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COSA ESPRIMONO I CREDENTI NEL "CREDO"

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2010 10:14
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11/04/2010 22:58
 
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Il credo esprime in forma sintetica le principali verità delle fede dei cristiani, ma le espressioni che lo compongono, pur essendo molto precise, meritano qualche precisazione per evitare malintesi dovuti alle interpretazioni non sempre aderenti alla verità insegnata dalla Chiesa.
Quello che segue è un testo curato da Paolo VI e può essere utile a chi non lo conosca, leggere le sue precisazioni:

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11/04/2010 22:59
 
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11/04/2010 23:01
 
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Il testo integrale del Credo del popolo di Dio pronunciato solennemente da Paolo VI il 30 giugno 1968, nella traduzione ufficiale in lingua italiana:


crediamo in un solo Dio..."



crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Creatore delle cose visibili, come questo mondo ove trascorre la nostra vita fuggevole, delle cose invisibili quali sono i puri spiriti, chiamati altresì angeli, e Creatore in ciascun uomo dell'anima spirituale e immortale.


crediamo che questo unico Dio è assolutamente uno nella sua essenza infinitamente santa come in tutte le sue perfezioni: nella sua onnipotenza, nella sua scienza infinita, nella sua provvidenza, nella sua volontà e nel suo amore. Egli è Colui che è, com'egli stesso ha rivelato a Mosè; e egli è Amore, come ci insegna l'Apostolo Giovanni: cosicché questi due nomi, Essere e Amore, esprimono ineffabilmente la stessa realtà divina di colui, che ha voluto darsi a conoscere a noi, e che abitando in una luce inaccessibile è in se stesso al di sopra di ogni nome, di tutte le cose e di ogni intelligenza creata. Dio solo può darci la conoscenza giusta e piena di se stesso, rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo, alla cui eterna vita n?i siamo chiamati per grazia di lui a partecipare, quaggiù nell'oscurità della fede e, oltre la morte, nella luce perpetua, l'eterna vita. I mutui vincoli, che costituiscono eternamente le Tre Persone, le quali sono ciascuna l'unico e identico Essere divino, sono la beata vita intima di Dio tre volte santo, infinitamente al di là di tutto ciò che n?i possiamo concepire secondo l'umana misura. Intanto rendiamo grazie alla bontà divina per il fatto che moltissimi credenti possono attestare con n?i, davanti agli uomini, l'Unità di Dio, pur non conoscendo il mistero della Santissima Trinità.


dunque crediamo al Padre che genera eternamente il Figlio; al Figlio, Verbo di Dio, che è eternamente generato; allo Spirito Santo, Persona increata che procede dal Padre e dal Figlio come loro eterno Amore. In tal modo, nelle tre Persone divine, coeterne e coeguali, sovrabbondano e si consumano, nella sovreccellenza e nella gloria proprie dell'Essere increato, la vita e la beatitudine di Dio perfettamente uno; e sempre deve essere venerata l'Unità nella Trinità e la Trinità nell'Unità.


Noi crediamo in nostro signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri; e per mezzo di lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l'umanità, ed egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature, ma per l'unità della persona.


Egli ha dimorato in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato e instaurato il Regno di Dio, e in sé ci ha fatto conoscere il Padre. Egli ci ha dato il suo comandamento nuovo, di amarci gli uni gli altri c?m'egli ci ha amato. Ci ha insegnato la via delle Beatitudini del Vangelo: povertà in spirito, mitezza, dolore sopportato nella pazienza, sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore, volontà di pace, persecuzione sofferta per la giustizia. Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla Croce, salvandoci col suo sangue redentore. Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Risurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. Egli è salito al cielo, e verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all'Amore e alla Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all'ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto. E il suo Regno non avrà fine.


Noi crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dona la vita; che è adorato e glorificato col Padre e col Figlio. Egli ci ha parlato per mezzo dei Profeti, ci è stato inviato da Cristo dopo la sua Risurrezione e la sua Ascensione al Padre; egli illumina, vivifica, protegge e guida la Chiesa, ne purifica i membri, purché non si sottraggano alla sua grazia. La sua azione, che penetra nell'intimo dell'anima, rende l'uomo capace di rispondere all'invito di Gesù: Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste.


Noi crediamo che Maria è la Madre, rimasta sempre Vergine, del Verbo Incarnato, nostro Dio e Salvatore Gesù Crist?, e che, a motivo di questa singolare elezione, essa, in considerazione dei meriti di suo Figlio, è stata redenta in modo più eminente, preservata da ogni macchia del peccato originale e colmata del dono della grazia più che tutte le altre creature.


Associata ai misteri della Incarnazione e della Redenzione con un vincolo stretto e indissolubile, la Vergine Santissima, l'Immacolata, al termine della sua vita terrena è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste e configurata a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di tutti i giusti; e noi crediamo che la Madre Santissima di Dio, nuova Eva, Madre della Chiesa, continua in cielo il suo ufficio materno riguardo ai membri di Cristo, cooperando alla nascita e allo sviluppo della vita divina nelle anime dei redenti.


crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all'inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l'uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. ??i dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana, non per imitazione, ma per propagazione, e che esso è proprio a ciascuno.


crediamo che Nostro Signor Gesù Cristo mediante il Sacrificio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che, secondo la parola dell'Apostolo, là dove aveva abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.


Noi crediamo in un solo battesimo, istituito da Nostro Signor Gesù Cristo per la remissione dei peccati. Il battesimo deve essere amministrato anche ai bambini che n?n hanno ancor potuto rendersi colpevoli di alcun peccato personale, affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano dall'acqua e dallo Spirito santo alla vita divina in Gesù Cristo.


crediamo nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, edificata da Gesù Cristo sopra questa pietra, che è Pietro. Essa è il Corpo mistico di Cristo, insieme società visibile, costituita di organi gerarchici, e comunità spirituale; essa è la Chiesa terrestre, Popolo di Dio pellegrinante quaggiù, e la Chiesa ricolma dei beni celesti; essa è il germe e la primizia del Regno di Dio, per mezzo del quale continuano, nella trama della storia umana, l'opera e i dolori della Redenzione, e che aspira al suo compimento perfetto al di là del tempo, nella gloria. Nel corso del tempo, il Signore Gesù forma la sua Chiesa mediante i Sacramenti, che emanano dalla sua pienezza. E con essi che la Chiesa rende i propri membri partecipi del mistero della Morte e della Risurrezione di Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, che le dona vita e azione. Essa è dunque santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l'irradiazione della Sua Santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui ha il potere di guarire i suoi figli con il Sangue di Cristo ed il dono dello Spirito Santo.


Erede delle promesse divine e figlia di Abramo secondo lo Spirito, per mezzo di quell'Israele di cui custodisce con amore le sacre Scritture e venera i Patriarchi e i Profeti; fondata sugli Apostoli e trasmettitrice, di secolo in secolo, della loro parola sempre viva e dei loro poteri di Pastori nel Successore di Pietro e nei Vescovi in comunione con lui; costantemente assistita dallo Spirito Santo, la Chiesa ha la missione di custodire, insegnare, spiegare e diffondere la verità, che Dio ha manifestato in una maniera ancora velata per mezzo dei Profeti e pienamente per mezzo del Signore Gesù. Noi crediamo tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelata sia con un giudizio solenne, sia con il magistero ordinarlo e universale.

 crediamo nell'infallibilità, di cui fruisce il Successore di Pietro, quando insegna ex cathedra come Pastore e Dottore di tutti i fedeli, e di cui è dotato altresì il Collegio dei Vescovi, quando esercita con lui il magistero supremo.


Noi crediamo che la Chiesa, che Gesù ha fondato e per la quale ha pregato, è indefettibilmente una nella fede, nel culto e nel vincolo della comunione gerarchica. Nel seno di questa Chiesa, sia la ricca varietà dei riti liturgici, sia la legittima diversità dei patrimoni teologici e spirituali e delle discipline particolari lungi dal nuocere alla sua unità, la mettono in maggiore evidenza.


Riconoscendo poi, al di fuori dell'organismo della Chiesa di Cristo, l'esistenza di numerosi elementi di verità e di santificazione che le appartengono in proprio e tendono all'unità cattolica, e credendo all'azione dello Spirito Santo che nel cuore dei discepoli di Cristo suscita l'amore per tale unità, noi nutriamo speranza che i cristiani, i quali non sono ancora nella piena comunione con l'unica Chiesa, si riuniranno un giorno in un solo gregge con un solo Pastore.


Noi crediamo che la Chiesa è necessaria alla salvezza, perché Cristo, che è il solo Mediatore e la sola via di salvezza, si rende presente per noi nel suo Corpo, che è la Chiesa. Ma il disegno divino della salvezza abbraccia tutti gli uomini: e coloro che, senza propria colpa, ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma cercano sinceramente Dio e sotto l'influsso della sua grazia si sforzano di compiere la sua volontà riconosciuta nei dettami della loro coscienza, anch'essi, in un numero che Dio solo conosce, possono conseguire la salvezza.


crediamo che la Messa, celebrata dal sacerdote che rappresenta la persona di Cristo in virtù del potere ricevuto nel sacramento dell'Ordine, e da lui offerta nel nome di Cristo e di membri del suo Corpo Mistico, è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari. Noi crediamo che, come il pane e il vino consacrati dal Signore nell'ultima Cena sono stati convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue che di lì a poco sarebbero stati offerti per noi sulla Croce, allo stesso modo il pane e il vino consacrati dal sacerdote sono convertiti nel Corpo e nel Sangue di Cristo gloriosamente regnante nel cielo; e crediamo che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e sostanziale.


Pertanto Cristo non può essere presente in questo Sacramento se non mediante la conversione nel suo Corpo della realtà stessa del pane e mediante la conversione nel suo Sangue della realtà stessa del vino, mentre rimangono immutate soltanto le proprietà del pane e del vino percepite dai nostri sensi. Tale conversione misteriosa è chiamata dalla Chiesa, in maniera assai appropriata, transustanziazione. Ogni spiegazione teologica, che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad esser realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino, proprio come il Signore ha voluto, per donarsi a noi in nutri-mento e per associarci all'unità del suo Corpo Mistico.


L'unica ed indivisibile esistenza del Signore glorioso nel cielo non è moltiplicata, ma è resa presente dal sacramento nei numerosi luoghi della terra dove si celebra la Messa. Dopo il sacrificio, tale esistenza rimane presente nel Santo Sacramento, che è, nel tabernacolo, il cuore vivente di ciascuna delle nostre chiese. Ed è per noi un dovere dolcissimo onorare e adorare nell'Ostia Santa, che vedono i nostri occhi, il Verbo incarnato, che essi non posso no vedere e che, senza lasciare il cielo, si è reso presente dinanzi a noi.


Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, non è di questo mondo, la cui figura passa; e che la sua vera crescita non può esser confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all'amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi non hanno quaggiù stabile dimora, essa li spinge anche a contribuire – ciascuno secondo la propria vocazione ed i propri mezzi – al bene della loro città terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi. L'intensa sollecitudine della Chiesa, Sposa di Cristo, per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui, unico loro Salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la Chiesa conformi se stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca l'ardore dell'attesa del suo Signore e del Regno eterno.


Noi crediamo nella vita eterna. Noi crediamo che le anime dl tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo, sia che debbano ancora esser purificate nel purgatorio, sia che dal momento in cui lasciano il proprio corpo siano accolte da Gesù in Paradiso, come egli fece per il Buon Ladrone, costituiscono il Popolo di Dio nell'aldilà della morte, la quale sarà definitivamente sconfitta nel giorno della risurrezione, quando queste anime saranno riunite ai propri corpi.


crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite intorno a Gesù ed a Maria in Paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine eterna vedono Dio così com'è e dove sono anche associate, in diversi gradi, con i santi Angeli al governo divino esercitato da Cristo glorioso, intercedendo per noi ed aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine.


Noi crediamo alla comunione tra tutti i Fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la propria purificazione e dei beati del cielo, i quali tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l'amore misericordioso di Dio e dei suoi Santi ascolta costantemente le nostre preghiere, secondo la parola di Gesù: Chiedete e riceverete. E con la fede e nella speranza, noi attendiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.


Sia benedetto Dio santo, santo, santo. Amen.



Pronunciato davanti alla Basilica di San Pietro, il 30 giugno dell'anno 1968, sesto del Nostro Pontificato.


PAOLO PP. VI

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29/04/2010 09:51
 
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29/04/2010 09:54
 
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Le considerazioni che seguono hanno lo scopo di metterci a contatto con quella che chiamiamo
professione di fede, comunemente detta "Il Credo".

Una serie di affermazioni sintetiche che costituiscono il fondamento dell’essere cristiani.
Fin dai primissimi tempi i discepoli di Gesù si sono serviti di alcune brevi frasi per cercare
di sintetizzare la realtà del loro maestro. In genere erano formule brevi che con il tempo la
chiesa ha ampliato sia per esigenze di completezza e sia per prendere le distanze dalle
deviazioni (eresie) che cominciavano a manifestarsi riguardo al mistero di Gesù Cristo.
Inoltre si è sentita la necessità di raccogliere l’essenziale della fede in sintesi articolate e
complete destinate in particolare a coloro che intendevano entrare a far parte della
comunità mediante il Battesimo.
Per questa ragione tali sintesi vengono chiamate Simboli della fede e costituiscono
anche oggi il primo e fondamentale riferimento di ogni catechesi di iniziazione alla vita
cristiana.

Fra tutti i simboli della fede, due hanno un posto speciale nella Chiesa di oggi:
- Il Simbolo Apostolico, così chiamato perché ritenuto il più antico riassunto della
fede degli apostoli. La sua autorità deriva dal fatto che è il simbolo accolto dalla
Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo degli apostoli, e dove egli
portò l’espressione della fede comune.
- Il Simbolo detto di Nicea-Costantinopoli, il quale trae la sua autorità dal fatto di
essere frutto dei primi due concili ecumenici (Nicea 325; Costantinopoli 381).
Attualmente questo simbolo viene usato sia dalle chiese dell’Occidente che da
quelle dell’Oriente.

La Chiesa per conferire il Battesimo a coloro che intendono farne parte propone dunque
una serie di affermazioni a cui occorre prestare l’assenso (credo). Da qui la consuetudine
di chiamare Credo l’insieme di queste affermazioni.
Prima di esaminare le singole affermazioni occorre chiarire il significato dell’assenso che
ad esse viene chiesto. In altre parole si tratta di comprendere il significato del verbo
credere.

CREDERE: UN VERBO DAI MOLTI SIGNIFICATI

Credere è uno strano verbo in italiano perché contiene sia l'idea di sicurezza e sia quella
di insicurezza. Infatti "credere" viene usato nei seguenti modi
1. "Credo che..." = penso che..., ma non ne sono sicuro.
Es.: "Credo che domani faccia bello" = non ne sono ben sicuro ma non mi meraviglierei
troppo qualora capitasse il contrario.
2. "Credo a... (qualcuno)" = mi fido di qualcuno e perciò accetto quanto mi dice.
Es.: "Credo al medico che mi propone una certa cura" = mi fido del medico e perciò
accetto come valido per guarire qualcosa che per me non è verificabile e perciò mi rimane
sempre, fino a guarigione avvenuta, un margine più o meno grande di dubbio.
In questo caso "credere" è accettare come vero qualcosa che non mi è evidente e che
tuttavia accetto sulla parola di persone in cui ho fiducia, non in base a prove di tipo
razionale, ma in base ad "indizi" o "garanzie". Prima mi fido della persona e poi accetto
per vero quello che la persona dice.
Però, dato che non c'è l'evidenza soggettiva di ciò in cui credo, rimane sempre un margine
di dubbio sul "valore" delle persone che mi propongono l'inevidente.
3. "Credo a ... (qualcosa)" = sono assolutamente sicuro della verità di un'affermazione.
Es.: "Quello è uno che crede a ciò che fa" = è assolutamente sicuro di ciò che fa e si butta
con convinzione, entusiasmo e rischio in ciò che fa.
In questo caso però, se voglio essere chiaro, devo precisare da dove nasce questa mia
sicurezza. Una certa affermazione è vera perché
a) la constato vera, oppure ho esperienza della realtà espressa da quell'affermazione;
b) l'ho dimostrata razionalmente;
c) mi fido di qualcuno che me la garantisce, perché lo ritengo degno di fiducia.
In quest'ultimo caso ricado nel 2° significato del verbo "credere".
Proviamo ad applicare quanto detto alla prima affermazione che troviamo nel Credo:
Credo in Dio.

Che senso può avere la frase: "Credo in Dio?"
In quale dei significati del verbo "credere" analizzati precedentemente si usa la frase?
1. Non sono ben sicuro dell'esistenza di Dio.
Normalmente chi dice "Credo in Dio" non usa "credo" in questo senso. Qualora lo usasse
così, occorre notare che questo atteggiamento non può reggere una vita. Ci sarà una
continua oscillazione fra il sì e il no a seconda dei fatti che succedono, belli o brutti.
2. Accetto l'esistenza di Dio, perché mi fido .
Questa affermazione può essere però intesa in due sensi:
a) Mi fido di Dio e perciò mi lascio guidare da Lui.
Ma chi dice così come fa a fidarsi di una persona che non conosce? Dio l'ha visto? Come
fa ad essere sicuro che c'è? (v. sotto, punto 3.)
b) Mi fido di qualcuno che mi dice che Dio c'è.
In questo caso accetto l'esistenza di Dio sulla parola di qualcuno che me l'ha detto e mi
porta "garanzie" (non "prove") che io ritengo sufficienti perché mi fidi di lui.
Questo "intermediario" fra me e Dio non può portare "prove". Se infatti mi portasse prove
di tipo razionale che io ritengo valide, io non crederei a lui, ma esclusivamente al mio
cervello.

In questo caso occorre però precisare chi è questo "intermediario" e quali garanzie offre
per essere creduto quando afferma che Dio c'è.
Per ciò che riguarda Dio, Mosè, o Gesù, o Maometto, o vari altri lungo i secoli si sono
presentati come "testimoni" di Dio. Il problema è: "A chi credere?"
E tutto sta nel valutare le "garanzie" che ognuno di essi porta per essere creduto.
Secondo i cristiani il modo valido per arrivare a Dio è: "Credo a Gesù di Nazareth il quale,
proclamandosi Figlio di Dio, mi rivela Dio come suo Padre". Garanzia unica che Gesù
porta per essere creduto è la sua risurrezione.
3. Sono sicuro che Dio c'è e affido a Lui la mia vita .
In questo caso però occorre precisare da dove nasce questa sicurezza.
Le risposte date storicamente sono state
a) perché l'ho visto, lo vedo, lo constato, lo scopro... fuori di me! oppure perché lo intuisco
in me!
A chi risponde così si può domandare: "Sei sicuro che quello che hai visto o intuito sia Dio
o non piuttosto una proiezione dei tuoi desideri, una tua costruzione psicologica per
bisogno di sicurezza?
b) perché lo dimostro!
A chi risponde così si può domandare ancora: "Come? Con quali prove?".
Egli porterà le prove. Io le valuterò e se le troverò convincenti, "crederò" all'esistenza di
Dio, ma solo fidandomi del mio cervello. Ringrazio lui di avermi aiutato a capire, ma Dio
c'è non perché l'ha detto lui, bensì perché sono arrivato io a dimostrarne l'esistenza.
E anche qui "credere" non è usato in senso tecnico teologico. Crea confusione.
I cattolici accettano come valida per arrivare a dire che Dio c'è anche la ragione umana
Ma per dire questo si basano su un dato di fede, perché citano un'affermazione definita
dal Concilio Vaticano I, la quale si basa su un testo di Paolo, lettera ai Romani 1,20:
- il testo del Vaticano I: "È possibile dalle cose create arrivare a conoscere con certezza
che Dio c’è".
- il testo di Rom 1,18-20: "Si rivela infatti (l’)ira di Dio dal cielo contro ogni empietà e
ingiustizia di uomini che tengono avvinta la verità in ingiustizia, perché ciò che è
conoscibile del Dio è manifesto in essi: il Dio infatti ad essi (lo) manifestò. Infatti le cose
invisibili di lui dalla creazione del mondo appaiono intelligibili per mezzo delle opere, sia
l’eterna sua potenza, sia la divinità, ...". (ma qualcuno qui direbbe "inventato").
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29/04/2010 09:59
 
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CREDERE È CREDERE IN QUALCUNO (PUNTO 2)

E’ l’esperienza del fidarsi senza avere prove certe, sorretti dalla sola garanzia della nostra
fiducia in lui.
Ricordiamo la fede di Pietro: “Signore fino ad ora non abbiamo pescato nulla ma sulla tua
parola getterò le reti”.
Ma c’è una difficoltà ulteriore: noi non abbiamo la possibilità di relazionarci in modo diretto
con Gesù, il quale è venuto 2000 anni fa, per cui la nostra fiducia in lui può avvenire
soltanto grazie alla mediazione di altri soggetti.


L'atto di fede oggi si sviluppa attraverso i seguenti passaggi:
1) atto di fiducia nella Chiesa, che abbia conservato bene l'insegnamento degli apostoli,
selezionando e tramandando senza manipolazioni i libri che lo contenevano e
interpretandoli secondo quanto gli autori volevano dire;
2) atto di fiducia (attraverso la Chiesa) negli apostoli che abbiano tramandato bene quanto
Gesù ha fatto e detto, in particolare la risurrezione di Gesù;
3) atto di fiducia (attraverso gli apostoli) in Gesù che sia veramente quello che ha detto di
essere, cioè il Figlio di Dio, il Cristo, poiché l'ha garantito con la risurrezione;
4) atto di fiducia (attraverso Gesù) in Dio, Padre di Gesù e Padre di tutti gli uomini, che
abbia risposto al problema del senso della vita umana.
Questo è lo schema teorico di un corretto atto di fede cristiano.

SIMBOLO APOSTOLICO


Io credo in Dio, Padre onnipotente
creatore del cielo e della terra;
e in Gesù Cristo,
suo unico Figlio, nostro Signore,
il quale fu concepito di Spirito Santo,
nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato,
fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi;
il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo,
siede alla destra di Dio Padre onnipotente;
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica,
la comunione dei santi,
la remissione dei peccati,
la resurrezione della carne,
la vita eterna.
Amen


APPENDICE
Riferimenti bibliografici:
- Catechismo della Chiesa cattolica.
In particolare per questa introduzione si possono leggere i nn.166-167-170-171-172-
173-174-175-185-186-187-188-189-190-191-192-193-194-195-196-197.
Per la meditazione:
Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 5 sulla fede e il simbolo, 12-13; PG 33, 519-523)
Il simbolo della fede
Nell'apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta
dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. Ma non tutti sono in grado di leggere le
Scritture. Alcuni ne sono impediti da incapacità, altri da occupazioni varie. Ecco perché, ad
impedire che l'anima riceva danno da questa ignoranza, tutto il dogma della nostra fede viene
sintetizzato in poche frasi.
Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni di tua
vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo
insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male,
cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore. Così «se anche noi stessi o un
angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia
anàtema!» (Gal 1, 8).
Cerca di ritenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci
umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura. Essi
compongono e formano l'unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella
sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue
brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell'Antico quanto nel Nuovo
Testamento.
Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene
gli insegnamenti nel più profondo del cuore.
Vigilate attentamente perché il nemico non vi trovi indolenti e pigri e così vi derubi di questo
tesoro. State in guardia perché nessun eretico stravolga le verità che vi sono state insegnate.
Ricordate che aver fede significa far fruttare la moneta che è stata posta nelle vostre mani. E
non dimenticate che Dio vi chiederà conto di Ciò che vi è stato donato.
«Vi scongiuro», come dice l'Apostolo, «al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo
Gesù, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato» (1 Tm 6, 13), conservare
intatta fino al ritorno del Signore nostro Gesù Cristo questa fede che vi è stata insegnata.
Ti è stato affidato il tesoro della vita, e il Signore ti richiederà questo deposito nel giorno della
sua venuta «che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei signori; il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Tm 6, 15-16). Al quale sia gloria, onore ed impero per i secoli eterni. Amen
.
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“Io credo in un solo Dio”. Inizia così la professione di fede di Nicea-Costantinopoli,
evidenziando l’unicità di Dio.
Già nell’Antico Testamento essa è chiaramente attestata: “Ascolta, Israele: il Signore è il
nostro Dio, il Signore è Uno solo” (Dt 6,4).
“Volgetevi a me e sarete salvi, paesi tutti della terra, perché io sono Dio; non ce n'è altri”
(Is 45,22).
L’anagrafe di Dio
“Mosè disse a Dio: < mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?>>.
Dio disse a Mosè: <>. Poi disse: < mi ha mandato a voi>>. Dio aggiunse a Mosè: < vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi.
Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in
generazione” (Es 3,13-15).
Questo nome che Dio dice di se stesso è assai misterioso: dice ma allo stesso tempo non
dice. “Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio di Israele, salvatore” (Is 45,15).
Dio non vuole giocare a nascondino con l’uomo, ma la sua identità è così al di sopra di
qualunque categoria comprensibile all’uomo che non può dire altro, l’uomo non capirebbe.
Tuttavia le espressioni usate nel dialogo con Mosè sono di per sé molto significative e
ricche: io sono colui che sono equivale ad affermare: io esisto, io vivo, io sono il vivente.
Tutta la storia dell’Antica Alleanza è impregnata di questa esistenza-presenza di Dio in
mezzo al suo popolo.
Rivelando il suo nome, Dio rivela al tempo stesso la sua fedeltà che è da sempre, valida
per il passato (“Io sono il Dio dei tuoi padri” – Es 3,6); come per il futuro (“Io sarò con te” –
Es 3,12).
La promessa della prossimità di Dio con l’umanità ha il suo vertice con l’incarnazione,
dove si da’ all’umanità attraverso il suo Figlio, il quale rivelerà che anch’egli porta il nome
divino: “Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io-Sono e non
faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo” (Gv 8,28)
Nel nostro linguaggio l’espressione io sono è incompleta: io sono bravo, io sono
intelligente, io sono obeso, ecc. Invece come nel caso di Dio la cosa può funzionare, nel
senso che, lasciando la frase incompleta, possiamo e dobbiamo immaginare l’attributo
positivo più grandioso che possa esistere: ma poiché nessun linguaggio umano lo
conosce, non è lecito cercare di inventarlo, per non impoverire la realtà di Dio.
Tuttavia il Dio di cui parliamo si è rivelato più che con la carta d’identità, con il suo essere
presente e operante nella storia degli uomini a partire dal popolo d’Israele. E lo stesso
Israele ha potuto, poco per volta, scoprire che il motivo per cui Dio si era rivelato proprio a
lui e non ad altri popoli era uno solo: il suo amore gratuito1. I profeti hanno ravvivato poi la
1 Cf. Dt 7,8”Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli siete infatti il
più piccolo di tutti i popoli , ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri
6
coscienza che Dio non si è mai stancato di amare nonostante le ripetute infedeltà del suo
popolo2.
I passi che evidenziano questa dimensione di Dio e la ‘raccontano’ sono molti: è
consigliabile rileggerli3.
Ma è con il suo Figlio Gesù che l’immagine di Dio si svela in tutta la sua chiarezza, al
punto che attingendo soprattutto (ma non solo) alle opere dell’evangelista Giovanni
(vangelo e lettere) scopriamo un linguaggio che ci permette di completare l’espressione
rimasta in sospeso riguardo l’identità di Dio.
Io sono …, può ora diventare: io sono l’Amore
“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato
da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv
4,7-8).
Queste dense espressioni della prima lettera di Giovanni indicano con chiarezza come per
il cristiano credere in Dio non significa semplicemente ‘pensare’ che Dio esista, ma molto
più: confessare (proclamare) con le labbra e con il cuore che Dio è amore.
Una prima conseguenza porta a riconoscere che Dio non può essere solitudine: per amare
bisogna essere almeno in due. La Scrittura parla del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Il Padre è l’Amante; il Figlio l’Amato; lo Spirito Santo l’Amore scambiato, ricevuto e
donato.
Allora credere in Dio amore significa credere che Dio è Uno in Tre Persone, in una
comunione perfetta, intessuta di relazioni reali di reciproco scambio di incontro e di amore.
In rapporto alla nostra vita e alle nostre storie personali, credere in Dio Amore significa
avere la certezza che nessun uomo davanti a Lui è semplicemente un numero, ma un
essere unico e irripetibile.
Ma concretamente cosa significa affermare che Dio è Amore? Proseguiamo il brano della
1Gv: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito
Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati
noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di
espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,9-10).
Siamo così rimandati ai piedi della croce dove l’amore di Dio si spinge fino al limite
massimo, ben lontani dall’immagine, purtroppo ancora molto diffusa, di un Dio
inaccessibile, solitario, giudice e giustiziere implacabile.
Il vero volto di Dio è il volto della vergogna,dell’insuccesso, dell’umiltà, della sofferenza,
dell’assurdo. E’ chiaramente un’immagine capovolta rispetto tutte le concezioni di Dio che
certa storia e certa cultura ci hanno consegnato.
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29/04/2010 10:02
 
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Il Padre: l’Amante
In quanto Amore, Dio è anzitutto il Padre di Gesù, che l’ha consegnato alla morte per noi:
“non ha risparmiato suo Figlio” (Rm 8,32).
Dio non può non amare. Cosa potrebbe farebbe d’altro? C’ è una bella espressione di
Lutero: “Dio non ci ama perché siamo buoni e belli; Dio ci rende buoni e belli perché ci
padri..”
2 Cf. Is49,14-15 “ Sion ha detto: <<Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato>>. Si dimentica forse
una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si
dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”.
3 Le citazioni sono reperibili nel CCC in nota ai nn. 218, 219, 220, 221.
7
ama”. Dio non si stancherà mai di amarci, perché non ci ama per i nostri meriti, ma perché
da sempre ha iniziato ad amare e per sempre continuerà ad amare.
La conseguenza dell’essere amati produce amore.
Amandoci, Egli ci rende capaci di amare. Amati possiamo anche noi cominciare ad amare.
Il Padre si presenta come l’eterno Amante, che da sempre ha iniziato ad amare e che
suscita noi la storia dell’amore, comunicandoci la Sua gratuità4.
Il Figlio: l’Amato
E’ colui che da sempre si è lasciato amare. Da sottolineare la passività del lasciarsi amare.
Non è divino soltanto l’amare: lo è anche il lasciarsi amare, il ricevere amore. Non è divina
soltanto la gratuità: è divina anche la gratitudine. Il Figlio, l’Amato, sa dire grazie all’Amore,
si fa accoglienza eterna.
Questo dinamismo si innesta nella nostra vita quando sappiamo dire grazie, cioè
accogliamo l’amore degli altri. Non è sufficiente cominciare ad amare: occorre lasciarsi
amare, diventare umili di fronte all’amore degli altri, riuscire a fare spazio alla vita degli
altri. Come il Padre (l’Amante) ci contagia la gratuità, il Figlio (l’Amato) ci contagia la
gratitudine, l’accoglienza.
Lo Spirito: l’Amore
Nella relazione tra il Padre e il Figlio lo Spirito è Colui che unisce e libera. Nella tradizione
occidentale, da s.Agostino in poi, lo Spirito è contemplato come il vincolo dell’Amore
eterno fra l’Amante e l’Amato. Pertanto quando lo Spirito entra in noi ci ricompone, ci
riconcilia, ci unifica e ci unisce a Dio e agli altri. Ci rende capaci del linguaggio della
comunione, della pace, di unità, in quanto vincolo della carità eterna.
La tradizione delle chiese orientali ci consegna una sfumatura diversa dello Spirito Santo.
Viene chiamato l’estasi di Dio, in quanto apre il cerchio dell’Amore e realizza all’interno
della divinità la verità che amare non significa stare a guardarsi negli occhi, ma guardare
insieme verso la stessa meta. In altre parole lo Spirito non solo unisce Il Padre e il Figlio,
ma fa uscire Dio da sé per comunicarsi a noi. E noi quando ci lasciamo raggiungere e
trasformare dallo Spirito, non possiamo più accontentarci di guardarci negli occhi, perché
sentiremo il bisogno di uscire, di portare agli altri il dono dell’amore con cui siamo stati
amati.

APPENDICE
Riferimenti bibliografici:
- Catechismo della Chiesa cattolica.
Per approfondire si possono leggere dal cap. I i paragrafi 1 e 2 (nn. da 198 a 267)
4 “Quando ami non devi dire: ho Dio nel cuore; ma piuttosto: sono nel cuore di Dio” (K.Gibran).
8
Per la meditazione:
Abbiamo cercato di conoscere e sapere qualcosa su Dio.
Facciamo attenzione al pericolo che corse quell’uomo assetato di sapere sempre meglio chi fosse
Dio: era un teologo, uno studioso delle cose di Dio.
Siamo nei primi secoli del cristianesimo in cui fiorisce la spiritualità dei padri del deserto. Poimen è
un vecchio eremita, saggio e sapiente nelle cose di Dio. Il nostro cercatore di Dio si reca da lui per
incontrarlo e incomincia a parlargli delle realtà celesti e della Trinità. Poimen lo sta pazientemente
ad ascoltare senza dargli una sola risposta. L’uomo, stizzito, si accinge a lasciare l’eremita.
Il discepolo che viveva con l’eremita si avvicina a Poimen e gli dice: “Padre, questo grande uomo,
che è tanto considerato e stimato nel suo paese, è venuto qui per te. Perché non gli hai parlato?”. Il
vecchio rispose: “Lui abita lassù in alto e dice cose celesti, mentre io appartengo alla schiera di
quelli che stanno sotto e dico cose terrene. Se avesse parlato delle passioni dell’anima, gli avrei
risposto volentieri. Ma se parla di cose spirituali non le capisco”.
L’incontro del teologo con Poimen finisce qui per il momento.
Il discepolo raggiunge il teologo che si stava allontanando e gli dice: “Il vecchio non ama parlare
della Scrittura, ma se qualcuno parla con lui delle passioni dell’anima, gli da’ risposta”. Il teologo
riflette, ritorna da Poimen e gli dice: “Che devo fare quando in me prendono il sopravvento le
passioni dell’anima?”. Il vecchio allora lo guarda con il volto pieno di gioia e riprende: “Adesso sei
venuto a me nel modo giusto, ora apri la tua bocca per queste cose e io la riempirò di cose buone”.
Il teologo ne ricavò grande vantaggio ed esclamò: “E’ proprio questa la strada giusta”. Da quel
momento il loro colloquio diventò sincero ed essi si incontrano nel loro cuore, e assieme entrano in
contatto con Dio.
*****************
Dio tre volte Santo, Trinità d’amore,
fa’ che io confessi con le labbra e con il cuore
l’infinita bellezza dell’eterna storia del Tuo divino amare.
Ti riconoscerò Padre, eterno Amante, da cui proviene ogni dono perfetto.
Ti confesserò Figlio, Amato che tutto riceve e tutto dona.
Ti adorerò Spirito Santo, insieme con l’Amante e con l’Amato,
come Amore ricevuto e donato,
vincolo della carità eterna ed estasi dell’eterno Amore.
In Te vorrò nascondermi,
per essere per sempre perdutamente amato
e alla Tua scuola imparare ad amare.
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29/04/2010 10:03
 
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PADRE ONNIPOTENTE
Onnipotente nell’amore
In base a quanto detto riguardo la definizione di Dio indissolubilmente legata alla realtà
dell’amore, possiamo ora inoltrarci ad esaminare il primo attributo che la professione di
fede riconosce a Dio: l’onnipotenza. Parola che in passato, ma ancora oggi può creare
degli equivoci. “L’onnipotenza di Dio viene chiamata in causa nella natura e nella storia là
dove si arrestano la scienza e la tecnica, l’economia e la politica o quando non siamo più
in grado di fronteggiare i nostri problemi personali… Ma dopo i massacri del nazismo e del
comunismo, non è più possibile parlare di un Dio onnipotente, assoluto, che tutto potrebbe
fare, ma di fronte a enormi catastrofi su naturali e crimini contro l’umanità, non interviene,
ma tace, tace e tace …” (H.Kung, Il Credo, Milano, 1994, p.23).
Ma l’onnipotenza di Dio è altro: Dio, il Padre di Gesù, è Colui ha cominciato una volta e
per sempre ad amare e che non è mai stanco di cominciare ad amare: è il Padre
onnipotente.
Possiamo domandarci dove nasce in Lui questo coraggio di amare, tanto più
sorprendente quanto più pensiamo alla storia d’ingiustizia, di peccato e di morte che è la
storia del mondo in cui viviamo. Come fa questo Dio-della-vita a non stancarsi dei nostri
rifiuti, delle nostre indifferenze, dei nostri tradimenti, che ci rendono uomini deboli, idolatri
e sanguinari?
Questi interrogativi non hanno risposta se non si contempla il mistero della gratuità del
Suo amore: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che amato
noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati … Noi
abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore: chi sta
nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,10.16).
Il Padre è l’eterno Amante, Colui cui appartiene in assoluto l’iniziativa dell’amore: senza
essere costretto o motivato da qualche causa esterna. Egli ha iniziato nell’eterno ad amare
e continuerà per sempre ad amare.
“Uomo, dice il Signore, considera ch’io sono stato il primo ad amarti. Tu non eri ancora al il
mondo, il mondo neppur v’era ed io già ti amavo” (S.Alfonso Maria de Liguori).
Quest’amore che un ‘dare gratuitamente’, è all’origine dell’atto della creazione: “E’ l’amore
che fa esistere” (M.Blondel).
Lo stesso amore è alla radice dell’atteggiamento che il Padre ha nei confronti degli uomini.
Ama le pecore smarrite5, i peccatori e i malati6, i perduti7: in una parola gli ultimi, quelli che
nessuno ama.
Un brano di S.Paolo riassume bene questo orientamento di Dio: “Ma Dio ha scelto ciò che
nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per
confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è
nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,27-28).
5 Cfr. Lc 15,4-7: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a
quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i
vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in
cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.
6 Cfr. Lc 5,31s: “Gesù rispose: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati;
[32]io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”.
7 Cfr. Lc 19,10: “il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”
10
Se dunque Dio è Padre è Amore non ci sarà nessun motivo o colpa per cui possa
dimenticarsi dell’uomo e voltargli le spalle. Dio continua e continuerà ad amare gli uomini
perché diversamente smentirebbe se stesso in quanto Amore incondizionato.
Le provocazioni
Di fronte al Padre di infinita misericordia si leva la domanda che viene dal dolore del
mondo: perché il dolore se Dio ci ama? Perché il suo silenzio davanti ai dolori del mondo?
Dov’è il Padre onnipotente nell’amore? Dio muore nell’innocente che muore8.
Il primo senso di questa risposta tragica in cui si afferma la morte di Dio nell’innocente che
muore porta a risolvere il senso della vita dell’uomo in un puro esistere per la morte, dove
tutto è destinato al nulla. Tutte le risposte atee conducono a guardare la morte negli occhi
e perdersi in essa, confessando che nulla ha veramente senso. Anche il ‘carpe diem’ non
può che trascinarsi in una tristezza invincibile e una protesta contro Dio.
Alla protesta contro Dio si oppone l’atteggiamento opposto: la resa, la rinuncia alla
domanda dell’uomo sofferente. Il grido del deportato di Auschwitz rivela qui il suo secondo
senso: nell’innocente che muore si presenta la morte di un Dio senza cuore, dl Dio dei pii
e di coloro che si ritengono giusti e sono convinti della giustizia divina ripristinata con le
pene del mondo. Quasi una celebrazione della gloria di Dio a prezzo della morte
dell’uomo.
La risposta di un Dio com-passionato
Accanto all’innocente che muore, solidale con lui ed in lui c’è il Dio della Croce: non un
giudice lontano, impassibile spettatore della sofferenza umana; ma il Dio vicino, il Dio
‘compassionato’, il Dio che ha fatto suo il dolore del mondo per dare ad esso senso e
conforto.
Il Vangelo del dolore di Dio è il Vangelo dl Crocifisso che si consegna alla morte per amor
nostro. In questo modo si annuncia non la morte di Dio ma la morte in Dio, in senso
trinitario. La passione del Crocifisso, e in essa la passione del mondo, toccano
profondamente il mistero della divinità, coinvolgendo ciascuna delle Persone divine e
inserendo la storia del dolore del mondo nell’eterna storia dell’amore divino.
Al patire umano viene così riconosciuta una dignità infinita: così grande da essere assunta
dal Figlio e al contempo rivelativi della vicinanza di Dio Padre ad ogni sofferenza degli
uomini, per redimerla e dare ad essa consolazione e speranza.
Il Vangelo della Croce non pretende essere la risposta al problema del silenzio di Dio: la
domanda viene superata nella certezza della prossimità del Dio vicino, che offre a tutti, per
vie misteriose, che Lui solo conosce, la possibilità di trasformare il dolore in amore, la
bestemmia in invocazione, la storia della sofferenza in storia dell’amore del mondo.
“Se vogliamo sapere chi è Dio, dobbiamo inginocchiarci ai piedi della Croce” (J.Moltmann).
CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA
8 Dinanzi ai poveri impiccati nel luogo dell’Olocausto, l’Auschwitz di ogni miseria umana, mentre il condannato più
giovane si dibatte lottando con la morte, la voce di un prigioniero domanda: “Dov’è dunque Dio?”. E il grido di un
altro racchiude tutte le possibili risposte: “Eccolo: è appeso lì, a quella forca”. (cfr.E.Wiesel, La notte, Firenze, 1980,
p.67)
11
A partire dalla redenzione
A questa domanda la fede cristiana sin dalle sue origini ha dato risposta collegando fra
loro creazione e redenzione. Come aveva fatto il popolo d’Israele, così la Chiesa alla
confessione del Dio creatore passando attraverso l’esperienza del Dio Salvatore.
E’ alla luce dell’evento pasquale che la storia delle origini è letta come storia trinitaria.
La creazione viene anzitutto riferita al Padre in quanto principio di ogni vita: dalla sorgente
inesauribile della divinità ha origine tutto quanto esiste; dal Padre è “ogni paternità in cielo
e in terra” (Ef 3,15). Riprendendo la formulazione niceno-costantinopolitana confessiamo
che Dio Padre è onnipotente, creatore e signore del cielo e della terra, di tutte le cose
visibili e invisibili.
Dalla distinzione fra il Padre e il Figlio deriva la comunione all’interno dell’infinità alterità fra
il Creatore e ogni creatura: “tutto è stato creato per mezzo di Cristo e in vita di Lui (…)
“per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle
visibili e quelle invisibili ..” (cfr.Col 1,16).
Come nella vita divina trinitaria lo Spirito, in quanto amore unificante unisce il Padre al
Figlio, così lo stesso Spirito unisce la creatura al Creatore.
Tutto è stato creato dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito. E nello stesso Spirito,
per mezzo del Figlio unico mediatore, tutto ritornerà al Padre.
L’orizzonte creaturale
Pertanto, tutto quanto esiste, in qualunque forma o spazio o tempo esista, in quanto ha
ricevuto essenza ed esistenza, va riconosciuto come creatura dell’unico e solo Dio.
Ammettendo che esistano altri mondi a noi ignoti il Padre estende la sua signoria anche su
di essi.
E’ chiamata in causa l’onnipotenza creatrice di Dio che non può essere misurata secondo i
criteri valutativi della conoscenza umana, e neppure limitata nelle sue infinite possibilità
dall’uomo. Dio è Dio e la creatura non è Dio.
Un richiamo alla vastità e profondità dell’azione creatrice di Dio è rappresentato dalla fede
nell’esistenza di un universo angelico. Gli angeli esprimono la memoria permanente di un
orizzonte oltre l’umano, che sfugge alle pretese della ragione. In un mondo adulto ed
emancipato così come si presenta il mondo d’oggi, si sta riscoprendo fortemente il bisogno
di un orizzonte più ampio, capace di oltrepassare le ristrettezze della ragione
orgogliosamente sicura di sé e di un’umanità pensata e programmata a partire soltanto
dall’uomo.
Anche l’angelo decaduto, Satana, esprime le possibilità radicali della creatura di fronte al
Creatore, fino ad arrivare al tragico rifiuto di Dio, nella consapevole volontà di voler
operare contro di Lui, pur rimanendo sotto il suo indiscusso primato.
Il peccato dell’origine: rifiuto del progetto creaturale di Dio
All’inizio Dio offre all’uomo la propria amicizia insieme ad una condizione di vita
paradisiaca. L’uomo si ribella con il primo peccato, stravolgendo così la sua esistenza, e
affondando in una moltitudine di peccati.
12
Questa dinamica della storia viene rappresentata simbolicamente in Gn 1-11, a partire al
peccato originale di Adamo e di Eva.9
L’uomo cede alle seducenti tentazioni del serpente che incarna l’idolatria satanica. Non si
fida più di Dio, rifiutando di riconoscerne la signoria sulla sua vita e norma dl suo agire.
Cibandosi del frutto dell’albero della scienza dl bene e del male si autodetermina,
facendosi legge a se stesso. Vuole sperimentare tutto e decidere da sé ciò che è bene e
ciò che è male. Pretende di realizzare, senza Dio e la sua grazia, il proprio desiderio
illimitato di vivere. Detto in sintesi, vuole essere praticamente un dio, autosufficiente e
onnipotente.
Il peccato si estende e si moltiplica
Il rifiuto della comunione con Dio porta l’uomo a vivere in una terra diventata ormai ostile.
Si sente umiliato dalla vergogna, minacciato e impaurito dalla morte, incapace di
controllare i propri istinti. Gli uomini sperimentano la divisione tra di essi. L’armonia
originaria con Dio, con se stessi, con gli altri e con la natura non esiste più.
L’umanità è trascinata dalla legge del peccato, precipitando nella confusione e nella
disgregazione10.
La riflessione del magistero della Chiesa sul peccato
Nel tentativo di conciliare il pelagianesimo e il protestantesimo, due visioni estreme
maturate riguardo al problema del peccato e della salvezza, il magistero si è espresso
secondo questi enunciati dottrinali11.
- Il peccato primordiale dei progenitori ha causato la perdita della giustizia originale
per loro e per tutti i discendenti;
- Il peccato originale ereditario è in ogni uomo per il solo fatto di nascere, in quanto
riceve una sua natura umana privata della giustizia originale, ferita e inclinata al
peccato;
- La corruzione non è totale e la libertà può e deve cooperare con la grazia;
- La redenzione e la grazia di Cristo sono assolutamente necessarie a tutti per la
giustificazione e la salvezza;
- Il peccato originale è soppresso mediante il battesimo;
- Rimane la concupiscenza che deriva dal peccato e dispone al peccato, ma
propriamente non è peccato.
9 Cfr. CdA n.390
10 Cfr. Gn 6,11; 11,1-9; CdA n.391-392
11 Cfr. Sinodo di Orange (DS 371-372); Concilio di Trento (DS 1511-1515-1551-1552-1554-1555)
13
APPENDICE
Riferimenti bibliografici:
- Catechismo della Chiesa cattolica.
Per approfondire si possono leggere dal cap. I - paragrafo 3 (nn. da 268 a 274);
paragrafo 4 (nn. da 279 a 314)
Note esplicative sul peccato originale e redenzione
Ogni uomo è plasmato dalla solidarietà con gli altri, con chi lo ha preceduto e con chi lo
accompagna. Non si parte mai da zero. Viviamo inseriti in un intreccio di doni naturali, culturali
e spirituali. La nostra libertà si attua sempre in una situazione storica oggettiva, da cui viene
condizionata. La comunicazione della vita divina avviene in modo da valorizzare le mediazioni
umane.
I nostri peccati indeboliscono la comunicazione del bene e alimentano il contagio del male.
Tendono a deformare la società con una mentalità e con strutture di peccato, che gravano sulle
decisioni personali. Si sviluppa così una storia separata da Dio, avversa a Cristo, che ostacola
fino a bloccare l’iniziativa divina.
Ogni uomo, senza alcuna responsabilità personale, viene al mondo in questo contesto inquinato.
Privato della grazia santificante, è incapace di entrare in dialogo filiale con il Padre e di amarlo
sopra ogni cosa,; incline a chiudersi nell’esperienza terrena e di assolutizzare i beni temporali.
Così la sua libertà, indebolita interiormente e condizionata negativamente dall’esterno, non
riuscirà ad osservare la Legge di Dio e arriverà prima o poi, a commettere gravi peccati
personali, incamminandosi verso la perdizione eterna.
La condizione in cui l’uomo nasce è uno stato soggettivo della natura umana, trasmesso insieme
ad essa, non un atto delle persone. Viene chiamata peccato originale non perché sia una colpa,
ma perché deriva da una colpa altrui e fruttifica in successive colpe personali. E’ analoga alle
situazioni di peccati grave e permanenti.
Nessun uomo da solo potrebbe con le sue sole forze uscire da questa situazione chiamata regno
del peccato e della morte. Il Signore Gesù, crocifisso e risorto, ci comunica la potenza del suo
Spirito e spezza le catene che ci tengono prigionieri, rigenerandoci a nuova vita.
Certamente, anche dopo questa rigenerazione, permangono sia le inclinazioni interiori
disordinate che le seduzioni negative esterne, ma non sono più irresistibili. Occorre ancora
combattere, ma si può vincere.
Anche la sofferenza e la morte rimangono, ma assumono un altro senso e diventano occasione
di crescita spirituale. La vita divina elimina il peccato e ne trasfigura le conseguenze. Ci
introduce nella vita pasquale che è superiore alla stessa vita paradisiaca originale.
“Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20).12
12 Cfr.CdA nn.396-397-398-399
14
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29/04/2010 10:05
 
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E IN GESU’ CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE
La fede cristiana confessa che Gesù di Nazaret, il profeta della Galilea, morto crocifisso e
risuscitato da Dio, è anche veramente Dio, nell’unità della Sua persona di Figlio eterno del
Padre.
In passato c’è stata una tendenza ad accentuare talmente la divinità di Gesù Cristo da
mettere in ombra la sua umanità: se nella vicenda terrena del Nazareno è il Figlio di Dio
ad agire, sembrava necessario escludere da lui ogni imperfezione. Ne risultava l’immagine
di un Dio impegnato a recitare la parte dell’uomo’ (J.Maritain).
Contro questa immagine di un Gesù troppo divino c’è stata la reazione, spesso eccessiva,
che ha fatto sua l’esigenza di scoprire un Cristo umano, compagno di strada e amico degli
uomini. Soltanto ‘questo’ Gesù sarebbe capace di parlare e relazionarsi con l’uomo
contemporaneo: profeta di libertà, testimone contagioso di un amore spinto fino alla morte,
individuo scomodo e inquietante per gli uomini di potere, povero e vicino ai poveri. Questo
Gesù avrebbe avuto il merito di svelare all’uomo la possibilità di essere ‘soltanto’ uomo,
senza cercare rifugio in un mondo divino alienante.
La sua morte di Croce sarebbe stata l’ora decisiva in cui sarebbe morta la figura di Dio,
per far nascere quella dell’uomo adulto e sovrano.
Conseguenza di questa maturità dell’uomo sarebbe l’emancipazione da ogni forma di
dipendenza, di affrancamento da ogni mediazione sacrale. Gesù avrebbe liberato l’uomo
da ogni Chiesa. Il tutto si riassume nello slogan “Gesù sì, Chiesa no”.
Queste proposte pur essendo inaccettabili nelle loro conclusioni, sollecitano la presa di
coscienza dei valori pertinenti alla fede nel Gesù Cristo Dio-uomo.
Se Dio si è fatto uomo, l’umanità di Gesù non è in concorrenza alla sua divinità, ma è,
anzi, il luogo concreto in cui il volto di Dio si è rivelato per noi. Proprio in questa umanità
umile e profonda, così come ci è data conoscere dai Vangeli, e che è stata oggetto di
grande amore da parte dei santi13, in questa vicenda umana di Gesù di Nazaret, ci è dato
conoscere quanto grande sia la vicinanza del Dio trinitario alla nostra umanità, che così
acquista una dignità senza pari.
Insieme a questa riscoperta dell’umanità di Dio, è necessario ribadire la divinità di Cristo: il
messaggio scandaloso ed esaltante che il crocifisso dai potenti e risuscitato il terzo giorno,
è il Figlio di Dio.
Senza questo annuncio, non avrebbe valore né la riscoperta della nostra dignità di
persone umane a partire da Gesù Cristo, né la fiducia nella liberazione dal peso della
colpa di origine, né la speranza della gloria che in lui ci è rivelata.
Se Gesù fosse soltanto un uomo, sia pure il più grande tra i figli dell’uomo, egli non ci
avrebbe salvati, non ci avrebbe dato la vita che viene dall’alto e che è eterna: la morte non
sarebbe vinta, né lo sarebbe il peccato.
Nel Figlio di Dio che muore per noi abbiamo la garanzia che è possibile vincere l’egoismo
e il peccato, che è possibile amare e superare nell’amore la morte, che l’ultima parola
della vita e della storia non sarà l’ingiustizia e il dolore, ma la pace fatta di giustizia e di
gioia senza fine.
13 Cfr. Dizionario Francescano, Padova, 1995, voce: Gesù Cristo (pp.742 sgg.); Voce Passione in I Cappuccini- fonti
documentarie del primo secolo, Roma 1994.
15
Ci si può domandare perché ci sono tante resistenze a credere nell’Uomo-Dio. E quali
sono le difficoltà principali a confessare Gesù Messia e allo stesso tempo Figlio di Dio?
Scorrendo la storia è possibile individuarne quattro che muovono da presupposti diversi.
1. A partire dalla concezione di Dio che ci si è fatti prima di affrontare il problema e la
realtà di Gesù Cristo.
Pensarlo e ritenerlo Dio-Uomo risulta scandaloso perché così viene perso il senso e il
valore della trascendenza divina. Ritenere l’uomo di Nazaret, umiliato nella vergogna della
Croce, il Figlio di Dio, non può che cozzare contro l’immagine di un Dio Assoluto, separato
e straniero rispetto le miserie del vivere umano.
A questa obiezione la fede risponde con l’annuncio, sempre scandaloso, della buona
novella: Dio si è fatto uomo, mettendosi per amore dalla parte degli uomini, dei peccatori,
dei senza diritti della storia.
Il Dio cristiano rivela la follia del suo amore per noi proprio in ciò che sconcerta i presunti
esperti del divino14.
2. A partire dalla concezione di uomo che si ha.
Se Dio si è fatto veramente uomo perché non ha risolto i problemi fondamentali
dell’umanità, le ingiustizie, le malattie, ecc.?
Di fronte a questa protesta sta ancora l’umile silenzio del Crocifisso immolato per amore: il
Dio cristiano non sta dalla parte dei vincitori, né dalla parte di chi pretende di avere in
mano le chiavi del destino degli altri. E’ un Dio dei poveri, che si è fatto vicino e compagno
al vivere e al soffrire umano, il Dio-con-noi che non è venuto per condannare, ma per
servire e salvare.
Nella fede questa debolezza di Dio risulta più potente della forza dei potenti, e il silenzio
della passione più convincente delle proteste di coloro che si dibattono nella non
speranza.
3. A partire dalla concezione della Chiesa.
La Chiesa, che dovrebbe essere custode e trasmettitrice del dono infinito del suo amore,
troppe volte si è macchiata e presentata sotto il segno del peccato dei suoi figli. Dove sta
l’autenticità del Vangelo nel silenzio complice di tanti cristiani di fronte ad esempio
all’iniquo potere del mondo e delle sue atrocità?
Eppure di questa Chiesa Dio si è fidato, affidandogli il suo messaggio e l’opera della sua
salvezza. Se non si fosse fidato a tal punto degli uomini, sia pure fragili e peccatori, come
avrebbe potuto essere davvero il Dio vicino per raggiungere le tante e varie miserie
umane? In fondo, quest’audacia dell’amore divino risulta più provocante di una Chiesa di
perfetti, ristretta a una cerchia di eletti ma in realtà abbandonata alle sole capacità umane.
4. Infine la difficoltà che viene alla fede cristiana dal vissuto dell’amore.
E’ quella di chi, pur ammirando la bellezza delle urgenze espresse dal Vangelo e la
testimonianza dei martiri e dei santi di tutti i tempi, non se la sente di far propria la
proposta di perdere la propria vita per salvarla, di rischiare tutto per amore. E’ l’obiezione
del giovane ricco, che abbandona Gesù, dopo che questi lo ha messo di fronte alle radicali
esigenze della sequela15. A questa difficoltà di compromettersi per il regno, Dio offre la
consolante certezza che non chiede mai nulla a nessuno, senza prima avergli dato la forza
e la gioia per compiere quanto viene richiesto. Il Dio cristiano non è il Dio delle cose
14 Cfr. 1Cor 1,22-23 “E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo
crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”
15 Mc.10,17-22
16
impossibili, ma il Dio di tenerezza e di misericordia, che offre al peccatore la grazia del
perdono, al debole la forza di ricominciare sempre da capo. Chi ha compreso questa sfida
del Dio-umano non ha che una possibilità significativa: arrendersi al suo amore.
Cosa comporta questa incondizionata accoglienza? Confessare che Gesù è il Signore
annulla ogni altro modo di accedere alla salvezza? La fede in lui è una delle tante fedi
possibili? Se sì, perché allora credere così perdutamente in lui? Se no, che cosa distingue
il Cristianesimo dalle altre religioni storiche?
A queste domande decisive si può rispondere partendo da quell’interrogativo che in un
modo o nell’altro esiste in ogni uomo: la nostalgia del Totalmente Altro, come nostalgia di
giustizia e di pace assolute che nessuna capacità umana sa realizzare. Ne consegue un
atteggiamento di rispetto profondo da nutrire nei confronti di tutte le credenze e delle loro
concretizzazioni storiche. Questo però non significa che tutto, in tutte le religioni storiche,
promuova l’uomo e dia veramente gloria a Dio. E’ necessario un discernimento poiché non
di rado la dimensione religiosa è stata ed è sorgente di alienazione o strumento di
manipolazione di uomini, di popoli.
A questo proposito emerge l’esigenza di evidenziare un’altra prospettiva risolutiva: è solo
la rivelazione storica di Dio che offre all’uomo i criteri capaci di discernere i valori presenti
nel cuore degli uomini.
La fede cristiana riconosce questo criterio nella persona e nell’opera di Gesù di Nazaret,
Signore e Cristo: è in lui che Dio ci ha parlato in pienezza; è in lui che ci ha raccontato la
sua storia di Padre che ama, di Figlio che è amato e in cui noi siamo amati, di Spirito che è
vita dell’amore; è in lui che ci è dato accesso a questa storia divina dell’amore, perché
anche noi diventassimo capaci di amare.
Cristo si offre come la risposta alla nostalgia di Assoluto che ogni religione storica porta
con sé, fondata come luogo d’incontro fra il cielo e la terra, fra gli uomini e Dio. Ma è un
incontro realizzato nella Pasqua di morte e risurrezione, laddove le domande umane
vengono anch’esse crocifisse per essere purificate e risolte nella resurrezione.
Cristo diventa allora luce per chi accetta di camminare nelle tenebre e accetta lo scandalo
del morire con lui. In questo modo si spiega anche perché il Vangelo non è un’evidenza,
non si impone mai, ma interpella e per essere significativo ha bisogno della libertà e
decisione coraggiosa dell’uomo.
La novità cristiana è dunque la storia dell’amore di Dio e degli uomini che si aprono a lui
credendo in Gesù Cristo. Ma questa novità apre al Cristianesimo un orizzonte missionario
pur nella chiara consapevolezza ch’esso non può essere imposta a nessuno, anche se
proposta a tutti.
Riferimenti bibliografici:
- Catechismo della Chiesa cattolica.
Per approfondire si possono leggere dal cap. II - nn. da 422 a 451.
- Dizionario Francescano, Padova, 1995, voce: Gesù Cristo (pp.742 sgg.)
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29/04/2010 10:06
 
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FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO
NAQUE DA MARIA VERGINE
17
Fu concepito di Spirito Santo
L'annunciazione a Maria inaugura la « pienezza del tempo » (Gal 4,4), cioè il compimento
delle promesse e delle preparazioni. Maria è chiamata a concepire colui nel quale abiterà
« corporalmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2,9). La risposta divina al suo: «
Come è possibile? Non conosco uomo » (Lc 1,34) è data mediante la potenza dello
Spirito: « Lo Spirito Santo scenderà su di te » (Lc 1,35).
Lo Spirito Santo, che è « Signore e dà la vita »16, è mandato a santificare il grembo della
Vergine Maria e a fecondarla divinamente.
Il Figlio unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria,
è « Cristo », cioè unto dallo Spirito Santo, sin dall'inizio della sua esistenza umana, anche
se la sua manifestazione avviene progressivamente: ai pastori, ai magi, a Giovanni
Battista, ai discepoli. L'intera vita di Gesù Cristo manifesterà dunque « come Dio [lo]
consacrò in Spirito Santo e potenza » (At 10,38).
Nacque da Maria Vergine
Ciò che la fede cattolica crede riguardo a Maria si fonda su ciò che essa crede riguardo a
Cristo, ma quanto insegna su Maria illumina, a sua volta, la sua fede in Cristo.
L'Immacolata concezione
Per essere la Madre del Salvatore, Maria « da Dio è stata arricchita di doni degni di una
così grande missione ». (137) L'angelo Gabriele, al momento dell'annunciazione, la saluta
come « piena di grazia » (Lc 1,28). In realtà, per poter dare il libero assenso della sua fede
all'annunzio della sua vocazione, era necessario che fosse tutta sorretta dalla grazia di
Dio.
Nel corso dei secoli la Chiesa ha preso coscienza che Maria, « colmata di grazia » da Dio,
(138) era stata redenta fin dal suo concepimento. È quanto afferma il dogma
dell'immacolata concezione, proclamato da papa Pio IX nel 1854:
« La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una
grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù
Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del
peccato originale ».17
Questi « splendori di una santità del tutto singolare » di cui Maria è « adornata fin dal
primo istante della sua concezione »18 le vengono interamente da Cristo: ella è « redenta
in modo così sublime in vista dei meriti del Figlio suo »19. Più di ogni altra persona creata,
il Padre l'ha « benedetta con ogni benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo » (Ef 1,3). In lui
l'ha scelta « prima della creazione del mondo, per essere » santa e immacolata « al suo
cospetto nella carità » (Ef 1,4).
I Padri della Tradizione orientale chiamano la Madre di Dio « la Tutta Santa »
16 Cfr. Gn 3,20
17 Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus
18 LG 56
19 LG 53
18
(“Panaghia”), la onorano come « immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo
quasi plasmata e resa una nuova creatura »20. Maria, per la grazia di Dio, è rimasta pura
da ogni peccato personale durante tutta la sua esistenza.
La maternità divina di Maria
Maria, chiamata nei Vangeli « la Madre di Gesù » (Gv 2,1; 19,25), prima della nascita del Figlio
suo è acclamata, sotto la mozione dello Spirito, « la Madre del mio Signore » (Lc 1,43). Infatti,
colui che Maria ha concepito come uomo per opera dello Spirito Santo e che è diventato
veramente suo Figlio secondo la carne, è il Figlio eterno del Padre, la seconda Persona della
Santissima Trinità. La Chiesa confessa che Maria è veramente Madre di Dio (“Theotokos”).
La verginità di Maria
Fin dalle prime formulazioni della fede, la Chiesa ha confessato che Gesù è stato
concepito nel seno della Vergine Maria per la sola potenza dello Spirito Santo, ed ha
affermato anche l'aspetto corporeo di tale avvenimento: Gesù è stato concepito « senza
seme [...], per opera dello Spirito Santo ».21 Nel concepimento verginale i Padri ravvisano il
segno che si tratta veramente del Figlio di Dio, il quale è venuto in una umanità come la
nostra:
Così, sant'Ignazio di Antiochia (inizio II secolo): « Voi siete pienamente convinti
riguardo a nostro Signore che è veramente della stirpe di Davide secondo la carne,
(152) Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, (153) veramente nato da
una Vergine; [...] veramente è stato inchiodato [alla croce] per noi, nella sua carne,
sotto Ponzio Pilato. [...] Veramente ha sofferto, così come veramente è risorto ».
I racconti evangelici considerano la concezione verginale un'opera divina che supera ogni
comprensione e ogni possibilità umana: « Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo »,
dice l'angelo a Giuseppe riguardo a Maria, sua sposa (Mt 1,20).
Il silenzio del Vangelo secondo Marco e delle lettere del Nuovo Testamento sul concepimento
verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si è potuto anche chiedere se non si
trattasse di leggende o di elaborazioni teologiche senza pretese di storicità. Pertanto la fede nel
concepimento verginale di Gesù ha incontrato, e incontra ancora oggi, vivace opposizione,
sarcasmi o incomprensione da parte dei non-credenti.
Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la quale lo vede in rapporto ai
misteri di Cristo, dalla sua incarnazione alla sua pasqua. Sant'Ignazio di Antiochia già testimonia
tale legame: « Rimase nascosta al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto,
come pure la morte del Signore: tre misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio».
Maria «sempre Vergine»
20 LG 56
21 Concilio Lateranense , 649
19
L'approfondimento della fede nella maternità verginale ha condotto la Chiesa a confessare
la verginità reale e perpetua di Maria anche nel parto del Figlio di Dio fatto uomo. Infatti la
nascita di Cristo « non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l'ha consacrata ».22 La
liturgia della Chiesa celebra Maria come la “Aeipartheos”, « sempre Vergine ».23
A ciò si obietta talvolta che la Scrittura parla di fratelli e di sorelle di Gesù. La Chiesa ha sempre
ritenuto che tali passi non indichino altri figli della Vergine Maria: infatti Giacomo e Giuseppe, «
fratelli di Gesù » (Mt 13,55), sono i figli di una Maria discepola di Cristo24, la quale è designata in
modo significativo come « l'altra Maria » (Mt 28,1). Si tratta di parenti prossimi di Gesù.
Gesù è l'unico Figlio di Maria. Ma la maternità spirituale di Maria si estende a tutti gli
uomini che egli è venuto a salvare: « Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto "il
primogenito di una moltitudine di fratelli" (Rm 8,29), cioè dei fedeli, alla cui nascita e
formazione ella coopera con amore di madre ».
La maternità verginale di Maria nel disegno di Dio
Lo sguardo della fede può scoprire, in connessione con l'insieme della Rivelazione, le
ragioni misteriose per le quali Dio, nel suo progetto salvifico, ha voluto che suo Figlio
nascesse da una Vergine. Queste ragioni riguardano tanto la persona e la missione
redentrice di Cristo, quanto l'accettazione di tale missione da parte di Maria in favore di
tutti gli uomini.
La verginità di Maria manifesta l'iniziativa assoluta di Dio nell'incarnazione. Gesù come Padre non
ha che Dio. « La natura umana che egli ha assunto non l'ha mai separato dal Padre. [...] Per
natura Figlio del Padre secondo la divinità, per natura Figlio della Madre secondo l'umanità, ma
propriamente Figlio di Dio nelle sue due nature ».25
Gesù, il nuovo Adamo, inaugura con il suo concepimento verginale la nuova nascita dei figli di
adozione nello Spirito Santo per la fede. « Come è possibile? » (Lc 1,34). La partecipazione alla
vita divina non proviene « da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio »
(Gv 1,13). L'accoglienza di questa vita è verginale perché è interamente donata all'uomo dallo
Spirito.
Maria è Vergine perché la sua verginità è il segno della sua fede che non era alterata da nessun
dubbio e del suo totale abbandono alla volontà di Dio.
Maria è ad un tempo Vergine e Madre perché è la figura e la realizzazione più perfetta della
Chiesa: « La Chiesa [...] per mezzo della Parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure
Madre, poiché con la predicazione e il Battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli,
concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa è pure la vergine che custodisce integra
e pura la fede data allo Sposo ».26
_______________________
22 LG 57
23 LG 52
24 Mt 27,56
25 Concilio del Friuli, 796
26 LG 64
20
APPENDICE
Lettura del dogma nell’iconografia della chiesa ortodossa russa
L’annunciazione
“La fonte dell’incorruttibilità,
nostro Signore Gesù Cristo,
non è entrato nel mondo
attraverso un matrimonio, al
fine di mostrare tramite la
modalità della sua
incarnazione questo grande
mistero e cioè che unicamente
la purezza è capace di
accogliere Dio quando si
presenta per entrare. Infatti,
ciò che si è compiuto nel corpo
dell’inviolata vergine Maria a causa della perfetta divinità di Cristo la quale è rifulsa nella Vergine
stessa, si compie anche in ogni anima che rimane vergine secondo lo spirito; non che il Signore si
renda più presente corporalmente, ma viene ad abitare spiritualmente, introducendo con sé il Padre”
(San Gregorio di Nissa, De Virginitate)
Prendiamo in considerazione un’antichissima icona dell’Annunciazione del XII secolo proveniente
da un monastero della regione di Novgorod (estremo nord della Russia).
I due personaggi si presentano come monumentali su un fondo d’oro che rappresenta il mondo del
divino. Ma che la scena si svolge sulla terra è indicato dalla pedana su cui sta Maria. L’angelo si
presenta messaggero della divinità: si vede dalla postura; il viso e lo sguardo si impongono; infine
le vesti rosse, bianche e dorate fanno riferimento al mondo di Dio.
Per netto contrasto la Vergine appare racchiusa in un atteggiamento di calma, avvolta nel manto
rosso che ricopre l’abito blu. La testa inclinata esprime accoglienza ed ascolto. Gli occhi, molto
grandi con gli angoli esterni leggermente reclinati verso il basso ne accentuano l’espressione di
dolcezza, non guardano l’angelo ma sono fermi sulla visione interiore del mistero compiutosi. La
mano destra, prima che arrivasse l’angelo era occupata a tessere (tiene in mano la spola). Ma l'atto
del tessere ha anche significato simbolico: sta tessendo la storia della salvezza. All’arrivo
dell’angelo ha cessato di lavorare e si è sollevata all’altezza del cuore, dove appare il Verbo
incarnato. Ma il filo secondo i vangeli apocrifi ha anche un altro significato: serviva a Maria per
tessere il velo color porpora che ricopriva l’Arca dell’Alleanza, prefigurando così l’umanità che la
Madre avrebbe tessuto al Figlio.
La figura di Cristo fanciullo si presenta ieratica, in atto benedicente, chiaramente impregnata di
divinità in modo da fugare ogni sospetto di una generazione secondo la carne. Maria, Vergine
Madre, è divenuta la dimora del suo Signore concepito per opera dello Spirito.
La dimensione divina, o meglio trinitaria dell’avvenimento è rafforzata dalla presenza in alto,
nella lunetta, della figura di Dio Padre su un trono sorretto dai serafini. Dalla sua mano parte un
raggio, simbolo dello Spirito Santo, che si dirige verso il seno della Vergine.
21
Un testo liturgico di Andrea di Creta composto per i Vespri solenni dell’Annunciazione può aver
ispirato la composizione di quest’icona: Ineffabile è la natura di questo annientamento; ineffabile è
il modo di questa concezione. “Un angelo fa da servitore a questa meraviglia: il seno di una
Vergine riceve il Figlio; lo Spirito Santo la ricopre della sua ombra; il Padre dall’alto dei cieli si
compiace e questa unione si compie secondo una comune volontà”.
La Natività
In questo capolavoro appartenente alla scuola di A.Rublev (XV sec.) si fondono in unità vari
elementi narrativi: il modello principale riguarda la coppia madre-bambino. Fino al VI secolo Maria
era raffigurata con il Bambino sulle ginocchia secondo l’insegnamento autorevole di S.Giovanni
Crisostomo: “Lei stessa posò il Bambino nella mangiatoia, poi lo prese sulle ginocchia”.
Atteggiamento che indicava ch’ella non aveva sofferto le doglie del parto riflettendo così la
preoccupazione molto viva in quel periodo di affermarne la verginità perenne. Quando invece la
verginità fisica non fu più oggetto di dubbio, Maria fu raffigurata distesa come le puerpere a
sottolineare la concretezza umana dell’evento.
La scena del bagno del Bambino indica un duplice influsso: dal vangelo apocrifo di Matteo viene
la figura della levatrice, quale testimone del parto verginale; il bagno del neonato era un elemento
classico dell’iconografia pagana. Non essendovi però motivo di purificazione per il Verbo
incarnato, il bagno prese il significato di prefigurazione del battesimo, e di conseguenza la vasca
assume la forma di un fonte battesimale.
L’icona si presenta suddivisa in tre fasce orizzontali dove al centro sta la scena della Natività.
In quella inferiore sono raffigurati gli aspetti terreni dell’evento. A destra aspetti della realtà
concreta: il bagno e la nutrice; a sinistra aspetti della sua estraneità alle leggi della generazione
naturale: S.Giuseppe completamente staccato dalla coppia madre-bambino indica la sua non
partecipazione alla concezione del bambino. Può anche esprimere la difficoltà del pensiero umano a
entrare nel Mistero. Il personaggio che gli sta di fronte non si sa chi sia con certezza: potrebbe
essere un personaggio della mitologia pagana oppure una personificazione del diavolo tentatore
incaricato appunto di rendere difficile a Giuseppe l’abbandono al Mistero.
Nella fascia centrale compare la prima manifestazione del Verbo incarnato: agli angeli e ai pastori.
Maria è al centro dell’icona e si presenta distesa nel riposo come ogni donna che ha da poco
partorito. Allo stesso tempo si presenta come Madre di Dio, che il tappeto rosso intessuto d’oro
incornicia in una mandorla di gloria. Il Bambino avvolto in fasce anticipa l’Uomo stretto nelle
22
bende funerarie e deposto nel sepolcro. Infatti più che in una culla sembra essere deposto in una
piccola bara. Il suo capo si trova sull’asse verticale dell’icona indicato dal Raggio divino. Proprio
attorno a questo piccolo Figlio dell’uomo si scatenerà la grande battaglia che s’intravede alle sue
spalle: la grotta tenebrosa. Però essendo posto sull’Asse del mondo ne è la realtà salvifica
decisiva.
Le figure tradizionali del bue e dell’asino (che qui è un cavallo perché in Russia l’asino era
sconosciuto), illuminate, simboleggiano quella “creazione che attende con impazienza la
rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19) e che già ha riconosciuto nel Bambino il Creatore e
Salvatore.
Infine nella fascia superiore è rappresentata la manifestazione (epifania) del Signore ai Magi, che in
Oriente è celebrata insieme alla festa della Natività. La Stella è il segno della presenza di Dio. Gli
angeli sono in adorazione mentre i Magi che rappresentano coloro che si recano a Betlemme,
sembrano invece dirigersi verso l’alto, fuori dal tempo, verso il raggio divino, attirati dalla sua luce.
La terra da cui si eleva la montagna si protende verso la Stella. Il movimento abbraccia la grotta
oscura ed è potenziato dalla diagonale rosso fuoco della Madre che, in forte contrasto con il nero
della grotta, sembra ardere dall’interno come una grande fiamma tranquilla.
Dall’alto la luce rimbalza sulle rocce in cascate trasparenti; fa scintillare tronchi e rami: è il
preludio della nuova creazione trasfigurata dal Verbo incarnato.
23
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29/04/2010 10:07
 
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PATI’ SOTTO PONZIO PILATO
FU CROCIFISSO, MORI’ E FU SEPOLTO
DISCESE AGLI INFERI
PATI’ SOTTO PONZIO PILATO, FU CROCIFISSO …
La Chiesa resta fedele all'“interpretazione di tutte le Scritture” data da Gesù stesso sia
prima, sia dopo la sua Pasqua: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste
sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26-27; Lc 24,44-45). Le sofferenze di Gesù
hanno preso la loro forma storica concreta dal fatto che egli è stato “riprovato dagli
anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi” (Mc 8,31), i quali lo hanno consegnato “ai
pagani” perché fosse “schernito e flagellato e crocifisso” (Mt 20,19).
La fede può dunque cercare di indagare le circostanze della morte di Gesù, fedelmente
riferite dai Vangeli e illuminate da altre fonti storiche, al fine di una migliore comprensione
del senso della Redenzione.
Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili della morte di Gesù.
Tenendo conto della complessità storica del processo di Gesù espressa nei racconti
evangelici, e quale possa essere il peccato personale dei protagonisti del processo
(Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità
all'insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata [Cf Mc
15,11] e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la Pentecoste
[Cf At 2,36; At 3,13-14; At 4,10; 597 At 5,30; At 7,52; At 10,39; At 13,27-28; 1Ts 2,14-
15 ]. Pietro, sull’esempio di Gesù che sulla croce chiede al Padre il perdono dei suoi
assassini ‘perché non sanno quello che fanno’, riconosce l'“ignoranza” (At 3,17) degli
Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi.
Nel Concilio Vaticano II la Chiesa ha dichiarato: “Quanto è stato commesso durante la
Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli
Ebrei del nostro tempo. . . Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio,
né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura” [Conc. Ecum. Vat. II,
Nostra aetate, 4].
Tutti i peccatori furono gli autori della Passione di Cristo
La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai
dimenticato che “ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle. sofferenze”
del divino Redentore [Catechismo Romano, 1, 5, 11; cf Eb 12,3 ]. Tenendo conto del fatto
che i nostri peccati offendono Cristo stesso, [Cf Mt 25,45; At 9,4-5 ] la Chiesa non esita ad
imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che
troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei.
È chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel peccato.
Se infatti le nostre colpe hanno tratto Cristo al supplizio della croce, coloro che si
immergono nell'iniquità crocifiggono nuovamente, per quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo
scherniscono [Cf Eb 6,6 ] con un delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei. Questi
infatti - afferma san Paolo non avrebbero crocifisso Gesù se lo avessero conosciuto come
re divino [Cf 1Cor 2,8 ].
”E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora lo
crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati” [San Francesco d'Assisi, Admonitio, 5, 3].
24
MORI’ …
La morte redentrice di Cristo nel disegno divino della salvezza
“Gesù consegnato secondo il disegno prestabilito di Dio”
La morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole di
circostanze. Essa appartiene al mistero del disegno di Dio, come spiega san Pietro agli
Ebrei di Gerusalemme fin dal suo primo discorso di Pentecoste: “Egli fu consegnato a voi
secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio” (At 2,23). Questo linguaggio biblico
non significa che quelli che hanno “consegnato” Gesù (At 3,13) siano stati solo esecutori
passivi di una vicenda scritta in precedenza da Dio. Egli stabilì dunque il suo disegno
eterno di “predestinazione” includendovi la risposta libera di ogni uomo alla sua grazia.
Dio ha permesso che Erode, Ponzio Pilato, con le genti e i popoli d'Israele commettessero
quegli atti derivati dal loro accecamento [Cf Mt 26,54; Gv 18,36; Gv 19,11 ] al fine di
compiere il suo disegno di salvezza [Cf At 3,17-18 ].
“Dio l'ha fatto peccato per noi”
I peccati degli uomini, conseguenti al peccato originale, sono sanzionati dalla morte [Cf
Rm 5,12; 1Cor 15,56 ]. Inviando il suo proprio Figlio nella condizione di servo, [Cf Fil 2,7 ]
quella di una umanità decaduta e votata alla morte a causa del peccato, [Cf Rm 8,3 ]
“colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché
noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21).
Gesù non ha conosciuto la riprovazione come se egli stesso avesse peccato [Cf Gv 8,46 ],
ma nell'amore redentore che sempre lo univa al Padre, [Cf Gv 8,29 ] egli ci ha assunto
nella nostra separazione da Dio a causa del peccato al punto da poter dire a nome nostro
sulla croce: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; 603 Sal 22,2).
Dio ha l'iniziativa dell'amore redentore universale
Nel consegnare suo Figlio per i nostri peccati, Dio manifesta che il suo disegno su di noi è
un disegno di amore benevolo che precede ogni merito da parte nostra. “In questo sta
l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo
Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10) [Cf 1Gv 4,19 ]. “Dio
dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è
morto per noi” (Rm 5,8).
Questo amore è senza esclusioni. La Chiesa, seguendo gli Apostoli, [Cf 2Cor 5,15; 1Gv
2,2) insegna che Cristo è morto per tutti senza eccezioni: “Non vi è, non vi è stato, non vi
sarà alcun uomo per il quale Cristo non abbia sofferto” (Concilio di Quierzy (853)).
Questo desiderio di abbracciare il disegno di amore redentore del Padre suo anima tutta la
vita di Gesù [Cf Lc 12,50; Lc 22,15; Mt 16,21-23] perché la sua Passione redentrice è la
ragion d'essere della sua Incarnazione: “Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono
giunto a quest'ora!” (Gv 12,27). “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?”
(Gv 18,11).
25
Gesù sostituisce la sua obbedienza alla nostra disobbedienza
“Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per
l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” ( Rm 5,19). Con la sua obbedienza
fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre “se stesso
in espiazione ”, mentre porta “il peccato di molti”, e li giustifica addossandosi “la loro
iniquità” [Cf Is 53,10-12 ]. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre
per i nostri peccati [Cf. Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1529].
“Sua sanctissima passione in ligno crucis nobis justificationem meruit - La sua santissima
passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione”, insegna il Concilio di Trento,
[Denz.1529] sottolineando il carattere unico del sacrificio di Cristo come “causa di
salvezza eterna” (Eb 5,9). E la Chiesa venera la croce cantando: “O crux, ave, spes unica
- Ave, o croce, unica speranza”.
La nostra partecipazione al sacrificio di Cristo
La croce è l'unico sacrificio di Cristo, che è il solo “mediatore tra Dio e gli uomini” (1Tm
2,5). Ma, poiché nella sua Persona divina incarnata, “si è unito in certo modo ad ogni
uomo”, egli offre “a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, con
il mistero pasquale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. Egli chiama i suoi
discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo. Infatti egli vuole associare al suo sacrificio
redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari [Cf Mc 10,39; Gv 21,18-19; Col
1,24].
… E FU SEPOLTO.
Nel suo disegno di salvezza, Dio ha disposto che il Figlio suo non solamente morisse “per
i nostri peccati” (1Cor 15,3) ma anche “provasse la morte”, ossia conoscesse lo stato di
morte, lo stato di separazione tra la sua anima e il suo Corpo per il tempo compreso tra il
momento in cui egli è spirato sulla croce e il momento in cui è risuscitato. Questo stato di
Cristo morto è il Mistero del sepolcro e della discesa agli inferi. È il Mistero del Sabato
Santo in cui Cristo deposto nel sepolcro [Cf Gv 19,42 ] manifesta il grande riposo
sabbatico di Dio [Cf Eb 4,4-9 ].
Cristo nel sepolcro con il suo Corpo
Dio [il Figlio] non ha impedito che la morte separasse l'anima dal corpo, come
naturalmente avviene, ma egli li ha di nuovo ricongiunti l'uno all'altra con la Risurrezione,
al fine di essere lui stesso, nella sua Persona, il punto d'incontro della morte e della vita
arrestando in sé la decomposizione della natura causata dalla morte e divenendo lui
stesso principio di riunione per le parti separate [San Gregorio di Nissa, Oratio
catechetica, 16: PG 45, 52B].
La morte di Cristo è stata una vera morte in quanto ha messo fine alla sua esistenza
umana terrena. Ma a causa dell'unione che la Persona del Figlio ha mantenuto con il suo
26
Corpo, non si è trattato di uno spogliamento mortale come gli altri, perché “non era
possibile che” la morte “lo tenesse in suo potere” [At 2,24].
DISCESE AGLI INFERI
Le frequenti affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù “è risuscitato dai
morti” (At 3,15; Rm 8,11; 1Cor 15,20) presuppongono che, preliminarmente alla
Risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti [Cf Eb 13,20 ]. È il senso primo
che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto
la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma
egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si
trovavano prigionieri [Cf 1Pt 3,18-19 ].
La Scrittura chiama inferi, shéol o ade [Cf Fil 2,10; At 2,24; Ap 1,18; Ef 4,9 ] il soggiorno
dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della
visione di Dio [Cf Sal 6,6; Sal 88,11-13 ]. Tale infatti è, nell'attesa del Redentore, la sorte
di tutti i morti, cattivi o giusti; [Cf Sal 89,49; 633 1Sam 28,19; Ez 32,17-32 ]. “Furono
appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso
all'inferno” [Catechismo Romano, 1, 6, 3]. Gesù non è disceso agli inferi per liberare i
dannati [Cf Concilio di Roma (745),ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto.
La discesa agli inferi è il pieno compimento dell'annunzio evangelico della salvezza. È la
fase ultima della missione messianica di Gesù, fase condensata nel tempo ma
immensamente ampia nel suo reale significato di estensione dell'opera redentrice a tutti gli
uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi
partecipi della Redenzione.
Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re
dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha
svegliato coloro che da secoli dormivano. . . Egli va a cercare il primo padre, come la pecora
smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di
morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in
prigione. . . “Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio. Svegliati, tu che dormi!
Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la
Vita dei morti” .
[Da un'antica “Omelia sul Sabato Santo”: PG 43, 440A. 452C, cf Liturgia delle Ore, II, Ufficio
delle letture del Sabato Santo].
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29/04/2010 10:09
 
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IL TERZO GIORNO RISUSCITÒ DA MORTE;
SALÌ AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE;
DI LÀ VERRÀ A GIUDICARE I VIVI E I MORTI.
27
IL TERZO GIORNO RISUSCITO' DAI MORTI
Noi vi annunziamo la Buona Novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché
Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù” (At 13,32-33). La Risurrezione di
Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità
centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione,
stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del
Mistero pasquale insieme con la croce:
Cristo è risuscitato dai morti. Con la sua morte ha vinto la morte, Ai morti ha dato la vita [Liturgia
bizantina, Tropario di Pasqua].
L'avvenimento storico e trascendente
Il mistero della Risurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni
storicamente constatate, come attesta il Nuovo Testamento. Già verso l'anno 56 san
Paolo può scrivere ai cristiani di Corinto: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che
anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu
sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi
ai Dodici” (1Cor 15,3-4).
Il sepolcro vuoto
“Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato” (Lc 24,5-6). Nel
quadro degli avvenimenti di Pasqua, il primo elemento che si incontra è il sepolcro vuoto.
Non è in sé una prova diretta. L'assenza del corpo di Cristo nella tomba potrebbe
spiegarsi altrimenti [Cf .Gv 20,13; Mt 28,11-15]. Malgrado ciò, il sepolcro vuoto ha
costituito per tutti un segno essenziale. La sua scoperta da parte dei discepoli è stato il
primo passo verso il riconoscimento dell'evento della Risurrezione. Dapprima è il caso
delle pie donne, [Cf. Lc 24,3; Lc 24,22-23 ] poi di Pietro [Cf. Lc 24,12]. “Il discepolo... che
Gesù amava” (Gv 20,2) afferma che, entrando nella tomba vuota e scorgendo “le bende
per terra” (Gv 20,6), “vide e credette” (Gv 20,8). Ciò suppone che egli abbia constatato,
dallo stato in cui si trovava il sepolcro vuoto, [Cf. Gv 20,5-7 ] che l'assenza del corpo di
Gesù non poteva essere opera umana e che Gesù non era semplicemente ritornato ad
una vita terrena come era avvenuto per Lazzaro [Cf. Gv 11,44 ].
Le apparizioni del Risorto
Maria di Magdala e le pie donne che andavano a completare l'imbalsamazione del Corpo
di Gesù, sepolto in fretta la sera del Venerdì Santo a causa del sopraggiungere del
Sabato, [Cf .Gv 19,31; Gv 19,42] sono state le prime ad incontrare il Risorto [Cf. Mt 28,9-
10; Gv 20,11-18]. Le donne furono così le prime messaggere della Risurrezione di Cristo
per gli stessi Apostoli [Cf. Lc 24,9-10]. A loro Gesù appare in seguito: prima a Pietro, poi ai
Dodici [Cf.1Cor 15,5 ]. Pietro, chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli, [Cf. Lc 22,31-
28
32] vede dunque il Risorto prima di loro ed è sulla sua testimonianza che la comunità
esclama: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24,34).
Tutto ciò che è accaduto in quelle giornate pasquali impegna ciascuno degli Apostoli - e
Pietro in modo del tutto particolare - nella costruzione dell'era nuova che ha inizio con il
mattino di Pasqua. Come testimoni del Risorto essi rimangono le pietre di fondazione della
sua Chiesa. La fede della prima comunità dei credenti è fondata quindi sulla testimonianza
di uomini concreti, conosciuti dai cristiani e, nella maggior parte, ancora vivi in mezzo a
loro. Questi testimoni della Risurrezione di Cristo [Cf.At 1,22] sono prima di tutto Pietro e i
Dodici, ma non solamente loro: Paolo riferisce chiaramente di più di cinquecento persone
alle quali Gesù è apparso in una sola volta, oltre che a Giacomo e a tutti gli Apostoli
[Cf.Cor 15,4-8].
Davanti a queste testimonianze è impossibile interpretare la Risurrezione di Cristo senza
riconoscerla come un avvenimento storico. Risulta dai fatti che la fede dei discepoli è stata
sottoposta alla prova radicale della passione e della morte in croce del loro Maestro che
aveva lui stesso preannunziata [Cf. Lc 22,31-32]. Lo sconcerto provocato dalla passione fu
così grande che i discepoli (almeno alcuni di loro) non credettero subito alla notizia della
Risurrezione. I Vangeli non ci presentano una comunità presa da una esaltazione mistica,
quanto piuttosto i discepoli in preda ad un evidente smarrimento [Avevano il “volto
triste”:Lc 24,17 ] e spaventati, [Cf.Gv 20,19]. Si sono rifiutati di credere alle pie donne che
tornavano dal sepolcro, tanto che “quelle parole parvero loro come un vaneggiamento” (Lc
24,11; Cf. Mc 16,11; Mc 16,13). Ed è Gesù stesso quando si manifesta agli Undici la sera
di Pasqua che li rimprovera “per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano
creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato” (Mc 16,14). Tuttavia, anche messi davanti
alla realtà di Gesù risuscitato, i discepoli dubitano ancora, [Cf. Lc 24,38] tanto la cosa
appare loro impossibile: credono di vedere un fantasma [Cf. Lc 24,39]. “Per la grande gioia
ancora non credevano ed erano stupefatti” (Lc 24,41). Tommaso conobbe la medesima
prova del dubbio [Cf.Gv 20,24-27] e, quando vi fu l'ultima apparizione in Galilea riferita da
Matteo, “alcuni dubitavano” (Mt 28,17). Per tutte queste numerose testimonianze, l'ipotesi
secondo cui la Risurrezione sarebbe stata un “prodotto” della fede (o della credulità) degli
Apostoli, non ha fondamento. Al contrario, la loro fede nella Risurrezione è nata - sotto
l'azione della grazia divina - dall'esperienza diretta della realtà di Gesù Risorto.
Lo stato dell'umanità di Cristo risuscitata
Gesù risorto stabilisce con i suoi discepoli rapporti diretti, attraverso il contatto [Cf. Lc
24,39; Gv 20,27] e la condivisione del pasto [Cf. Lc 24,30; Lc 24,41-43; Gv 21,9; Gv
21,13-15]. Li invita a riconoscere da questi contatti che egli non è un fantasma, [Cf. Lc
24,39] ma soprattutto a constatare che il corpo risuscitato con il quale si presenta a loro è
il medesimo che è stato martoriato e crocifisso, poiché porta ancora i segni della passione
[Cf. Lc 24,40; Gv 20,20; Gv 20,27 ]. Questo corpo autentico e reale possiede però al
tempo stesso le proprietà nuove di un corpo glorioso; esso non è più situato nello spazio e
nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando vuole, [Cf. Mt 28,9; Mt
28,16-17; Lc 24,15; Lc 24,36; Gv 20,14; Gv 20,19; Gv 20,26; Gv 21,4] poiché la sua
umanità non può più essere trattenuta sulla terra essendo ormai appartenente alla sfera
divina del Padre [Cf.Gv 20,17]. Anche per questa ragione Gesù risorto è libero di apparire
come vuole: sotto l'aspetto di un giardiniere [Cf.Gv 20,14-15] o sotto altre sembianze, [Cf.
29
Mc 16,12] che erano familiari ai discepoli, e ciò per suscitare la loro fede [Cf. Gv 20,14; Gv
20,16; Gv 21,4; Gv 20,7].
La Risurrezione come evento trascendente
“O notte - canta l'“Exultet” di Pasqua - tu solo hai meritato di conoscere il tempo e l'ora in
cui Cristo è risorto dagli inferi”. Infatti, nessuno è stato testimone oculare dell'avvenimento
stesso della Risurrezione e nessun evangelista lo descrive. Nessuno ha potuto dire come
essa sia avvenuta fisicamente. Ancor meno fu percettibile ai sensi la sua essenza più
intima, il passaggio ad un'altra vita. Avvenimento storico constatabile attraverso il segno
del sepolcro vuoto e la realtà degli incontri degli Apostoli con Cristo risorto, la Risurrezione
resta in ciò in cui trascende e supera la storia, al cuore del Mistero della fede. Per questo
motivo Cristo risorto non si manifesta al mondo, ma ai suoi discepoli, [Cf. Gv 14,22] “a
quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme”, i quali “ora sono i suoi
testimoni davanti al popolo” (At 13,31).
Senso e portata salvifica della Risurrezione
“Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana anche la vostra
fede” (Cor 15,14). La Risurrezione costituisce anzitutto la conferma di tutto ciò che Cristo
stesso ha fatto e insegnato. Tutte le verità, anche le più inaccessibili allo spirito umano,
trovano la loro giustificazione se, risorgendo, Cristo ha dato la prova definitiva, che aveva
promesso, della sua autorità divina.
La verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua Risurrezione. Egli aveva detto:
“Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono” (Gv 8,28). La
Risurrezione del Crocifisso dimostrò che egli era veramente “Io Sono”, il Figlio di Dio e Dio
egli stesso.
Vi è un duplice aspetto nel Mistero pasquale: con la sua morte Cristo ci libera dal peccato,
con la sua Risurrezione ci dà accesso ad una nuova vita. Questa è dapprima la
giustificazione che ci mette nuovamente nella grazia di Dio [Cf. Rm 4,25] “perché, come
Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo
camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Essa consiste nella vittoria sulla morte del
peccato e nella nuova partecipazione alla grazia [Cf. Ef 2,4-5; 1Pt 1,3]. Essa poi compie
l'adozione filiale poiché gli uomini diventano fratelli di Cristo, come Gesù stesso chiama i
suoi discepoli dopo la sua Risurrezione: “Andate ad annunziare ai miei fratelli” (Mt.28,10;
Gv 20,17). Fratelli non per natura, ma per dono della grazia, perché questa filiazione
adottiva procura una reale partecipazione alla vita del Figlio unico, la quale si è
pienamente rivelata nella sua Risurrezione.
Infine, la Risurrezione di Cristo - e lo stesso Cristo risorto - è principio e sorgente della
nostra risurrezione futura: “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. .
. e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1Cor 15,20-22).
Nell'attesa di questo compimento, Cristo risuscitato vive nel cuore dei suoi fedeli. “Egli è
morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è
morto e risuscitato per loro” (2Cor 5,15).
30
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29/04/2010 10:10
 
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GESU' SALI' AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE
Salì al Cielo
“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di
Dio” (Mc 16,19). Il Corpo di Cristo è stato glorificato fin dall'istante della sua Risurrezione,
come lo provano le proprietà nuove e soprannaturali di cui ormai gode in modo
permanente [Cf. Lc 24,31; Gv 20,19; Gv 20,26]. Ma durante i quaranta giorni nei quali egli
mangia e beve familiarmente con i suoi discepoli [Cf. At 10,41] e li istruisce sul Regno, [Cf.
At 1,3] la sua gloria resta ancora velata sotto i tratti di una umanità ordinaria [Cf. Mc 16,12;
Lc 24,15; Gv 20,14-15; Gv 21,4 ]. L'ultima apparizione di Gesù termina con l'entrata
irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata dalla nube [Cf.At 1,9; cf.
anche Lc 9,34-35] e dal cielo [Cf. Lc 24,51] ove egli siede ormai alla destra di Dio [Cf. Mc
16,19; At 2,33; At 7,56].
Quest'ultima tappa rimane strettamente unita alla prima, cioè alla discesa dal cielo
realizzata nell'Incarnazione. Solo colui che è “uscito dal Padre” può far ritorno al Padre:
Cristo [Cf. Gv 16,28]. “Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell'uomo che è
disceso dal cielo” (Gv 3,13) [Cf. Ef 4,8-10].
Siede alla destra del Padre
Cristo, ormai, siede alla destra del Padre. “Per destra del Padre si intende la gloria e
l'onore della divinità, ove colui che esisteva come Figlio di Dio prima di tutti i secoli come
Dio e della stessa sostanza del Padre, s'è assiso corporalmente dopo che si è incarnato e
la sua carne è stata glorificata” [San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 4, 2, 2: PG
94, 1104D].
L'essere assiso alla destra del Padre significa l'inaugurazione del regno del Messia,
compimento della visione del profeta Daniele riguardante il Figlio dell'uomo: “ [Il Vegliardo]
gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è
un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto”
(Dn 7,14).
DI LA' VERRA' A GIUDICARE I VIVI E I MORTI
In linea con i profeti [Cf. Mt 3] e Giovanni Battista, [Cf. Mc 12,38-40] Gesù ha annunziato
nella sua predicazione il Giudizio dell'ultimo Giorno. Allora saranno messi in luce la
condotta di ciascuno [Cf. Lc 12,1-3; Gv 3,20-21; Rm 2,16; 1Cor 4,5 ] e il segreto dei cuori
31
[Cf. Mt 11,20-24; Mt 12,41-42 ]. Allora verrà condannata l'incredulità colpevole, che non ha
tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio. Sarà l'atteggiamento verso il prossimo a
rivelare l'accoglienza o il rifiuto della grazia e dell'amore divino [Cf. Mt 5,22; Mt 7,1-5].
Gesù dirà nell'ultimo giorno: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40).
Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i
cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo. Egli ha “acquisito”
questo diritto con la sua croce. Anche il Padre “ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Gv
5,22) [Cf. Gv 5,27; Mt 25,31; At 10,42; At 17,31; 2Tm 4,1]. Ora, il Figlio non è venuto per
giudicare, ma per salvare [Cf. Gv 3,17] e per donare la vita che è in lui [Cf. Gv 5,26]. È per
il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, [Cf. Gv
3,18; Gv 12,48] riceve secondo le sue opere [Cf. 1Cor 3,12-15] e può anche condannarsi
per l'eternità rifiutando lo Spirito d'amore [Cf. Mt 12,32; Eb 6,4-6; Eb 10,26-31].
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29/04/2010 10:12
 
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CREDO NELLO SPIRITO SANTO

Conduce e ridesta alla fede

“Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3).
“Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal 4,6).
Questa conoscenza di fede è possibile solo nello Spirito Santo. Per essere in contatto con
Cristo, bisogna dapprima essere stati toccati dallo Spirito Santo. È lui che ci precede e
suscita in noi la fede. In forza del nostro Battesimo, primo sacramento della fede, la Vita,
che ha la sua sorgente nel Padre e ci è offerta nel Figlio, ci viene comunicata intimamente
e personalmente dallo Spirito Santo nella Chiesa.
Lo Spirito Santo con la sua grazia è il primo nel destare la nostra fede e nel suscitare la
vita nuova che consiste nel conoscere il Padre e colui che ha mandato, Gesù Cristo [Cf.
Gv 17,3]. Tuttavia è l'ultimo nella rivelazione delle Persone della Santa Trinità.
San Gregorio Nazianzeno, spiega questa progressione introducendo l’espressione
“pedagogia della condiscendenza” divina:
”L'Antico Testamento proclamava chiaramente il Padre, più oscuramente il Figlio. Il Nuovo
ha manifestato il Figlio, ha fatto intravvedere la divinità dello Spirito. Ora lo Spirito ha diritto
di cittadinanza in mezzo a noi e ci accorda una visione più chiara di se stesso. Infatti non
era prudente, quando non si professava ancora la divinità del Padre, proclamare
apertamente il Figlio e, quando non era ancora ammessa la divinità del Figlio, aggiungere
lo Spirito Santo come un fardello supplementare, per usare un'espressione un po' ardita. . .
Solo attraverso un cammino di avanzamento e di progressso di gloria in gloria”, la luce
della Trinità sfolgorerà in più brillante trasparenza ”27
“I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio” (1Cor 2,11).
Ora, il suo Spirito, che lo rivela, ci fa conoscere Cristo, suo Verbo, sua Parola vivente.
Colui che “ha parlato per mezzo dei profeti” ci fa udire la Parola del Padre. Lui, però, non
lo sentiamo in modo diretto. Lo possiamo conoscere nel movimento in cui ci rivela il Verbo
(Parola) e ci dispone ad accoglierlo nella fede. Lo Spirito di Verità che ci svela Cristo non
parla da sé [Cf. Gv 16,13]. Questo chiarisce il motivo per cui “il mondo non può ricevere” lo
Spirito, “perché non lo vede e non lo conosce”, mentre coloro che credono in Cristo lo
conoscono perché “dimora” presso di loro [Cf. Gv 14,17].
Si fa conoscere nella Chiesa
La Chiesa, comunione vivente nella fede degli Apostoli che essa trasmette, è il luogo della
nostra conoscenza dello Spirito Santo:
- nelle Scritture, che egli ha ispirato;
- nella Tradizione di cui i Padri della Chiesa sono sono i testimoni sempre attuali;
- nel Magistero della Chiesa che egli assiste;
- nella Liturgia sacramentale, attraverso le sue parole e i suoi simboli, in cui lo
27 San Gregorio Nazianzeno, Orationes theologicae, 5, 26: PG 36, 161C
33
Spirito Santo ci mette in comunione con Cristo;
- nella preghiera, nella quale intercede per noi;
- nei carismi e nei ministeri che edificano la Chiesa;
- nei segni di vita apostolica e missionaria;
- nella testimonianza dei santi, in cui egli manifesta la sua santità e continua l'opera
della salvezza.
Gli appellativi dello Spirito Santo
Gesù, quando annunzia e promette la venuta dello Spirito Santo, lo chiama “Paraclito”,
letteralmente: “Colui che è chiamato vicino”, “ad-vocatus” (Gv 14,16; Gv 14,26; Gv 15,26;
Gv 16,7). “Paraclito” che viene abitualmente tradotto “Consolatore”, essendo Gesù il primo
consolatore [Cf. 1Gv 2,1 ].
Il Signore stesso chiama lo Spirito Santo anche “Spirito di verità” (Gv 16,13).28
I simboli dello Spirito Santo
L'acqua. Il simbolismo dell'acqua significa l'azione dello Spirito Santo nel Battesimo,
poiché dopo l'invocazione dello Spirito Santo, essa diviene il segno sacramentale efficace
della nuova nascita: come la gestazione della nostra prima nascita si è operata nell'acqua,
allo stesso modo l'acqua battesimale significa realmente che la nostra nascita alla vita
divina ci è donata nello Spirito Santo. Maoltre che “battezzati in un solo Spirito”, noi “ci
siamo” anche “abbeverati a un solo Spirito” (1Cor 12,13). Lo Spirito, dunque, è anche
l'acqua viva che scaturisce da Cristo crocifisso come dalla sua sorgente [Cf. Gv 19,34;
1Gv 5,8] e che in noi zampilla per la Vita eterna [Cf. Gv 4,10-14; Gv 7,38; Es 17,1-6; Is
55,1; 1Cor 10,4; Ap 21,6; Ap 22,17].
L'unzione. Il simbolismo dell'unzione con l'olio è talmente significativa dello Spirito Santo
da divenirne addirittura il sinonimo [Cf. 1Gv 2,20; 1Gv 2,27; 2Cor 1,21]. Nell'iniziazione
cristiana essa è il segno sacramentale della Confermazione, chiamata giustamente nelle
Chiese d'Oriente “Crismazione”. Ma per coglierne tutta la forza, bisogna rifarsi sempre alla
prima unzione compiuta dallo Spirito Santo: quella di Gesù.
Cristo [“Messia”, in ebraico] significa “Unto” dallo Spirito di Dio.
Il fuoco. Mentre l'acqua significava la nascita e la fecondità della Vita donata nello Spirito
Santo, il fuoco simbolizza l'energia trasformante degli atti dello Spirito Santo. Il profeta
Elia, che “sorse simile al fuoco” e la cui “parola bruciava come fiaccola” (Sir 48,1), con la
sua preghiera attira il fuoco del cielo sul sacrificio del monte Carmelo, [Cf. 1Re 18,38-39]
pre-figura del fuoco dello Spirito Santo che trasforma ciò che tocca. Giovanni Battista, che
cammina innanzi al Signore “con lo spirito e la forza di Elia” (Lc 1,17) annunzia Cristo
come colui che “battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,16), quello Spirito di cui Gesù
dirà: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc
12,49). È sotto la forma di “lingue come di fuoco” che lo Spirito Santo si posa sui discepoli
il mattino di Pentecoste e li riempie di sé (At 2,3-4). La tradizione spirituale riterrà il
simbolismo del fuoco come uno dei più espressivi dell'azione dello Spirito Santo [Cf. San
Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore].
28 Vedi anche CCC n.693
34
La nube e la luce. Questi due simboli sono inseparabili nelle manifestazioni dello Spirito
Santo. Fin dalle teofanie dell'Antico Testamento, la Nube, ora oscura, ora luminosa, rivela
il Dio vivente e salvatore, velando la trascendenza della sua Gloria: con Mosè sul monte
Sinai, [Cf. Es 24,15-18] e durante il cammino nel deserto; [Cf. Es 40,36-38].
Queste figure sono portate a compimento da Cristo nello Spirito Santo. È questi che
scende sulla Vergine Maria e su di lei stende la “sua ombra”, affinché ella concepisca e
dia alla luce Gesù [Cf. Lc 1,35]. Sulla montagna della Trasfigurazione è lui che viene nella
nube che avvolge Gesù, Mosè e Elia, Pietro, Giacomo e Giovanni, e “dalla nube” esce una
voce che dice: “Questi è il mio Figlio, l'eletto; ascoltatelo” (Lc 9,34-35). Infine, è la stessa
Nube che sottrae Gesù allo sguardo dei discepoli il giorno dell'Ascensione [Cf. At 1,9 ] e
che lo rivelerà Figlio dell'uomo nella sua gloria il giorno della sua venuta [Cf. Lc 21,27 ].
La mano. Imponendo le mani Gesù guarisce i malati [Cf. Mc 6,5; Mc 8,23 ] e benedice i
bambini [Cf. Mc 10,16 ]. Nel suo Nome, gli Apostoli compiranno gli stessi gesti [Cf. Mc
16,18; At 5,12; At 14,3]. Ancor di più, è mediante l'imposizione delle mani da parte degli
Apostoli che viene donato lo Spirito Santo [Cf. At 8,17-19; At 13,3; At 19,6 ].
La Chiesa ha conservato questo segno dell'effusione onnipotente dello Spirito Santo nelle
epiclesi sacramentali.
Il dito. “Con il dito di Dio” Gesù scaccia “i demoni” (Lc 11,20). Se la Legge di Dio è stata
scritta su tavole di pietra “dal dito di Dio” (Es 31,18), “la lettera di Cristo”, affidata alle cure
degli Apostoli, è “scritta con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle
tavole di carne dei cuori” (2Cor 3,3). L'inno “Veni, Creator Spiritus” invoca lo Spirito Santo
come “digitus paternae dexterae - dito della destra del Padre”.
La colomba. Quando Cristo risale dall'acqua del suo battesimo, lo Spirito Santo, sotto
forma di colomba, scende su di lui e in lui rimane [Cf. Mt 3,16]. Per analogia lo Spirito
scende e prende dimora nel cuore purificato dei battezzati.
In alcune chiese, la santa Riserva eucaristica è conservata in una custodia metallica a
forma di colomba (il columbarium) appeso al di sopra dell'altare. Il simbolo della colomba
per indicare lo Spirito Santo è tradizionale nell'iconografia cristiana.
Lo Spirito e la Parola di Dio nel tempo delle promesse (Primo Testamento)
Dalle origini fino alla “pienezza del tempo” (Gal 4,4), la missione congiunta del Verbo e
dello Spirito del Padre rimane nascosta, ma è all'opera. Lo Spirito di Dio va preparando il
tempo del Messia, e l'uno e l'altro, pur non essendo ancora pienamente rivelati, vi sono già
promessi, affinché siano attesi e accolti al momento della loro manifestazione. Per questo,
quando la Chiesa legge l'Antico Testamento, [Cf. 2Cor 3,14] vi cerca [Cf. Gv 5,39; Gv
5,46] ciò che lo Spirito, “che ha parlato per mezzo dei profeti”, vuole dirci di Cristo.
Lo Spirito di Cristo nella pienezza del tempo (Nuovo Testamento)
Tutta la missione del Figlio e dello Spirito Santo nella pienezza del tempo è racchiusa nel
fatto che il Figlio è l'Unto dello Spirito del Padre dal momento dell'Incarnazione: Gesù è
Cristo, il Messia.
Tutto il secondo articolo del Simbolo della fede deve essere letto in questa luce. L'intera
opera di Cristo è missione congiunta del Figlio e dello Spirito Santo. Qui si menzionerà
soltanto ciò che concerne la promessa dello Spirito Santo da parte di Gesù e il dono dello
35
Spirito da parte del Signore glorificato.
Gesù rivela in pienezza lo Spirito Santo solo dopo che è stato egli stesso glorificato con la
sua Morte e Risurrezione. Tuttavia, lo lascia gradualmente intravvedere anche nel suo
insegnamento alle folle, quando ad esempio rivela che la sua carne sarà cibo per la vita
del mondo [Cf. Gv 6,27; Gv 6,51; Gv 6,62-63], alla donna samaritana (cfr. Gv 4,7-24).
Ai suoi discepoli invece ne parla apertamente a proposito della preghiera [Cf. Lc 11,13 ] e
della testimonianza che dovranno dare [Cf.Mt 10,19-20].
Tuttavia è solo quando giunge l'Ora in cui sarà glorificato, che Gesù promette la venuta
dello Spirito Santo, poiché la sua Morte e la sua Risurrezione saranno il compimento della
Promessa fatta ai Padri: [Cf. Gv 14,16-17; Gv 14,26; Gv 15,26; Gv 16,7-15;] lo Spirito di
verità, l'altro Paraclito, sarà donato dal Padre per la preghiera di Gesù; sarà mandato dal
Padre nel nome di Gesù; Gesù lo invierà quando sarà presso il Padre, perché è uscito dal
Padre. Lo Spirito Santo verrà, noi lo conosceremo, sarà con noi per sempre, dimorerà con
noi; ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto ciò che Cristo ci ha detto e gli renderà
testimonianza; ci condurrà alla verità tutta intera e glorificherà Cristo; convincerà il mondo
quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.
Infine viene l'Ora di Gesù: [Cf.Gv 13,1; Gv 17,1] Gesù consegna il suo spirito nelle mani
del Padre [Cf. Lc 23,46; Gv 19,30] nel momento in cui con la sua morte vince la morte, in
modo che, “risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre”, egli dona subito lo
Spirito Santo “alitando” sui suoi discepoli [Cf. Gv 20,22 ]. A partire da questa Ora, la
missione di Cristo e dello Spirito diviene la missione della Chiesa: “Come il Padre ha
mandato me, anch'io mando voi” (Gv 20,21)29
Lo Spirito nella Pentecoste
Il giorno di Pentecoste (al termine delle sette settimane pasquali), la Pasqua di Cristo si
compie nell'effusione dello Spirito Santo, che è manifestato, donato e comunicato come
Persona divina: dalla sua pienezza, Cristo, Signore, effonde a profusione lo Spirito [Cf. At
2,33-36]. In questo giorno è pienamente rivelata la Trinità Santa. Da questo giorno, il
Regno annunziato da Cristo è aperto a coloro che credono in lui: nell'umiltà della carne e
nella fede, essi partecipano già alla comunione della Trinità Santa. Con la sua venuta, che
non ha fine, lo Spirito Santo introduce il mondo negli “ultimi tempi”, il tempo della Chiesa, il
Regno già ereditato, ma non ancora compiuto.30
Abbiamo visto la vera Luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede:
adoriamo la Trinità indivisibile, perché ci ha salvati [Liturgia bizantina, Tropario dei Vespri di
Pentecoste].
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29/04/2010 10:13
 
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CREDO LA CHIESA CATTOLICA
Dono di Dio
La Chiesa – popolo di Dio in cammino – non nasce da interessi umani o dallo slancio di
qualche cuore generoso, ma è dono dall’alto, frutto quindi dell’iniziativa divina. E’ stata
pensata da sempre all’interno del disegno del Padre, il quale l’ha preparata attraverso la
29 Cf.Mt 28,19; Lc 24,47-48; At 1,8
30 Per approfondire gli aspetti dello Spirito Santo nella vita del crede si può leggere il CCC dal n. 733 al 741
36
lunga storia dell’Alleanza con il popolo d’Israele, perché fosse compiuta e realizzata
pienamente grazie alla missione del Figlio e all’effusione dello Spirito santo.
Opera di Dio, e non dell’uomo, la Chiesa è nella sua natura più profonda, inaccessibile a
uno sguardo puramente umano: è un mistero. Racchiude in se elementi divini ed elementi
umani.
Immagine della vita Trinitaria – Sacramento di salvezza
Originata dalla Trinità, si presenta come immagine, icona della Trinità stessa, cioè
immagine vivente della comunione del Dio Amore. E’ sacramento di salvezza del Dio
amore. La categoria di sacramento, che precede quella di sacramenti (al plurale),
significa una realtà invisibile, divina, che agisce attraverso dei segni visibili: i sacramenti
della Chiesa appunto.
Mediante il Battesimo nel nome della Trinità lo Spirito unisce a Cristo nuovi figli e li
arricchisce dei doni (o carismi), che il Padre ha preparato per ciascuno di loro. La varietà
dei carismi esprime l’unità, fondata nell’unico Spirito, e vive nella corresponsabilità a
immagine del dialogo tra Padre, Figlio e Spirito.
La crescita di questa vita trinitaria e la piena realizzazione della comunione trovano
alimento:
- nell’ascolto fedele, non occasionale, della Parola di Dio; dalla partecipazione
all’Eucarestia;
- dal sacramento della Confermazione, che sigilla la maturità del battezzatotestimone;
- dal sacramento del Perdono, che rimette i peccati commessi dopo il battesimo;
- dal sacramento dell’Ordine, che configura a Cristo Sacerdote e Pastore;
- da quello del Matrimonio, che fai dei due il sacramento vivente delle nozze tra
Cristo e la Chiesa;
- e dal sacramento dell’Unzione degli infermi, che li sostiene e li aiuta a rendersi
partecipi della sofferenza di Cristo Redentore.
La Chiesa, in quanto segno e strumento privilegiato dell’opera dello Spirito nella storia, è il
sacramento di Cristo, così come Cristo è il sacramento di Dio.
Culmine e fonte della vita ecclesiale
l’Eucarestia fa la Chiesa
Questa totale sacramentalità della Chiesa si esprime nella forma più alta nella
celebrazione dell’eucarestia.: culmine e fonte di tutta la vita ecclesiale: memoriale della
Pasqua, cioè riattualizzazione di essa nella diversità dei luoghi. Attraverso di essa gli
uomini si riconciliano con Dio e fra di loro: fanno la Chiesa.
Chiesa locale
La Chiesa eucaristica è anzitutto Chiesa locale, cioè un’assemblea che celebra in uno
spazio e in un tempo definiti; sotto la presidenza del Vescovo. Questa Chiesa locale è già
Chiesa in pienezza, cattolica (kath’olou=in pienezza), perché è una e santa nell’unico
Corpo di Cristo eucaristico e nell’unico Spirito, ed apostolica nella fedeltà al mandato da
Gesù affidato ai suoi: “Fate questo in memoria di me”.
37
Chiesa universale
Lo stesso Cristo e lo stesso Spirito fondano poi la comunione di ciascuna Chiesa locale
con tutte le altre nella comunione universale delle Chiese. Così nell’unica Chiesa
universale ogni Chiesa locale riconosce ogni altra Chiesa eucaristica come se stessa,
perché riconosce in essa l’unico Signore presente nel suo Spirito e nel Suo Corpo .
La Chiesa fa l’eucarestia
La celebrazione è possibile soltanto attraverso una dimensione ministeriale pluriforme.
Infatti la parola non può essere proclamata se non c’è chi l’annunci; il memoriale della
Pasqua non è celebrato se non c’è chi lo faccia in obbedienza al mandato del Signore. La
Chiesa tutta è impegnata nel triplice compito: profetico – sacerdotale – regale. Compito
che deriva dal medesimo e uno battesimo.
La Chiesa espressione di carismi diversi: ministerialità
L’esercizio battesimale, secondo i doni diversi che lo Spirito elargisce ad ognuno, si attua
nei diversi ministeri, che sono carismi legati ad un incarico, configurati in forma di un
servizio reso nella e per la Chiesa.
La ministerialità della Chiesa si esprime anzitutto nei ministeri ordinati: questi derivano
dal sacramento dell’ordine - sono stati tramandati dagli Apostoli e dai loro successori
(successione apostolica) – e costituiscono la gerarchia ecclesiastica (vescovi, presbiteri,
diaconi).
La gerarchia ecclesiastica
Si tratta del ministero di chi, in forza del carisma ricevuto con l’ordinazione: annuncia la
Parola, celebra “nella persona di Cristo Capo” il sacrificio, discerne e coordina i
carismi, esprimendo e servendo l’unità del Corpo che è la Chiesa. Il carisma del ministero
ordinato è pertanto anzitutto quello di discernere e coordinare i carismi, e viene esercitato
mediante l’azione profetica, sacerdotale e pastorale, dal Vescovo per tutta la Chiesa
locale, dal presbitero per il campo d’azione che il Vescovo gli affida. Egli infine è il segno
e il servo dell’unità della Chiesa locale, realizzata dallo Spirito nell’eucarestia: lo è
all’interno della Chiesa locale, e lo è nel rapporto con le altre Chiese, a loro volta espresse
dai rispettivi Vescovi. In un grado inferiore stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani
non per il sacerdozio ma il servizio. Loro specifica competenza è l’assistenza dei Vescovi
e dei presbiteri nelle celebrazioni liturgiche, specialmente nell’Eucarestia. Possono
assistere e benedire il matrimonio, proclamare il vangelo e predicare; presiedere ai
funerali e dedicarsi ai vari servizi della carità.
La comunione delle Chiese è così manifestata e servita dalla collegialità dei loro Vescovi,
ed è strutturata intorno al ministero di unità del Vescovo di Roma; la Chiesa che presiede
nell’amore. Il Vescovo romano, il Papa, è nella Chiesa universale il servo dell’unità di tutti
i fratelli. Essere in comunione con il Vescovo della Chiesa di Roma è, per i singoli cristiani
e per le Chiese, criterio ultimo alla comunione cattolica
Ministerialità laicale
I ministeri ordinati non esauriscono però la ministerialità della Chiesa: dal momento che
tutti hanno ricevuto lo Spirito, tutti hanno il dovere di donarlo. Ciò avviene mediante una
molteplicità di servizi, che possono essere temporanei o prolungati nel tempo; tutti
esercitati mettendo a disposizione degli altri i doni ricevuti. Qualche esempio concreto: i
38
teologi, i catechisti, i genitori-educatori primi alla fede. Il servizio all’altare, l’offerta delle
proprie sofferenze da parte degli ammalati. Chi assume una responsabilità nell’ambito
pastorale, chi si impegna nella politica, chi nel sociale, ecc.
Chiesa Santa e peccatrice
La comunione ecclesiale, che deriva dal Padre, per Cristo, nello Spirito, e costituita nella
sua unità e diversità dei doni e dei servizi ad immagine della comunione trinitaria (santità),
tende a sua volta verso l’origine da cui è venuta: nello Spirito, per Cristo, essa è in
cammino verso il Padre.
Ogni presunzione di essere arrivati va sempre posta in discussione: la Chiesa è sempre
chiamata a continua purificazione (peccatrice) e ad incessante rinnovamento, inappagata
da qualsiasi conquista umana.
Ed è in nome della sua meta più grande, che essa dovrà essere ‘sovversiva’ e critica
verso tutte le parziali realizzazioni di questo mondo: presente in ogni situazione umana,
solidale con il povero e con l’oppresso, non si identificherà mai con una delle speranze
della storia. Si tratta di assumere contemporaneamente le speranze umane e di verificarle
al vaglio della Risurrezione, che da una parte sostiene ogni impegno autentico di
liberazione dell’uomo, dall’altra contesta ogni assolutizzazione di mete terrene.
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29/04/2010 10:14
 
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LA COMUNIONE DEI SANTI,
LA REMISSIONE DEI PECCATI,
LA RESURREZIONE DELLA CARNE,
LA VITA ETERNA
LA COMUNIONE DEI SANTI
Nella sua espressione storica la comunione dei santi si esprime nel popolo dei battezzati, i
quali, in forza del sacramento sono configurati a Cristo, nello Spirito, a gloria del Padre;
ricevono ed accolgono i doni che il Signore fa loro, per viverli nel servizio e nella
comunione. Tuttavia, la Chiesa esprime la comunione dei santi non solo nel senso di
coloro che al presente sono santificati nel battesimo e continuamente ricorrono alle
sorgenti della grazia per divenire ciò che sono divenuti nell’acqua della salvezza, ma
anche di quelli che hanno già compiuto il loro esodo e vivono ora nella gioia della luce
intramontabile di Dio. Essi sono per i pellegrini ancora in viaggio un modello e un aiuto. I
santi sono i compagni di strada che rendono bello il cammino, perché pur essendo esperti
in umanità come noi, sono anche esperti della pace futura, e sanno meglio guidarci a Dio.
Dio è glorificato nei suoi santi perché in essi risplende la bellezza dell’Altissimo che si
esprime come amore. E poiché è infinita la ricchezza della carità eterna, infiniti sono
anche i suoi possibili riflessi. La fantasia e la creatività della santità è davvero senza limiti,
al punto che ogni santo dà un accento nuovo e particolare nella sinfonia di lode della
Chiesa.
Per questo la Chiesa non cessa di proclamare santi e beati coloro la cui vita si presenta
come lode vivente della gloria di Dio. La santità manifesta le infinite possibilità a cui Dio
chiama l’uomo: e se la Chiesa non si stanca di proclamare i santi, lo fa anche per ricordare
all’uomo le sue potenzialità nascoste ed inesauribili. Infine i santi sono le figure della
nostra speranza: in essi è già compiuto ciò che per noi non è ancora realizzato.
Ogni santo è un messaggio, che parla in modo particolare a situazioni storiche differenti.
L’ascolto del loro messaggio sempre nuovo, sebbene possa essere storicamente antico,
richiede un cuore disponibile, che sappia avere il desiderio e il gusto delle cose di Dio.
La preghiera ‘per’ e ‘con’ i santi
E’ il luogo in cui si fa esperienza in modo particolare della comunione dei santi nel tempo e
nell’eternità. Essa ci fa sperimentare il vincolo profondo che lega, nella Trinità, non solo la
Chiesa pellegrina a quella celeste, ma anche nel tempo presente l’intercessione degli uni
alla sofferenza e al cammino degli altri: l’affidarsi all’intercessione della Vergine Maria, il
rivolgersi ai Santi, il chiedere l’aiuto della loro preghiera, e l’offrire con generosità la
povertà della propria preghiera e la propria sofferenza per gli altri, non ci distrae dalla
contemplazione di Dio. Chi si rivolge alla Vergine Madre e ai Santi, chi fa appello alla
carità della preghiera altrui e prega con umiltà per gli altri, lo fa sempre in Dio.
40
LA REMISSIONE DEI PECCATI
La remissione dei peccati nella Chiesa avviene innanzitutto quando viene professata per
la prima volta la fede. Con l’acqua battesimale, infatti, viene concesso un perdono
talmente ampio che non rimane più alcuna colpa -né originale né ogni altra contratta
posteriormente - e viene rimessa ogni pena da scontare.
Tuttavia, la grazia del Battesimo, non libera la nostra natura dalla sua debolezza, e
pertanto occorre sempre fare i conti con la seduzione del male. In tale combattimento
contro l’inclinazione al male, chi potrebbe resistere con tanta energia e con tanta vigilanza
da riuscire ad evitare ogni ferita del peccato? Fu quindi necessario che nella Chiesa vi
fosse la possibilità di rimettere i peccati anche in modo diverso dal sacramento del
Battesimo. Per questa ragione Cristo consegnò alla Chiesa le chiavi del Regno dei cieli, in
virtù delle quali potesse perdonare a qualsiasi peccatore pentito i peccati commessi dopo
il Battesimo, fino all’ultimo giorno della vita.
È per mezzo del sacramento della Penitenza che il battezzato può essere riconciliato con
Dio e con la Chiesa.
Non c’è nessuna colpa, per grave che sia, che non possa essere perdonata dalla santa
Chiesa. Non si può ammettere che ci sia un uomo, per quanto infame e scellerato, che
non possa avere con il pentimento la certezza del perdono. Cristo, che è morto per tutti gli
uomini, vuole che, nella sua Chiesa, le porte del perdono siano sempre aperte a chiunque
si allontana dal peccato.
CREDO LA RISURREZIONE DELLA CARNE
Il termine «carne» designa l’uomo nella sua condizione di debolezza e di mortalità. La
«risurrezione della carne» significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita
dell’anima immortale, ma che anche i nostri «corpi mortali» (Cfr. Rm 8, 11) riprenderanno
vita.
Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della fede cristiana fin
dalle sue origini.
”Come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste
risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è
vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede... Ora, invece, Cristo e
resuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (Cfr.1 Cor 15, 12-14.20).
Tuttavia, fin dagli inizi, la fede cristiana nella risurrezione ha incontrato incomprensioni ed
opposizioni. Si accetta abbastanza facilmente che, dopo la morte, la vita della persona
umana continui in un modo spirituale. Ma come credere che questo corpo, la cui mortalità
è tanto evidente, possa risorgere per la vita eterna?
Come risuscitano i morti?
41
Che cosa significa «risuscitare»? Con la morte, separazione dell’anima e del corpo, il
corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre l’anima va incontro a Dio, pur restando in
attesa di essere riunita al suo corpo glorificato. Dio nella sua onnipotenza restituirà
definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza
della Risurrezione di Gesù.
Chi risusciterà? Tutti gli uomini che sono morti: “quanti fecero il bene per una risurrezione
di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna”, (Cfr. Gv 3, 29).
Come si risusciterà? Cristo è risorto con il suo proprio corpo; ma egli non è ritornato ad
una vita terrena. Allo stesso modo, in lui, “tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono
rivestiti”, ma questo corpo sarà trasfigurato in corpo , in «corpo spirituale» (Cfr.1 Cor 15,
44).
Il «come» supera comunque le possibilità della nostra immaginazione e del nostro
intelletto; è accessibile solo nella fede.
Quando si risusciterà? Definitivamente «nell’ultimo giorno» (Cfr.Gv 6, 39-40.44.54); «alla
fine del mondo». Infatti, la risurrezione dei morti è intimamente associata alla parusia
(ritorno glorioso) di Cristo (Cfr.1Ts 4,16-17): “Perché il Signore stesso, a un ordine, alla
voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima
risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro
tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il
Signore”.
CREDO LA VITA ETERNA
“Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel
nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito
Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con
la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. . . Tu possa tornare
al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga
incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. . . Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e
possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno “[Rituale romano, Rito delle esequie,
Raccomandazione dell'anima].
Il giudizio particolare
Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale
con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata
retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua
fede. La parabola del povero Lazzaro [Cf. Lc 16,22] e la parola detta da Cristo in croce al
buon ladrone [Cf. Lc 23,43].31
Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la
retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per
31 Vedi anche 2Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; 12,23
42
cui o passerà attraverso una purificazione32, o entrerà immediatamente nella beatitudine
del cielo33, oppure si dannerà immediatamente per sempre34.
Il Cielo
Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati,
vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come
egli è” (1Gv 3,2), faccia a faccia: (Cf.1Cor 13,12; Ap 22,4).
Questa vita perfetta, questa comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità, con la
Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati è chiamata “il cielo”. Il cielo è il fine ultimo dell'uomo
e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e
definitiva.
Vivere in cielo è “essere con Cristo” [Cf.Gv 14,3; Fil 1,23; 1Ts 4,17].
Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera
ogni possibilità di comprensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini:
vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme
celeste,
La purificazione finale o Purgatorio
Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati,
sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro
morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia
del cielo.
La Chiesa chiama Purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa
dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al Purgatorio
soprattutto nei Concilii di Firenze [Cf Denz. -Schönm., 1304f ibid. , 1820; 1580]. La
Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, [Cf. ad esempio, 1Cor
3,15; 1Pt 1,7] parla di un fuoco purificatore.
Questo insegnamento poggia anche sulla pratica della preghiera per i defunti di cui la
Sacra Scrittura già parla: “Perciò [Giuda Maccabeo] fece offrire il sacrificio espiatorio per i
morti, perché fossero assolti dal peccato” (2Mac 12,45). Fin dai primi tempi, la Chiesa ha
onorato la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi, in particolare il sacrificio
eucaristico, [Cf Concilio di Lione II: Denz. -Schönm., 856] affinché, purificati, possano
giungere alla visione beatifica di Dio. La Chiesa raccomanda anche le elemosine, le
indulgenze e le opere di penitenza a favore dei defunti.


32 Cf. Concilio di Lione II: Denz.-Schönm., 857-858; Concilio di Firenze II: ibid., 1304-1306; Concilio di Trento: ibid.,
1820
33 Cf. Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1000-1001; Giovanni XXII, Bolla Ne super his: ibid.,
990]
34 Cf. Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1002
43
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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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