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RIFLESSIONI E COMMENTI BIBLICI (Vol.1)

Ultimo Aggiornamento: 31/12/2010 09:55
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29/11/2010 09:50
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 8, 5-11

Il centurione era il comandante di una centuria, di un gruppo di cento soldati. Egli non chiede nulla per sé, ma prega Gesù per il suo servo gravemente ammalato. Gesù manifesta tutta la sua disponibilità: "Io verrò e lo curerò" (v.7). Ma il centurione dichiara di non essere degno di ricevere Gesù in casa propria ed è convinto che non occorre che il Signore vada da lui perché lo ritiene capace di comandare anche a distanza sulle potenze del male.

Il centurione è un pagano che crede senza esitazione nel potere della parola di Dio. E la fede nella parola di Dio permette al Signore di agire in noi.

Il miracolo è un segno dell'amore di Dio che interviene a nostro favore, perché è infinitamente sensibile al nostro male. Egli vuole donarci tutto e soprattutto se stesso. Aspetta solo che glielo chiediamo con fede.

La grande fede del centurione rende manifesta la mancanza di fede in Israele. La semplice appartenenza anagrafica al popolo di Dio non dà a nessuno la certezza di essere salvato: a tutti è richiesta la fede che si manifesta nelle opere.

L'incontro con il centurione offre a Gesù l'occasione per annunciare l'entrata di tutti i popoli nel regno di Dio. I pagani prenderanno posto alla tavola dei patriarchi nel regno dei cieli.

La Chiesa è costituita da coloro che credono nella parola di Dio e la mettono in pratica. Nel regno di Dio entreranno solo i figli, ossia quelli che sono stati rigenerati "dalla parola di Dio viva ed eterna" (1Pt 1,23), dalla parola del vangelo. Il futuro eterno lo si prepara giorno per giorno accogliendo o rifiutando la parola di Gesù. La nostra libertà si esprime pienamente nella fede o nella mancanza di fede, nel nostro acconsentire alla comunione con Dio o nel rifiutarla.

In questo brano compare all'orizzonte il pellegrinaggio di tutti i popoli che affluiranno alla casa del Signore, e l'annuncio finale del vangelo di Matteo: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni" (28,19).

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30/11/2010 13:55
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Se confesserai con la tua bocca che Gesù Cristo è il Signore, e crederai col tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.

Come vivere questa Parola?
In questa pericope S.Paolo non esita a fare suo il testo del Deuteronomio 30,14: un testo famoso che recita così: "Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore". S.Paolo non lo applica alla lettura della Thora, ma alla parola dell'evangelizzazione. Si tratta di esprimere con la parola e con la vita quello che si crede fin dentro le profondità del cuore. È l'annuncio centrale della nostra fede, che cioè "Dio ha talmente amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito" vissuto in mezzo a noi, morto e risorto per riscattarci dal male, per salvarci. Anche oggi, in un mondo ridivenuto pagano di fatto, ciò che importa non è considerarsi formalmente cristiani, ma esserlo di fatto: contattare quotidianamente la Parola, ricevere nell'Eucaristia la forza per metterla in pratica e ritenere che, al nostro prossimo, va dato in qualche modo il lieto annuncio che c'è una salvezza, anzi un Salvatore: Cri-sto Gesù, vivo e operante nelle nostre giornate. Non per nulla S.Paolo, ricordando il Primo Testamento proclama che "chiunque crede in Lui non sarà deluso". Ma occorre, appunto, che ci sia chi, vivendo secondo Cristo, Lo annunci, con la vita anzitutto, e poi con la parola.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, farò spazio interiormente all'annuncio del mio essere salvato da Gesù: dalla grazia della sua morte e risurrezione che, se io mi apro a riceverla, "cola" gioia di salvezza perfino negli alveoli più riposti del mio essere e mi spinge ad annunciarla "al mio prossimo"

Gesù, ti prego, dammi di farla finita con una fede anemica e solo di testa. Dammi di credere con tutto me stesso alla salvezza e di annunciarla con la vita e, quando è possibile, con la parola. Te lo chiedo per l'intercessione di S. Andrea apostolo.

La voce di una convertita
Dio ci ha fatti alleanza. È per tutti che ciascuno riceve la fede. Una volta che la Parola di Dio è incarnata in noi, non abbiamo il diritto di conservarla per noi: noi apparteniamo, da quel momento, a coloro che l'attendono
Madeleine Delbrêl

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01/12/2010 13:54
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 15, 29-37

Questo testo rimanda alle profezie di Isaia per il tempo messianico (Is 35,5-6). Solo una comunità risanata e liberata dai suoi mali può essere invitata alla festa messianica, anticipata nel segno del pane distribuito a tutti con abbondanza.

Nel vangelo di Matteo il monte è il luogo della rivelazione di Dio, sia mediante la parola (5,1; 28,16), sia attraverso i gesti di soccorso (14, 23). Gesù realizza qui quanto aveva promesso nel brano delle beatitudini: i poveri, gli afflitti e gli affamati trovano la consolazione e la sazietà.

Egli ha compassione per il popolo che lo segue da tre giorni e ha esaurito le provviste di cibo. Questa compassione è attribuita spesso a Gesù dal vangelo di Matteo che lo presenta come il messia misericordioso. E' una commozione interna e viscerale, un sentire profondo e intenso che spinge Gesù a soccorrere il suo popolo mediante la missione dei dodici (9,36), le guarigioni (14,13; 20,24) e la moltiplicazione del pane (14,14).

La fame e la miseria sono un male, e Gesù comanda ai suoi discepoli di combatterle, segnalando loro con fatti concreti la direzione da seguire. Egli ha cominciato, i suoi discepoli devono portare a termine la sua opera. Se l'azione dei cristiani non distrugge i mali che tormentano la vita dell'uomo, non ricalca quella del Cristo.

Gesù recita la benedizione sul pane, atto proprio del capo-famiglia, che riconosce così Dio quale datore dei beni per il sostentamento dell'uomo. La sequenza dei verbi prendere, benedire, spezzare, dare costituisce la natura della benedizioni ebraiche e allude all'ultima cena.

I cristiani che partecipano alla cena del Signore o che rileggono il miracolo della moltiplicazione del pane sono chiamati a spezzare con Gesù il pane e la stessa vita per gli altri.

Il cristiano, saziato dal Cristo, offrirà a tutti l'abbondanza dei beni ricevuti: la pace, la felicità, l'amicizia con Dio e con i propri fratelli. La beneficenza materiale e spirituale instaura il regno di Dio sulla terra.

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03/12/2010 09:22
 
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Paolo Curtaz


Crediamo davvero che il Signore possa guarire la nostra cecità interiore? Da lui, siamo onesti, vorremmo ben altre cose! Una salute di ferro, che ci risolvesse i problemi, che ammorbidisse le persone che ci stanno accanto. E, invece, così non accade: Dio è servo della nostra felicità, non dei nostri capricci. Siamo sempre pronti a chiedere molte cose al Signore, cose che, quasi sempre, non rappresentano in alcun modo il nostro bene. Chiedere, come i ciechi di oggi, la guarigione interiore, la luminosità delle scelte, un punto di vista equilibrato e sano sulle cose e sulle persone, è la più grande preghiera che il Signore possa esaudire. E lo fa in proporzione alla nostra fede. Non come ricatto, ma come invito a fidarci di lui che esaudisce le nostre preghiere. Quasi mai otteniamo ciò che chiediamo ma. spesso, ciò che desideriamo nel profondo, senza neppure saperlo. L'unico vero pericolo della preghiera è che Dio ci ascolti veramente e ci converta! Prepariamoci al Natale in questo modo, sapendo quanto buio ancora abita in noi, sperando e pregando perché la luce della sua presenza illumini intera la nostra vita.

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04/12/2010 10:59
 
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mons. Ilvo Corniglia
Commento Matteo 3,1-12

In Avvento ci prepariamo a celebrare la prima venuta di Gesù nel Natale e siamo impegnati a ravvivare l'attesa vigile e operosa della sua ultima venuta. Testimone remoto di questo evento futuro è il profeta Isaia che, oltre 700 anni A.C., annuncia in modo vibrante e con immagini stupende il Messia, discendente di David, come Colui sul quale "si poserà lo Spirito del Signore" (11, 1-10: I lettura). Cioè l'infinita potenza e vitalità di Dio – che suscitava i capi di Israele e i profeti agendo in essi e per mezzo di essi – "riposerà" in modo stabile e permanente su di Lui. Con la pienezza dei suoi doni (sapienza, intelletto, fortezza...) lo trasformerà in un capolavoro di sovrano. Che col suo governo saggio ed efficace riconcilierà fra loro le classi contrapposte (lupo...agnello, ecc.) e opererà la trasformazione sociale tra gli uomini. Frutto della sua presenza e azione sarà il ritorno al "Paradiso" terrestre e la pace universale definitiva. Un futuro da favola? È quanto Gesù farà nel giorno della sua ultima venuta. Ma se già ora lo accogliamo, questa realtà nuova e indicibile lentamente comincia a realizzarsi in noi e attorno a noi.
Testimone prossimo del Messia ormai in arrivo è un altro grande profeta, Giovanni Battista, che ci indica il modo giusto di attenderlo e di andargli incontro.
"Comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto". Nel deserto il popolo di Israele aveva sperimentato la presenza amica e la guida del suo Dio che lo accompagnava nel cammino lungo e pieno di pericoli. Nel deserto, nel vuoto assoluto delle cose, il popolo aveva imparato a incontrare il suo Signore e a dialogare con Lui. Anche noi abbiamo bisogno di deserto, cioè di spazi e tempi di silenzio e di riflessione per approfondire il mistero del Natale, per gustare la presenza amorosa di Dio nella nostra vita e aprirci al dialogo con Lui.
Anche il vestito e il vitto di Giovanni sono un richiamo alla sobrietà, all'essenzialità.
Giovanni amministrava il battesimo che era un rito di purificazione, segno di cambiamento e rinnovamento interiore, cioè di conversione per ottenere il perdono dei peccati. Si può andare incontro a Cristo soltanto con un cuore puro, ripulito dalla sozzura del peccato, con un cuore "convertito".

Lo stile di vita di Giovanni, i gesti che compie e soprattutto le sue parole sono un appello forte, tagliente a disporre i cuori ad accogliere Cristo: "Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!". Il Signore, arrivando, non deve trovare ostacoli o sbarramenti. Il battesimo di Giovanni vuole significare e provocare la sincera conversione di quanti lo ricevono.
Il profeta denuncia con parole roventi la presunzione e la falsa sicurezza di coloro che si illudono di essere a posto in coscienza e di potersi salvare in quanto appartengono alla discendenza di Abramo (alla Chiesa, per noi cristiani).
"Convertitevi". Conversione significa propriamente cambiare mentalità, cambiare il modo di pensare e di vivere. Nel linguaggio dei profeti significa cambiare rotta, ritornare sulla strada giusta, ritornare al Signore, volgersi interamente a Lui. Cfr. "In alto i nostri cuori! Sono rivolti al Signore!".
Perché è urgente convertirsi? "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!". (Gesù ripeterà il medesimo appello: cfr. Mt, 4,17). Dio, che è l'unico Signore e il Re onnipotente, si fa incredibilmente vicino agli uomini nella persona del suo Messia Gesù per incontrarli, per legarli a sé e così salvarli e farli felici.
Dio, però, non entra con violenza nella nostra vita, ma bussa alla porta chiedendo di essere accolto (ecco la conversione!).
"Fate un frutto degno della conversione". Cioè, date prova, mediante fatti concreti, di una reale conversione. Si tratta di mettere Dio al posto del proprio io o di altre cose terrene, al centro della vita. Si tratta di fare della sua parola la norma di tutti i nostri pensieri e azioni. Così, per es., si tratta di vigilare contro il pericolo di dare più importanza a tutto l'apparato esterno della religione e del culto (come facevano i farisei e i sadducei) che non a ciò che Dio vuole e soprattutto all'amore del prossimo, al servizio dei fratelli. Si tratta, anche, di non assecondare la tendenza, che spesso affiora nell'uomo moderno, a scansare Dio, ritenuto troppo esigente e scomodo, fino ad eliminarlo semplicemente dalla propria vita come un essere superfluo o inutile. La conversione per molte persone della nostra epoca consisterà nell'accettare o tornare ad accettare Dio nella propria esistenza, riconoscendo che senza Dio l'uomo non ha il suo vero senso.
Per molti uomini di oggi che invece credono in Dio un altro modo di scansarlo è non sapere o non volere tirare le conseguenze concrete di questa fede. Vale a dire anche noi cristiani possiamo spesso riconoscerci in quei farisei e sadducei contro i quali si è scagliato il Battista. Quante volte forse siamo cristiani più per certe abitudini ereditate e per una infarinatura di istruzione religiosa, che per intima convinzione e per una scelta cosciente di Dio! Quante volte forse non corriamo il pericolo di ridurre il nostro cristianesimo alle tradizioni e alle pratiche esterne, senza impegnarci ad attuare i Comandamenti di Dio, specie quello dell'amore del prossimo?.
Ancora, convertirsi significa riconoscere Dio come il Padre che ci ama immensamente e personalmente (la prova più grande di tale amore è averci donato il proprio Figlio) e desidera vedere i suoi figli accesi dalla sua stessa passione d'amore gli uni per gli altri e verso ogni uomo. "Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi". È l'imperativo pressante di Paolo ai cristiani di Roma (Rm 15, 4-9: II lettura). In questa comunità non c'è affiatamento, non c'è concordia. Due gruppi si contrappongono giudicandosi a vicenda. L'Apostolo ricorda loro l'avvenimento fondante per la comunità: Cristo li "ha accolti", sia gli uni che gli altri, quando li ha riconciliati con Dio e li ha introdotti nella sua famiglia dove tutti sono figli del Padre e Lui, Gesù, è il fratello maggiore. Tale avvenimento ogni Eucaristia lo rende presente e noi vi siamo dentro, pienamente coinvolti. Come non ripartire ogni volta rinnovati nel legame fraterno e nell'impegno di farci reciprocamente spazio nel proprio cuore? L'esortazione diventa preghiera al Signore perché conceda "di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti...". Così, ricuperata l'unità, il culto a Dio gli sarà gradito: i suoi figli, uniti a Gesù e tra loro, potranno "rendergli gloria con un solo animo e una voce sola". E l'Eucaristia realizzerà il suo pieno significato.
Insomma, non resta a tutti che fare una cosa sola: convertirsi concretamente, a fatti. Il Vangelo, con tutto quanto domanda, non può essere vissuto con lo sconto, non può essere annacquato.

"Colui che viene dopo di me...vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco". Ponendosi nella linea dei profeti che annunciavano il Messia e il rinnovamento del mondo che Egli avrebbe operato (cfr. specialmente Isaia nella prima lettura), Giovanni va oltre proclamando che è vicino, sta arrivando. Ecco ciò che rende urgente la conversione. Giovanni esorta a concentrare tutta l'attesa e l'attenzione sul Salvatore che viene: Egli "immergerà" nello Spirito Santo purificando e trasformando le coscienze; ma attuerà anche il giudizio ("...la scure è posta alla radice degli alberi...ha in mano il ventilabro...").

Davanti al futuro (Gesù che viene nel Natale e nell'ultimo giorno della storia sia nostra che universale) la nostra vita si colora di speranza gioiosa, ma si carica anche di grande responsabilità: si tratta di "vivere per incontrarlo" nel miglior modo possibile.
Coltivo un vero desiderio di convertirmi?
Che cosa occorre perché la nostra conversione sia reale e completa in tutti i nostri rapporti (familiari, sociali, professionali)?
Come singoli e come comunità siamo alberi che producono frutti buoni oppure...?
Cos'è veramente Dio per me, per noi? E Gesù Cristo?
Ci sorprendiamo talora alla ricerca illusoria di altri "salvatori"?
Ci accade di immaginare o di aspettare un futuro senza di Lui?
Che cosa mi colpisce di più nel comportamento e nelle parole del Battista?
Quale legame colgo tra il "Vegliate... state pronti" di Gesù (prima domenica di Avvento) e il "Convertitevi..." di Giovanni (seconda domenica di Avvento)?

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05/12/2010 15:43
 
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Monastero Janua Coeli
Voce nel deserto

Sulle rive del Giordano tornano le parole della profezia: Voce di chi grida nel deserto... La simbologia biblica ritma i termini del linguaggio sulla partitura della evocazione dove ogni elemento è sosta per fare memoria. Essere Chiesa vuol dire ritrovarsi sulle rive delle acque di Dio, le rive dell'approdo alla terra promessa, lì dove le acque tornarono indietro in attesa che i passi dei figli di Israele toccassero la sponda dell'oltre... Qui la voce è un grido nel deserto: la sordità di noi, popolo ancora errante, indurito nell'idolatria del rimpianto. La schiavitù è un miraggio di bellezza quando la fame e la sete si fanno sentire. Quando la solitudine attanaglia i pensieri, tutto diventa splendido, fosse anche il vendere se stessi per un briciolo di attenzione. La voce di Dio invece che si veste di selvatico non ha nulla di suadente e illusivo: chiama con toni duri al lavacro della rigenerazione e a un battesimo di fuoco. Le piume della colomba divina quando toccano la vita umana scottano perché l'Amore è un fiume che travolge prima di essere un'onda quieta. Quei richiami che feriscono una natura fragile e sempre piagnucolante, davanti ai quali si ha solo il desiderio di fuggire, forse si chiamano locuste... quelle frasi del vangelo che sferzano la comodità delle nostre scelte, forse sono i venti del deserto che schiaffeggiano senza pietà e intridono le pupille di sabbia irritante. Cosa vogliamo? Andare avanti verso le vette oppure tornare indietro a cuocere mattoni di paglia? Non ha nulla di sicuro il territorio di Dio, se non che è il suo territorio. Non ha nulla di rassicurante il percorso del deserto, ma è qui che bisogna preparare le vie del cuore, qui dove l'Amore è potente e denuda senza mezzi termini perché ha la forza dell'immensità.

Voce nel deserto

MEDITAZIONE

Domande
Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? L'ira imminente. Sembra un'espressione adeguata alle notizie di cronaca di oggi. Minacce, delitti, castighi, ire, una violenza che dilaga per le strade, nei nuclei più sacri quali quelli familiari, nelle relazioni più intime quali quelle tra madri e figli... e noi razza di vipere, ci sottrarremo ancora per molto all'ira della vendetta di Dio, cioè del suo perdono?! Oppure renderemo innocuo il veleno del mordere, aggrappandoci alla carne del Figlio di Dio?!

Chiave di lettura
Siamo nel deserto della Giudea. Nel silenzio di una natura povera e scarna, la voce di parole lontane risuona come un grido sulle labbra di un uomo vestito di peli di cammello e cinto di pelle attorno ai fianchi, labbra che non conoscono per cibo se non locuste e di miele selvatico: "Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri"! Predicare nel deserto: non si lamentino i profeti del vangelo di oggi quando le chiese somigliano più a un deserto che a una piazza di città, quando le panche hanno più la parvenza di dune brulle che di panchine sul lungomare, affollate nelle serate di estate di persone in cerca di emozioni, non si lamentino! Come Giovanni alzino la voce e gridino le parole delle antiche profezie perché accorrano da lontano le genti e, confessando i loro peccati, si facciano ribattezzare nel fiume della misericordia. Non cerchino parole perniciose di fronte ai benpensanti, abbiano il coraggio di toccare le presunte opere della legge e di inveire con la passione di Dio per invitare a conversione. Profeti del vangelo: tutti noi, lavanti nel fonte. Il deserto: la nostra vita che ha perduto ogni segno di vita per la siccità delle risorse. I benpensanti: le nostre realtà perfettamente costruite nell'andare di tutti i giorni. Quando alzeremo la voce fra le dune del nostro deserto interiore e proclameremo le parole della profezia al nostro desidero intorpidito da un "tutto perfettamente a posto" che ci preclude la nostalgia del ritorno alla freschezza della fede? E non crediamo di poter dire fra noi: Siamo cristiani. Perché i cristiani possono nascere anche dai cuori impietriti dei criminali di guerre mentre i cristiani dal cuore tiepido non si convertono a frutti degni di Dio neanche se gettati nel fuoco! Come gocce d'acqua che subito evaporano sui ferri caldi di una stufa a legna, così le parole di Dio sulla nostra vita: non penetrano, evaporano. Grano o pula raccoglieremo a sera?

PREGHIERA

Una voce grida: "Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato"(Is 40,3-5).

CONTEMPLAZIONE


Quella scure posta alla radice del mio albero, Signore, toglila. Dammi ancora la speranza di essere capace di portarti un paio di sandali perché tu possa camminare come Dominus nella mia vita. La tua voce spiani il terreno accidentato delle mie incongruenze e i pendii scoscesi delle titubanze si trasformino in sentieri piani percorribili per giungere a te. Le valli della mia debolezza siano animate dalla voce della tua presenza perché non mi senta costretto a subire le mie fragilità, ma spinto a chiamarle per nome e a colmarle con la potenza delle tue parole di vita. La tua gloria, Signore, la vedrò anch'io, quando chiusi gli occhi al tramonto del giorno, sognerò di afferrare la luce delle stelle per dirti: Sei tutto per me. E al mattino il ritrovarti accanto alla mia stanchezza come pane di misericordia mi darà la forza di preparare la strada alla tua venuta fra noi.

Per i piccoli
Sei pronto ad andare nel deserto? Giovanni il Battista sta lì a predicare e a battezzare nelle acque del fiume Giordano quanti si pentono dei loro peccati. Magari tu puoi aiutarlo a raccogliere le locuste per mangiare o il miele selvatico... Ti va? Bella missione: raccogliere degli animaletti e un po' di roba selvatica per far mangiare un profeta! Ci sono profeti che conosci? Tu dirai subito: Nessuno. Eppure se tu guardi bene le persone che ti stanno intorno e riascolti le parole che ti dicono, ti accorgerai che sono profeti che pronunciano per te le parole di Dio! Quante volte i grandi ti insegnano la via da percorrere, quante volte i vari maestri che hai ti raccomandano di essere in un certo modo. Perché, secondo te? Per stressarti la vita? Penso proprio di no, e lo pensi anche tu. Lo fanno perché tu cresca in maniera equilibrata e sana e pian piano impari ad acquisire dei criteri giusti per cui un domani sarai capace da solo di scegliere ciò che è bene per te. Allora è un profeta tuo padre, tua madre, la tua insegnante a scuola, la catechista, il parroco, l'istruttore, i fratelli più grandi... in un certo senso sì. E tu per ora raccogli per loro piccole cose, cose un po' selvatiche ma sane in cambio della loro sapienza. Cosa dai loro? Dei pensieri, dei gesti, degli impegni un po' acerbi magari, non perfetti, ma comunque nutrienti. La vita è un deserto, e tante voci si levano da mattina a sera attorno a te. Sono tutte voci di profeti? No. Ma tu hai le antenne per captare le voci dei profeti e per non ascoltare le voci dei ciarlatani, dei chiacchieroni, di quelli che sanno tutti loro e poi non insegnano nulla di buono. Tutto quello che porta alla vita è profetico, quello che porta morte e diminuzione di vita non appartiene a Dio perché Dio è vita!

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07/12/2010 09:16
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 18, 12-14

La parabola della pecora smarrita ci insegna ad essere solleciti verso la sorte dei "piccoli", di considerarli importanti e di andare alla loro ricerca quando si perdono. Questa cura pastorale viene fondata teologicamente sullo stile di Dio Padre.

Piccolo è colui che non conta, colui che serve. Il primo posto nella comunità è per costoro. L'autorità deve mettere i piccoli al primo posto nella sua considerazione e nei suoi programmi. E tutti, se vogliono stare nella comunità cristiana, devono mettersi in atteggiamento di servizio. Scandalizzare i piccoli è impedire loro di credere in Gesù. Il Padre vuole che nessun peccatore si perda.

Lo scopo di questa parabola è di spingere la comunità cristiana, che trascura i peccatori ed è tentata di ripiegarsi pigramente su se stessa, a mettersi senza esitazione alla ricerca degli smarriti, dei cristiani che hanno dimenticato il primitivo fervore e la coerenza con gli ideali del vangelo. Chiunque è in pericolo ha la precedenza assoluta su tutto e su tutti a essere soccorso.

Le parole di Gesù sottolineano ripetutamente "anche uno solo di questi piccoli" (vv.6.10.14) per insegnarci non solo a capovolgere i criteri mondani riguardo alla grandezza, ma anche nei confronti della quantità: anche uno solo conta!

La parabola della pecora smarrita ci riguarda personalmente perché è la nostra storia. Qualche volta siamo la pecora smarrita, altre volte siamo mandati a cercare la pecora smarrita che è il prossimo. Possiamo sperare di raggiungere la nostra salvezza soltanto se ci preoccupiamo anche della salvezza degli altri.

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08/12/2010 09:14
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Immacolata, piena di grazia

Nel momento più tragico della nostra storia, quando l’uomo, dopo la terribile esperienza del peccato, per la prima volta fugge da Dio e ha paura di LUI, risuona nel nostro mondo la grande promessa di una piena restaurazione, di una immancabile vittoria finale: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, - dice il Signore al serpente - fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». La “donna” nel cammino della storia assume sempre più nitide le sue sembianze: è una vergine, è piena di grazia, è fecondata dallo Spirito Santo. È una fanciulla di Nazaret. Nascerà da lei “il Santo di Dio”. Verrà riconosciuta da Elisabetta come “la madre del mio Signore”. Lei stessa canterà le “grandi cose” che il Signore ha operato in lei guardando con compiacenza l’umiltà della sua serva. È quindi sicuramente lei il tabernacolo vivente prescelto da Dio dove il Verbo diventa carne, assume le nostre stesse sembianze umane; per questo Egli con la forza del suo amore la inonda di grazie e l’adorna di divina bellezza. Non può la persona della vergine madre essere intaccata neanche minimamente dal peccato. Ne è preservata per volere divino: Maria non è soltanto vergine e madre, ma è l’Immacolata, l’unica creatura concepita senza peccato. È “l’immacolata concezione” come rivelerà lei stessa a Lourdes. Questo prodigio di amore e di grazia oggi noi festeggiamo. Diamo lode a Dio, onoriamo la madre che già porta in se Cristo Gesù, l’autore della vita. Facciamo nostro l’inno di San Paolo: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo». Con la prodigiosa nascita dalla vergine Maria noi “siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo”. Lo splendore dell’Immacolata ci richiama alla purezza della vita, al bel candore dell’innocenza battesimale, rievoca per noi i frutti della grazia che ci purificano, il perdono che ci riconcilia e infine l’attesa nella beata speranza di essere annoverati tra i cittadini del cielo dove tutto è luce, tutto è puro, tutto è santo.

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10/12/2010 08:25
 
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Messa Meditazione Un Dio discreto

I fanciulli giocano a ridere e a piangere. I musicanti suonano una canzone di letizia e un'aria di lamento. Gli spettatori e gli ascoltatori partecipano all'una e all'altra. Quando non accade, è segno di distanza e di indifferenza, o di distrazione. Dio manda i suoi segni. Come riconoscerli? 'Prestare attenzione ai comandi del Signore', è la strada per trovare risposta e consistenza, come indica il profeta Isaia nella prima lettura.

Il passo di Dio è discreto. Egli non si impone con l'evidenza del fulmine, non scuote con la violenza del vento impetuoso, ma si propone con il suggerimento di una brezza leggera. Dio si presenta a noi attraverso dei segni. Può accadere di non accorgerci, perché stiamo guardando da un'altra parte. Oppure di non riconoscerne il linguaggio, perché non siamo addestrati. Spesso succede che, abituati ad aspettare sempre un'altra cosa rispetto alla realtà presente, ci lamentiamo del segno che ci è dato. Come bambini capricciosi vogliamo sempre un'altra cosa, o addirittura il contrario di quel che ci viene dato. Così sprechiamo gran parte delle nostre energie a respingere la vita che ci è donata, sognando una strada diversa per il nostro compimento. Ci lamentiamo della pioggia e poi del sole, della bonaccia e poi del vento, della salita e poi della discesa. Intanto la realtà avanza imperiosa, e Dio continua a percorrere la sua strada verso di noi; nel frattempo noi abbiamo svoltato. Non riconosciamo, sotto il velo di ciò che accade, il valore sacramentale che conduce a Cristo.
Un grande passaggio avviene quando riconosciamo che la realtà ci è amica, e i fatti che accadono sono provvidenziali. Ogni cosa, anche quanto si presenta a noi con il volto della sofferenza e della fatica, porta con sé una possibilità di bene, ed è via di salvezza. Dio, incarnato in Gesù, ha preso su di sé tutta la vita umana, e l'ha redenta attraverso la sua croce e risurrezione, alla quale ci chiede, come amici fedeli, di associarci, certi della sua vittoria.
"Alla sapienza è stata resa giustizia dalla sue opere". Accettando le circostanze della vita non come obiezione ma come occasione, possiamo sperimentare la potenza dell'amore di Dio che vince ogni male.

O Signore donami la grazia di riconoscere i segni con i quali tu orienti la mia vita verso il bene. Donami di desiderare quello che tu desideri e di ricercare quello che tu ricerchi.

E' meglio non scappare di fronte a circostanze difficili o opposte al mio desiderio, ma affrontarle come occasioni per incontrare Dio e donare a Lui la mia vita. Questo può aprirmi a una nuova possibilità di conoscerlo e amarlo.

Commento a cura di don Angelo Busetto
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11/12/2010 08:55
 
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Paolo Curtaz


Elia nel popolo di Israele, veniva riconosciuto come il più grande profeta di tutti i tempi. Eliseo, suo discepolo, dovrà raccogliere oltre che il mantello, la pesante eredità di Elia scomparso tra le nubi su di un carro di fuoco. Questo profeta passionale e pieno di zelo, sofferente e tragico – dunque – era scomparso, non morto, e si attendeva la sua venuta per preparare la strada al Messia. Gesù ci dona una sconcertante chiave di lettura: l'Elia atteso, in realtà, era già venuto: si trattava di Giovanni il battezzatore, come Elia pieno di zelo e di rabbia contro il malcostume del popolo. Ma, ammonisce Gesù, Elia non è stato riconosciuto, il Battista è stato visto come un fenomeno da baraccone, per poco tempo ci si è lasciati illuminare dalla sua predicazione.
Tragico destino dei profeti di ieri e di oggi, dei santi di tutti i tempi troppe volte scambiati per fenomeni da baraccone, ignorati e non accolti, suscitano stupore e ammirazione senza produrre conversione e, spesse volte, vengono messi da parte. Attenti a non ripetere lo stesso errore, fratelli, impariamo a riconoscere i tanti segni di profezia che accompagnano la nostra vita, senza sminuirli o interpretarli: il nostro cuore sia aperto a tutto ciò che ci porta, oggi, verso l'incontro e la conoscenza del Signore Gesù.

Elia, Giovanni Battista e i tanti profeti che calpestano le nostre strade, tutti ci ammoniscono a stare desti, a non lasciarci impigrire nell'attesa del tuo ritorno alla fine della storia. Marana tha, vieni Signore Gesù!

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13/12/2010 08:57
 
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Eremo San Biagio
Commento Nm 24,15-17

Dalla Parola del giorno
Oracolo di Balaam...oracolo dell'uomo dagli occhi penetranti; oracolo di chi ode le parole di Dio e conosce la scienza dell'Altissimo...e cade ed è tolto il velo dai suoi occhi. Io lo vedo, ma non ora, lo contemplo, ma non da vicino: Una stella spunta da Giacobbe... (Nm 24,15-17)

Come vivere questa Parola?
Gli occhi penetranti di un misterioso indovino d'Oriente, Balaam, si volgono finalmente verso il deserto per contemplare il volere divino e non più disperdersi nella pratica di vuoti riti magici. Caduto il velo dai suoi occhi, contempla da lontano la luce radiosa del mattino (cfr. Ap 22,16). È una stella che spunta da Giacobbe, che sorge con maestosità regale su Israele spezzando la durezza di chi si nasconde al suo fulgore.
La tradizione cristiana ha letto questo oracolo in chiave messianica. Cristo stesso è la stella che irradia l'infinita bellezza dell'Altissimo. Alla Sua luce vediamo la luce (Sal 36,10). Le dimore del cuore che lo accolgono sono come aloe secolari piantati dal Signore, come cedri maestosi che si stagliano lungo le acque.
L'aloe, com'è noto, è simbolo di longevità, il cedro di forza e imponenza. Attributi di chi si concede alla benedizione di Dio, in Cristo Gesù. In Lui ci è dato davvero di essere forti vitali e fecondi, come alberi rigogliosi che nel fluire del tempo, rivestiti d'eternità, danno frutti copiosi, in perenne giovinezza. Certo, siamo resi tali solo se volgiamo lo sguardo verso il deserto, luogo spirituale di silenzio adorante, in cui Dio si compiace manifestarsi, abilitandoci a penetrare umilmente nel suo mistero d'amore che salva, sottratti al velo della nostra supponenza che impedisce la vista e ottenebra il cuore.

Oggi nella mia pausa contemplativa, mi concederò dunque alla Luce che in me è sorgente della vita. Lascerò cadere i veli della banalità tessuti di abitudine che riducono il mio Natale quotidiano a distratta professione di fede. Questa la mia preghiera:

Squarcia i veli della mia supponenza e sii luce, Signore, al mio andare inquieto sulle vie incerte di una fede che talvolta sprofonda nell'oscurità. Mi affascini la via silenziosa del deserto che conduce all'incontro con il Figlio tuo, l'Amato, l'Atteso. Perché sia davvero Natale!

La voce di un grande scrittore
Nessun esploratore compie viaggi così lunghi come chi discende nel profondo del proprio cuore.
J. Green

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15/12/2010 13:05
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?

Nel cammino della storia, Dio è sempre colui che viene. Oggi viene però in un modo assai particolare: viene attraverso ogni suo discepolo. Possiamo ben dire che ogni discepolo di Gesù è "venuta di Dio" sulla nostra terra, nella nostra città, fra gli uomini.
È giusto che il mondo abbia chiara testimonianza sulla nostra verità. Anche a noi, come a Gesù, i discepoli del mondo possono mandare a dire: "Sei tu colui che Dio ha mandato per la nostra salvezza, oppure dobbiamo aspettare che venga un altro?". "Sei tu la via della mia redenzione eterna, oppure devo cercare altrove?". Questa domanda non è pura retorica e neanche fantascienza. Questa domanda è la nostra verità. Questa domanda il mondo ci rivolge ogni giorno.
Ai discepoli del mondo siamo obbligati a dare una risposta, non per motivi di opportunità o di galateo, bensì per purissime ragioni di salvezza eterna. Ogni discepolo di Gesù è stato costituito da Dio via attraverso cui i discepoli del mondo devono giungere fino a Lui, entrando nella sua Casa che è la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica. Noi però non diamo risposta. Non la diamo per un vizio che si annida nella nostra fede e la rende nulla. Questo vizio ha un solo nome: incredulità. I discepoli di Gesù non credono che sono mandati da Dio oggi a predicare l'anno di grazia, a liberare i prigionieri dal carcere e a dare la vista ai ciechi. Non credono che è per mezzo di loro che Dio vuole operare salvezza, redenzione, giustificazione.
Gesù, mandato da Dio a portare la salvezza sulla terra, risponde facendo appello alla Scrittura che si compie per la sua parola e la sua opera. Anche il discepolo di Gesù deve rispondere ai discepoli del mondo facendo appello al Vangelo che si compie con la parola e le opere. La verità di Gesù è la Scrittura Antica. La verità del discepolo di Gesù è il Vangelo, la Parola, il Comandamento Nuovo. La verità di Cristo era visibile, non solo udibile. Era storia, fatto, concretezza, realizzazione. Anche la verità del discepolo di Gesù deve essere visibile, prima che udibile ed deve essere udibile perché visibile. Se non è visibile non è neanche udibile.
Il cristiano è investito di una pesante responsabilità: lui deve essere visibilità santa per gli altri, perché i discepoli del mondo giungano a Cristo, si aprano alla fede in Lui, lo accolgano come loro Messia e Redentore. Senza la visibilità del cristiano, cioè del suo discepolo, che poi è il suo corpo nella storia, l'invisibile mai diventa visibile, e ciò che è non udibile mai diventa udibile e l'altro rimane nella sua condizione di prigionia spirituale. Il mistero del Natele che il cristiano si accinge a celebrare deve mostrare al mondo la visibilità della sua verità, attraverso cui sarà possibile solamente giungere alla verità di Cristo. Senza la verità del cristiano, la verità di Cristo è invisibile. Rimane nel cielo, nessuno la vedrà e nessuno si salverà. Cristo Gesù ha tirato fuori la sua verità invisibile che era nella Scrittura e l'ha resa verità visibile nella nostra storia.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, rendi visibile la nostra verità cristiana. Angeli e Santi di Dio, fate che attraverso noi il mistero invisibile divenga mistero visibile.

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17/12/2010 21:40
 
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Riflessione
• La genealogia definisce l'identità di Gesù. Lui è il "figlio di Davide e il figlio di Abramo" (Mt 1,1; cf 1,17). Figlio di Davide, è la risposta alle aspettative dei Giudei (2Sam 7,12-16). Figlio di Abramo, è una fonte di benedizione per tutte le nazioni (Gen 12,13). Giudei e pagani vedono realizzate in Gesù le loro speranze.
• Nella società patriarcale dei Giudei, le genealogie indicavano solo nomi degli uomini. Sorprende il fatto che Matteo indichi anche il nome di cinque donne tra gli antenati di Gesù: Tamar, Raab, Ruth, Bezabea (la moglie di Uria) e Maria. Perché Matteo sceglie precisamente queste quattro donne per compagne di Maria? Nessuna regina, nessuna matriarca, nessuna delle donne lottatrici dell'esodo: perché? E' questa la domanda che il vangelo di Matteo lascia nella nostra testa.
• Nella vita delle quattro donne compagne di Maria c'è qualcosa di anormale. Tutte e quattro sono straniere, concepirono i loro figli fuori dei canoni normali e non soddisfarono le esigenze delle leggi della purezza del tempo di Gesù. Tamar, una Cananea, vedova, si veste da prostituta per obbligare il patriarca Giuda ad essere fedele alla legge ed a dargli un figlio (Gen 38,1-30). Raab, una Cananea di Gerico, era una prostituta che aiutò gli Israeliti ad entrare nella Terra Promessa (Gs 2,1-21). Ruth, una Moabita, vedova, povera, scelse di rimanere accanto a Noemi e di aderire al Popolo di Dio (Rt 1,16-18). Prese l'iniziativa di imitare Tamar e di andare a passare la notte nell'aia, insieme a Booz, obbligandolo ad osservare la legge ed a dargli un figlio. Dalla relazione tra i due nasce Obed, antenato del re Davide (Rt 3,1-15; 4,13-17). Bezabea, una Hittita, moglie di Uria, fu sedotta, violentata e messa incinta dal re Davide, che oltre a questo, ordinò di uccidere il marito della donna (2Sam 11,1-27). Il modo di agire di queste quattro donne non concordava con le norme tradizionali. Intanto, furono queste le iniziative poco convenzionali che dettero continuità alla stirpe di Gesù e portarono a tutto il popolo la salvezza di Dio. Tutto ciò ci fa pensare e ci interpella quando diamo troppo valore alla rigidità delle norme.
• Il calcolo di x 14 generazioni (Mt 1,17) ha un significato simbolico. Tre è il numero della divinità. Quattordici è il doppio di sette. Sette è il numero perfetto. Per mezzo di questo simbolismo Matteo esprime la convinzione dei primi cristiani secondo cui Gesù apparve nel tempo stabilito da Dio. Con il suo arrivo la storia raggiunge la sua pienezza.

4) Per un confronto personale
• Qual è il messaggio che tu scopri nella genealogia di Gesù? Hai trovato una risposta alla domanda che Matteo lascia nella nostra testa?
• Le compagne di Maria, la madre di Gesù, sono ben diverse da come ce le immaginavamo. Qual è la conclusione che tu ne trai per la tua devozione alla Vergine?

5) Preghiera finale
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole persista il suo nome.
In lui saranno benedette
tutte le stirpi della terra
e tutti i popoli lo diranno beato. (Sal 71)
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18/12/2010 12:28
 
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padre Lino Pedron Commento su Matteo 1,18-25

Nella genealogia di Gesù Cristo, Matteo ci ha dato una visione teologica del susseguirsi della generazioni. Ora prosegue questa sua concezione presentando il ruolo e la missione di Giuseppe dal punto di vista di Dio. Giuseppe è un uomo giusto (v.9). Il suo problema non è principalmente la situazione nuova che si è creata con la sua promessa sposa Maria, ma il suo rapporto con questo bambino che sta per nascere e la responsabilità che egli sente verso di lui. Giuseppe è detto giusto perché sintetizza nella sua persona l'atteggiamento dei giusti dell'Antico Testamento e in particolare quello di Abramo (cfr Mt 1,2-21 con Gen 17,19).

La giustizia di Giuseppe non è quella "secondo la legge" che autorizza a ripudiare la propria moglie, ma quella "secondo la fede" che chiede a Giuseppe di accettare in Maria l'opera di Dio e del suo Spirito e gli impedisce di attribuirsi i meriti dell'azione di Dio.

Di sua iniziativa Giuseppe non ritiene di poter prendere con sé una persona che Dio si è riservata. Egli si ritira di fronte a Dio, senza contendere, e rinuncia a diventare lo sposo di Maria e il padre del bambino che sta per nascere; per questo decide di rinviare segretamente Maria alla sua famiglia.

Giuseppe è giusto di una giustizia che scopriremo nel seguito del vangelo, quella che si esprime nell'amore dato senza discriminazioni a chi lo merita e a chi non lo merita (Mt 5,44-48) ed è riassunto nella "regola d'oro": "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,12). L'uomo giusto è misericordioso come Dio è misericordioso.

La crisi di Giuseppe ha lo stesso significato dell'obiezione di Maria in Luca 1,29. Maria era turbata perché non sapeva che cosa significasse il saluto dell'angelo. Giuseppe è incerto perché non sa spiegarsi ciò che è avvenuto in Maria. Maria può chiedere la spiegazione all'angelo, ma Giuseppe non sa a chi rivolgersi; per questo decide di mettersi in disparte aspettando che qualcuno venga a liberarlo dalle sue perplessità.

Matteo mette in rilievo l'identità messianica di Gesù affermando la sua discendenza da Davide, al quale Dio aveva promesso un discendente che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe (cfr Lc 1,33; 2Sam 7,16). Quindi, secondo la genealogia, Gesù è il discendente di Davide non in virtù di Maria, ma di Giuseppe (v.16). E' per questo che Matteo presenta Giuseppe come destinatario dell'annuncio con il quale gli viene dato l'ordine di prendere Maria con sé e di dare il nome a Gesù. Giuseppe, riconoscendo legalmente Gesù come figlio, lo rende a tutti gli effetti discendente di Davide. Gesù verrà così riconosciuto come figlio di Davide ( Mt 1,1; 9,27; 20,30-31; 21,9; 22,42).

Il nome di Gesù significa "Dio salva". La promessa di salvezza contenuta nel nome di Gesù viene presentata in termini spirituali come salvezza dai peccati (v. 21). Anche per Luca la salvezza portata da Gesù consiste nella remissione dei peccati (Lc 1,17). In queste parole c'è il netto rifiuto di un messianismo terreno: Gesù non è venuto a conquistare il regno d'Israele o a liberare la sua nazione dalla dominazione straniera.

La singolarità dell'apparizione dell'angelo consiste nel fatto che essa avviene in sogno. Matteo forse presenta Giuseppe secondo il modello del patriarca Giuseppe, viceré d'Egitto (Gen 37,5ss). La cosa importante è che l'apparizione dell'angelo chiarisce con sicurezza che la direttiva viene da Dio.

Nel versetto 22 troviamo la prima citazione dell'Antico Testamento. Questa è preceduta dalla formula introduttiva: "Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta". Con questa espressione Matteo vuol darci l'idea del compimento delle intenzioni di Dio contenute nella Scrittura. E' importante notare che attraverso il profeta ha parlato Dio.

Con la citazione di Isaia 7,14 Matteo presenta la generazione di Gesù come un parto verginale.

Gesù quale Emmanuele, Dio con noi, costituisce un motivo centrale del vangelo di Matteo. Questa citazione di Isaia forma un'inclusione con l'ultima frase del vangelo: "Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20).

Giuseppe, uomo giusto, si desta dal sonno e agisce. L'esecuzione descrive la sua obbedienza. Pur prendendo con sé Maria, egli non la conosce. Il conoscere indica già in Gen 4,1 il rapporto sessuale.

L'imposizione del nome di Gesù ad opera di Giuseppe assicura di fronte alla legge la discendenza davidica del figlio di Maria.
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21/12/2010 14:57
 
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Paolo Curtaz
Commento Luca 1,39-45

Continua il conto alla rovescia prima del Natale: Maria ha saputo dall'angelo dell'inattesa gravidanza di sua cugina Elisabetta ed invece di rinchiudersi in se stessa e meditare, eccola in viaggio verso il Nord per andarla a trovare, un viaggio faticoso che compie "in fretta", là dove c'è un bisogno c'è la madre, come vedremo al matrimonio di Cana. Quali pensieri animano il cuore di quest'adolescente? Quante paure e dubbi affollano i suoi pensieri? "Avrò sognato? Cosa è davvero successo?" Finalmente l'incontro tra le due donne, una giovanissima, l'altra attempata, prima di potersi parlare i due bambini già si riconoscono, il Battista scalcia, come se già volesse indicare, mostrare, adempiere alla sua vocazione, lo Spirito Santo ora le avvolge e la gioia esplode: si fanno i complimenti, poi cantano, poi danzano... allora è tutto vero, allora davvero il Dio dei padri non si è dimenticato di noi! Davvero le profezie mille volte ascoltate nella sinagoga, il giorno di sabato, non erano vecchie illusioni, fatue speranze, davvero il Dio dei padri è colui che vede la sofferenza ed interviene! Elisabetta scuote la testa, da persona riflessiva e matura qual è, e chiede alla piccola Maryam: come hai fatto a crederci? Come sei riuscita a credere che l'immenso avrebbe abitato il tuo acerbo corpo per diventare uomo? E la vecchia cugina formula il più bel saluto, il complimento più autentico che mai si potrà fare alla madre del Signore: "beata te che ha creduto!"; sì, Maria, beata te che hai creduto, che ti sei fidata, che ti sei lasciata fare, beata la tua incoscienza che crede nel Dio dell'impossibile, beata la tua disponibilità a lasciarti sconvolgere la vita, a metterti in secondo piano, beata la tua generosità che accetta di pensare al popolo prima che a se, beata la tua fede che ci suscita un po' d'invidia in ogni discepolo dopo di te e tanto, tanto entusiasmo.

O Astro che sorgi, splendore di luce eterna e sole di giustizia:
vieni, e illumina chi giace nelle tenebre e nell'ombra di morte.

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22/12/2010 09:06
 
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padre Lino Pedron
Commento su Luca 1,46-55

Questo cantico è molto vicino a quello che intonerà Gesù quando, esultando nello Spirito Santo, scoprirà che la benevolenza del Padre si rivela ai piccoli (Lc 10,21-22). Maria esalta l'opera di salvezza che Dio sta realizzando tra gli uomini.

Questo inno si sviluppa come un mosaico di citazioni e di allusioni bibliche, che trova un parallelo nel cantico di Anna (1Sam 2,1-10), considerato generalmente come la sua fonte principale sia dal punto di vista della situazione che della tematica e della formulazione. Qualche esegeta suggerisce di leggere questo cantico di Maria sullo sfondo della grande liberazione dell'Esodo e in particolare del celebre Cantico del mare (Es 15,1-18.21).

Maria canta la grandezza di Dio. Riconosce che Dio è Dio. La conseguenza della scoperta di Dio grande nell'amore è l'esultanza dello spirito. La scoperta dell'amore immenso di Dio per noi vince la paura. Chi conosce il vero Dio, gioisce della sua stessa gioia.

Il motivo del dono di Dio a Maria non è il suo merito, ma il suo demerito, la sua umiltà (da humus=terra, parola da cui deriva anche "uomo"). Maria è il nulla assoluto, che solo è in grado di ricevere il Tutto.

Dio è amore. L'amore è dono. Il dono è tale solo nella misura in cui non è meritato. Dio quindi è accolto in noi come amore e dono solo nella misura della coscienza del nostro demerito, della nostra lontananza, della nostra piccolezza e umiltà oggettive. Maria è il primo essere umano che riconosce il proprio nulla e la propria distanza infinita da Dio in modo pieno e assoluto. Il merito fondamentale di Maria è la coscienza del proprio demerito: ella riconosce la propria infinita nullità.

Per questo, giustamente, la Chiesa proclama Maria esentata dal peccato originale, che consiste nella menzogna antica che impedisce all'uomo questa umiltà fiduciosa, che dovrebbe essere tipica della creatura (cfr Sal 131).

L'umiltà di Maria non è quella virtù che porta ad abbassarsi. La sua non è virtù, ma la verità essenziale di ogni creatura, che lei riconosce e accetta: il proprio nulla, il proprio essere terra-terra. Tutte le generazioni gioiranno con lei della sua stessa gioia di Dio, perché in lei l'abisso di tutta l'umanità è stato colmato di luce e si è rivelato come capacità di concepire Dio, il Dono dei doni.

Dio è amore onnipotente. Lo ha mostrato donando totalmente se stesso. Il suo nome (la sua persona) è conosciuto e glorificato tra gli uomini perché Dio stesso santifica il suo nome rivelandosi e donandosi al povero.

Maria sintetizza in una sola parola tutti gli attributi di colui che ha già chiamato Signore, Dio, Salvatore, Potente, Santo: il nome di Dio è Misericordia. Dio è amore che non può non amare. E' misericordia che non può non sentire tenerezza verso la miseria delle sue creature. San Clemente di Alessandria afferma che "per la sua misteriosa divinità Dio è Padre. Ma la tenerezza che ha per noi lo fa diventare Madre. Amando, il Padre diventa femminile" (Dal Quis dives salvetur, 37, 2).

Maria descrive la storia biblica della salvezza in sette azioni di Dio. La descrizione con i verbi al passato significa quello che Dio ha già fatto nell'Antico Testamento, ma anche quello che ha compiuto nel Nuovo, perché il Cantico, composto dalla comunità cristiana, canta l'operato di Dio alla luce della risurrezione di Cristo già avvenuta.

A proposito di questa rivoluzione operata da Dio, che rovescia i potenti dai troni e manda a mani vuote i ricchi, notiamo che anche questa è un'opera grandiosa e commovente della misericordia di Dio: quando il potente cade nella polvere e il sazio prova l'indigenza, essi sono posti nella condizione per essere rialzati e saziati da Dio. Nell'esperienza del vuoto e nel crollo degli idoli, l'uomo si trova nella condizione migliore per cercare Dio.

In Maria è presente Dio fatto uomo. In lui si realizzano le promesse di Dio. E' per la fede in Cristo che si è discendenza di Abramo (Lc 3,8). Il compimento della promessa fatta da Dio ad Abramo è definitivo: "In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gen 12,3).

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23/12/2010 13:53
 
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don Luciano Sanvito
La parentela di Dio

La parentela di Dio è più importante di quella della famiglia umana.

Ogni decisione della parentela umana scende sulle realtà della terra; ogni decisione della parentela divina sale verso il cielo, nella dimensione del Regno.

Il nome di Giovanni viene stabilito in Dio, e anche il suo destino.

Se ci lasciamo condurre nell'opera di Dio, ecco che entriamo a far parte della sua famiglia e della sua famigliarità: persone e gesti, situazioni, vengono ad assumere il significato profondo che solo la presenza del regno di Dio può dare.

La parentela divina, instaurandola, instaura il Regno di Dio in noi.

L'interesse umano è sempre in agguato, in ogni parentela umana, ponendo in offerta l'interesse famigliare e il tornaconto umano.
Nel Regno di Dio, il destino assume le caratteristiche del mistero e della gratuità, che non corrispondono affatto a ciò che può avere un guadagno e un tornaconto.

La parentela divina ci aiuta a vivere il rapporto di amore come gratuito.
Rispondendo ai piani del Regno di Dio, che si rende attuabile in noi.

GUARDANDO ALLA PARENTELA DI DIO, DIVENTIAMO FRATELLI

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25/12/2010 20:26
 
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Totustuus
Omelia per il 25 dicembre 2001 - Natale del Signore (Messa della notte)

NESSO LOGICO TRA LE LETTURE

Tra i vari punti di contatto delle letture, scelgo quello della nascita. L'annuncio dell'angelo ai pastori è: "Vi è nato oggi...un Salvatore" (Vangelo). Il testo di San Luca, eco del testo di Isaia, proclama profeticamente la nascita del Messia: "Un bambino è nato per noi". Nella seconda lettura, San Paolo, entro un contesto parenetico, fonda e motiva la condotta etica dei cristiani nella quale la grazia di Dio si è fatta visibile nella nascita e nella vita di Gesù Cristo.

MESSAGGIO DOTTRINALE

San Luca, narrando la nascita di Gesù, mette già in rilievo le due dimensioni della sua esistenza: quella umana e quella divina. Gesù è uomo: nasce in un tempo storicamente determinato, con una genealogia documentabile, in una città conosciuta, in un luogo e in condizioni proprie della classe povera della Palestina. San Luca abbonda nell'umanità di Gesù riferendo, nel suo racconto, l'arrivo per Maria del tempo del parto, il dare alla luce suo figlio, l'avvolgerlo in pannolini, il coricarlo in una mangiatoia. Queste azioni confluiscono in una accentuazione dell'umanità di Gesù, umanità interamente uguale alla nostra. San Luca, come evangelista della comunità e per la comunità, non poteva non aggiungere la presentazione della divinità di Gesù. Nel bimbo nato da Maria si compie la profezia messianica di Isaia, e in essa si dice: "Il suo nome è Dio forte", un nome esclusivo di Yavé nell'Antico Testamento. Inoltre, Dio, per mezzo del suo angelo, annuncia i titoli di questo bambino: Salvatore, Messia, Signore. Salvatore, e perciò, Dio, poiché soltanto Dio ha potere per salvare. Messia, in quanto è il Salvatore dei giudei. Signore, in quanto è il Salvatore del mondo pagano, per cui "Signore" era il titolo più applicato alla divinità. Infine, un coro angelico esalta e loda Dio per la nascita del bambino. Ciò significa che questo bambino è più grande degli stessi angeli, è Dio.

In Gesù, umanità e divinità convivono in forma perfetta. È, allo stesso tempo: Perfectus Deus, perfectus homo. Gli stessi tratti che Isaia canta del Messia futuro mostrano la perfezione e l'armonia tra l'umano e il divino: "Consigliere prudente, Dio forte, padre eterno, principe della pace". Al Dio forte (divinità) si unisce un "padre eterno" (in relazione a Davide), consigliere prudente e principe della pace (in relazione a Salomone), e con ciò si sottolinea la somma perfezione umana del bambino preannunciato. San Paolo nella seconda lettura esorta i cristiani a non separare la fede dalla vita, la verità etica dalla verità dogmatica. Il cristiano è interamente uomo e assume tutto il buono che c'è nell'uomo (vedere Tit 2,1-10). Ma il cristiano non separerà mai il suo inserimento nel mondo dalla sua fede in Gesù Cristo e dal mistero di salvezza che Egli rappresenta e rende efficace tra gli uomini (seconda lettura). La nascita del Figlio di Dio, senza cambiare le azioni buone degli uomini nelle loro componenti etiche, dà a queste ultime un significato nuovo, la linfa nuova del Vangelo.

SUGGERIMENTI PASTORALI

Forse in alcune comunità cristiane si sottolinea troppo l'umanità di Gesù, trasformandolo in un modello di esistenza perfetta, e lasciando quasi in oblio la sua divinità. In altre comunità è possibile che si ricalchi tanto la divinità del Bambino, da far passare in secondo piano la sua meravigliosa umanità. Di fronte a questa doppia possibilità, si deve fare una catechesi in cui si mantenga, in modo equilibrato, tanto l'umanità quanto la divinità, e in cui si facciano applicazioni concrete e pratiche per la vita del cristiano, a partire da questa visione equilibrata del mistero di Cristo. Menziono alcune possibili applicazioni: adorare ma allo stesso tempo imitare questo Bambino; convincersi che il cristiano è chiamato ad essere e a vivere come figlio adottivo di Dio e simultaneamente ad essere e a vivere come uomo; essere coscienti che non c'è dicotomia tra le verità di fede e la realtà concreta dell'esistenza, e che, anche se apparentemente ci fosse tale dicotomia, si deve cercare di distruggerla e trovare il punto di equilibrio (per esempio, nel compimento e nel rispetto delle leggi fiscali, delle leggi che governano e reggono una nazione, ecc.). La seconda lettura ci insegna a rinunciare alla vita senza religione e ai desideri del mondo, per vivere nel tempo presente con moderazione, giustizia e religiosità.

Nella nostra comunità ci saranno senza dubbio più poveri che ricchi, e forse molti cristiani, che non hanno abbondanza di ricchezze, ma non ne sono nemmeno sprovvisti. Lo stato socio-economico delle persone non lo cambierà il cristianesimo, anche se lo può migliorare. Forse la forma più adatta per un miglioramento potrebbe essere il considerare la povertà, non come un male che si deve evitare o alleviare, ma come un grandissimo valore che dobbiamo amare, e, secondo il nostro stato e la nostra condizione, anche vivere. Un imprenditore può amare e vivere la povertà, anche se il suo modo di farlo può essere diverso da come ama e vive la povertà un operaio della sua impresa. Un professionista può amarla e viverla, ma lo farà in modo differente da come la vive una persona disoccupata o che ancora non ha trovato il primo lavoro. I modi di essere povero, di incarnare la povertà, possono variare, ma dovrà essere uguale l'apprezzamento della povertà, l'interesse e lo sforzo per applicarla alla propria vita, sapendo che non siamo signori ma amministratori di alcuni beni che Dio ha dato al servizio, certamente di se stessi e della propria famiglia, ma allo stesso modo anche al servizio degli altri.

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27/12/2010 13:52
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 20,2-8

1) Preghiera
O Dio, che per mezzo dell'apostolo Giovanni ci hai rivelato le misteriose profondità del tuo Verbo: donaci l'intelligenza penetrante della Parola di vita, che egli ha fatto risuonare nella tua Chiesa. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni 20,2-8
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala corse e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!".
Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.
Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

3) Riflessione
• Il vangelo di oggi ci presenta il brano del Vangelo di Giovanni che parla del Discepolo Amato. Probabilmente, è stato scelto questo testo da leggere e meditare oggi, festa di San Giovanni Evangelista, per l'identificazione spontanea che tutti facciamo del discepolo amato con l'apostolo Giovanni. Ma la cosa strana è che in nessun brano del vangelo di Giovanni viene detto che il discepolo amato è Giovanni. Orbene, fin dai più remoti tempi della Chiesa, si è insistito sempre nell'identificazione dei due. Per questo, nell'insistere sulla somiglianza tra i due, corriamo il rischio di perdere un aspetto molto importante del messaggio del Vangelo riguardo al discepolo amato.
• Nel Vangelo di Giovanni, il discepolo amato rappresenta la nuova comunità che nasce attorno a Gesù. Il Discepolo Amato si trova ai piedi della Croce, insieme a Maria, la madre di Gesù (Gv 19,26). Maria rappresenta il Popolo dell'antica alleanza. Alla fine del primo secolo, epoca in cui venne compilata la redazione finale del Vangelo di Giovanni, c'era un conflitto crescente tra la sinagoga e la chiesa. Alcuni cristiani volevano abbandonare l'Antico Testamento e rimanere solo con il Nuovo Testamento. Ai piedi della Croce, Gesù dice: "Donna, ecco tuo figlio!" ed al discepolo amato: "Figlio, ecco tua madre!" Ed i due devono rimanere uniti come madre e figlio. Separare l'Antico Testamento dal Nuovo, in quel tempo era fare ciò che oggi chiamiamo separazione tra fede (NT) e vita (AT).
• Nel vangelo di oggi, Pietro ed il Discepolo Amato, avvisati dalla testimonianza di Maria Maddalena, corrono insieme verso il Santo Sepolcro. Il giovane è più veloce dell'anziano e arriva per primo. Guarda dentro il sepolcro, osserva tutto, ma non entra. Lascia che entri prima Pietro. Pietro entra. E' suggestivo il modo in cui il vangelo descrive la reazione dei due uomini dinanzi a ciò che tutti e due vedono: "Entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette". Tutti e due videro la stessa cosa, ma si dice solo del Discepolo Amato che credette: "Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette" Perché? Sarà che Pietro non credette?
• Il discepolo amato ha uno sguardo diverso, che percepisce più degli altri. Ha uno sguardo d'amore che percepisce la presenza della novità di Gesù. Al mattino, dopo quella notte di ricerca e dopo la pesca miracolosa, è lui, il discepolo amato a percepire la presenza di Gesù e dice: "E' il Signore!" (Gv 21,7). In quella occasione, Pietro avvisato dall'affermazione del discepolo amato, riconosce anche lui e comincia a capire. Pietro impara dal discepolo amato. Poi Gesù chiede tre volte: "Pietro, mi ami?" (Gv 21,15.16.17). Per tre volte, Pietro rispose: "Tu sai che io ti amo!" Dopo la terza volta, Gesù affida le pecore alle cure di Pietro, ed in questo momento anche Pietro diventa "Discepolo Amato".

4) Per un confronto personale
• Tutti coloro che crediamo in Gesù siamo oggi il Discepolo Amato. Ho lo stesso guardo d'amore per percepire la presenza di Dio e credere nella sua resurrezione?
• Separare l'Antico del Nuovo Testamento è la stessa cosa che separare Fede e Vita. Come faccio e vivo oggi questo?

5) Preghiera finale
I monti fondono come cera davanti al Signore,
davanti al Signore di tutta la terra.
I cieli annunziano la sua giustizia
e tutti i popoli contemplano la sua gloria. (Sal 96)

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28/12/2010 11:51
 
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Messa Meditazione Scelti per Cristo

La terza primizia di questo tempo natalizio ci viene donata dai santi Innocenti. Nel grido e nel pianto delle madri di Betlemme viene raccolto tutto il dolore innocente, misteriosamente associato al sangue di Cristo e all'offerta della sua vita. I piccoli martiri fanno da paravento al piccolo Gesù, difendendolo dalla morte, e nello stesso tempo ne anticipano il mistero di salvezza che si compirà con l'effusione del suo sangue.

C'è una partecipazione oggettiva al mistero di Cristo; questi bambini sono stati presi dentro la sua vicenda perché vicini a lui, storicamente e geograficamente. In qualche modo, per ogni bambino e per ogni uomo è così: noi apparteniamo all'umanità di Cristo, il quale ha preso la carne e il sangue degli uomini, suoi fratelli.
Spesso indugiamo a sottolineare la nostra consapevolezza e la nostra decisione nello stare con Cristo. In realtà è assai più un essere scelti, che non uno scegliere; un essere presi, che non un prendere. Nasciamo in una storia che non è nostra, in un contesto esistenziale che non è stato determinato da noi, veniamo collocati in una umanità in cui il male imperversa e nella quale la salvezza di Cristo è entrata ad operare. Per questo il male non è più semplicemente male, ma diventa l'oggetto sul quale si riversano la misericordia e la redenzione del Signore. Come dice S.Ambrogio. "Il peccato ci ha giovato di più di quanto ci abbia nociuto, in quanto la nostra redenzione ha trovato la grazia divina" (De institutione virginis 104). Il delitto di Erode e il dolore delle madri, la violenza delle vite spezzate, sono inserite nel mistero di Cristo e partecipano alla sua azione redentiva. La Chiesa madre continua a offrire il sacrificio dei suoi figli martiri, bambini, giovani, adulti, rendendo consapevole e attiva la loro offerta oggettiva. Per questo realizzano un'opera intensamente educativa quanti mirano a far riconoscere a chi soffre, particolarmente nel dolore innocente, la partecipazione al sacrificio di Cristo. E' stata l'opera di Don Carlo Gnocchi, che consolò il dolore innocente dei bambini mutilati e feriti non solo con l'opera della medicina e della chirurgia, ma anche insegnando loro a offrire le sofferenze a Gesù crocifisso.

Ti offro o Signore, il dolore innocente, affinché sia reso partecipe del tuo sacrificio. Fa' che niente vada perduto, ma tutto sia accolto e offerto nel calice di salvezza.

La vicinanza e la partecipazione al dolore altrui è un grande atto di carità. Una visita in ospedale o in una famiglia, una telefonata, un intervento discreto ma attento, possono diventare un richiamo a unire il dramma dell'umana sofferenza al mistero di Cristo.

Commento a cura di don Angelo Busetto
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31/12/2010 09:55
 
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padre Lino Pedron
Commento su Giovanni 1, 1-18

Il vangelo di Giovanni è la più acuta interpretazione dell'evento-Gesù, che gli ha fatto meritare il nome di "vangelo spirituale" (Eusebio). Il prologo, o introduzione, che oggi leggiamo, descrive, in forma poetica, l'opera di Gesù-Verbo e persona divina nell'ampio orizzonte biblico del piano della salvezza, che Dio ha tracciato per l'uomo.

Il prologo è il riassunto concentrato del contenuto del vangelo di Giovanni, che può essere paragonato al tema che viene dato all'inizio di un'opera musicale.

Giovanni colloca il Verbo in Dio, presentandone la preesistenza eterna, l'intimità di vita con il Padre e la sua natura divina. Il termine "Verbo" ha come sottofondo la letteratura sapienziale e il tema biblico della parola di Dio nell'Antico Testamento, dove sia la Sapienza che la Parola vengono presentate come "persona" legata a Dio e mandata da Dio nel mondo per orientarlo verso la vita. Il Verbo è forza che crea, rivelazione che illumina, persona che comunica la vita di Dio.

Il Verbo non solo è vicino al Padre, ma rivolto verso il Padre in atteggiamento di ascolto e di obbedienza. Giovanni afferma con chiarezza, fin dalle prime parole del suo vangelo, che nel Dio unico esiste una pluralità di persone.

Per l'uomo della Bibbia "la parola" è l'espressione più profonda e intima di una persona, e lo stesso Dio non sarebbe Dio se non comunicasse la sua Parola dal fondo del suo essere. Anche per l'evangelista Giovanni è così. Il Verbo è generato eternamente dal profondo del seno del Dio-Amore; egli è il volto del Padre, è l'uguaglianza nella diversità delle due persone che si amano e si comunicano. Con questi primi versetti Giovanni ci introduce nel mistero della rivelazione eterna di Cristo.

Dopo i primi due versetti introduttivi, Giovanni ci presenta il ruolo del Verbo nella creazione dell'universo e nella storia della salvezza: "Tutto accadde per mezzo di lui e senza di lui non accadde nulla (v.3). Il Verbo spinge tutte le cose all'essere e alla salvezza in quanto esse partecipano alla comunione di vita con lui. Tutta la storia appartiene a lui. Tutte le cose sono opera del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret.

Ogni uomo è fatto per la luce ed è chiamato ad essere illuminato dal Verbo con la luce eterna di Dio, che è la vita stessa del Padre donata al Figlio. La luce di Cristo splende su ogni uomo che viene nel mondo e le tenebre lottano per eliminarla. Tuttavia l'ambiente del male, che si oppone alla luce di Dio e alla parola di Gesù-Verbo, non riesce ad avere il sopravvento e a vincere.

La luce venuta nel mondo è preceduta da un testimone, Giovanni il Battista, che ha la missione di parlare a favore della luce. Questo uomo mandato da Dio ha un compito ben definito nel piano della salvezza, e lo stesso suo nome "Giovanni" lo rivela: annunciare che "Dio è pieno di amore misericordioso" per tutta l'umanità.

Il ruolo del Battista è unico: "venne come testimone, per dare testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo suo" (v.7). Giovanni è il testimone di Gesù che riceve la testimonianza che il Padre dà al Figlio nel battesimo e che vede lo Spirito scendere e rimanere su Gesù (Gv 1,32-34). Egli è colui che conduce l'uomo alla fede in Gesù-Luce.

Gesù è la luce autentica e perfetta che appaga le aspirazioni umane; la sola che dà senso a tutte le altre luci che appaiono nella scena del mondo. Questa luce divina illumina ogni uomo che nasce in questo mondo. E' la luce che si offre nell'intimo di ogni essere come presenza, stimolo e salvezza.

Gesù-Verbo, presente tra gli uomini con la sua venuta, è vicino ad ogni uomo. Benché fosse già nel mondo come creatore e come centro della storia, "il mondo non lo riconobbe" (v.10), cioè gli uomini non hanno creduto nel Verbo incarnato e nella sua missione di salvatore.

Al rifiuto del mondo, Giovanni ne aggiunge un altro ancora più grave: "E' venuto tra la sua gente e i suoi non l'hanno accolto" (v.11). In altri termini: la Parola del Signore è venuta nel popolo ebraico, ma Israele l'ha respinta. E' presente qui il lungo cammino dell'umanità che, nonostante il progetto di amore e di vita voluto da Dio, ha perso col peccato l'orientamento di tutto il suo essere e non ha riconosciuto il piano amoroso e salvifico di Dio.

Se il comportamento dell'umanità, e in particolare quello d'Israele, è stato di netto rifiuto di Gesù-Verbo, tuttavia, un gruppo di persone, un "resto di Israele", l'ha accolto e ha dato una risposta positiva al suo messaggio, stabilendo un nuovo rapporto con Dio: "A quanti l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio" (v.12). Solo coloro che accolgono il Verbo e credono nella sua persona divina diventano figli di Dio, perché sono nati da Dio e non da elementi umani.

Questo dono della figliolanza divina si accoglie credendo nel Cristo e approfondendo la nostra vita di fede in lui. Accogliere il Verbo significa "credere nel nome" di Gesù, ossia aderire pienamente alla sua persona, impegnare la propria vita al suo servizio.

Il versetto 14 è come la sintesi di tutto l'inno: si afferma solennemente l'incarnazione del Figlio di Dio. Il vangelo afferma che "il Verbo divenne carne", cioè che la Parola si è fatta uomo, nella sua fragilità e impotenza come ogni creatura, nascendo da una donna, Maria. E' questo l'annuncio da credere per essere salvati: "Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio" (1Gv 4,2-3).

L'espressione "e pose la sua tenda in mezzo a noi" sottolinea lo scopo dell'incarnazione: Dio dimora con il suo popolo stabilmente e per sempre (cfr Ap 7,15). La sua presenza è nella vita stessa dell'uomo e nella carne visibile di Gesù (cfr Gv 2,19-22).

I discepoli hanno contemplato nella fede il mistero di Gesù-Verbo, cioè la gloria che egli possiede come Unigenito venuto da presso il Padre (v. 14). Gesù è la rivelazione di Dio, ma in un modo nascosto e umile. Nel vangelo di Giovanni la gloria del Signore è qualcosa di interiore che solo l'uomo di fede può comprendere. La "gloria" di Cristo è la verità del suo mistero: la rivelazione nell'uomo-Gesù del Figlio di Dio venuto da presso il Padre.

La "grazia della verità" (v.14) nel linguaggio biblico è il dono della rivelazione che Dio ha offerto all'uomo. La verità, in Giovanni, indica la rivelazione piena e perfetta della vita divina. Il Verbo incarnato è "pieno della verità", ossia è tutto quanto rivelazione. Gesù è "la verità" (Gv 14,6) ossia la rivelazione definitiva e totale. E questa verità è la "grazia" del Padre, il dono supremo che ci ha fatto il Padre.

Tutta la vita di Gesù è manifestazione di Dio, ma per l'evangelista il momento centrale in cui si manifesta la gloria di Dio un tutta la sua potenza è la croce: l'innalzamento di Gesù è la sua glorificazione. Può sembrare paradossale dire che la croce è la glorificazione, ma tutto diventa luminoso se pensiamo che Dio è amore (1Gv 4, 8) e la sua manifestazione è dunque là dove appare l'Amore. E' sulla croce che l'amore di Dio rifulge in tutta la sua penetrante luce e pienezza.

I credenti sono coloro che hanno ricevuto "dalla pienezza" ( v.16) di Gesù-Verbo il dono della rivelazione, che sostituisce ormai quella della legge antica. Ogni credente può attingere a piene mani da questa fonte di vita ed essere partecipe del dono della verità che è in Gesù. La vita di figlio di Dio entra nell'uomo mediante la fede. Il Figlio di Dio infatti si è fatto uomo per rendere tutti gli uomini partecipi della sua realtà di Figlio e introdurli nella vita di Dio.

"Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto una grazia al posto di un'altra grazia" (v.16). Quali sono le due grazie di cui si parla? Il v.17 ci aiuta a comprenderne il senso. Le due grazie sono la legge di Mosè e quella di Cristo. Per Giovanni, la storia della salvezza abbraccia due momenti fondamentali: il dono della legge nella rivelazione provvisoria del Sinai e "la grazia della verità" nella rivelazione definitiva di Gesù. Le due tappe della rivelazione non sono in contrasto tra loro: Mosè è il rivelatore imperfetto della legge e il mediatore umano tra Dio e Israele, Gesù invece è il Rivelatore perfetto e definitivo della Parola e il Mediatore umano-divino tra il Padre e l'umanità.

Infine il versetto finale del prologo offre un'ulteriore spiegazione del perché Gesù è il compimento della legge di Mosè: perché Dio si rivela in Gesù. Solo il Figlio unigenito ha potuto rivelare il Padre perché nessuno ha mai visto Dio se non il Figlio unigenito che ce l'ha rivelato ( v.18).

Il "seno" del Padre nel linguaggio biblico è l'immagine tipica dell'amore e dell'intimità: tutta la vita di Gesù si svolse come vita filiale in un atteggiamento di ascolto e di obbedienza al Padre, in un rapporto di amore con il Padre e come manifestazione del Padre.

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