluzione convergente - per spiegare dati scomodi che non si adattano al motivo ad albero ambito. Come affermava un documento del 2012, "il conflitto filogenetico è comune e spesso la norma piuttosto che l'eccezione". con esso una predizione chiave della teoria neodarwiniana.
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13/07/2022 14:59
 
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Perché Darwin sbaglia

...Il neodarwinismo, cioè una spiegazione dell' evoluzione del vivente centrata sul processo di selezione naturale, è nettamente superato.
Dal momento che questa teoria è ancora considerata dalla maggioranza dei biologi il fulcro di una concezione genuinamente scientifica dell' evoluzione, non ci stupiamo delle stroncature già ricevute, alcune addirittura velenose e talvolta sguaiate, per esempio quella dell' evoluzionista americano Michael Ruse sul «Boston Globe» e quella del genetista italiano Guido Barbujani sul «Sole 24 Ore». Assai gradite e non attese sono state, invece, le recensioni positive (sul «Guardian», «Sunday Times» e «Scotsman Five Star Reviews») e in Italia (Nicoletta Tiliacos sul «Foglio» e Roberto de Mattei sul «Giornale»). Una civilissima ma anche robusta tirata d' orecchie mi è stata personalmente data da Luigi Luca Cavalli-Sforza («Repubblica»), decano dei genetisti ed evoluzionisti italiani, di cui mi onoro di essere amico da molti anni e che tanti considerano a giusto titolo un maestro. Voglio subito precisare che Fodor ed io riteniamo Darwin uno dei massimi scienziati di ogni tempo, pochi gli stanno a petto per inventiva teorica, scrupolo sperimentale e onestà intellettuale. Però sono successe tante cose nel frattempo, comprese quelle che Cavalli-Sforza, il genetista e filosofo della New York University Massimo Pigliucci (in una sua stroncatura del libro su «Nature») e i filosofi americani Ned Block e Philip Kitcher (in una stroncatura sulla «Boston Review») giustamente citano. Si tratta di processi diversi dalla selezione naturale e da tempo riconosciuti tali, come l' effetto della fluttuazione casuale nelle varianti dei geni, detta «deriva genetica», le mutazioni neutrali, né favorevoli né sfavorevoli, e la selezione naturale limitata dalla densità (quando, cioè, essere in troppi a portare un tratto biologico inizialmente favorevole lo rende sfavorevole). Ma vi è di più, veramente ben di più, come raccontiamo nella prima parte del libro, basata su circa duecento lavori specialistici, tanto che illustri biologi come Eugene Koonin (del National Institute of Health di Bethesda), Carl Woese (Università dell' Illinois), e Lynn Margulis (Università del Massachusetts), ma non solo questi, hanno concluso e detto a chiare lettere che la teoria della selezione naturale è decisamente superata. Nel nostro libro trattiamo un buon numero di questi processi, che non hanno niente a che fare con la selezione naturale. Perfettamente naturali, assai complessi, ma non dovuti alla selezione naturale. Con tutto il rispetto, mi permetto, quindi, di dissentire dall' affermazione di Cavalli-Sforza: «Non c' è biologia senza selezione naturale e non c' è evoluzione senza selezione naturale». Vorrei essere più preciso. Nessuno si potrebbe sognare di dire che la selezione naturale non esiste e che non ha alcun ruolo nelle trasformazioni nel tempo di alcuni (solo alcuni) tratti biologici nelle popolazioni di viventi. Il punto oggi centrale è che si tratta di un processo assai marginale nella comparsa di specie nuove e nella spiegazione di moltissimi tratti biologici, lungo tutto l' albero dell' evoluzione. Per brevità, cito solo due esempi, spero chiarissimi. Le molte centinaia di specie di scolopendre esistenti hanno tutte, senza eccezioni, un numero dispari di paia di zampe (15, 21, 23, 27, 29, 41, 43, 101, 191). Come ha sottolineato Alessandro Minelli (Università di Padova), massimo studioso italiano di quell' approccio all' evoluzione chiamato Evo-Devo, cioè l' evoluzione considerata inscindibile dal processo di sviluppo dell' embrione, è impensabile che questo dato sia spiegabile mediante la selezione naturale e l' adattamento. Le scolopendre potrebbero certo vivere e riprodursi con un numero pari di paia di zampe. Si tratta di vincoli strutturali interni, non di selezione naturale. Tanto che alcuni mesi fa Minelli, con dei colleghi brasiliani, ha pubblicato la sbalorditiva scoperta, in Brasile, di una specie piuttosto recente di scolopendra che ha, sì, un numero di paia di zampe doppio rispetto alle specie più prossime in linea di discendenza, ma pur sempre un numero dispari. Duplicata, ma non proprio. La spiegazione sta nella dinamica dei vincoli strutturali interni e non nella selezione naturale. L' altro esempio è una specie di meduse (Tridpedalia cystophora) trovata nel mare di Santo Domingo, che ha ben quattro gruppi distinti di occhi, per un totale di ben 24 occhi globulari, ciascuno esattamente simile agli occhi dei vertebrati, quindi anche ai nostri, con tanto di bulbo oculare, lente, cornea e retina. Il bello è che non esiste un cervello capace di ricevere quelle immagini, potenzialmente nitidissime, né un nervo ottico per veicolarle. Inoltre, il piano focale della lente di ciascun occhio non si trova sulla retina, bensì oltre la retina. Un' ulteriore sfida, questa, a qualsiasi nozione di funzionalità e di origine evolutiva dovuta all' adattamento. Tutto quello che questo massiccio apparato visivo può fare, quindi, è solo segnalare il livello di luminosità (chiaro o scuro), funzione che nelle altre numerosissime specie di meduse è svolto da banali foto-recettori immensamente più semplici. Il noto studioso di Evo-Devo Gerhard Kirschner (Università di Harvard) ha detto che, nel caso di questa medusa, l' evoluzione è proprio impazzita. Eppure, si è potuto mostrare in dettaglio ed esaurientemente che questi organi complessi, del tutto inutili, provengono dalla duplicazione ripetuta di un preciso gene, l' antenato dei geni che nei vertebrati presiedono alla formazione degli occhi. Le cause interne sono chiare, mentre il ruolo delle pressioni ambientali, cioè della selezione naturale, è nullo. Assai stranamente, questi geni sono anche presenti, però inattivi, nel riccio di mare, che ovviamente non ha occhi. Quindi, come hanno giustamente sottolineato il biochimico ed evoluzionista Michael Sherman (Università di Boston) e il più noto studioso e divulgatore di Evo-Devo, il premiato Sean B. Carroll (Università del Wisconsin), la comparsa di nuove forme di vita non (mi permetto di sottolineare questo non) è dovuta alla comparsa di geni nuovi, ma a una diversa regolazione di geni molto spesso preesistenti. Molti casi come questi giustificano la crescente marginalizzazione della selezione naturale come spiegazione delle forme animali e dei processi evolutivi.


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