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EFFETTI SOCIALI DELLA CULTURA CRISTIANA

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2023 11:00
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16/12/2015 12:00
 
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Le suore travestite da prostitute
per salvare le vittime dalla schiavitù del sesso

Ecco la scena. Un’ora imprecisata della sera, non importa se ti trovi ad Amsterdam, in una banlieue parigina, o nel pieno centro di Bangkok. Oltre la coltre di fumo in cui sono avvolti molti locali inizia lo spettacolo delle schiave (e schiavi) del sesso. Ecco, finalmente sei arrivato. Fermo immagine su quella signorina un po’ impacciata vicino ad un tavolino, accanto ad altre signorine più disinibite. Stacco sul signore in bermuda che le si accosta, una mano in tasca, l’altra che dalla spalla di lei, lentamente scivola sul fianco, lasciandosi dietro una lenta e appiccicosa scia di sudore. Una vignetta come tante se non fosse che la ragazza in top e calze a rete, con inaspettata nonchalance, all’ultimo momento elude la mano umida e grassottella del ricco occidentale, gli sussurra qualche parola all’orecchio e si allontana, lasciandolo lì, lo sguardo spento fisso sul divanetto. E’ molto probabile che la signorina della scenetta che abbiamo appena descritto sia una delle 1100 religiose che ogni notte combattono in prima linea il traffico di esseri umani.

John Studzinski, vice presidente della banca d’investimento The Blackstone Group, in un’intervista rilasciata per il sito Cruxnow, ha raccontato delnetwork chiamato “Thalita kum”, nato nel 2004, i cui membri, sorelle appartenenti a qualsiasi ordine religioso, operano in circa 80 paesi del mondo. Secondo i dati forniti dall’associazione, le vittime del traffico sessuale rappresenterebbero l’1% dell’intera popolazione mondiale, per un totale di circa73 milioni di persone, di cui la metà non raggiunge i sedici anni di età. Nel 2009 la rete di religiose ha messo a punto un programma di partnership con diverse banche coordinate dall’ufficio centrale di Roma dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG)

Alcuni particolari raccontati da Studzinski sono agghiaccianti: storie di prostitute rinchiuse per giorni in una stanza, senza cibo, costrette a mangiare le proprie feci, ree di non aver raggiunto il target prefissato di dodici clienti giornalieri; o di quelle ragazze costrette ad avere rapporti sessuali con più uomini contemporaneamente. In molti casi veri e propri stupri di gruppo.  «Queste donne diventano invisibili, una merce, trattate come oggetti per il business “comprare e vendere”. Non sono più trattate come esseri umani creati a immagine e somiglianza di Dio»ha raccontato suor Estrella Castalone, coordinatrice di “Thalita kum”. 

«Sono queste storie che hanno portato le nostre suore a convincersi che fosse necessario intervenire. Ed è per salvare queste persone che si travestono e si infiltrano nei bordelli di proprietà delle organizzazioni criminali», ha spiegato Studzinski. In questo clima di terrore, dove la legge del denaro sposa l’abbrutimento esasperato della razza umana, le sorelle di Thalita Kum sono disposte a tutto pur di portare un po’ di speranza là dove nessuno osa più sperare. Ed è così che queste eroine silenziose, forti della loro fede, non hanno paura ad entrare in queste realtà per poterriscattare le esistenze perdute di queste ragazze. E le donne che riescono a strappare da questo inferno le proteggono in case e centri di accoglienza dove possono riposare e avere cibo, vestiti, alcune semplici cure mediche, assistenza legale e formazione professionale. «Questo è importante», ha spiegato suor Estrella, «perché le vittime della tratta spesso sono perdute e devono raccogliere i pezzi della loro vita andata in frantumi».

«Queste sorelle non possono contare su nessuno», ha spiegato Studzinski, presidente del network, «né sui governi, né sulle organizzazioni, né, tanto meno, sulle forze di polizia (spesso esse stesse colluse con i traffici illeciti; nda). In alcuni casi esse non possono neanche confidare sull’appoggio della chiesa locale». Oltre al traffico di prostitute, la rete di carità si occupa anche di salvare quei bambini venduti come schiavi dai loro genitori e della cui sorte c’è l’imbarazzo (macabro) della scelta: dalla miniera di diamanti, al traffico d’organi, passando per il turismo sessuale e l’arruolamento forzato in una qualche milizia. Le suore di Talitha Kum acquistano questi bambini e li mettono al riparo in una delle case protette presenti in Africa, nelle Filippine, in Brasile e in India. «È scioccante, ma è la realtà», ha affermato Studzinski.

Queste donne alle parole preferiscono i fatti, ai j’accuse ben argomentati degli editorialisti di regime scelgono la concretezza del Vangelo. E mentre sui giornali si scervellano per dare un nome intellegibile al Male (“Terrorismo”“Daesh” e “Clima” sono quelli che oggi vanno per la maggiore), c’è qualcuno che questo Male lo conosce da sempre e lo combatte a testa alta perché tanto, alla fine, a vincere sarà il Bene. E’ solo questione di tempo. E di fede.

Filippo Chelli


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16/03/2016 21:44
 
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Il voto alle donne? Già presente nel Medioevo



medioevo pernoudE’ vero: il 10 marzo del 1946 le italiane votarono per la prima volta e fu, senza alcun dubbio, una grande conquista per le donne oltre che per l’intera Italia.


Sarebbe però sbagliato immaginare che in epoche passate la condizione femminile fosse sempre e comunque di inferiorità e che il diritto di voto, per la donna, sia necessariamente conquista recente. Si prenda per esempio il Medioevo, epoca ingiustamente considerata teatro degli orrori dell’inquisizione – mentre sappiamo che la caccia alle streghe si registrò prevalentemente durante il Rinascimento e comunque nelle regioni germaniche protestanti più che in quelle cattoliche – ritenuta orribile considerazione della donna.


Ebbene, non solo l’epoca medievale fu costellata di donne potenti e influenti – i nomi di Matilde di Canossa, Eleonora d’Aquitania, Bianca di Castiglia o Ildegarda di Bingen dicono nulla? – ma vi furono anche casi, neppure necessariamente così isolati, di suffragio femminile.


Leggenda maschilista? No, si sta parlando di un dato storico, come provano, ironia della sorte, proprio le ricerche di una donna, Régine Pernoud (1909–1998), storica francese nonché grande specialista del Medioevo. Nel suo libro forse più famoso – Pour en finir avec le Moyen Age, tradotto anche in Italiano – la Pernoud infatti osserva che se si vuole osservare la condizione di «donne che non erano né alte dame né badesse né monache, ma contadine, o cittadine, madri di famiglia, o donne che esercitavano un mestiere» non esiste alternativa che rifarsi alle «raccolte consuetudinarie o gli statuti delle città, ma anche l’enorme massa degli atti notarili, soprattutto nel Mezzogiorno della Francia, dei cartulari, dei documenti giudiziari, o ancora, delle inchieste».


Ebbene, «dall’insieme di simili documenti balza fuori un quadro che per noi presenta più d’un tratto sorprendente, dato che, per esempio, vediamo le donne votare alla pari degli uomini nelle assemblee cittadine o in quelle dei comuni rurali. Spesso ci siamo divertiti, nel corso di conferenze o altre relazioni, a citare il caso di certa Gaillardine di Fréchou la quale, in occasione di un contratto d’affitto proposto dall’abbazia di Saint-Savin agli abitanti di Cauterets, nei Pirenei, è la sola a votare no, mentre il restante della popolazione al completo ha votato sì. Il voto delle donne non è sempre espressamente menzio­nato dappertutto, ma questo è forse dovuto appunto al fatto che nessuno vedeva la necessità di menzionarlo» (R. Pernoud, Medioevo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano 2001, p.113).


Ricordando questo, sia chiaro, non s’intende necessariamente presentare il Medioevo come l’età dell’oro ma, certo, è curioso come una conquista così importante come quella del voto femminile fosse già presente in un’epoca storica che, agli occhi dei più, viene ritenuta quanto di più lontano dal progresso.


Giuliano Guzzo



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11/04/2016 14:40
 
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L’ospedale, un’altra invenzione del Medioevo cattolico



Suora ospedale


 


di Francesco Agnoli
*scrittore e saggista  dLa grande storia della carità

Tutti i popoli hanno una medicina: c’è la medicina indiana, la medicina cinese, la medicina africana…Si tratta, per lo più, di mescolanze tra credenze superstizione e magiche, visioni cosmologiche di vario tipo e conoscenze empiriche, nate da una qualche osservazione della realtà. Scrive Michelangelo Peláez: «Le pratiche mediche più antiche erano una mescolanza di interventi empirici, di cui si ignorava la reale causa della efficacia o inefficacia, e di magia, che attribuiva il motivo del dolore e della malattia a forze esterne misteriose, dominabili con procedure enigmatiche riservate ad alcuni membri della tribù i quali, dovutamente iniziati, godevano di speciali poteri curativi».

La medicina come la conosce l’Occidente, nasce nel mondo greco, con Ippocrate e la sua scuola, in intima connessione con la filosofia greca: il«rifiuto ippocratico di un intervento divino nel processo della malattia, e di conseguenza il rifiuto di ogni terapeutica magica mirante a calmare la collera divina, coesiste con il dichiarato rispetto della divinità. Il medico ippocratico sostituisce ad una giustizia divina, più o meno oscura, un ordine dell’universo, divino e naturale, che rende conto di tutte le malattie, compreso il male detto “sacro” (l’epilessia), considerato dai contemporanei più divino degli altri. In Ippocrate si osserva un adeguamento del divino al naturale, nel senso che il divino si manifesta nella regolarità stessa delle leggi naturali» (Pelàez). Il cristianesimo erediterà e porterà a compimento questa visione del mondo, sia in nome del Dio Logos, che ha creato un corpo che obbedisce, come l’universo, a leggi ben precise, sia grazie alla sua valorizzazione del singolo individuo (indipendentemente dalla sua origine o ricchezza), dell’amore e del dolore (che sono cifre proprie della tradizione cristiana e non presenti nella cultura greca). Così a salvare e rilanciare in Italia ed Europa il patrimonio antico della medicina greca saranno il monaco Cassiodoro e la sua scuola: di qui una tradizione continua di studi che ha prodotto, per esempio, l’anatomia, a partire dal Medioevo (Mondino de Liuzzi), e poi via via una sempre maggior comprensione della “macchina” del corpo umano.

Una cosa è la medicina, però, un’altra è l’ospedale: se la proprietà della medicina moderna, figlia di quella greca e di quella cristiana, è l’essere fondata sulla ricerca razionale e sulla riduzione degli scopi (il medico deve cercare di curare il corpo, senza però dimenticare che oltre ad esso, ed insieme ad esso, c’è l’anima), la novità più grande dell’apporto cristiano sta nell’istituzione di un luogo in cui poveri, malati, emarginati, pellegrini, orfani ecc. trovino assistenza e aiuto. In nome di Cristo, che era stato, secondo un modo di dire comune nel medioevo, infirmus et patiens (infermo e sofferente).

C’erano strutture ospedaliere in cui praticare la medicina nel mondo antico, pre-cristiano? No. In buona parte del mondo animista, ancora oggi, la cura è affidata allo stregone, che spesso, dietro un pagamento, offre pratiche magiche di allontanamento del malocchio o simili… Il malato, però, è di norma un maledetto: accade non di rado che molte patologie, come la lebbra, portino non alla cura, ma all’emarginazione, e alla cacciata dalla comunità. Nel mondo induista, l’idea stessa di ospedale non può affermarsi per una serie di credenze ostative: gli uomini non sono tutti “uguali” (esistenza delle caste); il corpo e la materia non sono realtà positive; il malato altro non fa che scontare, giustamente, le colpe delle vite precedenti (concetto di reincarnazione)… Così né l’Africa, né l’America, né l’Asia… hanno prodotto l’ospedale.

Il discorso si fa più complesso, ma solo apparentemente, se ci spostiamo in Grecia o a Roma. Ci sono alcune strutture latamente ospedaliere in queste culture? Sì, ma in termini molto vaghi. Gli storici affermano che le strutture “ospedaliere” greche erano: poche, per lo più a pagamento (tipo delle cliniche private), limitate (per esempio Platone insegnava che erano degni di cura soltanto i cittadini liberi -non certo gli schiavi- e soprattutto coloro che potevano guarire sicuramente). Per questo lo storico dell’ospedale Ray Porter, come tanti altri, arriva a concludere: «Nella Grecia classica non vi erano ospedali…». Altri, come Scarano, Cosmacini, Sironi, Krug… ribadiscono che l’ospedale come lo intendiamo noi, come ospitalità a 360 gradi, nasce solo con il cristianesimo.

Quanto a Roma antica, comincia così uno studio di Alberto Arcioni sul tema: «Sia nella Roma repubblicana che in quella imperiale una vera ospedalità, almeno come la intendiamo noi oggi, non si ebbe mai», in quanto «l’attenzione alla salute, in tutte le sue forme, veniva considerato come un fatto utilitario e non come un impulso caritatevole a chi soffriva»«queste deficienze nell’assistenza sanitaria nell’antica Roma, fanno invero contrasto con la grande cura che invece i romani mettevano, anche attraverso saggi ordinamenti, nel trattamento dell’igiene personale, nell’uso delle acque, nella vigilanza annonaria, nella diffusione dell’esercizio fisico». Vi erano anche, è vero, delle strutture che potremmo definire impropriamente ospedali, ma erano luoghi per la “riparazione” degli schiavi, luoghi a pagamento, luoghi sacri, in cui però mancava «lo spirito di aiuto per i sofferenti» che sarebbe stato portato, conclude l’Arcioni, «con l’avvento e il diffondersi del cristianesimo» (Alberto Arcioni, L’ospedalità nella Roma antica, in “Lazio ieri e oggi. La rivista di Roma e della sua regione”, aprile 2013).

Giorgio Cosmacini, docente di Storia della medicina presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e l’Università degli Studi di Milano, scrive: «il valore dell’ospitalità era solo marginalmente noto nel mondo classico. Era il Medioevo cristiano a dare fondamento etico alla hospitalitas: questo stesso nome, conosciuto sì dagli antichi, ma solo come attitudine od opzione individuale e come obbligo giuridico nei confronti dell’ospite, si affermava nella bassa latinità come comandamento condiviso, come servizio reso al bisognoso e al sofferente nell’ambito di un cristianesimo che si proclamava religione dei poveri […]. Tali opere ricevevano una loro organizzazione da parte della Chiesa primitiva: i diaconi erano “ministri” delegati dai vescovi ad amministrare la distribuzione di viveri ed elemosine, l’assistenza a vedove ed orfani, l’alloggio a poveri e ammalati. Le prime “case ospitali” o domus episcopi, sorte accanto alle residenze vescovili, erano gli archetipi delle istituzioni ospitaliere […]. Sotto l’autorità di un vescovo nascevano case ospitali urbane, sotto l’autorità di un abate, stanze ospitali venivano allestite nei monasteri» (G. Cosmacini, L’arte lunga. La storia della medicina dall’antichità a oggi, Laterza 2009, pp. 118,120).

Fino a fare di Roma, capitale della Cristianità, il luogo dei primi ospedali dell’Occidente, con Agnese, Fabiola, Marcella; e poi la patria, dopo il Mille, di«meravigliosi ospedali che per grandiosità, qualità di assistenza medica, aspetto e funzionalità architettonica, primeggiarono in tutto il mondo» (Arcioni). Per secoli, gli ospedali sono opera di volontariato, luoghi in cui migliaia di persone immolano la loro vita, rinunciando ad una vita esterna, sovente anche ad una propria famiglia, per stare con i sofferenti, con i più miseri, visti come “altri Cristi”, notte e giorno. Luoghi in cui la carità stimola la ricerca, e la pratica permette lo sviluppo della medicina.  Lo Stato, in Europa, comincerà a gestire gli ospedali, pagando il personale, molto tardi: dopo che san Giovanni di Dio, san Camillo de Lellis, san Vincenzo de Paoli e tanti altri santi e sante avranno sparso i semi della loro carità per ogni luogo. Dopo che l’abate Charles-Michel de l’Épée, nel Settecento, sulla scia di religiosi a lui precedenti, avrà inventato la lingua dei segni e il metodo educativo per i sordomuti, dando vita a quegli istituti per sordomuti che saranno gestiti, sino al Novecento, dalla Chiesa cattolica.

Anche in epoca più recente, sarà la carità cristiana prima a spingere Florence Nightingale a creare la figura dell’infermiera moderna, dopo aver imparato alla scuola delle Figlie della Carità di san Vincenzo, poi a venire incontro a tutti quei nuovi bisogni che gli Stati non sono capaci, né motivati, ad incontrare: pensiamo al primo ricovero per malati di Aids, fondato a New York nel 1982 dalle suore di madre Teresa (perché non si trovava nessun altro, neppure a pagamento, disponibile a rischiare il contagio per accompagnare alla morte persone consumate dal male); alle comunità di recupero per tossicodipendenti, nate quasi sempre dall’opera volontaria e gratuita di sacerdoti o di laici con una forte spinta religiosa; oppure, per fare un altro esempio, ai Cottolenghi di San Giuseppe Cottolengo e di don Orione, aperti ad accogliere i malati più gravi, quelli cronici, quelli a cui gli ospedali di Stato non sanno assicurare le necessaria assistenza. L’ospedale, figlio, come l’università, della civiltà medievale, viene esportato anche fuori dalla Cristianità, attraverso i missionari: uomini che partono per portare la fede, e che come Cristo che sfama i suoi discepoli, e guarisce i malati, portano con sé anche medicina e strutture di carità. E’ san Daniele Comboni, per fare un solo esempio, colui che più di ogni altro ha insegnato all’Africa educazione, istruzione, sanità…

Quanto all’oggi, si contano nel mondo 121.564 strutture sanitarie cattoliche e di assistenza di vario genere: «la punta di diamante è rappresentata dai 5.305 ospedali della Chiesa (basti pensare che la sanità statunitense ne ha 5.700) dove dentro c’è un po’ di tutto: dalla struttura all’avanguardia – in Italia basta citare il polo pediatrico di Roma Bambino Gesù o la Casa del Sollievo della Sofferenza a San Giovanni Rotondo – al piccolo centro di frontiera in Africa che fornisce l’assistenza di base. I numeri della sanità vaticana (aggettivo usato dall’articolista impropriamente, ndr) si dividono abbastanza equamente tra i principali continenti: in America sono 1.694 gli ospedali, in Africa 1.150, in Asia 1126, in Europa 1.145 dove l’Italia fa la parte del leone con 129 strutture sanitarie. Ma la realtà delle cure cattoliche è anche molto più ricca: con 18.179 strutture cosiddette ambulatoriali (oltre 10mila divise tra Africa e Americhe) che danno assistenza ai più svantaggiati e ben 17.223 strutture residenziali e assistenziali destinatealla terza età o ai disabili. Di quest’ultime ben 8mila sono concentrate in Europa e quasi 1.600 solo nel nostro Paese. Completano l’elenco del welfare vaticano quasi 10mila orfanotrofi, oltre 11mila asili per i più piccoli, 15mila consultori familiari e quasi altre 60mila strutture che forniscono assistenza sociale e prestazioni di vario tipo» (Il Sole 24 ore, 15/2/2013).


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11/04/2016 14:46
 
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Le radici cristiane della medicina moderna



Medicine&ReligionE’ sempre più riconosciuto il fatto che le origini della scienza moderna siano da trovarsi nell’alveo del cristianesimo cattolico. In un dossier apposito abbiamo raccolto la posizione maggioritaria degli storici, credenti e non.


Non solo la scienza intesa come metodo scientifico, nato come cammino dalla creazione (e dalle creature) al Creatore per arrivare alla comprensione e alla conoscenza di Dio (nato con intenti teologici, dunque), ma anche la medicina, la cura dell’altro. In un ottimo saggio, “Case di Dio, ospedali degli uomini” (Fede & Cultura 2012) Francesco Agnoli ha mostrato come gli ospedali moderni nacquero dopo che donne e uomini iniziarono ad utilizzare le chiese per l’assistenza dei malati. Verso la fine del quarto secolo, la vedova romana Marcella adottò la sua dimora a convento per le monache-infermiere. Qualcosa di simile ad un ospedale arrivò nel 390 a Roma, dalla felice intuizione di Fabiola, la quale raccolse tutte le persone sofferenti trovate per le strade, prestando loro le attenzioni di una vera infermiera. E così via.


Nel maggio scorso il prof. Gary Ferngren, docente di Storia presso l’Oregon State University, ha pubblicato in America il libro Medicine & Religion: A Historical Introduction (Johns Hopkins 2014) dove, in otto capitoli ben scritti e accuratamente ricchi di fonti, porta il lettore dai tempi antichi al periodo greco-romano, al cristianesimo primitivo, al medioevo, al mondo islamico, al periodo moderno, e ai secoli 19° e 20°. Viene considerato il primo libro che esamina globalmente il rapporto tra medicina e religione nella tradizione occidentale, dall’antichità all’era moderna. Le radici della medicina occidentale, arriva a concludere, si trovano negli effetti trasformativi della tradizione giudaico-cristiana.


Mentre prima del cristianesimo la malattia era vissuta con ansia e disprezzo, concepita come castigo divino, l’incarnazione di Gesù cambia radicalmente le cose. Un esempio: «Passando, Gesù vide un uomo che era cieco fin dalla nascita. “Maestro”, gli chiesero i discepoli, “perché quest’uomo è nato cieco? È stato per colpa dei suoi peccati o per quelli dei suoi genitori?“. Gesù rispose: “Né per un motivo, né per l’altro, ma è così perché in lui si possa dimostrare la potenza di Dio”» (Gv 9,2-3). La malattia non è una punizione, spiega Gesù. E’ un dono, misterioso e incomprensibile ovviamente, ma la prospettiva con cui guardare i sofferenti viene radicalmente mutata. Lo stesso Gesù sceglie di morire condividendo con gli uomini la sofferenza e l’umiliazione e l’esperienza della croce, vissuta ogni giorno da malati e sofferenti, diventa la condizione imprescindibile per poter seguirLo, per stare con Lui: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23).


Il prof. Ferngren si sofferma molto sullo spirito moderno della medicina il quale «non necessariamente favorisce la compassione». Certo i progressi medici degli ultimi secoli sono stati fondamentali, nonostante si siano verificati al di fuori del legame con il cristianesimo (gli ospedali oggi sono giustamente indipendenti dalla Chiesa) tuttavia, avverte lo storico, «io non disapprovo affatto questi contributi per le cure mediche quando dico che un risultato non intenzionale, ma forse inevitabile, della rimozione dei valori religiosi nell’assistenza sanitaria è stato quello di eliminare la fonte stessa da cui sorge la compassione» (pp. 212-213).



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03/05/2016 21:50
 
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Una famiglia che prega assieme
è più unita e vive meglio, lo dicono gli studi

PreghieraNumerose ricerche sono state dedicate al rapporto tra religione e psicologia e i risultati sono pressoché identici: la fede è una forza di benessere psico-fisico personale ed un collante sociale.

Avere una vita religiosa attiva migliora la salute mentale, aumenta il successo scolastico, rende più felici, migliora l’autocontrollo, diminuisce il tasso di dipendenze e aumenta la prospettiva di vita, riduce la delinquenza, l’ansia e la depressione. Sono alcuni dei risultati di numerosi studi scientifici elencati nel nostroapposito dossier.

Ma i benefici sono anche a livello sociale, un’alta frequenza ai sacramenti è legata ad una migliore relazione di coppia, sentimentale e sessuale, nonché alla diminuzione dei tassi di divorzio, ed influisce sulla fedeltà di coppia. Un sondaggio del 2015 ha rilevato che il 50% delle coppie non prega assieme al di fuori dei pasti in famiglia, l’altro 50% lo fa almeno una volta all’anno, di cui l’11% tutti i giorni e un terzo, nel complesso, almeno una volta al mese.

Clay Routledge, professore di Psicologia presso la North Dakota State University, ha elencato i risultati della letteratura scientifica che dimostrano come la preghiera migliora l’autocontrollo, aiuta ad essere pazienti, rende più indulgenti verso le persone che ci sono vicine e porta vantaggi per quanto riguarda la salute e gli effetti dello stress. «Vi è una crescente mole di prove», ha spiegato, «che indica che la preghiera, un comportamento spesso associato con la religione, può essere utile per gli individui e la società».

Ovviamente, l’indagine scientifica non entra nel campo teologico, nel rapporto tra la persona e Dio, nei motivi della preghiera e nell’eventuale risposta di Dio, ma si limita a valutare le conseguenze che è in grado di percepire tramite i suoi metodi di ricerca. Tuttavia, chiunque comprende facilmente che il tempo che le famiglie passano pregando assieme è tempo sottratto alla televisione e agli smartphone, impiegato invece in un rapporto profondo e di qualità. Uno studio ha infatti scoperto che i bambini, figli di genitori che pregano più di una volta al giorno, vivono un migliore rapporto con i loro genitori anche se non sono coinvolti nei momenti di preghiera. Un secondo studio ha trovato una correlazione positiva tra l’aumento di fiducia reciproca e il tempo che la coppia dedica alla preghiera.

Il medico e biologo francese Alexis Carrell, premio Nobel per la medicina nel 1912, scrisse nel 1941 un bel libro intitolato, per l’appunto, La preghiera, in cui mise in guardia dal non paragonare «la preghiera con la morfina. Poiché essa determina una specie di fioritura della personalità, solleva gli uomini al di sopra della statura mentale loro propria per eredità o per educazione. La preghiera fortifica nello stesso tempo il senso sacro e il senso morale. Gli ambienti nei quali si prega sono caratterizzati da una certa persistenza del senso del dovere e della responsabilità, da una minor gelosia e malvagità, da qualche bontà nei rapporti col prossimo. Quando la preghiera è abituale e veramente fervente, la sua influenza si fa chiarissima. Si direbbe che nella profondità della coscienza s’accenda una fiamma». Insomma, conclude il Nobel per la medicina, «tutto accade come se Dio ascoltasse l’uomo e gli rispondesse. Gli effetti della preghiera non sono un’illusione. Non bisogna ridurre il senso sacro all’angoscia dell’uomo davanti ai pericoli che lo circondano e davanti al mistero dell’universo. Né bisogna fare unicamente della preghiera una pozione calmante, un rimedio contro la nostra paura della sofferenza, della malattie della morte. Il senso sacro sembra essere un impulso proveniente dal più profondo della nostra natura, un’attività fondamentale, per mezzo della preghiera l’uomo va a Dio e Dio entra in lui» (A. Carrel, La Preghiera, Morcelliana 1986, pp. 28-44).

In altre due occasioni ci siamo occupati della preghiera, nella prima rispondendo alla classica domanda: “Perché pregare se Dio conosce già i nostri pensieri?”nella seconda, spiegando che la preghiera non serve per istruire Dio, ma semmai per disporre noi ad accogliere il Suo aiuto. Resta comunque insuperabile la riflessione di Benedetto XVI«Nell’esperienza della preghiera la creatura umana esprime tutta la consapevolezza di sé, tutto ciò che riesce a cogliere della propria esistenza e, contemporaneamente, rivolge tutta se stessa verso l’Essere di fronte al quale sta, orienta la propria anima a quel Mistero da cui si attende il compimento dei desideri più profondi e l’aiuto per superare l’indigenza della propria vita. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente».

La redazione


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24/05/2016 18:33
 
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La fede migliora anche la qualità di vita: effetto placebo?
No, psicologia positiva

cattoliciMolti sono rimasti sorpresi dai risultati dell’ennesimo studio secondo il quale coloro che frequentano con regolarità i sacramenti cristiani hanno anche una maggiore aspettativa di vita. La ricerca, durata vent’anni,è stata pubblicata sulla rivista dell’American Medical Association (la JAMA Internal Medicine) ed è stata diffusa sui principali media internazionali, a partire dal Washington Post.

Perché stupirsi? Abbiamo realizzato un dossier in cui sono state elencate decine e decine di ricerche che hanno portato a risultati identici, rilevando più volte che i credenti praticanti hanno una miglior vita amorosa e sessuale e migliori rapporti matrimoniali, minori sintomi depressivi, minori dipendenze (alcool e droga), maggior auto-controllo, migliore salute mentale e fisica, miglior successo scolastico, tassi più alti di felicità e ottimismo, minori tassi di criminalità e delinquenza, guarigione più veloce dopo una malattia ecc. Tutto opportunamente documentato.

Come spiegare tutti questi benefici? Solitamente viene invocato “l’effetto placebo” come una sorta di dio tappabuchi, spiegazione banale e superficiale che fortunatamente non utilizzano gli psicologi autori di questi studi, dove ribadiscono invece l’esistenza di cause ben più articolate e complesse. Addirittura Tyler Vander Weele, ricercatore della Harvard’s School of Public Health e coautore dello studio appena pubblicato, ha parlatodella religione e della spiritualità come «risorsa sottovalutata, che i medici potrebbero esaminare con i pazienti. I nostri risultati non suggeriscono che gli operatori sanitari debbano prescrivere la partecipazione a funzioni religiose, ma coloro che già credono potrebbero essere incoraggiati a farlo». Senza considerare che, come ha spiegato su questo sito web Maria Beatrice Toro, psicoterapeuta e docente presso l’Università “La Sapienza” di Roma, «i meccanismi neurofisiologici che sono attivi nei soggetti altamente suggestionabili non risultano sovrapponibili a fenomeni osservati nei credenti. Gli effetti, che oggi si sa essere benefici, della preghiera e della meditazione vanno distinti da quelli del rilassamento, delle pratiche suggestive e ipnotiche, dell’effetto placebo».

Quale correlazione, allora? Christopher Kaczor, professore di Filosofia alla Loyola Marymount University, ha provato a rispondere nel suo recente saggio The Gospel of Happiness. Rediscover Your Faith Through Spiritual Practice and Positive Psychology (Image 2015), parlando di “psicologia positiva”, approccio introdotto dal noto psicologo Martin Seligman. Anzi, a dire il vero il suo obiettivo è stato quello di far sposare «i più recenti lavori sulla “psicologia positiva” alle tradizionali pratiche morali, le virtù e gli insegnamenti del cristianesimo»secondo la recensione del libro realizzata da Christopher O. Tollefsen, docente di Filosofia presso la University of South Carolina.

I fondamenti della “psicologia positiva” affermano che un ottimale sviluppo umano si verifica quando è caratterizzato da emozioni positive, impegno, relazioni, significato e autorealizzazione. Sono criteri astratti, classici della psicologia, ma che possono diventare ricchi di esperienza concreta se abbinati all’esperienza cristiana: l’incontro personale con Dio dona un senso eterno alla percepita finitudine dell’uomo, da questo nasce la gioia per la vita, la gratitudine di riconoscersi amati, la dedizione per gli altri, la capacità di perdono, il legame fraterno con i compagni di strada e la piena autorealizzazione, indipendentemente dai reali successi mondani. Allo stesso tempo, tutto questo genera uno sviluppo umano adeguato poichécorrisponde ai criteri empirici delineati laicamente dalla psicologia positiva.

E’ una spiegazione interessante quella del filosofo americano, sufficientemente comprensiva di tutti i fattori dell’esperienza religiosa e dei benefici, spirituali ma anche in termini psico-fisici, che da essa ne conseguono. Ne potrebbe giovare Vittorio Feltri che, pochi giorni fa, con una disarmante onestà intellettuale, ha dichiarato«Non ho mai creduto in Dio, non ce la faccio. Ho cercato di documentarmi anche se in modo un po’ raffazzonato, ma non riesco a credere. Questo mi ha sempre portato a trovare l’esistenza totalmente priva di senso e questo, non ti nascondo, mi dà tuttoraun po’ di angoscia». La fede è un dono che arriva quando si inizia ad usare la ragione in autentica apertura alla possibilità del Mistero, a vivere come se Dio ci fosse. «Allo stesso tempo, Dio, con la sua grazia, illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, incommensurabili e infiniti»ci ha insegnatoBenedetto XVI. E questa ragione illuminata non può che portare conseguenze anche sul benessere psico-fisico, come la letteratura scientifica segnala


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24/05/2016 18:36
 
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Malattia e psicologia:
i credenti sopravvivono di più rispetto agli atei

La rivista americana “Liver Transplantation” ha pubblicato in questi giorni un interessante studio fatto da ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Pisa e del Centro trapianti di fegato dell’università di Pisa, diretti dallo psicologo Franco Bonaguidi. Essi riguardano il rapporto tra la religiosità del paziente e la sua eventuale guarigione dopo un trapianto di fegato. Lo studio mostra che il livello di sopravvivenza è maggiore in quelli in cui il fenomeno “religiosità” è presente in maniera attiva, cioè coloro che si affidano a Dio, hanno fede in Lui e cercano di percepire la Sua volontà anche nella malattia. Anche la rivista “Psychology and Health” nel febbraio 2010 aveva mostrato come la religiosità provochi una significativa riduzione della mortalità generale; e sulla rivista “Biology of Blood and Marrow Transplantation” di questo mese, uno studio di psicologi statunitensi mostrerà come l’assenza di spiritualità nel paziente aumenta il rischio di morte dopo il trapianto di cellule ematopoietiche. Lo studio italiano, pubblicato pure su Interscience.com, è commentato da Carlo Bellieni su l’Osservatore Romano. Il bioetico spiega che l’uomo trova nell’atteggiamento di ricerca del trascendente non un ostacolo, ma un forte alleato. Molto di misterioso sta racchiuso nell’animo e nella psiche umana ed entrambi hanno da guadagnare anche fisiologicamente dalla religiosità. Poveri neodarwinisti: se il credente sopravvive all’ateo significa darwinianamente che ha caratteri genetici più forti e positivi (e probabilmente più “razionali”). Di conseguenza dovremmo aspettarci l’estinzione totale dell’ateismo a causa della sopravvivenza del più forte?


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13/06/2016 09:12
 
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Ancora oggi i preti cattolici difendono i nativi dai colonialisti



Missionario amazzoniaDobbiamo davvero essere grati al prestigioso sociologo americano Rodney Stark e dovremmo anche domandarci come mai tra tutti i ricercatori e studiosi cattolici usciti dalle decine di Università cattoliche ci troviamo oggi a ringraziare sopra tutti uno studioso che cattolico non è, ma ex agnostico e oggi vicino alla chiesa episcopale.


Chiunque voglia affrontare il ruolo della Chiesa cattolica nella storia, in particolare per le tematiche su cui è soventemente attaccata, non può prescindere dai libri Stark che è riuscito a contrastare egregiamente la storiografia anticlericale che ha dominato fino al secolo scorso (e lo ha fatto in modo attendibile, la bibliografia citata a fine libro arriva sempre a sfiorare le 50 pagine!).


Rispetto al colonialismo europeo, ad esempio (lo ha fatto notare Francesco Agnoli), ha fatto notare che le leggi schiaviste più umane erano quelle della Spagna e della Francia: questo a causa della influenza esercitata dalla Chiesa cattolica, in prima linea nel difendere la natura umana e di creature di Dio anche degli schiavi. «Il problema non era che la Chiesa non condannava la schiavitù, quanto piuttosto che erano in pochi ad ascoltarla» (“A gloria di Dio”, Lindau 2011), ha spiegato, osservando addirittura che nell’Inghilterra anglicana e nella Danimarca protestante si scatenarono spesso le ire e le persecuzioni nei confronti dei cattolici più coraggiosi nel difendere il diritto alla libertà.


In ogni caso abbiamo già affrontato la questione in uno specifico dossier su questo sito web, dove abbiamo anche citato la posizione dei più grandi studiosi in questo campo, come lo storico americano Eugene D. Genovese, fra i massimi esperti di schiavismo americano: «Il cattolicesimo», ha scritto quando ancora era un leader del marxismo, «ha impresso una profonda differenza nella vita degli schiavi. E’ riuscito a creare un’etica nuova ed autentica nella società schiavista americana, brasiliana e spagnola» ( E. Genovese, “Roll, Jordan, Roll: The World the Slaves Made”, 1974, pag. 179).


In questi giorni è tornato sul tema anche Franco Cardini, noto storico italiano e ordinario presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (Sum), il quale ha spiegato: «sarebbe ingiusto negare che molti della Chiesa cattolica si siano piegati alle esigenze delle potenze colonialistiche e alla loro pratica di violenza e rapina. Resta tuttavia un fatto: nel mondo protestante non c’è nessun missionario che sia riuscito a combattere ingiustizia e violenzacon lo stesso successo con cui l’hanno fatto i cattolici: e difatti nell’America settentrionale e Oceania si sono avuti sistematici genocidi su larga scala, messi in atto sopratutto da inglesi e olandesi, che non trovano riscontro nell’America meridionale dove stragi e razzìe di schiavi ebbero certamente luogo, ma dovettero fare i conti con apostoli che difesero i nativi a viso aperto, spesso accettando insieme a loro la persecuzione». E’ il caso del domenicano Bartolomé Las Casas che riuscì a convincere Carlo V a promulgare le “Nuevas Leyes”, «irreprensibile codice garantista nei confronti dei nativi, che resta un modello giuridico a testimonianza del senso di equità di un sovrano cattolico e che impedì molte sopraffazioni».


Ma la lotta contro il colonialismo, nel continente mesoamericano, continua ancora oggi. Purtroppo l’offensiva delle multinazionali neocolonialiste, ha spiegato Cardini, «si è andata sviluppando di pari passo alla campagna di sètte protestanti che, ad esempio in Guatemala, hanno quasi sradicato la Chiesa cattolica». La cronaca di oggi ci dice infatti che, ad esempio, il vescovo brasiliano Pedro Casaldaliga è stato obbligato a lasciare la sua residenza a causa delle minacce di morte ricevute per la sua difesa degli indios. In Honduras padre Candido Pineda è stato più volte minacciato per la sua attività in difesa degli indigeni e dei contadini poveri, ed è stato arrestato per questo dalla polizia. In Amazzonia i missionari cattolici stanno difendendo i nativi contro le multinazionali e le loro ruspe, padre Dario Bossi ha recentemente vinto contro il colosso minerario Vale, salvando i villaggi locali. E così via.


Non a caso la conclusione dell’articolo di Cardini è questa: «I tempi sono cambiati: ma nel continente americano la battaglia tra chi difende gli oppressi e chi sostiene gli oppressori continua. E i preti cattolici sono ancora in prima linea».



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10/07/2016 22:05
 
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Chi assiste a servizi religiosi almeno una volta a settimana ha minori rischi di suicidio rispetto a chi non vi assiste o lo fa in modo meno frequente. È la conclusione di uno studio applicato a un campione di 89.708 donne negli Stati Uniti guidato dai ricercatori della Scuola di Salute Pubblica T.H. Chan dell’Università di Harvard e pubblicato il 29 giugno sulla rivista scientifica JAMA Psychiatry.


I risultati suggeriscono che assistere a servizi religiosi comunitari – come una Messa – è un fattore che dà più protezione del vivere una spiritualità da soli, segnala Tyler VanderWeele, docente di Epidemiologia all’Università di Harvard, che ha guidato l’indagine.


“Tra i benefici, la partecipazione ai servizi religiosi aumenta il sostegno sociale, diminuisce la depressione e aiuta le persone a sviluppare una prospettiva più ottimista nella vita”, ha spiegato il ricercatore al portale informativo dell’Università di Harvard.


La fede in Cristo, determinante


I ricercatori confermano che, rispetto a chi non assiste mai a servizi religiosi o lo fa molto poco, chi ad esempio va a Messa almeno una volta a settimana ha avuto un rischio cinque volte inferiore di commettere suicidio durante il periodo dello studio.

La maggior parte delle persone seguite dal 1996 (al 2010) erano cattoliche o protestanti. Di queste, 17.028 hanno partecipato a un servizio religioso più di una volta a settimana, 14.548 meno di una volta a settimana e 21.644 non hanno mai partecipato ad alcun servizio religioso.

Gli autori hanno segnalato che il loro studio ha utilizzato dati di osservazione e quanto dichiarato dalle persone che hanno preso parte allo studio e non ha considerato fattori emotivi come l’impulsività o sentimenti di disperazione.

Anche se non si pretende che il personale sanitario prescriva di assistere a determinati servizi religiosi, lo studio permette di affermare che “la religione e la spiritualità potrebbero essere una risorsa poco apprezzata, che psichiatri e medici potrebbero esplorare con i loro pazienti, in base al caso”, conclude la ricerca.

Migliori risultati con l’Eucaristia

Lo studio è sato reso pubblico appena due mesi dopo che i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) degli Stati Uniti hanno documentato un aumento significativo del tasso di suicidi nel Paese tra il 1994 e il 2014. Il suicidio è aumentato sia tra gli uomini che tra le donne e in tutti i gruppi di età, dai 10 ai 74 anni. Anche se le donne continuano ad essere meno inclini degli uomini a commettere suicidio, i CDC hanno scoperto che la distanza tra i due sessi è diminuita. Dal 1999 al 2014 il tasso di suicidio tra le donne tra i 45 e i 64 anni è aumentato dell’80%.

Il dottor Aaron Kheriaty, professore associato di Psichiatria presso l’Università della California a Irvine – che non ha fatto parte dell’équipe di ricerca –, ha sottolineato l’importanza dello studio di Harvard, indicando che i risultati rafforzano la certezza del legame tra la pratica religiosa e la salute mentale, analizzato dal sociologo Emile Durkheim già nel 1897.


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03/01/2017 17:54
 
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Lo storico Holland:
«mi sbagliavo, la nostra etica deriva solo dal cristianesimo»

tom-hollandIl 14/11/16 su New Statesman, settimanale della sinistra britannica, è comparso l’articolo che qui sotto abbiamo tradotto. L’autore è Tom Holland, apprezzato storico e scrittore, ha introdotto così la sua testimonianza: «Mi ci è voluto molto tempo per realizzare che i miei costumi non sono greci o romani, ma in fondo, e con orgoglio, cristiani».

 

di Tom Holland*
*storico e scrittore inglese

da NewStatesman, 14/09/16

 

Quando ero un ragazzo, la mia educazione come cristiano è stata sempre in balia dei miei entusiasmi. In primo luogo, ci sono stati i dinosauri. Ricordo vividamente il mio shock quando, durante il catechismo, ho aperto la Bibbia per bambini e ho trovato una illustrazione di Adamo ed Eva con vicino un brachiosauro. Avevo solo sei anni ma di una cosa era certo: nessun essere umano aveva mai visto un sauropode. Il fatto che l’insegnante sembrava non preoccuparsi di questo errore ha solo aggravato il mio senso di indignazione e sconcerto. Una debole ombra di dubbio, per la prima volta, era stata portata a scurire la mia fede cristiana.

Con il tempo, l’oscurità è aumentata. La mia ossessione verso i dinosauri si è evoluta senza soluzione di continuità in un’ossessione verso gli antichi imperi. Quando ho letto la Bibbia, il focus del mio fascino era attirato non dai figli d’Israele o da Gesù e dai suoi discepoli, ma dai loro avversari: gli egizianigli assirii romani. In modo simile, anche se vagamente ho continuato a credere in Dio, l’ho trovato infinitamente meno carismatico dei miei preferiti dèi dell’Olimpo: Apollo, Atena, Dioniso. Piuttosto che stabilire leggi hanno preferito divertirsi. E anche se risultavano vani, egoisti e crudeli, questo serviva solo per dotarli del fascino da rock star.

Con il tempo ho letto Edward Gibbon e altri grandi scrittori del secolo dei Lumi, ero più che pronto ad accettare la loro interpretazione della storia: il trionfo del cristianesimo aveva inaugurato un'”età della superstizione e della credulità”, e la modernità era stata fondata sul ripristino dei valori classici a lungo dimenticati. Il mio istinto infantile del pensare al Dio biblico come il nemico diretto della libertà e del divertimento venne finalmente razionalizzato. La sconfitta del paganesimo aveva inaugurato il regno di “nobodaddy” e di tutti i crociati, inquisitori e puritani prevaricatori. Il colore e l’eccitazione erano stati drenati dal mondo. «Tu hai conquistato, o pallido Galileo», ha scritto Swinburne, facendo eco al lamento apocrifa di Giuliano l’Apostata, l’ultimo imperatore pagano di Roma. «Il mondo è diventato grigio dal tuo respiro». Istintivamente, ho accettato tutto questo.

Non è una sorpresa il fatto che ho continuato a custodire l’antichità classica come il periodo che più mi ha spronato e ispirato. Gli anni che ho trascorso a scrivere libri storici sul mondo classico mi confermavano il fascino che provavo per Sparta e per Roma. Ho continuato a inseguire le miei fantasie come avevano sempre fatto, come un dinosauro. Eppure questi carnivori giganti, anche se meravigliosi, sono per loro natura terrificante. Più mi immergevo nello studio dell’antichità classica, tanto più la trovavo alienante ed inquietante. I valori di Leonida, che portarono le persone a praticare una forma particolarmente criminale di eugenetica e ad educare i loro piccoli ad uccidere di notte, non erano i miei valori. Né lo erano quelli di Cesare, conosciuto per aver ucciso un milione di Galli e soggiogato molte più persone. E’ stato scioccante non soltanto rilevare livelli estremi di insensibilità, ma anche la mancanza di valore intrinseco del povero o del debole nella civiltà classica. Così, la convinzione fondante dell’Illuminismo -cioè che non dobbiamo nulla alla fede in cui siamo nati- mi è sembrata sempre più insostenibile.

«Ogni uomo di buon senso», ha scritto Voltaire«ogni uomo d’onore, deve guardare alla setta cristiana con orrore». Piuttosto che riconoscere che i suoi principi etici arrivavano dal cristianesimo, ha preferito derivare essi da una serie di altre fonti, non solo letteratura classica, ma anche la filosofia cinese e i poteri della ragione. Eppure Voltaire, nella sua sollecitudine verso i deboli e gli oppressi, è stato segnato più durevolmente dal timbro dell’etica biblica di quanto volesse ammettere.

«Noi predichiamo Cristo crocifisso», ha dichiarato San Paolo, «scandalo per i giudei, stoltezza per i gentili». Aveva ragione. Nulla avrebbe potuto essere più in contrasto con le convinzioni profonde dei suoi contemporanei -ebrei, greci o romani-, dell’idea che un dio avrebbe scelto di subire torture e la morte di croce. Era così sconvolgente da apparire ripugnante. La familiarità con la crocifissione biblica ha offuscato la nostra capacità di riflettere su quanto sia irrompente e unica la divinità di Cristo. Nel mondo antico, il ruolo che gli dèi hanno rivendicato era governare l’universo, mantenere l’ordine ed infliggere una punizione. Non soffrire loro stessi.

Oggi, mentre la fede in Dio svanisce in tutto l’Occidente, i paesi che un tempo erano cristiani continuano a portare il timbro dei due millenni di rivoluzione che il cristianesimo ha rappresentato. E’ la ragione principale per cui, in linea di massima, la maggior parte di noi abitanti delle società post-cristiane, ancora diamo per scontato che sia più nobile soffrire che infliggere sofferenza. E’ grazie al cristianesimo che diamo per scontato che ogni vita umana ha pari valore. Guardando la mia etica e la mia moralità, ho imparato ad accettare che io non sono greco o romano, ma profondamente e orgogliosamente cristiano.


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25/01/2017 22:36
 
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Le donne nel Medioevo:
autonomia e libertà anche nei monasteri

donna nel medioevoCircolano molte leggende contro il Medioevo, gran parte di esse nate in ambienti illuministi come tentativo di denigrare un periodo storico essenzialmente cristiano.

Nell’immaginario collettivo vengono ancora definiti secoli bui, ma da molto tempo nelle accademie e nelle università la si pensa diversamente. Proprio due anni esatti fa ci ha lasciato il celebre storico francese (laico) Jacques Le Goff, tra i principali studiosi del Medioevo degli ultimi decenni. Come ha giustamente scritto lo storico italiano Franco Cardini, Le Goff «ha spregiudicatamente liberato l’idea di medioevo da tutta una serie d’incrostazioni che su di essa si erano depositate fino dal settecento»Per lui non c’è mai stato alcun Rinascimento, si è trattato di un lungo Medioevo cristiano, che lo studioso utilizzava come sinonimo di progresso.

In questi giorni su un quotidiano spagnolo, la prof.ssa Raquel Alonso, docente di Storia dell’Arte presso l’Università di Oviedo, ha presentato le conclusioni del suo studio, condotto per l’Institut de Recerca en Cultures Medievals dell’Università di Barcellona, smontando a sua volta una delle tante leggende nere su questo periodo storico: il ruolo delle donne nei monasteri. «Pensavo che le donne vivessero una clausura molto oppressiva, mi sono sorpresa nel constatare che non era affatto così. Le donne, in generale, nel Medioevo, avevano molta più libertà e indipendenza di quanto avremmo potuto immaginare». Qualche tempo fa avevamo parlato anche dell’esistenza in quel periodo del suffragio universale, che permetteva già il voto alle donne.

I monasteri femminili, innanzitutto, non erano luoghi desolati. Ospitavano spesso donne non religiose, come le aristocratiche e quel che definisce la figura de la domina, una laica addetta agli aspetti economici, frequente anche la presenza di «laici che visitavano le suore loro parenti o prendevano parte a cerimonie importanti». Un altro aspetto interessante è che era abbastanza comune che il monastero fosse misto, condiviso cioè da monaci e monache. Questo perché, ha spiegato la studiosa, «le suore hanno bisogno almeno di un personaggio maschile che celebri i sacramenti». A volte si trattava di uno o due cappellani o, nel caso dei monasteri più ricchi (come Santa María de las Huelgas di Burgos o il Monasterio de Cañas de La Rioja), un vero e proprio doppio monastero. In questi casi, «anche se le comunità femminili e maschili non condividevano ovviamente le stesse stanze, non erano necessariamente isolati né vi era una netta separazione tra loro. Partecipavano assieme ai canti, alle processioni e condividevano molti atti della vita quotidiana».

«Le suore nei grandi monasteri», ha quindi concluso la prof.ssa Raquel Alonso, «potevano studiare, uscivano per visitare la famiglia o si recavano in tribunale». Tutti questi dati sono «estremamente importanti perché ci offrono una visione molto più vitale e vigorosa della femminilità nel Medioevo di quanto è ancora purtroppo presente in molte errate idee».


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02/02/2017 13:54
 
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L’ecologia e l’ambientalismo
dipendono da una visione cristiana del mondo

AmbientalismoMolti cristiani guardano con diffidenza i movimenti animalisti ed ecologisti, troppo spesso effettivamente si sono resi protagonisti di ingiustificati e spropositati attacchi di odio, come accaduto ad esempio con l’ondata di insulti e auguri di morte subita dalla giovane Caterina Simonsen, colpita da quattro malattie genetiche rare, che ha raccontato di essere ancora viva grazie alla sperimentazione sugli animali.

«Se crepavi anche a 9 anni non fregava nulla a nessuno, causare sofferenza a esseri innocenti non lo trovo giusto», le hanno risposto in migliaia. L’odio per gli esseri umani è infatti una caratteristica comune di molti animalisti, convinti che gli uomini dovrebbero estinguersi per poter permettere alla natura di svilupparsi adeguatamente. Questi movimenti sono molto apprezzati dagli ambienti laici e riduzionisti, non solo perché promuovono una forma di laicissima religiosità panteistica (alternativa al cristianesimo) ma sopratutto in quanto contribuiscono a svalutare l’eccezionalità umana rispetto agli altri abitanti del pianeta Terra, fattore molto fastidioso per chi nega l’esistenza di un Creatore.

La diffidenza verso queste realtà è dunque più che giustificata, eppure bisogna sempre stare attenti a non generalizzare: tantissimi amanti della natura non vivono questa loro sensibilità con fondamentalismo ideologico e fini riduzionisti contro l’essere umano. Anzi, tantissimi devoti cristiani promuovono iniziative a favore dell’ambiente e della sensibilizzazione generale su questa tematica. Il primo, se così possiamo dire, è proprio Papa Francesco che a breve pubblicherà un’Enciclica sull’ecologia naturale e sull’ecologia umana.

In effetti l’ambientalismo appare dotato di senso soltanto in una prospettiva cristiana. Come è stato spiegato da J. Warner Wallace, per coloro per cui è tutto caso, necessità e selezione naturale non ha alcun significato razionale preoccuparsi di sostenere una specie animale che non si “adatta” a sufficienza per sopravvivere senza il nostro intervento. Con quale ragionevole ragione dovremmo ostacolare il corso dell’evoluzione darwiniana? L’indifferenza è la regola principale della selezione naturale ed opporsi ad essa non ha alcun senso in una prospettiva atea.

Al contrario, per noi cristiani è una responsabilità enorme quella di proteggere e curare l’ambiente naturale. Ad Adamo ed Eva è stato dato il “dominio” su tutta la creazione (Gn 1,26-28), cioè la responsabilità di un “lavoro” per il “mantenimento” del giardino dell’Eden (Gn 2,15). Il “dominio” sulla natura significa attenta responsabilità, ma non per un semplice utilitarismo. Il mondo “naturale” intorno a noi è anch’esso nato dalla volontà di Dio, rispettare l’ambiente, le piante e gli animali significa rispettare la volontà di Dio. Come ha affermato Papa Francesco«un cristiano che non custodisce il Creato, che non lo fa crescere, è un cristiano cui non importa il lavoro di Dio, quel lavoro nato dall’amore di Dio per noi».

E’ stato proprio il cristianesimo a far scomparire il rituale del sacrificio animale (e umano) dall’Occidente e in generale nelle terre cristianizzate, gli dei degli Antichi Greci -ad esempio- erano assetati di sangue animale come descrive Euripide nelle Braccanti. Da anni la sensibilità verso l’ecologia è parte del pensiero della Chiesa, così come l’ultima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro è stata aperta con forti richiami alla “Salvaguardia del Creato”. Sopratutto in Africa e Sud America è la Chiesa in prima linea a difendere l’ambiente dalla distruzione e dalla deforestazione.

Tuttavia, come spiegato sempre dal Santo Padre, questo non significa che non dobbiamo usufruire del cibo animale e vegetale: «il Creato è un prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che noi non ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona».


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11/02/2017 19:32
 
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«La medicina moderna nasce nel cattolicesimo»,
parola di ricercatore

«La Chiesa ha un ruolo importante nella storia della medicina. I primi ospedali sono nati come rifugi dei pellegrini, dei poveri e dei malati (qualcosa mai esistito prima), seguendo il comando cristiano dell’amore del prossimo». A dirlo è il dott. José Alberto Palma, laureatosi in Neuroscienze all’Università di Navarra e attualmente professore di Neurologia presso la New York University.

Il dott. Palma è anche recente autore del libro Historia negra de la Medicina (Ciudadela 2016), nel quale ha raccolto i più assurdi, spiacevoli e terrificanti trattamenti medici applicati nel corso dei secoli dai suoi colleghi medici. Non mancando, comunque, di produrre un buon testo divulgativo e storico.

L’inizio della medicina moderna è dovuta alle «scoperte del francese Louis Pasteur, del tedesco Robert Koch, dell’ungherese Ignaz Semmelweis, dell’inglese Joseph Lister e dello scozzese Alexander Fleming», ha spiegato in un’intervista il ricercatore spagnolo. «Fino a quando questi eroi della medicina non sono entrati nel mondo, era vivamente consigliato di rimanere ben lontano dai medici». A patto, però, di essere curati in ambienti cattolici. Infatti, ha proseguito, «in questi ospedali o rifugi, gestiti da ordini religiosi o dalle diocesi, sono state effettuate cure di base. I pazienti sono stati curati da monaci o monache e raramente dai medici, era un’assistenza abbastanza semplice e, allo stesso tempo, più sicura di quella che ricevono i pazienti nelle mani di ricchi medici famosi».

Ma la storia ha anche visto un’abbondanza di prestigiosi medici cattolici«i cui risultati sono stati essenziali per il progresso della medicina». L’elenco è lungo: il gesuita Athanasius Kircher (il primo ad usare un microscopio per indagare le cause delle malattie), padre Kircher (primo a teorizzare i microorganismi come causa di malattie trasmissibili), il gesuita Christoph Scheiner (primo a dimostrare la formazione dell’immagine capovolta nella retina dell’occhio), il monaco Gregor Mendel (padre della genetica), Louis Pasteur e Alexander Fleming (le cui scoperte hanno permesso il trattamento delle malattie infettive). Arrivando a tempi più moderni, il dott. Palma ha citato come esempio il neuroscienziato cattolico John Eccles (premio Nobel 1963) e l’americano Joseph Murray (premio Nobel 1990).

Per chi volesse approfondire il ruolo della Chiesa nell’invenzione dell’ospedale moderno, può riferirsi agli studi di Giorgio Cosmacini, ritenuto il maggior storico della medicina italiano, docente di Storia della medicina presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e presso l’Università degli Studi di Milano. Cosmacini è autore di “L’Arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi” (Editori Laterza 2001), in cui si legge che la medicina araba, lungi dall’aver inventato qualcosa, ha «il principale, se non unico, merito di aver trasmesso la medicina antica e bizantina» (p.144), ed infatti, ha proseguito lo storico italiano, «bastano le dita di una mano per numerare i maggiori protagonisti della medicina araba» (p.147).

Il cristianesimo, invece, ha assimilato le conoscenze mediche greche e bizantini, fondando i lebbrosari, ovvero «un aspetto dell’esordio generale dell’assistenza ospedaliera» (p.113). E ancora: «E’ dal Medioevo non pagano, ma cristiano, che vennero emergendo concetti e valori di grande rilevanza per la medicina» (p.117), sopratutto per quanto riguarda l’innovativo valore dell’accoglienza, dell’assistenza, dell’ospitalità (“ospedale”). Infatti, «fu il Medioevo cristiano a dare fondamento etico alla hospitalitas», da cui appunto presero il nome gli ospedali, inizialmente chiamate “case ospitali” o domus episcopi poiché «sorgevano accanto alle residenze vescovili, erano gli archetipi delle istituzioni ospitaliere» (p.118).


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29/01/2018 09:58
 
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Verga iniziava così: “ ‘Ogni progresso della civiltà è nato sulle spalle degli schiavi’, spiega il creatore di replicanti nella recente pellicola Blade Runner 2049. È solo fantascienza? No, è la semplice verità”.

Se è vero che la schiavitù era praticata dovunque ed era ritenuta naturale, a un certo momento della storia ha fatto irruzione una novità dirompente: il cristianesimo.

In totale controtendenza rispetto al mondo ha portato alla progressiva sparizione della schiavitù e addirittura alla nobilitazione del lavoro manuale un tempo ritenuto appannaggio degli schiavi e – dal monachesimo benedettino – elevato addirittura al livello della preghiera (Ora et labora).

Come scrive Thomas E. Woods nel libro “Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale” (Cantagalli) proprio la schiavitù era stata disastrosa per l’economia in quanto “il mondo dell’antichità classica”, potendo contare su di essa, “non aveva adottato in alcun grado significativo la meccanizzazione per uso industriale”.

Il monachesimo cristiano invece – per fare a meno del lavoro schiavistico – realizzò una vera e propria rivoluzione tecnologica e industriale con invenzioni e sistemi produttivi innovativi che posero le basi della rinascita agricola, finanziaria e industriale dell’Europa. Dimostrarono così che il vero progresso stava nello scommettere sull’ingegno umano, anziché sul lavoro schiavistico.
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07/05/2018 12:36
 
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COME IL CRISTIANESIMO HA CAMBIATO LA POLITICA ECONOMICA

Michael Novak

Cosa ha apportato Gesù Cristo ad Atene e Roma che ha alterato il concetto della politica economica? La domanda suona alquanto strana. È una domanda insolita. Tuttavia, proprio per la sua novità, suggerisce un modo diverso per guardare la storia politica. Consentitemi di proporre alla vostra considerazione la seguente tesi: almeno sette contributi apportati dai pensatori cristiani, meditando sulle parole ed opere di Gesù Cristo, hanno modificato la visione della buona società proposta dagli scrittori classici della Grecia e Roma, ed hanno reso possibili alcune moderne aspettative. Affronterò l'argomento in modo soddisfacente per gli onesti pensatori laici. Non occorre credere in Gesù Cristo per condividere le mie affermazioni.

1. Il primo contributo di Gesù fu quello di avvicinare il Giudaismo ai Gentili; e in almeno tre aspetti chiave, il Giudaismo ha modificato i concetti allora in vigore nell'area del Mediterraneo circa la politica economica. In primo luogo, da Gerusalemme, crocevia fra tre continenti verso l'Oriente e l'Occidente, il Nord ed il Sud, Gesù affermò il riconoscimento dell'unico Dio, il Creatore. In secondo luogo, il termine "Creatore" implica una persona libera; suggerisce che la creazione fu un atto libero, non un atto scaturito da una necessità. Fu un atto dell'intelligenza; il Creatore sapeva cosa stava facendo, ed Egli lo volle; «Egli vide che era cosa buona». Da questa nozione del Dio Unico-Creatore scaturiscono alcuni corollari dell'azione umana.

Fatti a immagini di Dio, noi dovremmo essere attenti e intelligenti. In ricerca senza sosta.
Siccome Dio ci ama, noi dobbiamo ricambiarlo con il nostro amore. Fin dal momento in cui ci ha creati Egli sapeva ciò che stava facendo, e lo volle fare, perciò abbiamo tutti i motivi per confidare nella Sua comprensione e nella Sua volontà. Dato che Egli ci ha fatti a Sua immagine, potremmo ben dire con Jefferson: «Il Dio che ci ha dato la vita ci ha dato la libertà». Confidate nella libertà.
Ad un certo momento, il tempo fu creato da Dio, il quale dette una direttiva da seguire: «Costruite il Regno di Dio... nella terra e nel cielo». Comprendete che la storia ha uninizio, e una fine nella quale la nostra vocazione si sviluppa, nel nostro pellegrinaggio sia personale che sociale.
In terzo luogo, proseguendo quest'ultimo punto, come molti studiosi hanno notato, l'idea di "progresso", così come quella di "creazione", non è una idea greca e neppure romana. I greci preferivano il concetto di una necessaria processione del mondo dal Primo Inizio. Concepivano la storia come un ciclo con un ritorno senza fine. Il concetto di storia come una categoria diversa da quella della natura è ebraico piuttosto che greco.

Quali sono le implicazioni per l'economia politica che scaturiscono dal fatto che la storia comincia con un atto libero del Creatore, che ha fatto gli esseri umani a Sua immagine, e che ha dato loro fin dal primo respiro sia l'esistenza che l'impulso verso la libertà e la comunione?

2. La rivelazione che Dio è Trino: Padre, Figlio e Spinto Santo. Quando Gesù parlava di Dio, Egli parlava della comunione di tre persone in una. A differenza dei greci (Parmenide, Platone, Aristotele), che parlavano di Dio o dell'Intelletto come di Uno che vive isolatamente e solitariamente, Gesù ha insegnato ai cristiani che Dio è comunione di tre persone. In altre parole, il mistero, della comunità è un tutt'uno con il mistero dell'essere. Così, l'Occidente contemplò il fatto che siamo parte del lungo processo di una comunità umana nel tempo; e che siamo, per grazia di Dio, uno insieme ad un altro ed a Dio. Esistere è sempre qualcosa che meraviglia; e la comunione universale lo è ancora di più. Questo punto di vista della comunità ha insegnato, all'Occidente che le persone raggiungono il loro vero sviluppo, soltanto in comunità con gli altri.

Per quanto si possa raggiungere un elevato sviluppo, colui che si richiude in se stesso, come persona totalmente isolata, tagliata fuori dagli altri, è visto come una specie di mostro. Cattolici, ebrei e socialisti hanno sottolineato questa mezza verità. Il punto di vista personalistico ha insegnato all'Occidente che una comunità che rifiuta il riconoscimento della personalità degli individui spesso li utilizza come pretesto per "il bene comune", piuttosto che trattare le persone come fini a se stesse. Tali comunità sono coercitive e tiranniche. I protestanti, i cattolici personalisti e i liberali hanno accettato questa mezza verità.

3. L'uguaglianza-unicità (non l'uguaglianza-identicità) dei figli di Dio. Nella Repubblica di Platone i cittadini venivano divisi in questo modo: alcuni erano d'oro, altri un po' più numerosi erano d'argento, e la stragrande maggioranza di piombo. Questi ultimi avevano l'animo degli schiavi, ed erano fatti per essere schiavizzati. Soltanto le persone d'oro erano trattate come fini a se stessi. Per il Giudaismo e il Cristianesimo, invece, Iddio che ha fatto ogni singola creatura l'ha dotata di valore e dignità, per quanto debole e vulnerabile essa sia. «Quello che fate al più piccolo di essi, l'avrete fatto a me». Iddio identifica Se stesso con il più umile e il Più vulnerabile. Il nostro Creatore conosce ognuno di noi per nome, e capisce la nostra individualità con maggiore chiarezza di quanto facciamo noi stessi. Ognuno di noi rispecchia, un piccolo frammento dell'identità di Dio. Se uno di noi si perde, l'immagine di Dio che si doveva riflettere in lui si perde, e la Sua immagine viene distorta in tutta la sua stirpe.

Il Giudaismo e il Cristianesimo asseriscono una fondamentale uguaglianza agli occhi di Dio per tutti gli uomini, qualunque sia il loro talento o condizione, sociale. Questa uguaglianza scaturisce dal fatto che Dio penetra in ogni condizione, onore o situazione sociale che possa differenziare in superficie l'uno dagli altri. Egli vede al di là di queste differenze Egli vede dentro di noi. Egli ci vede nella nostra unicità, ed è proprio quella unicità quella che Egli valuta. Noi possiamo definire questa uguaglianza come unicità. Dinanzi a Dio, noi abbiamo lo stesso valore nella nostra unicità, non perché siamo la stessa cosa, ma perché ognuno di noi è differente. Questo concetto è del tutto diverso da quello del moderno "progressismo" o dal concetto socialista di uguaglianza-identicità. La nozione cristiana non è una nozione di appiattimento. Tanto meno si compiace dell'uniformità.

Lungo la propria storia, il Cristianesimo così come il Giudaismo hanno prodotto società gerarchiche. Pur riconoscendo che tutti gli umani sono uguali in quanto ogni singolo individuo vive e agisce sotto il Giudizio di Dio, il Cristianesimo esalta anche le differenze che vi sono fra noi. Dio non ci ha fatti uguali in talenti, abilità, vocazione, mestiere, ricchezza, o grazia.

Uguaglianza-unicità non è la stessa cosa che uguaglianza-identicità. La prima riconosce il nostro diritto ad avere un'unica identità e dignità. La seconda appiattisce ciò che è unico nell'uniformità. "Così", i movimenti moderni come il Socialismo hanno deturpato l'originale impulso cristiano di uguaglianza. Così come il Cristianesimo, i movimenti socialisti moderni rifiutano la divisione stratificata di Platone dei cittadini in oro, argento e piombo. Ma la loro spinta materialistica li ha condotti ad appiattire le persone verso il basso, per piazzarli tutti allo stesso livello.

4. Compassione. È vero che virtualmente tutti i popoli si preoccupano di coloro che sono nel bisogno. Tuttavia, nella maggior parte delle tradizioni religiose, questi movimenti del cuore sono limitati a qualcuno della propria famiglia, stirpe o nazione. In alcune culture antiche, i giovani venivano addestrati ad essere duri e insensibili alla pietà, per poter essere sufficientemente crudeli con i nemici. Il Terrore era lo strumento utilizzato per tenere gli estranei lontano dal territorio della tribù. In principio (sebbene non sempre nella pratica), il Cristianesimo contrastò queste limitazioni, incoraggiando l'impulso di protendersi verso gli altri, in particolare verso il più vulnerabile, verso il povero, l'affamato, lo sventurato, verso coloro che sono in prigione, disperati, malati, e tutti quelli che soffrono. Insegnò agli uomini ad amare i propri nemici. Questa è la "solidarietà" che Rorty percepisce come necessaria per la modernità. In nome della compassione, il Cristianesimo cerca di umiliare il potente, e di fare che il ricco si preoccupi per il povero. Non si limita a distogliere l'uomo dall'ideale del guerriero, ma gli presenta come modello Cristo, perché divenga un nuovo tipo di uomo: il cavaliere che riconosce un codice di compassione, il gentiluomo. Insegna al guerriero che deve essere mite, umile, pacifico, benevolo e generoso. Introduce una nuova e feconda tensione fra il guerriero e il gentiluomo, fra la magnanimità e l'umiltà, fra la gentilezza e la fiera ambizione. Nietzsche contestava falsamente che il Cristianesimo portava alla femminilizzazione del maschio. Esso invece ha contribuito alla formazione dei gentiluomini.

5. Comunità universale, incarnala nella comunità (locale). Il Cristianesimo ha insegnato alle creature umane che alla base degli imperativi della storia vi sono la giustizia, la pace della comunità, e fra tutte le persone di buona volontà nell'intero pianeta. Questa fu l'impulso che mosse il Sacro Romano Impero, malgrado ingenuamente fosse concepito come Impero. Il Cristianesimo propose un nuovo ideale per la politica economica: l'intera stirpe umana come una famiglia universale, creata dallo stesso unico Dio, esortando ad amare quel Dio.

Inoltre, allo stesso modo, il Cristianesimo (come il Giudaismo prima di esso) è anche la religione di un particolare tipo di Dio. Non quel dio che guarda tutte le cose da una altezza olimpica, bensì il Dio di un popolo eletto e, nel caso del Cristianesimo, un Dio che si è incarnato. Il Dio cristiano fu portato nel grembo di una donna, in mezzo ad un popolo particolare, in una precisa intersezione di tempo e spazio, e allevato in una comunità locale praticamente sconosciuta agli altri popoli del pianeta. Il Cristianesimo è una religione del concreto e dell'universale. Attenta agli uomini, al particolare, al concreto, e ad ogni singola intersezione di spazio e tempo; il suo Dio è il Dio di quella «alba colorata che si prolunga» del poema di Gerard Manley Hopkins, della «prudenza» di San Tommaso d'Aquino, e del rispetto delle nationes dell'Università di Parigi. Il suo Dio è il Dio dei singoli, il Dio che divenne Egli stesso un uomo singolo. E allo stesso modo, il Dio cristiano è il Creatore di tutto.

Con Edmund Burke, il Cristianesimo vede il bisogno di porre la propria attenzione su ogni «piccolo gruppo» della società, su colui che ci è più vicino, sulla famiglia. In pari modo, il Cristianesimo dirige la propria attenzione verso le piccole comunità così come verso quelle più ampie. Il Cristianesimo vieta loro di essere soltanto parrocchiali o xenofobi, ma ammonisce anche contro il divenire indiscriminatamente universalisti, appartenenti a un solo mondo, gnostici che pretendono di essere puri spiriti distaccati da tutti i limiti concreti della carne. Il Cristianesimo ci istruisce circa il precario bilancio fra il concreto e l'universale nella nostra propria natura. Questo è il mistero della cattolicità. In questo senso, il Cristianesimo va oltre le concezioni contemporanee dell'«individualismo» e del «collettivismo».

6. «Io sono la Verità». La difesa dell'intelletto. La Verità è qualcosa di importante. Il Creatore di tutte le cose ha il totale discernimento di ogni cosa. Egli sa cosa Egli ha creato. Questo dà alla debole e modesta mente delle creature umane la vocazione di esercitarsi senza sosta, per poter addentrarsi nelle misteriose pieghe del l'intelligibilità che Iddio ha scritto nella Sua creazione. La meditazione su questo tema nel corso di diversi secoli, secondo Alfred North Whitehead, ha preparato il terreno alla scienza moderna. Ogni cosa nel creato è in principio comprensibile: in effetti, in ogni momento ogni cosa è capita da Lui che è eterno e allo stesso tempo simultaneamente presente in ogni cosa. (In Dio non vi è storia, né passato-presente-futuro. Nel Suo discernimento della realtà, tutte le cose sono come simultanee).

John Adams, il secondo presidente degli Stati Uniti, scrisse che nel darci una nozione di Dio come la Fonte di tutta la verità, e il Giudice di tutto, gli ebrei deposero al cospetto della razza umana la possibilità della civilizzazione. Dinanzi all'inequivocabile Giudizio di Dio, la Luce della Verità non può essere sviata dalle ricchezze, dall'abbondanza o dal potere temporale. Armati di questa convinzione, gli ebrei e i Cristiani sono in grado di impiegare il loro intelletto e di ricercare senza timore le cause delle cose, i loro rapporti, i loro poteri e i loro propositi. Questa comprensione della Verità rende liberi gli uomini. Il Cristianesimo non insegna che la Verità è un'illusione basata sulle opinioni di quelli che detengono il potere, o semplicemente una razionalizzazione degli interessi di potere in questo mondo. Il Cristianesimo non è disfattista, e di certo non è neanche totalitaristico. Il suo impegno per la Verità al di là dei propositi umani è, in effetti, una contestazione di tutti gli schemi totalitaristici e di tutti i cinismi nichilistici.

Per di più, nel porre la Verità (con la V maiuscola) in Dio, totalmente al di là dei nostri poveri poteri di comprensione, il Cristianesimo conferisce potere alla ragione umana. Lo fa invitandoci a usare le nostre teste nel miglior modo possibile, per discernere le evidenze che ci danno l'opportunità di avvicinarci alla Verità nel modo in cui le creature umane la possono raggiungere. Consente alle creature umane di avere coscienza della propria finitudine allo stesso tempo della propria partecipazione all'infinito.

La nozione di Verità è cruciale per la civiltà. Come Tommaso d'Aquino riteneva, la civiltà è costituita dal dialogo. Le persone civilizzate persuadono gli altri mediante argomenti. I barbari usavano la violenza per assoggettare gli altri. La civiltà richiede dei cittadini che riconoscano di non possedere la verità, ma di essere posseduti da essa, fin dove è possibile per loro. La Verità è molto importante, è più grande di ognuno di noi. Perciò, gli uomini devono imparare determinate condotte civilizzatrici come essere rispettosi e aperti verso gli altri, ascoltatori attenti, cercando di capire gli aspetti della Verità che ancora non hanno percepito. Perché la ricerca della Verità è vitale per ognuno di noi, gli uomini devono ragionare con gli altri, esortare gli altri ad andare avanti, rilevare le deficienze degli argomenti altrui, e aprire la strada verso una maggior partecipazione alla Verità per ognuno di noi. In questo contesto, la ricerca della Verità ci fa non soltanto umili ma anche civili. Ci insegna perché riteniamo che ogni persona ha una dignità inviolabile: perché ognuno è fatto a immagine del Creatore per attuare il nobile gesto della comprensione: riflettendo, scegliendo, amando. Queste nobili attività delle creature umane non possono essere represse senza reprimere con loro l'immagine di Dio. Ogni repressione è doppiamente peccaminosa. Essa viola l'altra persona, ed è un'offesa contro Dio.

Una delle ironie del nostro tempo è che la grande corrente filosofica dell'Illuminismo non crede più nella ragione. Gli illuministi hanno rinunciato alla loro fiducia nella vocazione della Ragione dei cinici, dei postmoderni e dei filosofi destrutturalisti (Socrate li definiva sofisti), ritengono che non vi sia Verità, che tutte le cose siano relative, e che le grandi realtà della vita sono il potere e l'interesse. Così arriviamo a un passaggio ironico. I figli dell'Illuminismo hanno abbandonato la Ragione, mentre quelli che loro consideravano non illuminati e viventi nel buio, i popoli di fede ebrea e cristiana, rimangono ancora come i migliori difensori della Ragione. I credenti ebrei e cristiani fondano la loro fiducia nella ragione nel Creatore di ogni ragione, e la loro fiducia nella comprensione in Uno che comprende ogni cosa Egli abbia fatto - e in più -, la ama. Non vi può essere civiltà della ragione (o dell'amore) senza fede nella vocazione della ragione.

7. Giudizio-Risurrezione. Il Cristianesimo insegna realisticamente non solo le glorie delle creature umane - se siano stati creati a immagine di Dio - ma anche i loro peccati, debolezze, e le loro tendenze al male. Il Giudaismo e il Cristianesimo non sono utopistici; cercano di capire gli uomini così come sono fatti, come Dio li vede con i loro peccati e con le virtù che Egli ha donato loro. Questa elevata consapevolezza del peccato è stata molto importante per i Padri fondatori americani. Il Cristianesimo insegna che in ogni momento il Dio che ci ha fatti giudica come agiamo nell'esercizio della nostra libertà. E la prima parola del Cristianesimo in questo contesto è: «Non temere. Non aver paura». Il Cristianesimo insegna che la Verità è ordinata alla misericordia. La Verità non è, grazie a Dio, ordinata prima di tutto alla giustizia. Se la Verità fosse ordinata alla giustizia in senso stretto, nessuno di noi sarebbe salvo. Dio è giusto, sì, ma il miglior nome per Lui non è giustizia, ma misericordia. (La radice latina di questa parola fornisce l'idea con maggior chiarezza: Misericordia deriva da miseriscor dare il proprio cuore ai miserabili, agli infelici). Questo nome di Dio, Misericordia, secondo San Tommaso d'Aquino è il nome che più si addice a Dio. Dinanzi alla nostra miseria, Egli apre il Suo cuore. Charles Pèguy scrisse: «Nel cuore del Cristianesimo c'è il peccatore».

Il giorno del Giudizio è la Verità sulla quale è fondata la civiltà. A prescindere dalle correnti di opinione del nostro tempo o di ogni tempo; o da cosa possano fare o dire i potenti e i governanti; dalle forti pressioni che riceviamo dalle nostre famiglie, dagli amici e dalla cultura; così come a prescindere da qualunque condizionamento, noi saremo sottoposti al Giudizio di Uno che è infallibile, che conosce ciò che c'è in noi, e conosce i moti delle nostre anime con molta più chiarezza di quanto possiamo conoscere noi stessi. Nella Sua Luce, siamo chiamati a osservare l'onestà nelle nostre vite, e il nostro rispetto verso la Luce che Dio ha impresso in ogni vita umana. Su queste basi le creature umane possono asserire di avere diritti inalienabili, dignità, e valore infinito. Questi sette contributi sono alla radice della civiltà Giudeo-Cristiana, quella che oggi viene chiamata genericamente "civiltà occidentale".

Da essi sono derivate le nostre più profonde nozioni di verità, libertà, compassione, progresso e giustizia. Queste sono le energie più potenti che fermentano la nostra cultura, come il lievito fermenta l'impasto, come un seme che cade sulla terra e morendo diventa poi un rigoglioso albero che distende i suoi rami.
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28/05/2018 17:29
 
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La depressione è anche nostalgia di Dio, perciò la fede è alleata della cura.
Dati allarmanti parlano di 6 milioni di italiani che soffrono di disturbi psichiatrici; la psicoterapeuta Alessandra Lancellotti orienta lo sguardo sul nesso con l'Origine: il nostro cuore è inquieto (ma non disperato) finché non riposa nel Padre


DONNA, VISO, TRISTE

«Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te», questa è forse una delle frasi più citate di Sant’Agostino. È, in effetti, una sintesi e un cammino; c’è dentro tutto il DNA umano, dalla forma degli occhi, alla tachicardia, al mal di testa, alla voce che esce dalla bocca.
L’uomo non è una forma chiusa come un cerchio; ha organi sensoriali e spirituali che lo proiettano fuori.

Guarda, ascolta, tocca – col corpo.
Attende, cerca, desidera – con l’anima.

Inquieti o disperati?

L’inquietudine è la nostra vita, non siamo fermi perché cerchiamo; non siamo tranquilli perché desideriamo. Non siamo folli, perché esiste ciò che cerchiamo. Infatti, inquietudine non è una parola brutta, è la fotografia dello scalatore che va verso la vetta. C’è la fatica nel suo percorso, ma non c’è la disperazione, perché la vetta del monte è qualcosa di concreto e visibile.

Roberto Caucino/Shutterstock

Però inquietudine è diventata anche la parola chiave della modernità, in senso negativo, da quando la vetta del monte è scomparsa. È come se lo scalatore salisse, salisse, eppure vedesse la sommità della montagna perennemente avvolta dalla nebbia, così da dubitare che ci sia. Allora la fatica si fa rabbia, e poi insensatezza, addirittura pazzia.

Chesterton disse «togli il soprannaturale e tutto diventerà innaturale». Agostino prosegue la frase prima citata implorando Dio:

Di’ all’anima mia: «La salvezza tua io sono!». Dillo, che io l’oda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile, e di’ all’anima mia: «La salvezza tua io sono». Rincorrendo questa voce, io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto.

Non celarmi il tuo volto. Non celarmi la vetta del monte. Il nostro traguardo è essere a tu per tu col volto di Dio, per vedere davvero il nostro volto. Senza il suo volto soprannaturale, il nostro volto diventa innaturale: è questa la chiave di lettura che la dottoressa Alessandra Lancellottioffre per giudicare i dati allarmanti che riguardano l’aumento dei casi di depressione in Italia e in Europa.

Dati allarmanti sulla depressione

Il presidente della Società italiana di Psichiatria, Bernardo Carpieniello, spiega che il 10% degli italiani ha avuto almeno un evento patologico nella sua vita. L’allarme riguarda 6 milioni di italiani che soffrirebbero di disturbi pischiatrici che necessitano di cure specifiche. L’incidenza della malattia è addirittura aumentata del 3% negli ultimi 10-15 anni, un numero che non può essere considerato basso se rapportato a tutti gli abitanti del nostro paese.


Scendendo ancor più nello specifico, afferma Carpiniello:

Attualmente il 20% della popolazione afferente ai Dipartimenti di Salute Mentale è costituita da persone affette da schizofrenia. Il resto è costituito per circa il 31% da disturbi dell’umore (depressione maggiore 23,5 e disturbo bipolare 7,5%) , il 13.5% da disturbi nevrotici (quali disturbo ossessivo compulsivo, da stress post-traumatico, di panico o da ansia generalizzata) . Una quota significativa invece è costituita da disturbi della personalità, il 7%, mentre il resto da altri disturbi in parte dipendenti da uso di sostanze, 18%”, mentre il 4,5% riguarda dalle cosiddette dipendenze comportamentali, come la dipendenza da gioco d’azzardo o da Internet.

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Hugo Felix - Shutterstock

Il percorso di terapia psicologica e la cura farmacologica sono senz’altro elementi imprescindibili per intervenire sulla malattia depressiva. Non meno rilevante è però dare un nome complessivo a questa ferita di cui così tanti sentono il morso, eppure non sempre hanno la libertà di confidare apertamente.
La nota psicoterapeuta Alessandra Lancellotti associa la depressione alla nostalgia di Dio, per offrire lo sguardo giusto attraverso cui intraprendere un viaggio positivo di cura:

Il punto è lo slegamento dell’uomo moderno da Dio, dall’Entità superiore, un essere umano separatosi dalla sua natura stessa. Una società liquida quella attuale, dove non ci sono riferimenti valoriali definiti, ma una melassa di falsi idoli e un terreno fertile per il male oscuro e la malattia insita dell’uomo con la distanza dalla sua Origine. […] Dopo Nietsche Dio è morto e cosi con l’Illuminismo, la nostalgia di Dio fa ammalare.

Umore-tumore: la fede può aiutare la guarigione

È stata lei ha studiare il nesso «umore-tumore», cioè l’elemento sentimentale ed emotivo che interviene sia nell’aggravamento sia nella cura della malattia:

«È stato provato scientificamente – racconta la dottoressa Lancellotti – che le persone che hanno un proprio credo riescono ad avere difese immunitarie più forti perché sviluppano noradrenalina ed endorfina sostanze che stimolano la piacevolezza» (da Il Giornale).

Quell’implorazione di Agostino, la necessità di dare un nome e un volto al nostro Destino, ha dunque una traduzione corporea precisa.

Non è suggestione o mero sentimentalismo affidarsi alla fede; e affidarsi alla fede non deve escludere il percorso medico richiesto dalla malattia. Come il contadino lavora i campi guardando il cielo, così l’uomo può essere curato se guarda se stesso nella totalità che è: un’anima inquieta in viaggio verso il destino buono che il Padre ha preparato. Senza l’ultima parte di questa frase, l’inquietudine (che è una cosa buona) degenera in disperazione. La salita al cielo, presente nell’animo dell’uomo inquieto, diventa la discesa agli inferi di un uomo disperato.

«Se abbiamo fiducia, coraggio, fede – prosegue la sua illustrazione Lancellotti – riusciamo a superare anche battaglie che la medicina non può contrastare se non è aiutata da una consapevolezze psicologica e mentale dell’’individuo. Sono fattori che servono molto più delle vitamine ed è dimostrabile come malattie terminali come la Sla o la sclerosi multipla vengano affrontate meglio dalle persone che hanno un forte credo. Non solo, ma è dimostrato che anche in casi molto gravi vivono più a lungo i soggetti che si sostengono e sono sostenuti dalla propria fede».

Senza Dio l’uomo non sa chi è

Torna alla memoria una riflessione di Benedetto XVI che può di conforto per chi vive sulla sua pelle il malessere amaro della depressione, ma può soprattutto essere uno slancio e un incoraggiamento a chi ha vicino a sé una persona che soffre: non lasciamoci ingannare dall’idea di essere troppo azzardati nel proporre di mettere in mano a Dio il disagio, non temiamo la derisione perché tutti -inconsapevolmente o meno – sono fatti della stessa sostanza divina che ci ha creati.

Nulla imponiamo, ma sempre proponiamo, come Pietro ci raccomanda in una delle sue lettere: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). E tutti, alla fine, ce la domandano, anche coloro che sembrano non domandarla. Per esperienza personale e comune, sappiamo bene che è Gesù colui che tutti attendono. Infatti le più profonde attese del mondo e le grandi certezze del Vangelo si incrociano nell’irrecusabile missione che ci compete, poiché «senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. Di fronte agli enormi problemi dello sviluppo dei popoli che quasi ci spingono allo sconforto e alla resa, ci viene in aiuto la parola del Signore Gesù Cristo che ci fa consapevoli: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), e c’incoraggia: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) (da Caritas in veritate, 78)


[Modificato da Credente 28/05/2018 17:30]
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12/06/2018 19:06
 
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Suffragio femminile,
il grande contributo dei cattolici e della Chiesa

E’ piuttosto trascurato il ruolo importante svolto dal mondo cattolico per rivendicare il diritto di voto alle donne. I precursori cattolici, infatti, iniziarono molto prima a battersi per l’uguaglianza femminile rispetto al femminismo, che oggi si appropria indebitamente di tale lotta.

Per restare in Italia, nel 1917 l’attuale Servo di Dio, don Luigi Sturzo -fondatore della Democrazia cristiana e co-fondatore del Partito Popolare, inserì una donna nei suoi organi dirigenti (Giuseppina Novi Scanni) ed invocò il suffragio femminile quando ancora pochi ne parlavano. Nel 1917, fu la giornalista americana Dorothy Day ad organizzare una protesta di fronte alla Casa Bianca, insieme ad altre 39 donne, per l’esclusione femminile dal suffragio. Si convertì al cattolicesimo nel 1927 e si oppose alla rivoluzione sessuale sessantottina. Nel 2000 è stata proclamata serva di Dio. La prima donna a far parte del Consiglio comunale di Vienna nel 1919 per il Partito Socialdemocratico, invece, fu la beata Hildegard Burjan, che l’anno seguente divenne la prima donna eletta deputata al Consiglio nazionale austriaco.

Nel 1919, don Sturzo inserì nel suo manifesto elettorale il voto femminile. Come ha scritto la femminista Giulia Galeotti, l’apertura del sacerdote «aveva alle spalle non solo la tradizione cattolica (il diritto canonico, ad esempio, per secoli è stato il solo a porre sullo stesso piano adulterio maschile e femminile), ma anche un’attività indefessa da parte delle donne cattoliche che ne aveva messo chiaramente in luce doti, capacità e valore». Seppur, certamente, vi fossero ancora perplessità da parte di tanti cattolici, ad iniziare da Pio X.

Nel saggio Il secondo sesso della madre del femminismo, Simone de Beauvoir, troviamo scritto: «Benedetto XV nel 1919 si è pronunciato in favore del voto alle donne; Mons. Baudrillart e Padre Sertillanges fanno un’ardente campagna in questo senso. Al Senato numerosi cattolici, il gruppo dell’Unione repubblicana, e d’altra parte i partiti di estrema sinistra, sono per il voto alle donne: ma la maggioranza dell’assemblea è contraria». Citando Benedetto XV, la de Beauvoir si riferisce al discorso pronunciato il 22 ottobre 1919 all’Unione delle donne cattoliche italiane

Un tema, quello del suffragio femminile, che avvicinò il cammino dei cattolici a quello dei socialisti, in Italia, in Francia e in tanti altri Paesi occidentali: «I partiti democratici occhieggiano al femminismo, si atteggiano di quando in quando a suoi paladini ma non offrono nessun contributo di pensiero e di azione organico e duraturo», si legge nella lettera aperta che nel 1919 l’Unione Femminile Nazionale italiana indirizzò all’on. Antonio Salandra. «Soltanto i partiti clericale e socialista fanno un posto alla donna anche nelle loro organizzazioni economiche e politiche».

Passando alla Spagna, tra i pionieri della lotta per l’uguaglianza femminile ci fu il devoto cattolico Manuel de Burgos y Mazo, ministro durante il regno di Alfonso XIII. Si batté per una democrazia cristiana spagnola e nel novembre 1919 presentò un progetto di legge elettorale destinato ad estendere il diritto di voto alle donne maggiorenni. Grande merito ebbe anche María Echarri, segretaria generale della Feminine Catholic Union, secondo la quale «il femminismo, possibile e ragionevole in Spagna, deve essere chiaramente cattolico». Fu una delle prime consigliere del consiglio comunale di Madrid e deputata all’Assemblea nazionale: divenne famosa per la sua “legge della sedia” che obbligò i proprietari di aziende a fornire una sedia alle donne che lavoravano in piedi poiché si riposassero e non soffrissero di problemi alle ovaie e all’utero.

Il 31 gennaio 1945 venne emesso in Italia il decreto legislativo che sancì il suffragio universale anche se non prevedeva l’eleggibilità delle donne. Tuttavia, il 21 ottobre 1945, Pio XII esorterà, senza mezzi termini, le donne a uscire dalla sfera privata: «La vostra ora è sonata, donne e giovani cattoliche; la vita pubblica ha bisogno di voi».

Ma il diritto di voto delle donne venne, non solo teorizzato, ma anche praticato addirittura nel lontano Medioevo cristiano, come già abbiamo avuto modo di segnalare. La celebre storica Régine Pernoud, infatti, ha scritto: «dall’insieme di simili documenti balza fuori un quadro che per noi presenta più d’un tratto sorprendente, dato che, per esempio, vediamo le donne votare alla pari degli uomini nelle assemblee cittadine o in quelle dei comuni rurali» (Medioevo. Un secolare pregiudizio, Bompiani 2001, p.113).


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12/06/2018 19:09
 
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I missionari cristiani? Un bene per il mondo,
lo dice (anche) uno studio “laico”

«Come ateo, cerco di fare delle scelte basate su prove e ragioni. Quindi, finché non saremo pronti a investire pesantemente nella medicina laica in l’Africa, suggerisco di lasciare che Dio faccia il suo lavoro». Così ha scritto, sul laicissimo Slate, nel 2014, l’antropologo americano Brian Palmer.

E’ la frase conclusiva di un’indagine sulla “medicina missionaria” e sui missionari cristiani, i quali «non traggono un personale profitto dal loro lavoro, sono pagati molto male, forse per nulla. Molti rischiano la vita». Essi, ha proseguito lo studioso, «sono di stanza in tutta l’Africa, negli avamposti rurali e nelle baraccopoli urbane. Invece di paracadutarsi durante le crisi, come fanno alcuni specialisti di medicina internazionale, molti di loro hanno assunto impegni a lungo termine per affrontare i problemi di salute dei poveri africani».

Così, è stato riconosciuto che «in tanti Paesi dell’Africa subsahariana la Chiesa cattolica, con le sue scuole e le sue opere sanitarie e d’assistenza, resta l’unica struttura sociale in grado di mantenere una rete istituzionale e morale a livello nazionale e internazionale. Spesso sono gli uomini della Chiesa a farsi carico della mediazione e dell’opposizione nei molteplici, talvolta sanguinosi, slittamenti verso forme di governo dittatoriali […] cercando di  far avanzare il Paese verso forme di governo meno corrotte e più credibili».

Tornando all’antropologo laico Palmer, non trattiene affatto le sue rimostranze per la mancanza di dati medici prodotti dalle organizzazioni religiose impegnate nelle zone di crisi e per l’impossibilità dei missionari di separare l’impegno religioso da quello medico. Tuttavia, ammette la positività della loro presenza, domandandosi: come possiamo però sapere se sono efficaci, se migliorano i sistemi di assistenza sanitaria a cui partecipano? A queste domande, però, aveva già risposto il sociologo Robert Woodberry, che ha lavorato sull’impatto globale dei missionari per più di quindici anni. I risultati delle sue ricerche sono state pubblicate nel 2012 su American Political Science Review, con il titolo The Missionary Roots of Liberal Democracy.

La ricercatrice Natasha Moore ha spiegato che la modellizzazione statistica e, insieme, l’approfondita analisi storica suggeriscono un solido nesso causale tra la presenza di missionari durante il periodo coloniale e la salute delle nazioni oggi. Più missionari partivano, più tempo rimanevano e migliori erano i risultati, persino dopo un secolo o due dopo. Il prof. Woodberry ha infatti rivelato: aspettativa di vita più lunga, mortalità infantile più bassa, alfabetizzazione più elevata e arruolamento educativo, più democrazia politica, minore corruzione, maggiore partecipazione civica. In molti luoghi hanno introdotto la stampa e i giornali e hanno spesso sviluppato forme di movimento sociale, mobilitando l’opinione pubblica contro lo sfruttamento coloniale e le -spesso terribili e disumane- abitudini locali

«I missionari hanno profondamente plasmato il mondo, in tutti i tipi di risultati», ha quindi affermato il sociologo. Le resistenze alle sue scoperte si sono sciolte quando ha presentato i dati ad un paper scientifico di punta nel suo campo, l’American Political Science Review, i revisori non hanno sollevato obiezioni al suo lavoro ma soltanto richiesto ulteriori prove. Alla fine, il suo articolodi 30 pagine venne supportato da 192 pagine di materiale (vincendo una serie di prestigiosi premi).

Lo scetticismo generale era prevedibile, la sua ipotesi non solo rompeva i pregiudizi di lunga data sulle missioni cristiane in quanto poco importanti e/o distruttive, ma ha suggerito che sono uno dei fattori che contribuiscono maggiormente all’ascesa della democrazia. Spesso si parla di conversioni forzate ed abusi da parte dei missionari, ha ricordato Woodberry, ma «se tali violazioni fossero state la norma, se la maggior parte dei missionari si fossero comportati così, il loro impatto complessivo misurabile non sarebbe così positivo».

La missione è un impegno centrale del cristianesimo, ma non per sterile filantropia o proselitismo. Nasce invece da una reale preoccupazione per il destino del mondo. Come ha ricordato Benedetto XVI: «Essere missionari è chinarsi, come il buon Samaritano, sulle necessità di tutti, specialmente dei più poveri e bisognosi, perché chi ama con il cuore di Cristo non cerca il proprio interesse, ma unicamente la gloria del Padre e il bene del prossimo. Sta qui il segreto della fecondità apostolicadell’azione missionaria, che travalica le frontiere e le culture, raggiunge i popoli e si diffonde fino agli estremi confini del mondo».


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12/07/2018 22:22
 
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Di fronte all’Islam, Richard Dawkins 
vede nel cristianesimo un baluardo

Ricordate lo zoologo Richard Dawkins? Quello che «la fede cristiana è uno dei più grandi mali del mondo, paragonabile al virus del vaiolo ma più difficile da estirpare» (The God delusion). Ieri era uno degli intellettuali più in voga, oggi è spesso lo zimbello dei media e del mondo accademico. Ma non è questo il punto, piuttosto il suo continuo cammino di conversione.

La parola conversione è errata, egli continua a dire che Dio, probabilmente, non esiste. Ma la sua posizione si è ammorbidita. Se nel 2012 invitava i suoi sottoposti a deridere pubblicamente i credenti, poco tempo dopo -come abbiamo documentato– l’ateo più famoso del mondo ha affermato di essere agnostico. Un anno dopo è arrivato a dichiarasi “culturalmente cristiano”, nel 2015 ha criticato una catena di cinema che si era rifiutata di proiettare un’annuncio contenete una preghiera cristiana: «Se qualcuno si sente “offeso” da una preghiera, allora merita di essere offeso».

Poco tempo fa, invece, in risposta ad un sondaggio sul crescere dell’abbandono della religione da parte dei giovani britannici, Dawkins ha twittato: «prima di rallegrasi per gli spasmi della benigna religione cristiana, non dimentichiamoci del detto: “Mantieni per mano l’infermiera per paura di trovare qualcosa di peggio”». Il suo riferimento è rivolto all‘Islam, infatti il rapporto rilevava anche che il tasso di natalità dei musulmani è superiore alla popolazione generale.

E’ curioso che un personaggio del genere possa vedere nell’odiato virus del cristianesimo una sorta di “baluardo” contro qualcosa di peggiore. Già in passato, tuttavia, aveva “difeso” la cristianità: «Non ci sono cristiani, per quanto ne so, a far esplodere edifici. Non sono a conoscenza di nessun kamikaze cristiano. Non sono a conoscenza di alcuna grande denominazione cristiana che crede che la pena per l’apostasia sia la morte». Sarebbe tuttavia curioso chiedergli un parere su un altro sondaggio sempre riguardante i giovani britannici (16-29 anni): se da un lato il 70% non si identifica in nessuna religione, il 59% non frequenta mai servizi religiosi e quasi i due terzi non prega mai, dall’altro si è recentemente scoperto che tre su cinque giovani britannici si sentono infelici, uno su quattro afferma di essere “senza speranza”, la metà di essi ha avuto problemi di salute mentale e dice di non essere in grado di far fronte alle battute d’arresto della vita. Non c’è una correlazione manifesta tra le due indagini, tuttavia non è sembra errato farla poiché si sa quanto la visione esistenziale modifichi totalmente lo sguardo sulla vita e l’approccio ad essa.

I più attenti si saranno stupiti anche del fatto che Dawkins non solo sembra preoccupato della crisi del cristianesimo, ma nemmeno ha proposto come “baluardo” dell’Islam un ateismo strong, come avrebbe fatto qualche anno fa. Poteva esultare per la crescente secolarizzazione della società, ma ha scelto di reagire con preoccupazione. Perché? E’ possibile che condivida l’opinione dell’eminente filosofo francese Philippe Nemo? Nel suo libro, La bella morte dell’ateismo moderno, il docente della prestigiosa ESCP Europe ha infatti concluso l’incapacità dell’ateismo nel saper rispondere alle questioni umane e nel saper creare cultura, tradizione e civiltà. «L’ateismo moderno è morto di morte naturale, non ha saputo mantenere le sue promesse. Si è metafisicamente esaurito e non ha più niente da dire all’uomo». Oggi, ha proseguito, ci risvegliamo «da una sorta di sonno paralizzante durato per ben due secoli. Le grandi domande esistenziali, cui i programmi dell’ateismo non hanno dato risposta, appaiono di nuovo tanto pertinenti quanto urgenti».


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13/10/2018 12:37
 
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Il Medioevo cristiano ha inventato anche il liberalismo



Inventing the individualNon solo la scienza, la medicina e le università, il Medioevo cristiano ha creato anche la laicità liberale. Ovvero il principio per cui ogni individuo, in quanto dotato di coscienza e di volontà, è libero ed eguale, il principio per cui la sfera privata, presidiata dai diritti fondamentali, è distinta dalla sfera pubblica.


Questi temi sono al centro del nuovo volume, intitolato “Inventing the Individual: The Origins of Western Liberalism”, del celebre studioso Larry Siedentop, filosofo politico che ha trascorso quasi tutta la sua carriera universitaria ad Oxford. E’ una semplice coincidenza che la laicità liberale si sia sviluppata nell’Occidente cristiano? si è domandato. Dopo un lungo excursus storico è arrivato a rispondere che non si tratta affatto di coincidenza, mostrando che una delle principali fonti della concezione moderna del liberalismo deriva proprio dal cristianesimo.


La sua denuncia all’Occidente è quella di aver smarrito la genealogia della laicità liberale, ovvero il suo fondamento cristiano. Con il cristianesimo, infatti, «l’eguaglianza morale sostituisce la diseguaglianza naturale» dell’antichità greco-romana, scrive Siedentop. «L’identità dell’individuo non si esaurisce più nel suo ruolo sociale». Così si afferma la nuova libertà, la libertà della coscienza ma anche l’eliminazione della schiavitù, per non parlare dell’uguaglianza dei sessi: un’idea rivoluzionaria e difficilmente condivisa da tutte le altre culture.


Ma il grande merito è quello della Chiesa cattolica, la quale ha edificato un habitat sociale e istituzionale favorevole alla responsabilità individuale, creando un diritto ecclesiale distinto dalla teologia e dal diritto civile, distinguendo la sovranità del Papa da quella dell’imperatore, fondando la soggettività giuridica. E’ così che i canonisti medievali creano la laicità. Il loro modo di ragionare per pro e contro, dice Siedentop, è stato«straordinariamente positivo per la mente occidentale».


La sua critica si rivolge anche all’Umanesimo e all’Illuminismo dove, per una distorsione di prospettiva, hanno cercato nel mondo greco-romano quella fondazione della laicità liberale che stava invece nel Medioevo cristiano. Ma il filosofo critica anche i cristiani evangelici fondamentalisti, soprattutto americani, e la loro offensiva contro quella libertà di scelta di cui dovrebbero essere orgogliosi (in campo scientifico, ad esempio) e critica persino Benedetto XVI per aver invocato un’alleanza tra religioni contro la laicità (in realtà contro il laicismo, ovvero lo stravolgimento del concetto di laicità). Simmetricamente, Siedentop censura chi in nome della laicità combatte la religione che quella laicità ha prodotto (il laicismo, per l’appunto, esattamente come fece Benedetto XVI).


«Siamo per metà cristiani, che lo si sappia o no»ha spiegato al “Corriere della Sera”. Indipendentemente dalla nostra fede nel Dio cristiano, suggerisce Siedentop, «dobbiamo essere orgogliosi della cultura nata da quella fede, una cultura in cui i princìpi vengono prima delle regole». In Italia un altro bel libro è stato pubblicato sul tema del liberalismo e del suo legame originale con il cristianesimo, lo ha scritto il filosofo laico Marcello Pera intitolato: Perché dobbiamo dirci cristiani (Mondadori 2008). Ne consigliamo vivamente la lettura.



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29/10/2018 21:31
 
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I “miracoli quotidiani” della Chiesa

La carità della Chiesa. La rappresentante degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, Nikki Haley, è intervenuta elogiando l’enorme attività caritatevole della Chiesa cattolica di cui è stata testimone diretta chiedendo che gli scandali non oscurino i “miracoli” quotidiani di vescovi e sacerdoti.

 

Quando Nikki Haley si pronuncia significa che ha parlato il presidente degli Stati Uniti. Lei, infatti, è rappresentante permanente degli USA alle Nazioni Unite per volontà di 96 senatori (contro 4) di tutti gli schieramenti politici, dopo aver rifiutato la carica di segretario di Stato offertale da Donald Trump. Dopo Angela Merkel è ritenuta una delle più importanti donne al mondo e la rivista Time l’ha inserita nelle 100 persone più influenti. Altro che Boldrini!

La Haley è stata l’ospite d’onore della cena per la raccolta di fondi organizzata dall’Arcidiocesi di New York, tenutasi il 18 ottobre scorso ed il suo discorso è stato davvero profondo e per certi versi inaspettato. A nome del presidente degli Stati Uniti, ha riconosciuto gli sforzi della Chiesa cattolica per affrontare lo scandalo degli abusi sessuali mentre, ha spiegato, continua il suo “incredibile lavoro” aiutando “milioni di persone disperate” in tutto il mondo.

Un aiuto che non fa notizia, non raggiunge le prime pagine (giustamente), al contrario degli scandali e degli abusi, delle mele marce. Lo stesso Papa Francesco lo ha detto: «Sui giornali vengono le notizie di quello che fanno tanti sacerdoti, tanti preti in tante parrocchie di città e e di campagna? La tanta carità che fanno? Il tanto lavoro che fanno per portare avanti il loro popolo? No, questa non è notizia! Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce». Nel corso del suo mandato come rappresentante degli USA alle Nazioni Unite, Haley ha detto di essere stata in alcuni «luoghi veramente bui», dove le sofferenze sopportate da molte persone sarebbero state «difficili da immaginare per la maggior parte degli americani».

Ne è stata testimone diretta:

«Sono stata al confine tra Colombia e Venezuela, dove le persone camminano 3 ore ogni giorno sotto al sole cocente per ottenere l’unico pasto che avranno quel giorno. Chi sta dando loro quel pasto? La Chiesa cattolica. Sono stata nei campi profughi dell’Africa centrale dove i giovani vengono rapiti e costretti a diventare bambini soldato e le ragazze vengono violentate come una fatto di routine. Chi era in prima linea nel cercare di cambiare questa cultura della corruzione e della violenza? La Chiesa cattolica.

L’ambasciatrice americana ha anche riconosciuto che la crisi degli abusi sessuali ha scosso la Chiesa, sia negli Stati Uniti che a livello globale, sarebbe stato “negligente” non menzionare i recenti scandali. Ma, ha voluto aggiungere, l’abuso sessuale non è un problema limitato alla Chiesa ed essa, il suo posto, è «a fianco delle vittime, portando il loro dolore. So che i leader della chiesa riconoscono la responsabilità nel non aver affrontato questo fallimento morale, e stanno prendendo provvedimenti, ma sarebbe tragico se lo scandalo degli abusi rendesse il mondo cieco rispetto al fantastico bene che la Chiesa cattolica fa ogni singolo giorno». Ha infatti definito “miracoli quotidiani” le opere globali di carità, educazione e assistenza sanitaria della Chiesa, «quei miracoli sono la via della Chiesa».

Lo stesso evento organizzato dai vescovi americani è servito per aiutare concretamente i poveri di New York e la Chiesa cerca sempre di coinvolgere il mondo politico in questo oceano di bene. E’ stato anche apprezzato il tentativo di Nikki Haley a riportare serenità e umanità nel confronto politico, ad esempio quando ha detto: «Abbiamo grandi differenze politiche qui, a casa nostra. Ma i nostri avversari non sono malvagi. Sono solo i nostri avversari. Siamo benedetti con un sistema politico che ci consente di risolvere le nostre divergenze pacificamente. Alla fine, dobbiamo riconoscere che siamo tutti americani e che siamo più forti e più sani quando siamo uniti». Chissà che le sue parole non influiscano sul modo piuttosto brutale con cui il presidente Trump utilizza i social network.

Durante la serata la Haley ha anche annunciato che lascerà il suo ruolo di ambasciatrice all’ONU alla fine del 2018, dopo essere stata anche governatore della Carolina del Sud. La cena di beneficenza ha raccolto quasi 4 milioni dollari. Un altro “miracolo”.


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31/10/2018 21:59
 
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Nessuna misoginia nella Bibbia e in San Paolo:
a dirlo perfino le teologhe femministe

Bibbia donne e misoginia. Uno studio realizzato da teologhe femministe ha riletto i passi biblici più contestati smentendo le accuse di sottomissione della donna.

 

Teologhe, femministe ed, in gran parte, protestanti. Sono una ventina le autrici francofone di Una bibbia di donne (Labor et Fides 2018), libro presentato pochi giorni fa a Ginevra in una conferenza dal titolo “Né sante né sottomesse”. Si parla per l’appunto di Bibbia, sottomissione, misoginia, femminismo e figure femminili nella storia cristiana, coordinate dalle prof.sse Pierrette Daviau, Elisabeth Parmentier e Lauriane Savoy.

Un’occasione imperdibile quindi per rilanciare le tesi sulla misoginia biblica. Ed invece no, anche loro, rileggendo l’Antico Testamento, concludono all’opposto. E’ vero, si utilizzano vocaboli maschili per riferirsi solitamente a Dio (Padre, Figlio, Signore, Creatore, Onnipotente ecc.) ma fanno notare che lo Spirito creatore in ebraico è femminile, la Saggezza divina è sempre incarnata da donne e Dio è sovente paragonato ad una madre che mette al mondo, una levatrice. Le teologhe femministe rilevano anche «una relazione equilibrata» nella creazione divina tra Adamo ed Eva, così come non accettano la versione di chi vede le donne bibliche “sottomesse”. Se alcuni brani biblici intimano alle donne di tacere, nell’Antico Testamento troviamo numerose profetesse e messaggere di Dio. Ad esempio Debora (che è anche giudice), poi Olda, dalla quale si consulta re Giosia, Maria, Noadia ecc.

Il Nuovo Testamento, ancor di più, pullula di donne e in ruoli fondamentali. Una su tutte Maria di Nazareth, la madre del Cristo attraverso il cui  all’angelo Gabriele la salvezza ha avuto inizio, è lei la regina della Chiesa in quanto eccelle su tutte le creature, in santità: «In lei s’aduna quantunque in creatura è di bontade» (Divina Commedia). Da considerare anche Maria Maddalena, la cui fama di prostituta è completamente falsa e leggendaria. I Vangeli la presentano come una donna ricca ed indipendente, probabilmente vedova, e mentre gli uomini scappano o si nascondono lei assiste alla crocifissione. E’ a lei che appare per prima su tutti Cristo risorto ed è lei ad essere mandata ad annunciare la buona novella ai discepoli. Una figura centrale.

Allora cosa dire delle lettere di San Paolo? Un indomito misogino secondo alcuni lettori della Prima lettera a Timoteo, in cui l’apostolo scrive che «la donna impari in silenzio, in piena sottomissione». Come abbiamo già spiegato in passato, gli studiosi non ritengono il passo autentico ma un’introduzione successiva da parte di un anonimo della scuola paolina. E vi sono generali dubbi sulla paternità di Paolo dell’intera lettera, anche se ciò non inficia in alcun modo la validità salvifica del suo messaggio.

Rispetto all’altro brano spesse volte finito sotto agli artigli delle femministe, la Lettera agli Efesini, sono le teologhe francofone a rispondere a chi si limita a considerare questo passo: «Donne, siate sottomesse ai vostri mariti!». Paolo sta comunicando ai cristiani che devono far fronte all’ostilità popolare nella città greca di Efeso, dove la legge dell’Impero romano assoggetta le donne agli uomini. Innanzitutto, scrivono, «la traduzione più precisa è “subordinata” e non sottomessa», inoltre il versetto precedente invita le coppie a rendere grazie a Dio «subordinandovi gli uni agli altri nel rispetto di Cristo». Si tratta di reciprocità. In secondo luogo si legge anche che «come la chiesa è subordinata a Cristo, così anche le mogli devono essere subordinate ai loro mariti in ogni cosa». Le mogli sono quindi paragonate alla Chiesa e questo dimostra che nelle intenzioni di Paolo in alcun modo poteva esserci un’idea dispregiativa della “subordinazione”. «Quel versetto non giustifica certo una sottomissione», annotano le autrici. Terzo appunto: la reciprocità si svela anche nel compito dato ai mariti: «Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso».

A tutto questo andrebbe ovviamente premessa la richiesta di contestualizzare storicamente e culturalmente gli scritti biblici e neotestamentari, in un ambiente in cui la considerazione della donna era molto scarsa. Come abbiamo dimostrato nel nostro apposito dossier, è stato proprio grazie all’avvento cristiano che si è iniziato a riconsiderare il valore femminile, «è la tradizione cristiana ad aver gettato il seme dell’emancipazione femminile in Occidente», ha scritto la femminista e storica Lucetta Scaraffia. «Occorre vedere i testi biblici come una risorsa nella lotta per la liberazione dall’oppressione patriarcale», le ha fatto eco la femminista Elisabeth Schùssler Fiorenza (citata in C.M. Martini, Guida alla lettura della Bibbia p. 57).

fonte UCCR


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23/11/2018 14:34
 
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Desmond Tutu:
«noi africani dobbiamo tutto ai missionari cristiani»

Desmond TutuCi siamo occupati di smontare i miti sul colonialismo nel nostro apposito dossier, torniamo a parlarne grazie all’estratto comparso recentemente dell’ultimo libro di Desmond Tutu, intitolato Il mio Dio sovversivo (EMI 2015).

L’arcivescovo anglicano Tutu è un grande attivista per i diritti umani, sopratutto contro la segregazione razziale, tanto da aver vinto il premio Nobel per la pace nel 1984. Amico personale di Nelson Mandela, è conosciuto come la “coscienza morale del Sud Africa”.

Nel suo libro parla dell’arrivo dei primi missionari bianchi in Africa, che -certamente- «qualche volta possono essere stati l’avanguardia che spianava la strada ai loro compatrioti colonizzatori, ma io voglio rendere omaggio alla maggioranza dei missionari occidentali. Quasi tutti noi che facciamo parte della comunità nera dobbiamo la nostraistruzione a quegli indomiti europei che costruirono eccellenti istituzioni educative come Lovedale, Healdtown e l’Università di Fort Hare nella provincia del Capo orientale, che serviva non solo il Sudafrica ma anche altri paesi del continente africano ed era uno dei pochi atenei che offrivano il livello più alto di istruzione anche ai neri. Nelson Mandela ha compiuto quasi tutto il suo corso di studi in questi istituti».

I missionari cristiani non “colonizzarono” ma “aiutarono” le popolazioni africane, esattamente come avvenne in Sud america. «Senza gli ambulatori e gli ospedali costruiti dai missionari», ha proseguito l’attivista africano, «molti di noi non sarebbero sopravvissuti alle malattie che affliggevano le famiglie povere e analfabete. Non si può calunniare degli esseri umani che sono stati tra i più generosi e altruisti che abbiano mai camminato sulla faccia della terra».

Oltretutto, aggiunge, l’introduzione del cristianesimo in Africa è stata fondamentale: «Davvero i missionari avrebbero ingannato i neri così creduloni? Io voglio affermare nella maniera più netta e inequivoca possibile che non è così. In realtà noi neri non abbiamo fatto un cattivo affare. I missionari hanno messo nelle mani dei neri una cosa che sovvertiva profondamente l’ingiustizia e l’oppressione. Se si vuole sottomettere e opprimere qualcuno, l’ultima cosa da mettergli in mano è la Bibbia. È più rivoluzionaria, più sovversiva di qualunque manifesto o ideologia politica. Perché? Perché la Bibbia afferma che ciascuno di noi, senza eccezioni, è creato a immagine di Dio. Che sia ricco o povero, bianco o nero, istruito o analfabeta, maschio o femmina, ciascuno di noi è creato a immagine di Dio e questo è meraviglioso, entusiasmante. Il nostro valore è intrinseco; lo troviamo, per così dire, già confezionato in noi stessi. La Bibbia dichiara esplicitamente e con forza che il fatto che ci riempie di valore, di un valore infinito, è uno solo: che siamo creati a immagine di Dio. Il nostro valore ci viene fornito con il nostro stesso essere. È intrinseco e universale. Appartiene a tutti gli esseri umani, indifferentemente».

E’ stato il Vangelo a distruggere i concetti teorici del razzismo, della superiorità di una razza sull’altra. «Ecco dunque ciò che i missionari ci hanno portato: un libro che è più radicale e più rivoluzionario di qualunque manifesto politico».

fonte:
https://www.uccronline.it/2015/11/13/desmond-tutu-noi-africani-dobbiamo-tutto-ai-missionari-cristiani/?fbclid=IwAR1yJ-7stqSboNjJm7wWAuVm-gARdlDfyHNPvjvOr-givrSBCdfNvW17Cpk


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13/12/2018 23:32
 
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La medicina moderna nasce nel cattolicesimo



«La Chiesa ha un ruolo importante nella storia della medicina. I primi ospedali sono nati come rifugi dei pellegrini, dei poveri e dei malati (qualcosa mai esistito prima), seguendo il comando cristiano dell’amore del prossimo». A dirlo è il dott. José Alberto Palma, laureatosi in Neuroscienze all’Università di Navarra e attualmente professore di Neurologia presso la New York University.


Il dott. Palma è anche recente autore del libro Historia negra de la Medicina (Ciudadela 2016), nel quale ha raccolto i più assurdi, spiacevoli e terrificanti trattamenti medici applicati nel corso dei secoli dai suoi colleghi medici. Non mancando, comunque, di produrre un buon testo divulgativo e storico.


L’inizio della medicina moderna è dovuta alle «scoperte del francese Louis Pasteur, del tedesco Robert Koch, dell’ungherese Ignaz Semmelweis, dell’inglese Joseph Lister e dello scozzese Alexander Fleming», ha spiegato in un’intervista il ricercatore spagnolo. «Fino a quando questi eroi della medicina non sono entrati nel mondo, era vivamente consigliato di rimanere ben lontano dai medici». A patto, però, di essere curati in ambienti cattolici. Infatti, ha proseguito, «in questi ospedali o rifugi, gestiti da ordini religiosi o dalle diocesi, sono state effettuate cure di base. I pazienti sono stati curati da monaci o monache e raramente dai medici, era un’assistenza abbastanza semplice e, allo stesso tempo, più sicura di quella che ricevono i pazienti nelle mani di ricchi medici famosi».


Ma la storia ha anche visto un’abbondanza di prestigiosi medici cattolici«i cui risultati sono stati essenziali per il progresso della medicina». L’elenco è lungo: il gesuita Athanasius Kircher (il primo ad usare un microscopio per indagare le cause delle malattie), padre Kircher (primo a teorizzare i microorganismi come causa di malattie trasmissibili), il gesuita Christoph Scheiner (primo a dimostrare la formazione dell’immagine capovolta nella retina dell’occhio), il monaco Gregor Mendel (padre della genetica), Louis Pasteur e Alexander Fleming (le cui scoperte hanno permesso il trattamento delle malattie infettive). Arrivando a tempi più moderni, il dott. Palma ha citato come esempio il neuroscienziato cattolico John Eccles (premio Nobel 1963) e l’americano Joseph Murray (premio Nobel 1990).


Per chi volesse approfondire il ruolo della Chiesa nell’invenzione dell’ospedale moderno, può riferirsi agli studi di Giorgio Cosmacini, ritenuto il maggior storico della medicina italiano, docente di Storia della medicina presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e presso l’Università degli Studi di Milano. Cosmacini è autore di “L’Arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi” (Editori Laterza 2001), in cui si legge che la medicina araba, lungi dall’aver inventato qualcosa, ha «il principale, se non unico, merito di aver trasmesso la medicina antica e bizantina» (p.144), ed infatti, ha proseguito lo storico italiano, «bastano le dita di una mano per numerare i maggiori protagonisti della medicina araba» (p.147).


Il cristianesimo, invece, ha assimilato le conoscenze mediche greche e bizantini, fondando i lebbrosari, ovvero «un aspetto dell’esordio generale dell’assistenza ospedaliera» (p.113). E ancora: «E’ dal Medioevo non pagano, ma cristiano, che vennero emergendo concetti e valori di grande rilevanza per la medicina» (p.117), sopratutto per quanto riguarda l’innovativo valore dell’accoglienza, dell’assistenza, dell’ospitalità (“ospedale”). Infatti, «fu il Medioevo cristiano a dare fondamento etico alla hospitalitas», da cui appunto presero il nome gli ospedali, inizialmente chiamate “case ospitali” o domus episcopi poiché «sorgevano accanto alle residenze vescovili, erano gli archetipi delle istituzioni ospitaliere» (p.118).

fonte UCCR


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30/08/2019 22:43
 
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Andare a Messa migliora anche la salute mentale



«I nuovi dati suggeriscono che il coinvolgimento religioso favorisce la salute mentale, promuove l’impegno sociale, fornisce risorse psicologiche (speranza, ottimismo, senso della vita) e promuove migliori stili di vita». Lo ha riferito un nuovo studio, pubblicato su Sleep Health: Journal of National Sleep Foundation.


La scommessa l’ha vinta, un’altra volta, Blaise Pascal. Il matematico, infatti, azzardò una provocante riflessione: colui che crede vince sempre, se Dio esiste, infatti, otterrà la salvezza. Se si sbaglia, avrà comunque vissuto un’esistenza più serena rispetto a chi non crede. «La religione e la spiritualità influenzano positivamente la salute e la qualità della vita di una persona», ha scritto Christopher Ellison, del Dipartimento di Sociologia dell’Università del Texas ed autore della ricerca.


Il recente studio statunitense, quindi, si aggiunge alla già corposa letteratura scientifica sull’argomento, che abbiamo voluto raccogliere in un nostro apposito dossier.


Per completezza di informazione citiamo il responso delle ricerche più recenti: le coppie sposate che frequentano assieme la Messa, vivono più a lungo, hanno meno probabilità di essere depresse e meno probabilità di divorziare (30-50% in meno), secondo la Harvard School of Public Health. Su JAMA Psychiatry, invece, si legge che le donne americane che frequentano la celebrazione religiosa almeno una volta alla settimana (o più), hanno cinque volte meno probabilità di suicidarsi rispetto a quelle che non si recano mai in chiesa. Infine, le statistiche dell’indice di felicità nazionale della Gran Bretagna hanno suggerito che i cristiani erano tra le persone più felici della nazione, mentre coloro che non si identificano in una particolare religione hanno generalmente ottenuto tassi più bassi di soddisfazione.


Casualità? Crediamo di no. Non è indifferente aver o meno afferrato il senso compiuto della vita, aver o meno incontrato la Verità, cioè quel Gesù di Nazareth che è rimasto presente e compagno dell’uomo nei volti dei testimoni della comunità cristiana. Con Dio o senza Dio, tutto cambia, anche nella persona, arrivando al suo benessere psico-fisico.


Lo ha ben accennato il filosofo della scienza Evandro Agazzi, scrivendo: ««Chi crede in Dio, in un contesto anche di ragione e non di pura fede, può riscontrare questo vantaggio: egli è perfettamente in grado di conoscere, spiegare e comprendere quanto conoscono e comprendono anche coloro che non credono e, in più, riesce a comprendere certe dimensioni della vita e dell’uomo che ad essi sfuggono e che costituiscono il senso della vita» (E. Agazzi, Quando Dio aiuta a capire, in Corriere della Sera, 23/06/85, p. 3).

fonte UCCR


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08/02/2020 14:41
 
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La democrazia? Nasce nei monasteri medievali



Nel suo ultimo libro, da pochi giorni nelle librerie francese, il noto medievista Jacques Dalarun ha approfondito lo studio della vita monastica durante il Medioevo arrivando ad una conclusione molto interessante: «le comunità monastiche assunsero la forma di laboratori. A partire dall’assenza di un’eredità personale e dunque di una dominazione genetica, come definire chi è superiore? In molti casi cominciò così ciò che appare come un’invenzione progressiva di forme democratiche». Dalarun, storico e docente universitario francese,  già direttore dell’Istituto di ricerca per i testi e la storia (CNRS), Direttore di Studi Medievali presso la École française di Roma, di cui è attuale Presidente del Consiglio Scientifico.


Intervistato su Avvenire, ha spiegato che anche una comunità piccola e unica  come quella monastica «può divenire un motore della storia […]. Qui in un modo o nell’altro chi è superiore si definisce pure come inferiore. Oppure, è superiore perché è inferiore. Per san Benedetto, l’abate non deve presiedere o dominare, ma restare al servizio degli altri membri della comunità».  Il Medioevo fu un abbozzo di democrazia anche a livello civile, come le assemblee locali in Scandinavia o l’esperienza dei Comuni italiani, ma è sopratutto all’interno dei monasteri cattolici che non ci si rifaceva «al modello della democrazia ateniese, divenuto all’epoca molto astratto e ideale. Seguendo i primi passi di questa comunità, si scorge tutta la dimensione umana e in fondo la verità di una piccola società che inventa le proprie regole e le comprende, ad esempio che il tipo di elezione non riassume interamente una democrazia. In questo senso ci si avvicina non solo a ciò che la democrazia è poi divenuta, ma anche a ciò che ancor oggi dovrebbe essere: l’arte di governare senza che nessuno possa aggrapparsi al potere».  Nel tempo, poi, avvenne uno slittamento di tutto questo dall’universo religioso a quello civile, basti pensare che in Italia «l’assemblea comunale si teneva talvolta nel convento francescano», ha infine spiegato.


La tesi di Dalarun non è certo nuova, ne ha parlato anche l’editorialista de Il Corriere della Sera, Piero Ostellino, concludendo la sua “Difesa laica del Papa” del 2010: «Come se la stessa nostra democrazia liberale non fosse debitrice del messaggio cristiano che ha posto al centro la sacralità e l’inviolabilità della persona». Anche il sociologo Rodney Stark, docente presso la Baylor University (Texas), nel suo La Vittoria della Ragione (Lindau 2006), ha spiegato che la vera lotta alla discriminazione è stata fatta con l’introduzione dell’assunto dell’uguaglianza morale (unicità degli uomini davanti alla legge). Ma tale novità non è nata nell’Illuminismo e nemmeno grazie al mondo classico, laddove «se è vero che erano esistiti esempi di democrazia, questi non erano radicati in alcuna affermazione di parità che andasse oltre all’uguaglianza dell’élite». Non a caso le varie città-stato della Grecia e di Roma si fondavano su un numero smisurato di schiavi.


Invece «fu proprio il cristianesimo», ha continuato Stark, «a eliminare l’istituzione della schiavitù ereditata dalla Grecia e dalla Roma antiche. Allo stesso modo, la democrazia occidentale deve le sue origini intellettuali e la sua legittimità essenzialmente a ideali cristiani, e non a una eredità greco-romana. Tutto ebbe inizio con il Nuovo Testamento». Gesù Cristo, infatti, proclamò il concetto di uguaglianza morale sopratutto con i fatti, «ignorò ripetutamente le principali differenze tra le classi sociali e frequentò persone stigmatizzate, come samaritani, pubblicani, donne immorali, mendicanti e vari altri emarginati, dando così un sigillo divino all’uguaglianza spirituale». Su questo esempio che San Paolo ammonì: «non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».


Il modello venne così stabilito, ha quindi concluso il prestigioso sociologo delle religioni, e poi si abbracciò «un concetto universalistico d’umanità elaborato dal teologo cristiano del III secolo, Lucio Celio Firmiano Lattanzio, nella sua famosa opera “Divinae Institutiones”», dove ad esempio si afferma: “il secondo elemento della giustizia è l’equità. L’equità, dico, […] nel considerarsi uguali a tutti gli altri […]. Dio, infatti, che crea gli uomini e infonde in essi l’anima, volle che tutti fossero uguali […]. Ci chiamiamo vicendevolmente fratelli, perché riteniamo di essere uguali […], tra di noi non esistono servi; ma i servi noi li consideriamo e li denominiamo fratelli rispetto allo spirito, compagni di servizio rispetto alla religione” perché “la giustizia significa rendersi uguali anche agli inferiori”.


fonte UCCR



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09/12/2021 17:45
 
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L’ecologia e l’ambientalismo dipendono da una visione cristiana del mondo




AmbientalismoMolti cristiani guardano con diffidenza i movimenti animalisti ed ecologisti, troppo spesso effettivamente si sono resi protagonisti di ingiustificati e spropositati attacchi di odio, come accaduto ad esempio con l’ondata di insulti e auguri di morte subita dalla giovane Caterina Simonsen, colpita da quattro malattie genetiche rare, che ha raccontato di essere ancora viva grazie alla sperimentazione sugli animali.


«Se crepavi anche a 9 anni non fregava nulla a nessuno, causare sofferenza a esseri innocenti non lo trovo giusto», le hanno risposto in migliaia. L’odio per gli esseri umani è infatti una caratteristica comune di molti animalisti, convinti che gli uomini dovrebbero estinguersi per poter permettere alla natura di svilupparsi adeguatamente. Questi movimenti sono molto apprezzati dagli ambienti laici e riduzionisti, non solo perché promuovono una forma di laicissima religiosità panteistica (alternativa al cristianesimo) ma sopratutto in quanto contribuiscono a svalutare l’eccezionalità umana rispetto agli altri abitanti del pianeta Terra, fattore molto fastidioso per chi nega l’esistenza di un Creatore.


La diffidenza verso queste realtà è dunque più che giustificata, eppure bisogna sempre stare attenti a non generalizzare: tantissimi amanti della natura non vivono questa loro sensibilità con fondamentalismo ideologico e fini riduzionisti contro l’essere umano. Anzi, tantissimi devoti cristiani promuovono iniziative a favore dell’ambiente e della sensibilizzazione generale su questa tematica. Il primo, se così possiamo dire, è proprio Papa Francesco che a breve pubblicherà un’Enciclica sull’ecologia naturale e sull’ecologia umana.


In effetti l’ambientalismo appare dotato di senso soltanto in una prospettiva cristiana. Come è stato spiegato da J. Warner Wallace, per coloro per cui è tutto caso, necessità e selezione naturale non ha alcun significato razionale preoccuparsi di sostenere una specie animale che non si “adatta” a sufficienza per sopravvivere senza il nostro intervento. Con quale ragionevole ragione dovremmo ostacolare il corso dell’evoluzione darwiniana? L’indifferenza è la regola principale della selezione naturale ed opporsi ad essa non ha alcun senso in una prospettiva atea.


Al contrario, per noi cristiani è una responsabilità enorme quella di proteggere e curare l’ambiente naturale. Ad Adamo ed Eva è stato dato il “dominio” su tutta la creazione (Gn 1,26-28), cioè la responsabilità di un “lavoro” per il “mantenimento” del giardino dell’Eden (Gn 2,15). Il “dominio” sulla natura significa attenta responsabilità, ma non per un semplice utilitarismo. Il mondo “naturale” intorno a noi è anch’esso nato dalla volontà di Dio, rispettare l’ambiente, le piante e gli animali significa rispettare la volontà di Dio. Come ha affermato Papa Francesco, «un cristiano che non custodisce il Creato, che non lo fa crescere, è un cristiano cui non importa il lavoro di Dio, quel lavoro nato dall’amore di Dio per noi».


E’ stato proprio il cristianesimo a far scomparire il rituale del sacrificio animale (e umano) dall’Occidente e in generale nelle terre cristianizzate, gli dei degli Antichi Greci -ad esempio- erano assetati di sangue animale come descrive Euripide nelle Braccanti. Da anni la sensibilità verso l’ecologia è parte del pensiero della Chiesa, così come l’ultima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro è stata aperta con forti richiami alla “Salvaguardia del Creato”. Sopratutto in Africa e Sud America è la Chiesa in prima linea a difendere l’ambiente dalla distruzione e dalla deforestazione.


Tuttavia, come spiegato sempre dal Santo Padre, questo non significa che non dobbiamo usufruire del cibo animale e vegetale: «il Creato è un prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che noi non ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona».



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09/12/2021 17:48
 
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La Chiesa cattolica alleata del sano ecologismo




TerraLa fede nella Materia tipica del marxismo è trasmigrata nella fede nella Natura (maiuscolo), cioè una realtà autonoma e sufficiente che ha in se stessa la sua spiegazione e le sue leggi. Tutto è Sacro nella Natura, tranne l’uomo che è nocivo, un parassita che rovina l’ambiente moltiplicandosi e vivendo una Terra che starebbe meglio senza di lui. Questo si può definire una sintesi del manifesto ecologista estremo, in voga molto più in anni passati che oggi fortunatamente.


Da un sano rispetto per l’ambiente e una giusta militanza per la salvaguardia del creato, con la fine delle illusioni ideologiche si è tornati ad aggrapparsi alla religione panteista (o pagana) di Gaia, profondamente nemica dell’essere umano. Filippo, duca di Edimburgo, fondatore del WWF diceva: «Se rinascessi, vorrei essere un virus letale per contribuire a risolvere il problema dell’eccesso di popolazione. Il maggiore dramma del mondo è che ci sono più culle che casse da morto». Ed ecco allora proliferare associazioni e gruppi (anche su Facebook: qui e qui) che inneggiano all’estinzione dell’uomo per il bene delle piante e degli animali.


L’ottimo Claudio Magris sul “Corriere della Sera” osserva tutto questo e commenta: «In molti sacrosanti critici dello stupro dell’ambiente vi è inoltre una distorta, misticheggiante fede nella Natura, con l’iniziale maiuscola, identificata soltanto con alcune delle sue manifestazioni, nel falso presupposto che l’uomo e l’attività umana non ne facciano parte anch’essi. Una creatura per noi mostruosa degli abissi marini o un bacillo per noi mortale non sono meno “naturali” del nostro amato cane e di noi stessi. Escludere l’attività umana dalla natura è stupido e impossibile». Fortunatamente, come si spiega su Mercator.net, tanti ecologisti stanno mettendo in discussione l’idea che la natura sia qualcosa di immutabile e l’uomo un intruso distruttore. Lasciare che la natura faccia il suo corso, senza alcun intervento umano, può anche essere fatale per la stessa natura.


Come fa notare benissimo Enzo Bianchi: l’ecologia è cattolica. Ovvero, «l’interesse per la creazione, e dunque per il rapporto dell’umanità con essa, è un’istanza della fede biblica. La tradizione cristiana, infatti, non può e non sa separare giustizia ed ecologia, condivisione della terra e rispetto della terra, attenzione alla vita della natura e cura per la qualità buona della vita umana. Questione sociale e questione ambientale sono due aspetti di un’unica urgenza: contrastare il disordine, la volontà di potenza, far regnare la giustizia, la pace, l’armonia. La Terra è desolata quando viene meno la qualità della vita dell’uomo e della vita del cosmo, e la qualità della vita umana dipende anche dalla vita del cosmo di cui l’uomo fa parte e nel quale è la sua dimora».


Francesca Santolini, esperta di tematiche ambientali, spiega sull’Huffington Post che la Chiesa cattolica è un grande alleato dei movimenti ecologisti (quelli sani!), di questo si parla poco. Eppure «sta contribuendo sensibilmente alla maturazione del concetto di responsabilità ecologica», attraverso «il forte richiamo alla responsabilità dei cattolici verso il creato, che impone una condotta che potremmo definire, con parole moderne, ecologica». Non a caso la GMG di quest’anno a Rio De Janeiro che si terrà a fine luglio si aprirà alle tematiche ambientali e dello sviluppo sostenibile.



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09/12/2021 17:54
 
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Biodiversità tutelata maggiormente nelle aree cristiane




BiodiversitaEcologia e cristianesimo non sempre sono stati visti come alleati, sopratutto quando i cultori del primo campo hanno cominciato a parlare il linguaggio di abortisti e radicali, odiando l’uomo per salvaguardare Gaia (la terra come essere vivente soggiogato dagli esseri umani). Ed ecco teorie e amenità sull’estinzione volontaria, la decrescita felice, il controllo della popolazione tramite aborti/contraccettivi ecc.


Interessante, allora, l’articolo degli economisti italiani Mario A. Maggioni e Simona Beretta che hanno posto all’attenzione un articolo pubblicato su “Fauna and Flora International” nel dicembre 2013, scritto congiuntamente da G. Mikusinski e M Blicharska (dell’università di Grimsö, in Svezia) e da H.P. Possingham (dell’Università del Queensland, Australia) che studia la sovrapposizione geografica fra tradizioni religiose prevalenti e aree a elevata tutela della biodiversità. Lo studio riguarda le principali religioni e le principali tipologie di aree protette, identificate da organizzazioni internazionali, pubbliche e non governative.


Il risultato dell’indagine è molto chiaro: le aree ecologiche protette e le aree caratterizzate da una forte presenza di cristiani si sovrappongono significativamente. In particolare, l’indicatore scelto in questa analisi – e cioè l’estensione, misurata in ettari, delle aree protette diviso per il numero di persone appartenenti a una specifica confessione religiosa (in altre parole il numero di ettari di area protetta pro-capite) – mostra una forte sensibilità ecologica dei cristiani, i quali presentano un numero di ettari pro-capite protetti superiore a quello delle altre religioni. Fra le denominazioni cristiane, il Cattolicesimo e l’Ortodossia registrano i migliori risultati. Se poi si calcolano gli ettari di area protetta pro-capite, a seconda della religione professata, il primato in termini di ettari pro-capite appartiene ai Cristiani Cattolici per tre tipologie, ai Cristiani Ortodossi per altre tre tipologie, al gruppo degli “altri Cristiani” (non protestanti) per la settima tipologia di area protetta.


Curiosamente, le religioni orientali – quelle verso cui molti suggerirebbero di rivolgerci per approfondire la nostra consapevolezza ecologica – non sembrano affatto distinguersi.



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27/02/2022 12:39
 
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Gli abitanti di Kiev accolti nella cattedrale
e nelle chiese

Gli abitanti di Kiev trovano riparo nelle parrocchie e nel rifugio costruito sotto la cattedrale della Risurrezione. L’altro volto della guerra è quello della carità.

 

Fin da giovedì scorso, primo giorno dell’attacco della Russia nei confronti dell’Ucraina, abbiamo raccontato l’altro volto della guerra: la carità.

Già nelle prime ore la Caritas europea è scesa in campo coordinando una vasta rete di soccorso al popolo ucraino.

Al di fuori dei confini, nel frattempo, parrocchie e fedeli in Romania, Polonia e Moldavia hanno attrezzato strutture per accogliere i profughi provenienti dal territorio ucraino.

Nella capitale, Kiev, sono però ancora rimaste moltissime persone, soprattutto chi non ha potuto scappare. Molte di loro sono state accolte nel rifugio anti-aereo sotto la cattedrale della Resurrezione di Kiev.

Le immagini sono state diffuse dal Segretariato dell’Arcivescovo Maggiore situato a Roma.

 



Nei sotterranei della cattedrale c’è anche mons. Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo della Chiesa greco-cattolica ucraina, il comunicato riferisce che «non è al momento raggiungibile e non può rilasciare dichiarazioni».

«A fianco della sua popolazione», prosegue la nota, «chiede di unirsi a lui e al suo popolo nelle preghiere perché l’Ucraina sia preservata dell’aggressione ingiusta. La priorità, per la Chiesa greco-cattolica ucraina, è, e sempre sarà, la vicinanza alla popolazione ferita».

Papa Francesco, si legge ancora, è in contatto costante con mons. Shevchuk, lodando «la scelta di rimanere tra la gente e a servizio dei più bisognosi, mettendo anche a disposizione i sotterranei della cattedrale greco-cattolica della Resurrezione di Kiev per dare rifugio alle persone».

Il rappresentate dell’arcivescovado maggiore di Kiev a Roma è don Andriy Soletskyy, il quale racconta che tutte le parrocchie e le strutture pastorali in Ucraina sono diventate rifugi dai bombardamenti. «Era accaduta una cosa simile nel 2014 durante la “rivoluzione della dignità” quando ad esempio la Cattedrale era diventata un ospedale di campo».

FONTE UCCR


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