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RIFLESSIONI E COMMENTI BIBLICI (Vol.1)

Ultimo Aggiornamento: 31/12/2010 09:55
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31/08/2010 12:09
 
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Dal Vangelo secondo Luca 4,31-37

• Nel vangelo  vediamo da vicino due fatti: l’ammirazione della gente per il modo di insegnare di Gesù e la guarigione di un uomo posseduto da un demonio impuro. Non tutti gli evangelisti raccontano il fatto allo stesso modo. Per Luca, il primo miracolo è la calma con cui Gesù si libera dalla minaccia di morte da parte della gente di Nazaret (Lc 4,29-30) e la guarigione dell’uomo posseduto (Lc 4,33-35). Per Matteo, il primo miracolo è la guarigione dei malati e degli indemoniati (Mt 4,23) o, più specificamente, la guarigione di un lebbroso (Mt 8,1-4). Per Marco, l’espulsione di un demonio (Mc 1,23-26). Per Giovanni, il primo miracolo fu a Cana, dove Gesù trasformò l’acqua in vino (Gv 2,1-11). Così, nel modo di raccontare le cose, ciascun evangelista indica qual è stata secondo lui la più grande preoccupazione di Gesù.
• Luca 4,31: Il cambiamento di Gesù verso Cafarnao: “Gesù discese a Cafarnao, una città della Galilea, e il sabato ammaestrava la gente”. Matteo dice che Gesù andò a vivere a Cafarnao (Mt 4,13). Cambiò residenza. Cafarnao era una piccola città all’incrocio tra due strade importanti: quella che veniva dall’Asia Minore ed andava verso Petra al sud della Transgiordania, e l’altra che veniva dalla regione dei due fiumi: il Tigre e l’Eufrate e scendeva verso l’Egitto. Il cambiamento verso Cafarnao facilitava il contatto con la gente e la divulgazione della Buona Notizia.
• Luca 4,32: Ammirazione della gente per l’insegnamento di Gesù. La prima cosa che la gente percepisce è che Gesù insegna in modo diverso. Colpisce non tanto il contenuto, quanto il suo modo di insegnare: “Gesù parlava con autorità.”Marco aggiunge che per questo suo modo diverso di insegnare, Gesù creava una coscienza critica tra la gente nei riguardi delle autorità religiose del suo tempo. La gente percepisce e paragona: “Insegna con autorità, diverso dagli scribi” (Mc 1,22.27). Gli scribi dell’epoca insegnavano citando le autorità. Gesù non cita nessuna autorità, bensì parla partendo dalla sua esperienza di Dio e della sua vita.
• Luca 4,33-35: Gesù lotta contro il potere del male. Il primo miracolo è l’espulsione di un demonio. Il potere del male si impossessava delle persone, alienandole. Gesù restituisce le persone a se stesse, restituendo loro la coscienza e la libertà. Lo fa grazie alla forza della sua parola: "Taci, esci da costui!" Ed in un’altra occasione dice: “Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio.” (Lc 11,20). Anche oggi, molta gente vive alienata da se stessa, soggiogata dai mezzi di comunicazione, dalla propaganda del governo e del commercio. Vive schiava del consumismo, oppressa dai debiti e minacciata dai creditori. La gente pensa che non vive bene se non ha tutto ciò che la propaganda annuncia. Non è facile espellere questo potere che oggi aliena tanta gente, e restituire le persone a loro stesse
• Luca 1,36-37: La reazione della gente: ordina agli spiriti impuri. Gesù non solo ha un modo diverso di insegnare le cose di Dio, ma provoca anche ammirazione nella gente per il suo potere sugli spiriti impuri: "Che parola è questa che comanda con autorità e potenza gli spiriti immondi e questi se ne vanno?" Gesù apre un cammino nuovo in modo che il popolo possa mettersi dinanzi a Dio a pregare e ricevere la benedizione promessa ad Abramo. Doveva prima purificarsi. C’erano molte leggi e norme che rendevano difficile la vita della gente ed emarginavano molte persone, considerate impure. Ma ora, purificate dalla fede in Gesù, le persone potevano di nuovo mettersi in presenza di Dio e pregarlo, senza necessità di ricorrere alle norme di purezza complicate e spesso dispendiose.
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02/09/2010 08:52
 
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Eremo San Biagio
Commento su Luca 5,1-2

Dalla Parola del giorno
“Mentre la folla faceva ressa intorno a Gesù per ascoltare la Parola di Dio, egli vide due barche ormeggiare alla sponda.”

Come vivere questa Parola?
In questa pagina di vangelo che si conclude con la chiamata di Pietro ad abbandonare la sua rete per diventare “pescatore di uomini”, desidero sottolineare due cose. Anzitutto il sorprendente mai stanco assembrarsi della gente intorno a questo Rabbi di Nazareth, così uguale in tutto agli altri uomini, e così diverso, misteriosamente aleggiante il mistero di Dio. E fa parte ancora di questa mia prima sottolineatura il notare che tutti pendono dalle labbra di Gesù perché vogliono ascoltare da Lui ‘la Parola di Dio’, non una qualsiasi parola umana.
La seconda sottolineatura riguarda quel ‘vedere’ le barche da parte di Gesù.
E’ lì, in un ambiente semplice, immerso nella natura, e non accenna ad abbandonarlo, per recarsi chissà dove a proclamare le cose di Dio. Anzi, vede le barche ormeggiate, chiede di entrare in una di esse e lì, nel lago, si mette ad annunciare il vangelo; la notizia lieta e nuova dell’amore fedele e infinito di Dio per l’uomo.

Credo che valga la pena di chiedersi se anche noi sappiamo ‘vedere’ con occhi semplici le semplici cose che ci sono attorno, che formano il nostro ambiente abituale. E lì, proprio lì, che il Signore ci parla, colloquiando con noi anche perché noi impariamo ad apprezzare quel che è alla nostra portata e ce ne serviamo non per interessi egoici ma perché tutto finisca per risuonare del lieto annuncio di Gesù.

Signore, dammi occhi per vedere e cuore per gioire e ringraziare. Dammi senno per usare bene di quello che mi circonda.

Le parole di un pensatore
Il silenzio è l’elemento nel quale prendono forma grandi cose.
Thomas Carlyle
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03/09/2010 17:14
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Lo sposo, le nozze, il digiuno


Il digiuno, per noi, credenti in Cristo, è un gesto penitenziale e di espiazione, scandito da precisi momenti liturgici e affidato alla generosità dei singoli. Digiunando intendiamo partecipare personalmente e comunitariamente alle sofferenze di Cristo per aggiungere quello che manca alla sua passione. Digiuniamo anche per allenare il nostro spirito alle scelte migliori e ai decisi rifiuti delle tentazioni. Nei momenti di gioia siamo sollecitati ad esprimere tutta la nostra partecipazione: dobbiamo rallegrarci nel Signore per la sua presenza viva, per la sua risurrezione, per i suoi doni e le sue grazie. Quando lo Sposo è presente e la festa delle nozze è in atto, noi, come invitati, dobbiamo doverosamente rallegrarci nel Signore. Non può essere quello il tempo del digiuno. La festa cristiana ha le sue preminenti motivazioni nella fede e mai soltanto negli eventi umani. La liturgia, quando è intensamente vissuta, ci unisce alla festa perenne del cielo facendoci ripercorrere i momenti della storia della nostra salvezza. Così accade che gioia e dolore, festa e lutto scandiscono la nostra vita fino all'approdo fanale, alle nozze eterne, alla pasqua finale, dove «Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate». Gli apostoli sono con lo Sposo, con Cristo e non possono e non debbono digiunare. Verrà anche per loro il momento della passione, della croce e allora lo sposo scomparirà dai loro occhi. Allora avranno sì, motivo di digiunare e di rattristarsi.
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04/09/2010 16:04
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Era una prescrizione molto seria quella di non raccogliere spighe dai campi di sabato, giorno del Signore per gli ebrei, giorno di riposo. I poveri potevano raccogliere le spighe dai campi anche da altre proprietà, quando erano affamati, ma mai di sabato.

Così è scritto nel Libro del Deuteronomio 23,26: “Se passi tra la messe del tuo prossimo, potrai coglierne spighe con la mano, ma non mettere la falce nella messe del tuo prossimo”. Mangiavano i chicchi, dopo averli stropicciati con le mani, ed era un cibo ricercato.

Chi veniva colto mentre lavorava di sabato, anche raccogliendo le spighe, riceveva inizialmente un’ammonizione e l’impegno di compiere un sacrificio come riparazione. Se si ripeteva questa trasgressione, addirittura la pena era la lapidazione. La pena di morte. E se moriva di fame a causa della mancanza di spighe di grano?

L’esaltazione religiosa diventava fanatismo, lo stesso accade oggi tra i musulmani: obbligano l’osservanza di una norma esteriore in qualsiasi situazione e condizione. Non valutano lo stato psico-fisico della persona, le necessità spirituali, la dignità dell’essere umano.

I farisei erano scrupolosi nel condannare gli altri, la loro missione stava nel condannare chi trasgrediva appena appena un rito esteriore, quindi, cose non determinanti per la propria fede. Se uno si lavava le mani ma non i gomiti, strillavano impazziti, infatti loro non mangiavano se non si erano lavati le mani fino al gomito.

Ci troviamo dinanzi a persone che esagerano, diventando esaltati.

Anche nella Chiesa di oggi possiamo trovare questo comportamento, però nei due eccessi: ci sono quelli che condannano chi non segue il modernismo fatto di teorie di uomini invasati e fanatici; altri all’opposto condannano chi non è eccessivamente spirituale e non dice di avere visioni e rivelazioni. In tutti e due i casi si tratta di fanatismo stravagante.

I farisei trovano il modo di richiamare Gesù, il pretesto è dato dai suoi discepoli che mangiavano i chicchi di grano di sabato, dopo averlo raccolto e stropicciato, quindi, avevano lavorato. E di sabato non si poteva. Che assurdità!

Il problema non era tanto il sabato, era il pretesto per ammonire Gesù per poi chiederne la lapidazione. Un progetto spirituale per questi personaggi che parlavano di Dio ma nel cuore lasciavano covare satana.

Gesù diede una risposta scioccante, non potevano aspettarsi una citazione dell’Antico Testamento in cui proprio il re Davide aveva infranto questa legge, ritenuta tipicamente un rito esteriore. Se Davide che era molto venerato ha trasgredito la norma perché non possono farlo anche gli altri? Anzi, la gravità stava nella trasgressione di Davide.

Vediamo di fare una proiezione delle opere di Gesù compiute di sabato.

“C'era un uomo che aveva una mano inaridita, ed essi chiesero a Gesù:  È permesso curare di sabato? Dicevano ciò per accusarlo. Ed egli disse loro:  Chi tra voi, avendo una pecora, se questa gli cade di sabato in una fossa, non l'afferra e la tira fuori? Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del bene anche di sabato” (Mt 12,10-12).

“Discese a Cafarnao, una città della Galilea, e al sabato ammaestrava la gente” (Lc 4,31).

“Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. Ora c'era là un uomo, che aveva la mano destra inaridita. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato, allo scopo di trovare un capo di accusa contro di lui. Poi Gesù disse loro:  Domando a voi: È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla?” (Lc 6,6-7.9).

“Una volta stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. Il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse:  Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato. Il Signore replicò: Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott'anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?” (Lc 13,10.14-16).

“Un sabato era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: È lecito o no curare di sabato? Poi disse: Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori in giorno di sabato?” (Lc 1-3.5).

“Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse:  Vuoi guarire? Gli rispose il malato:  Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me. Gesù gli disse:  Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito: È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio.  Ma egli rispose loro: Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina. Gli chiesero allora: Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?” (Gv 5,5-12).

“Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato” (Gv 5,16).

“Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Gv 5,18).

“Mosè vi ha dato la circoncisione non che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi e voi circoncidete un uomo anche di sabato. Ora se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia trasgredita la Legge di Mosè, voi vi sdegnate contro di me perché ho guarito interamente un uomo di sabato?” (Gv 7,22-23).

“Era sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Allora alcuni dei farisei dicevano: Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato.  Altri dicevano:  Come può un peccatore compiere tali prodigi?  E c'era dissenso tra di loro” (Gv 9,14.16).

Dio ha affidato a Israele il sabato perché lo rispetti in segno dell'Alleanza perenne. Il sabato è per il Signore, santamente riservato alla lode di Dio, della sua opera creatrice e delle sue azioni salvifiche in favore di Israele.

Lodare Dio di sabato doveva essere soprattutto un riposo per pensare di più a Lui e alle cose del Cielo, come è scritto nel 3° Comandamento. Il riposo assoluto indicato nel Libro dell’Esodo (31,15), è l’obbligo a non fare il lavoro che si compie negli altri sei giorni, ma bisognava cucinare e pulire gli ortaggi, lavare, pulire la casa. Non dovevano mangiare? E cosa cambia rispetto ai chicchi di grano che mangiavano i discepoli di Gesù perché avevano fame?

Il giorno del Signore diventa la domenica dopo la sua Risurrezione, è in questo giorno che i cristiani devono osservare il riposo assoluto, ma ci sono faccende che si è obbligati a compiere.

Invece, preoccupa l’azione degli anticlericali, presenti in ogni settore della vita sociale, che cercano in tutti i modi di distogliere i cristiani dalla Santa Messa e dal riposo nel Cuore di Dio.

Guardate come è stato spalmato il calcio durante la settimana, mentre la domenica le partite si svolgono in tre o quattro orari diversi. Chi potrà staccare i tifosi dalle poltrone di casa e gli altri dal viaggiare per andare allo stadio e seguire la propria squadra?

Il problema non è quello di vedere il calcio, ma quando si diventa fanatici e si considera un idolo. Hanno scritto che in Italia il calcio è entrato ovunque, la tecnologia avvolge l’interesse e suscita adoratori.

E i tifosi non ne possono fare a meno, tralasciando la Santa Messa, la cura e l’armonia della famiglia, il riposo domenicale per ritemprarsi e fortificare lo spirito. Non c’è più tempo per la preghiera personale, la lettura di libri spirituali e le opere di misericordia corporale.

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05/09/2010 09:09
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Questa domenica Gesù ci spiega quali esigenze richiedono il seguire Lui. Si fa presto a dire che siamo seguaci del Signore, o magari ci consideriamo buoni cristiani per la frequenza della Messa domenicale e la recita di alcune preghiere. Ci vuole poco per capire che la fedeltà comporta l’adempimento delle opere che Gesù ci ha indicato nel suo Vangelo.

Gesù ci chiede un amore totale, ci dice che è vero amore quando Lo amiamo più dei familiari, e non è impossibile questo, perché Lui è Dio non è un oggetto inanimato, è Lui che ci ha dato la vita e ci continua a dare la Grazia dell’esistenza.

Bisogna amare veramente Gesù per amare in modo armonioso e corretto i familiari. Senza Gesù l’amore per i familiari può diventare possessivo, morboso, angoscioso.

I familiari non si possono amare pienamente ed effettivamente senza Gesù.

Questa è la spiegazione dell’introduzione che fa Gesù ai discepoli che Lo seguivano. Non li vuole allontanare dai familiari, la sua precisazione è importante per stabilire in che modo occorre seguirlo. Gesù è più importante dei familiari, perché è Dio. Amare qualcuno più di Gesù è la manifestazione di una mancata conversione. Lui non dice di non amare i familiari, al contrario, insieme al Signore si ameranno con un amore pieno e spirituale.

Diventare discepolo di Gesù significa voler imitare la sua Vita, sceglierlo come unico Maestro e Signore della propria esistenza. Lui deve diventare il vero riferimento a cui volgersi in ogni circostanza. Il mondo è alla deriva per la perdita di questo riferimento.

Scegliere Gesù ci aiuta a conoscerci, ci spinge a compiere uno sforzo giornaliero per esaminare la coscienza e capire la causa di un errore, il motivo di certe parole pronunciate in libertà. E chi si conosce, comincia a misurare le proprie capacità, non và oltre quello che gli è consentito, non progetta ciò che non potrà realizzare.

Come i bravi commercianti che controllano il denaro da investire e fanno periodici controlli per eliminare quei prodotti che non vanno bene e causano perdite economiche.

Anche noi dobbiamo fare queste verifiche spirituali per eliminare quei comportamenti che ci fanno perdere i doni di Gesù, alle volte la sua Grazia, l’amicizia di chi ci stimava, l’affetto di chi ci amava. Dobbiamo chiederci quali motivi ci spingono a non osservare i Comandamenti.

Gesù ci dice che spesso sono i beni materiali a rendere l’uomo cattivo.

Lui dice di rinunciare ai beni, ma chi riuscirà a farlo?

Le rinunce sono necessarie per liberare il cuore da ciò che opprime ed allontana Gesù. In questo modo riusciremo a mettere al primo posto la missione di essere cristiani, e che dobbiamo portare a compimento quel progetto che Dio nella creazione ha posto in ogni anima. Dio non ci ha creati a caso, ci conosce perfettamente, uno per uno.

È importante pensare ogni giorno al disegno che Gesù ha su ognuno di voi, un progetto di santificazione e di piena comunione. La verità è che durante il giorno pensate quasi sempre alla famiglia, al lavoro, ai problemi che non mancano, ma pochi pensano alle cose di Dio.

Perché Gesù mi ama ed è morto in Croce per me? Cosa mi chiede ogni giorno?

La giornata scorre e si susseguono le ore senza pensare a Gesù.

È importante riuscire a fermarvi e a riflettere sulla vostra vita, se avete preteso troppo in qualche circostanza, se volete rimanere in questa situazione oscillante tra amore e indifferenza, oppure volete costruire la casa spirituale sulla roccia.

La riflessione non deve riguardare le cose della terra, ci sono altre ore della giornata in cui già pensate alle preoccupazioni. L’angolo della preghiera giornaliera deve riguardare voi e Gesù. Nella preghiera silenziosa Dio vi aiuterà a superare ogni forma di difficoltà. Senza questa amorosa preghiera giornaliera, non incontrate mai Gesù né la bontà della Madonna.

Chi si ferma a riflettere scopre il vero Volto di Gesù.

Scopre anche il suo desiderio profondo di sentire Gesù nella propria vita.

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07/09/2010 16:12
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Molti quando leggono che Gesù pregava, minimizzano la sua divinità. Forse non sanno che in Gesù ci sono due nature e una sola Persona Divina. Troviamo nel Vangelo molti passi in cui si raccontano le notti che Gesù trascorreva in preghiera, a parlare con suo Padre, a ringraziarlo, lodarlo e amarlo. Prima delle grandi opere, trascorreva sempre la nottata a pregare, si preparava con la preghiera, eppure, come Dio poteva disporre tutto come voleva.

Gesù mostra con quale umiltà ricorreva al Padre, per obbedire solo alla sua volontà. Proprio la sua preghiera ci mostra la sua sottomissione nella sua umanità alla volontà del Padre.

La sua umanità sentiva la necessità di parlare con il Padre per avere forza e saggezza.

Per comprendere meglio il motivo della sua preghiera, dobbiamo capire prima che il Padre eterno e il Figlio eterno avevano una relazione sostanziale prima della nascita di Gesù. Prima ancora della sua nascita a Betlemme, Gesù era il Verbo eterno, la Parola del Padre, il Figlio eterno. Ma nasce come Uomo nel tempo, nella nostra storia.

In tutto Gesù compie la volontà del Padre, anche di andare alla morte di croce per pagare al posto nostro, per i nostri peccati. Ma muore nella sua natura umana e risorge il terzo giorno come Uomo, perché come Dio non poteva morire né risorgere.

Oggi dobbiamo studiare un po’ la Persona di Gesù. Considero opportuno riportare alcuni capitoli del nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, che fanno comprendere la divinità e l’umanità in Gesù. Non è una lettura pesante, solo un po’ impegnativa, ma è molto interessante. Chi legge, comprende meglio la Persona di Gesù, pregherà con maggiore fiducia.

«Seguendo i santi Padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero Uomo, [composto] di Anima razionale e di Corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l'umanità, "simile in tutto a noi, fuorché nel peccato"; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l'umanità.

Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola Persona e una sola ipostasi».

Poiché nella misteriosa unione dell'incarnazione “la natura umana è stata assunta, senza per questo venir annientata”, la Chiesa nel corso dei secoli è stata condotta a confessare la piena realtà dell'anima umana, con le sue operazioni di intelligenza e di volontà, e del Corpo umano di Cristo. Ma parallelamente ha dovuto di volta in volta ricordare che la natura umana di Cristo appartiene in proprio alla Persona divina del Figlio di Dio che l'ha assunta. Tutto ciò che Egli è e ciò che Egli fa in essa deriva da “uno della Trinità”.

Il Figlio di Dio, quindi, comunica alla sua umanità il suo modo personale d'esistere nella Trinità. Pertanto, nella sua Anima come nel suo Corpo, Cristo esprime umanamente i comportamenti divini della Trinità: “Il Figlio di Dio ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato”.

L'Anima umana che il Figlio di Dio ha assunto è dotata di una vera conoscenza umana. In quanto tale, essa non poteva di per sé essere illimitata: era esercitata nelle condizioni storiche della sua esistenza nello spazio e nel tempo. Per questo il Figlio di Dio, facendosi Uomo, ha potuto accettare di “crescere in sapienza, età e Grazia” (Lc 2,52) e anche di doversi informare intorno a ciò che nella condizione umana non si può apprendere che attraverso l'esperienza. Questo era del tutto consono alla realtà del suo volontario umiliarsi nella “condizione di servo” (Fil 2,7).

Al tempo stesso, però, questa conoscenza veramente umana del Figlio di Dio esprimeva la vita divina della sua Persona. “Il Figlio di Dio conosceva ogni cosa; e ciò per il tramite dello stesso Uomo che Egli aveva assunto; non per la natura (umana), ma per il fatto che essa stessa era unita al Verbo [...]. La natura umana, che era unita al Verbo, conosceva ogni cosa, e tutto ciò che è divino lo mostrava in se stesso per la sua maestà”. È, innanzitutto, il caso della conoscenza intima e immediata che il Figlio di Dio fatto Uomo ha del Padre suo. Il Figlio di Dio anche nella sua conoscenza umana mostrava la penetrazione divina che Egli aveva dei pensieri segreti del cuore degli uomini.

La conoscenza umana di Cristo, per la sua unione alla Sapienza divina nella Persona del Verbo incarnato, fruiva in pienezza della scienza dei disegni eterni che Egli era venuto a rivelare. Ciò che in questo campo dice di ignorare, dichiara altrove di non avere la missione di rivelarlo. (CCC 467.470.472-474).

Vi consiglio di rileggere questi capitoli, vi illumineranno.

Forse qualcuno non riuscirà nell’immediatezza a focalizzare bene, è solo questione di rileggerli con calma e di entrare nei misteri di Dio, per quanto è possibile.

Come abbiamo letto, il Padre e il Figlio avevano una relazione eterna prima che il Figlio prendesse la natura umana. La preghiera di Gesù è espressione della sua sottomissione al Padre.

Gesù ci ha insegnato che se vogliamo vivere nella volontà del Padre, è necessario pregare, fare veglie, ringraziarlo numerose volte nella giornata. Dio Padre è adorato, pregato, ringraziato da pochi cristiani, si tratta di una mancanza di conoscenza del Vangelo.

Ma Gesù come Dio in terra non era inferiore al Padre in Cielo.
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08/09/2010 22:15
 
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mons. Vincenzo Paglia
Commento Matteo 1,1-16.18-23 (forma breve: Matteo 1,18-23)

La visione dell'evangelista si allarga oltre i confini del popolo ebreo e si estende a tutti i popoli rappresentati dai magi. Erano dei sapienti, probabilmente dell'attuale Iraq, i quali seguirono una stella che avevano visto sorgere nel loro cielo. Formarono una piccola carovana, portando con sé oro, incenso e mirra da poter offrire. Giunti a Gerusalemme domandarono dove fosse il neonato re dei Giudei. Erode e gli abitanti di Gerusalemme si turbarono: l'uno temeva che qualcuno potesse insidiargli il trono, gli altri di essere disturbati nelle loro abitudini tranquille. Un bambino divenne una minaccia per i superbi abitanti della capitale e per il potente signore dell'Idumea, della Samaria e della Galilea. In un certo senso era vero. Bisognava andare a Betlemme per trovare l'alternativa all'orgoglio e all'amore per se stessi e per la propria tranquillità. Bisognava scendere dalla grande capitale e recarsi a Betlemme; anzi neppure al centro della cittadina, ma fuori le sue mura. Erode e i sacerdoti, pur sapendo non andarono. Erano schiavi del loro potere e delle loro sicurezze. I Magi, invece, che avevano seguito la stella con fedeltà anche se non capivano bene dove li avrebbe condotti, giunsero alla grotta dove trovarono il Bambino con sua madre. Era la risposta piena alla loro ricerca. I Magi accolsero con gioia quel Bambino come il Signore della loro vita. E fecero quindi ritorno alla loro terra "per un'altra via". Non intrapresero più la via di Erode, ossia la via della violenza e dell'autosufficienza, ma una nuova via, quella indicata dall'angelo: la via dell'amore e della pace.
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09/09/2010 14:39
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Questa pagina del Vangelo è assolutamente straordinaria, sono insegnamenti basilari per un cristiano e senza di essi non c’è autentica vita cristiana.

Questi insegnamenti vanno letti e meditati con attenzione, ripetuti e memorizzati quasi come una poesia. È una sinfonia divina che porta nell’anima consigli elevati e soprannaturali.

Vale la pena rileggere questi passi importanti e memorizzarli.

“Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”. È impossibile praticare questi insegnamenti senza la capacità del perdono, che matura nell’anima che ha superato prove e tribolazioni. La Fede vissuta con coraggio nelle circostanze dolorose, è la prova che ci si è staccati dalla materia e si pensa in modo spirituale.

“A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica”. La docilità è una grande virtù, non si deve confondere con la stupidità, quindi, percuotere sulla guancia significa che si possono subire cattiverie e perdonare senza sete di vendetta. Gesù provvederà.

“Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro”. Quanto è difficile dare senza aspettare nulla in cambio! Soprattutto, quando non si deve chiedere mai indietro quanto prestato.

“E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”. Questa è la regola d’oro. Vi consiglio di copiare questa frase in un biglietto da portare dietro in qualche tasca e leggerlo durante il giorno, o copiarla in una agenda o fogli che sono a vista. Riflettiamo sull’onestà, l’amore, la verità, la vera amicizia che desideriamo dagli altri, e comportiamoci di conseguenza.

“Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta?”. Dov’è l’amore divino?

 “Anche i peccatori amano quelli che li amano”. Ma è un amore interessato, impuro, carnale, che pretende molto in cambio. L’amore del Vangelo è disinteressato.

“E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso”. Anche questo insegnamento tocca alcune corde delicate. Si tratta di fare del bene a tutti, senza distinzione, con l’intenzione pura.

“E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto”. È difficile prestare qualcosa sapendo che non si riceverà più. Se ti chiedono in prestito l’automobile che hai comprato con sacrifici, certamente non la presti a sconosciuti o a persone inaffidabili. Non sei obbligato. La presti ad un familiare o parente o amico fidato. Non confondiamo il prestito del Vangelo con la donazione di tutto.

“Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi”. Amare i nemici non comporta riunirsi con loro, è sufficiente perdonarli con il cuore, desiderare ogni bene, pregare per loro, dimenticare ogni episodio passato.

“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati”. Il giudizio è sempre sulla punta della lingua, non appena si apre la bocca lui esce fuori… a prendere un po’ d’aria… Bloccare il giudizio è possibile, si tratta di controllare i pensieri che si affacciano alla mente e bloccare i giudizi. Inoltre, il cammino spirituale elimina la debolezza del giudizio per la presenza dello Spirito Santo che sostituisce lo spirito umano.

“Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”. Saremo giudicati con lo stesso metro che abbiamo usato con gli altri.

Dobbiamo riempirci dell’Amore di Gesù per donarlo agli altri.
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10/09/2010 16:42
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

 

(Lc 6,39-42)

Può forse un cieco guidare un altro cieco?


L'insegnamento che Gesù ci dà, riguarda tutti i formatori, cominciando dai Sacerdoti fino ai genitori. Il formatore è colui che forma una coscienza, uno stile di vita, un comportamento cristiano nel nostro caso. Proprio il formatore deve essere un modello per dare pieno credito ai suoi insegnamenti.

È sotto gli occhi di tutti che il ruolo di formatore è oggi saltato, ma non da oggi, da più di trent’anni è iniziata un’evoluzione in senso negativo della relazione genitori-figli e Sacerdoti-fedeli.

Il progresso culturale, economico, sociale è sempre un miglioramento, il guaio quando la mutazione tocca la Fede, la morale, la coscienza. Purtroppo, la morale è stata intaccata in pieno, sicuramente agevolata dai mezzi di comunicazione che hanno presentato una nuova società non più cristiana priva di ogni valore spirituale.

Le famiglie si sono disgregate, si è introdotto un distacco tra genitori e figli, avendo le due parti subito una nuova mentalità libertina, permissiva e in molti casi anche dissoluta.

Da alcuni decenni, molti genitori non svolgono più il ruolo di formatori, non tanto per disprezzo verso i figli forse per troppo amore, e sono incapaci di trasmettere una sana educazione e l’istruzione religiosa ai propri figli, perché occupati in altre faccende. Anche se moltissimi genitori pregano per i figli e cercano in tutti i modi possibili di riportarli nella via dei valori cristiani. In molti casi è difficile, c’è bisogno di altro, della testimonianza di vita.

Quelli che dovevano salvare la società e le famiglie, sono invece caduti nella confusione del cambiamento ideologico. Certi Sacerdoti hanno seguito la mentalità progressista portata dentro la Chiesa da moltissimi teologi iscritti alla massoneria o diventati atei, hanno perduto la Fede, da cui nasce l’indifferenza, così da formatori sono diventati megafono del nulla.

Ancora in molte parrocchie si assapora l’odore del Vangelo e i parroci svolgono con serietà ed amore il ruolo di formatori, ma sono sempre meno rispetto alla richiesta.

Un cieco non può guidare un altro cieco, un genitore o un parroco distaccati dal Vangelo e dai veri valori, non sono più modelli e testimoni credibili, per questo i figli e i fedeli non potranno mai vivere la propria Fede. Potranno farlo per gli sforzi personali.

La nuova mentalità trasgressiva che ha colpito la società è un virus potente. Ma non è invincibile. Nessuno deve pensare di non poter ritrovare la vera spiritualità, Gesù non abbandona nessuno, specialmente quanti ritornare a Lui con pentimento ed umiltà.
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12/09/2010 12:38
 
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padre Romeo Ballan

Che neppure una pecora si perda!

Riflessioni
Il capitolo 15° è il cuore del Vangelo di Luca. Con le tre famose parabole -della pecora smarrita, la moneta perduta, il papà di due figli sbandati- Gesù mette in evidenza il Cuore di Dio, che è Padre-Madre buono, amico, solidale, accogliente, ricco di misericordia, sempre disposto al perdono, all'abbraccio, a voltar pagina, a far nuovo il cuore di chiunque a Lui si affida e di Lui si fida. Per Lui nessuna pecora è anonima o superflua: tutte sono importanti, nessuna si deve smarrire, fa il possibile perché neppure una si perda e, se succede, fa di tutto per ricuperarla. Dà perfino la vita per riunire i figli dispersi (cf Gv 11,52). Il Padre prodigo di misericordia è il nucleo centrale del Vangelo, la bella notizia per eccellenza, che apre il cuore alla speranza, alla gioia, alla vita.
L'orientamento fondamentale di una persona e la sua stabilità psichica-emotiva-spiritualedipendono dall'idea che si ha di Dio. Spesso, per condizionamenti familiari o metodi educativi, varie persone sono indotte a portarsi addosso l'idea falsa di un Dio giudice severo, gretto, castigatore, lontano, distratto, chiuso nel suo mondo… Nulla di più aberrante e pericoloso! La pagina odierna del Vangelo di Luca è tutta sul versante opposto; aiuta a scrollarsi di dosso tale fardello negativo e fa scoprire il vero volto del nostro Dio, così come Gesù ce lo rivela. Il Dio cristiano ama la festa, gioisce, invita a far festa, provoca la festa… (v. 5.6.7.9.10); ama essere nostro compagno di viaggio nei momenti di gioia come pure in quelli di dolore, sempre pronto a dare ali alla speranza e coraggio nelle frustrazioni.
Il Dio cristiano offre a tutti la possibilità della festa, con la tipica gioia che nasce dal mistero pasquale. Ma sempre nello scenario irrinunciabile della libertà. Per esempio, Gesù non dice che il pastore abbia poi sbarrato la porta dell'ovile per impedire alle pecore altre scappatelle; né dice che abbia chiuso a chiave la porta di casa per impedire al figlio minore di andarsene nuovamente; non dice neppure se, alla fine, il figlio maggiore sia entrato alla festa, o sia rimasto chiuso nella posizione di rifiuto di suo padre e di suo fratello… Dio si offre come centro e luogo della festa, della vita, ma non forza nessuno. Nella sua libertà l'uomo può anche arrivare al punto di resistere a Dio e di chiudersi al dono che Egli fa di se stesso. Ma se uno Gli apre il cuore, Dio entra a far festa con lui (cf Ap 3,20). (*)
Paolo (II lettura) si presenta come una persona radicalmente trasformata da Dio, il quale, andando oltre i gravi sbagli dell'apostolo, lo ha reso forte, lo ha giudicato degno di fiducia chiamandolo al suo servizio e usandogli misericordia (v. 12-13). Infatti "Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori" (v. 15), rivelandoci così il vero cuore di Dio Padre, come appare già nel Primo Testamento (I lettura). Dio minaccia di castigare il popolo che lo ha rifiutato facendosi "un vitello di metallo fuso" (v. 8). In realtà, la minaccia è solo apparente, è parte di una pedagogia salvifica più ampia, per far comprendere la forza della preghiera di intercessione. Mosè ne è un esempio luminoso: egli si colloca sulla breccia, fa da ponte fra il popolo e Dio, supplicando Dio in favore del popolo. Da bravo avvocato, suggerisce a Dio stesso le ragioni per le quali Egli non può distruggere il suo popolo (v. 11-13).
Mosè appare come modello di orante, convinto della forza missionaria della preghiera di intercessione, che spesso va unita all'offerta della sofferenza e della propria vita. "Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio" (v. 11). "In realtà l'espressione usata nel testo originale ebraico andrebbe tradotta così: «Mosè allora cominciò ad accarezzare il volto del Signore, suo Dio, dicendo…». Mosè si comporta come un bambino che vede il papà corrucciato e si mette a coccolarlo, fino a quando riesce a strappargli un sorriso. L'immagine di Mosè che accarezza il volto di Dio è una delle più belle della Bibbia" (Fernando Armellini). La forza missionaria della preghiera di intercessione è ampiamente documentata nella Bibbia e nella storia della spiritualità incarnata nei grandi oranti: Abramo, Mosè, Samuele, Davide, Geremia, Ester, Paolo, Maria, Cristo, lo Spirito Santo… E poi San Benedetto, Teresa d'Avila, Giovanni M. Vianney, Teresa di Calcutta e tanti altri grandi evangelizzatori che imploravano da Dio l'efficacia della loro azione missionaria e la conversione del cuore della gente. Un esempio fra gli altri è San Daniele Comboni, che afferma: "L'onnipotenza della preghiera è la nostra forza".
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12/09/2010 21:42
 
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Gesù ci propone tre parabole, con un unico significato: la misericordia infinita di Dio. Non ha limite il suo perdono, perché Lui è l’Amore che solo ama ed aiuta.

Sbagliano gravemente quanti si ribellano contro Gesù, dovrebbero fare un esame di coscienza e chiedersi se hanno ottemperato alla Legge di Dio, in pratica, se hanno osservato i Comandamenti e praticato il Vangelo. Sta tutto qui, e non è cosa da poco. Infatti, non sono molti i cristiani che riescono a vivere in modo veramente coerente. Cosa li blocca?

Soprattutto la poca conoscenza di Gesù, al tempo stesso l’ascolto di insegnamenti sbagliati su Dio e il Vangelo. Per esempio, molti utilizzano la misericordia di Dio per insegnare che perdona tutto e non c’è neanche bisogno della Confessione. In questo modo, non solo si svilisce questo Sacramento, si dà inoltre una erronea rappresentazione di Dio e delle sue prerogative. Si lascia credere che il peccato non è più un male ma un bene, e questa è una vera contraddizione: un comportamento dannoso è sempre un male, non può avere nulla di buono.

La misericordia infinita di Dio non è un perdono senza pentimento da parte dell’uomo, se Dio è sempre misericordioso, l’uomo per ricevere misericordia deve invocarla attraverso il pentimento e il ricorso alla Confessione.

Gesù oggi ci spiega che il suo Amore non è umano, quindi, noi non riusciamo a comprenderlo né a possederlo, solo Lui come Dio lo contiene in pienezza. Noi partecipiamo nella misura della collaborazione offerta, dipende dalla nostra conversione sincera e dal rinnegamento che è sempre indispensabile per distruggere l’uomo vecchio e rinascere rinnovati dallo Spirito Santo.

L’Amore infinito che Dio ha per ogni essere umano è spiegato benissimo da Gesù nelle tre parabole. Gesù spiega che deve curare non le anime dei giusti perché già vivono in comunione con Lui, sono i malati e i dispersi a necessitare delle sue attenzioni.

Lui si paragona al pastore che ha perduto una pecora, mette al sicuro le altre e và in cerca di quella perduta. Ritornerà dopo averla ritrovata.

Lui si paragona alla donna che perde una moneta di valore e si mette a cercarla fino a ritrovarla. Egli ci dice che non abbandona nessuno di noi, per Lui siamo preziosi perché sue creature e riscattati con la sua atroce morte di croce.

Delle tre parabole quella che suscita commozione è l’ultima, nessuna parola poteva spiegare meglio l’Amore di Dio Padre per tutti noi. Commento alcune frasi di questa parabola.

“Disse ancora una parabola: Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze”. Quando l’uomo si ribella contro Dio per motivi che sono sempre infantili, si prende quello che poteva ricevere fino a quel momento in Grazie ed aiuti, e se ne và per la sua strada. Chiude con Dio, non vuole ricevere null’altro, perché ha preteso tutto. Non riceverà altro.

“Partì per un paese lontano”. Un paese sconosciuto, và ramingo e vagabondo dove lo porta l’istinto e le passioni disordinate. Lascia Dio perché sceglie il peccato permanente, è inebriato dal peccato che lo rende schiavo ed euforico di nulla.

“E là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto”. Lontano da Dio si perde la Grazia e la vera felicità di avere un Padre che ci accetta come siamo, ci ama sempre e ci perdona dimenticando le nostre colpe. Sperperare i beni spirituali è la rovina dell’anima.

“Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno”. Passato il momento dell’euforia, l’uomo si trova povero di Amore Divino, crudo e misero. Neanche tutti i beni del mondo potranno ridargli la felicità di avere un Padre che è sempre misericordioso.

“Uno degli abitanti di quella regione, lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci”. Da ricco a servo, reso simile ai porci. Così è il peccatore che abbandona Dio e si lascia dominare dalla lussuria. La sua anima perde lo splendore e la comunione con Dio.

“Allora ritornò in sé”. Questa è l’unica condizione per ritrovare se stessi e di seguito incontrare Dio. Rientrare in se stessi è necessario per scoprire la condizione in cui si vive e cercare di risalire con l’aiuto della Grazia che arriva dalla Confessione.

“Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Il peccatore che sceglie la vita corrotta e minimizza i suoi gravi errori, non è degno di essere figlio di Dio.

“Suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Questo è Dio Padre, così ama il peccatore pentito, anche il più cattivo.

“Il padre disse ai servi: Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa”. In Cielo c’è grande festa anche per la salvezza di un solo peccatore. Nessuno deve pensare di non avere più possibilità per ricominciare una nuova vita. Dio Padre ha mandato il Figlio in croce per Amore di ognuno di noi.
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13/09/2010 16:01
 
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Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Neanche in Israele ho trovato una fede così grande.

Come vivere questa Parola?
Nei versetti che precedono, Gesù ha esplicitato quali siano i connotati di un'autentica fede. Ha quindi esortato i suoi discepoli a fondare la propria vita sulla roccia della sua Parola ascoltata e praticata. Oggi l'invito è ad allargare gli spazi della nostra "casa".
A offrire l'occasione è un ufficiale pagano capo di una centuria romana, amico e benefattore dei Giudei. Avendo un servo gravemente ammalato, egli invia a Gesù alcuni anziani dei Giudei per supplicarlo di guarirlo. Alla loro insistente preghiera, Gesù si mette in cammino, ma, quando è ormai vicino alla casa del centurione, questi, con profonda umiltà e delicatezza di tratto, non permette al Maestro di varcarne la soglia. Conosce, infatti, la legge di Mosè e non vuole esporlo al rischio di contrarre impurità. Ma ciò che maggiormente risplende è la sua incrollabile fiducia nella forza guaritrice di Gesù e nella potenza della sua Parola. Il testo evidenzia l'ammirazione del Maestro dinanzi a tanta fede: "Neanche in Israele ho trovato una fede così grande!". L'accento cade sulla fede, e la fede di un pagano. Un esplicito invito a verificare sia la qualità della nostra adesione a Dio, sia la capacità di riconoscere i valori degli altri diversi da noi per cultura, razza, religione...

Oggi si parla tanto di dialogo: la Chiesa stessa ci invita a farlo. Ma il nostro atteggiamento nei riguardi degli altri è di autentico apprezzamento?

Nella mia pausa contemplativa, ripeterò più volte a Gesù l'espressione del centurione: Signore non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma comanda con una parola e il mio "cuore" sarà guarito.
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14/09/2010 09:37
 
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Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce"

Come vivere questa Parola?
Questa festa sembra un'assurdità, se non si approfondisce il senso delle parole di S.Paolo all'interno della liturgia odierna. Come non ricordare che la croce era il patibolo più infame dell'epoca e che solo i malfattori della peggior risma venivano condannati a morire in croce? Solo nel penetrare l'autentica "follia dell'amore di Dio" che, facendosi uomo come noi "si fece obbediente fino alla morte e morte di croce" possiamo capire perché si parla di un'esaltazione della croce.
Sì, la festa di oggi costituisce la grazia di poter penetrare un po' in questa "follia d'amore", e ci consente di ca-pire che, in fondo, l'unica vera risposta al mistero del male e del dolore che così spesso ci tocca da vicino, è proprio la croce del Signore. Su di essa è stato appeso e distrutto –come dice altrove S.Paolo– il documento della nostra condanna per il nostro peccato. Ma c'è di più! A volte il cuore grida davanti al dolore degl'innocenti: "Perché –ti viene da urlare- Dio lo permette, perché non mette un argine al male e al dolore, almeno a quello dei bambini, dei non-colpevoli?". Ecco, c'è una luce, una sola risposta di luce. Anche se nascosta e intenta a cercare le silenziose vie dell'interiorità. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito". "Gesù è diventato come il serpente che Mosè aveva comandato di innalzare nel deserto. E' diventato Lui stesso l'immagine del male, l'immagine della sofferenza e, nello stesso tempo, il rimedio della sofferenza e del male per il grande amore con cui Dio ci ha amato" (A. Vanhoye)

Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiedo allo Spirito Santo di mettermi in discussione. Sono forse di quelli che identificano la propria sofferenza con l'obbligo di portare la croce e vivono una schiacciante rassegnazione? O sono di quelli che non finiscono di colpevolizzare Dio perché – dicono - non finisce di mandarci le croci?

Signore Gesù, risveglia il mio cuore a capire che la croce tu l'hai voluta. Per te l'hai voluta! E ci sei morto sopra per salvare me. Dammi di capire che il mio soffrire, se lo unisco alla tua croce, diventa un tesoro prezioso.

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15/09/2010 22:00
 
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padre Lino Pedron
Commento su Luca 2,33-35

Simeone, mosso dallo Spirito, ha riconosciuto Gesù; ora predice a Maria il destino del figlio. Anche Maria e Giuseppe, che sono i più prossimi a Gesù, hanno bisogno della parola rivelatrice per poter comprendere ciò che, in Gesù, Dio ha fatto per gli uomini. Per quanto si possa comprendere la pienezza delle imperscrutabili ricchezze di Cristo, rimane sempre in misura ancora maggiore ciò che supera la nostra capacità di comprensione.

Anche i genitori di Gesù si meravigliano e si stupiscono. La loro fede scopre e riconosce le profondità della sapienza e dell'amore di Dio.

Gesù è segno di contraddizione. In lui si realizza la parola del profeta Isaia: " Egli sarà laccio e pietra d'inciampo e scoglio che fa cadere per le due case d'Israele, laccio e trabocchetto per chi abita in Gerusalemme. Tra loro molti inciamperanno, cadranno e si sfracelleranno, saranno presi e catturati" (8,14-15). Dio ha dato a Gesù questa missione, perché Israele prendesse una decisione nei suoi confronti. Chi sta con lui sarà salvato; chi gli si oppone, cadrà. Israele sarà salvato non perché è il popolo eletto da Dio, ma perché prenderà la sua decisione a favore di Gesù. Solo chi sceglie Gesù appartiene veramente al popolo di Dio.

Gesù sarà insieme causa di caduta e di risurrezione per il popolo d'Israele, perché porta una salvezza "scandalosa" che nessuno è in grado di accettare. Gesù contraddice ogni pensiero dell'uomo. E' scandalo e follia! Per questo tutti lo contraddicono, si scandalizzano di lui e cadono. Viene qui adombrato il mistero della morte e risurrezione del Signore che come spada attraverserà il cuore di ogni discepolo e di tutta la Chiesa, di cui Maria è figura.

Il cantico di Simeone provoca inevitabilmente una reazione di meraviglia nei genitori. Essi fanno una progressiva scoperta del figlio, che li riempie di gioia, ma anche di sorpresa. Questo cantico è seguito da una profezia rivolta alla madre. Per Luca essa ha un compito particolare da assolvere accanto al figlio nel piano della salvezza. Per la prima volta viene segnalato il duro cammino che il Salvatore dovrà percorrere. Egli sarà un segno di contraddizione; la madre sarà trapassata da una spada. In mezzo alla sua gente Gesù sarà una pietra di scandalo per alcuni e una pietra di fondamento per risorgere a nuova vita per altri. La spada che trafigge l'anima di Maria indica i contrasti cui andrà soggetto il figlio, ma soprattutto la sua morte in croce. La spada che si abbatterà sul Cristo ferirà mortalmente anche la madre. Si tratta di una stessa passione, sopportata simultaneamente, ciascuno per la sua parte, dal figlio e dalla madre.

La missione di Maria, cominciata nelle gioia e nell'esultanza (cfr 1,28), si va coprendo di ombre, che si infittiranno sempre di più fino al Calvario.

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16/09/2010 08:46
 
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Paolo Curtaz

Vorrei imparare da Gesù a trattare la gente, giuro. A trattarla con rispetto, ascoltando, leggendo nel cuore, cogliendo il vero afflato, valorizzando. Nella conosciuta scena della prostituta e di Simone il fariseo Gesù riesce in un solo colpo a perdonare e convertire; la reazione tutto sommato educata di Simone non dice pienamente lo scandalo suscitato da questa scena: la prostituta che piange ai piedi di Gesù scioglie i propri capelli e asciuga i piedi del Maestro, è un segno ambiguo, provocatorio, una specie di allusione sessuale, una disponibilità: sciogliersi i capelli in pubblico era ragione sufficiente per una moglie per essere ripudiata! Ma Gesù capisce, questa donna usa l'unico linguaggio che conosce – ambiguo – per manifestare un affetto, un dono, una disponibilità.
Grande, immenso Maestro, grande. E Il perdono è donato, la vita salva: ora Gesù si occupa di Simone il fariseo che probabilmente aveva organizzato quel pranzo per manifestare stima verso questo Rabbì guardato con sospetto dai farisei. Gesù gli pone un caso, un esempio e gli chiede una soluzione. Se Gesù avesse smascherato pubblicamente il pensiero malvagio di Simone l'avrebbe umiliato, l'avrebbe perso, invece no, lo porta a ragionare, a scegliere, a capire. Simone stesso giunge alla conclusione di Gesù: ora ha capito, senza essere offeso, può condividere o meno la scelta di Gesù. Che dite: non abbiamo molto da imparare nei nostri colloqui di oggi?

Insegnaci a capire le vere intenzioni di chi ci sta di fronte, Signore, insegnaci ad accogliere senza ambiguità e a correggere senza offendere. Tu ci sei Maestro anche in questo, Signore Gesù!
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18/09/2010 09:42
 
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Paolo Curtaz

Come accogliamo la Parola? Nutre la nostra vita, la scalda, la provoca, la riempie? Siamo riempiti di parole, ossessionati dalle parole, invasi dalle parole, eppure una sola Parola può cambiarci la vita, quella del Signore Gesù. Lo sappiamo: esiste una specie di lotta fra la memoria e la dimenticanza nella nostra vita. Un esempio? Che vangelo c'era domenica scorsa? Vedete? Facciamo fatica, eppure quella era la parola che doveva illuminare la nostra settimana, nutrirla. L'esaltazione della croce avrebbe dovuto accompagnarci e consolarci! Bhé, non spaventiamoci: Gesù l'aveva previsto, era pensata questa cosa e Gesù stesso ne descrive le dinamiche: la parola portata via dall'avversario, la parola che soffoca a causa delle preoccupazioni e della mancanza di costanza, infine la parola che germoglia e porta molto frutto. E tu, amico che ascolti, che terreno sei? Qual è il terreno fecondo che porta molto frutto? A mio parere terreno fecondo è chi di noi si è sentito rappresentato nei primi terreni: sì, se sentiamo di essere incostanti, se ammettiamo che alle volte siamo distratti e dimentichi, allora la parola porterà frutto. Tenetela cara questa parola, amici, oggi sia la luce e il sorriso della nostra vita!

Facciamo fatica a conservare la tua Parola, Signore, anche noi, come nella parabola, siamo sottoposti a mille distrazioni. Ma oggi, ora, ti chiedo di fecondare la mia giornata: che porti frutto, Signore, secondo la tua volontà...
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21/09/2010 08:24
 
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a cura dei Carmelitani

1) Preghiera

O Dio, che ci hai reso figli della luce
con il tuo Spirito di adozione,
fa’ che non ricadiamo nelle tenebre dell’errore,
ma restiamo sempre luminosi
nello splendore della verità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...




2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 9,9-13
In quel tempo, Gesù passando, vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: "Seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli.
Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: "Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?".
Gesù li udì e disse: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".



3) Riflessione

• Il Discorso della Montagna occupa i capitoli 5,6 e 7 del vangelo di Matteo. La parte narrativa dei capitoli 8 e 9 ha lo scopo di mostrarci come Gesù metteva in pratica ciò che aveva appena insegnato. Nel Discorso della Montagna, lui insegna l’accoglienza (Mt 5,23-25.38-42.43). Ora lui stesso la mette in pratica accogliendo i lebbrosi (Mt 8,1-4), gli stranieri (Mt 8,5-13), le donne (Mt 8,14-15), i malati (Mt 8,16-17), gli indemoniati (Mt 8,28-34), i paralitici (Mt 9,1-8), i pubblicani (Mt 9,9-13), le persone impure (Mt 9,20-22), etc. Gesù rompe con le norme ed i costumi che escludevano e dividevano le persone, cioè con la paura e la mancanza di fede (Mt 8,23-27) e le leggi della purezza (9,14-17), e dice chiaramente quali sono le esigenze di coloro che vogliono seguirlo. Devono avere il coraggio di abbandonare molte cose (Mt 8,18-22). Così, negli atteggiamenti e nella prassi di Gesù vediamo in cosa consiste il Regno e l’osservanza perfetta della Legge di Dio.
• Matteo 9,9: La chiamata a seguire Gesù. Le prime persone chiamate a seguire Gesù sono quattro pescatori, tutti giudei (Mt 4,18-22). Ora, Gesù chiama un pubblicano, considerato peccatore e trattato come un essere impuro dalle comunità più osservanti dei farisei. Negli altri vangeli, questo pubblicano si chiama Levi. Qui, il suo nome è Matteo, che significa dono di Dio o dato da Dio. Le comunità, invece di escludere il pubblicano e considerarlo impuro, devono considerarlo un Dono di Dio per la comunità, poiché la sua presenza fa sì che la comunità diventi un segno di salvezza per tutti! Come i primi quattro chiamati, così pure il pubblicano Matteo lascia tutto ciò che ha e segue Gesù. Seguire Gesù comporta l’obbligo di rompere con molte cose. Matteo lascia il banco delle tasse, la sua fonte di reddito, e segue Gesù!
• Matteo 9,10: Gesù si siede a tavola con peccatori e pubblicani. In quel tempo i giudei vivevano separati dai pagani e dai peccatori e non mangiavano con loro allo stesso tavolo. I giudei cristiani dovevano rompere questo isolamento e mettersi a tavola con i pagani e con gli impuri, secondo l’insegnamento dato da Gesù nel Discorso sulla Montagna, espressione dell’amore universale di Dio Padre. (Mt 5,44-48). La missione delle comunità era quella di offrire uno spazio a coloro che non lo avevano. Ma questa nuova legge non era accettata da tutti. In alcune comunità le persone venute dal paganesimo, pur essendo cristiane, non erano accettate attorno allo stesso tavolo (cf. At 10,28; 11,3; Gal 2,12). Il testo del vangelo di oggi ci mostra Gesù che si mette a tavola con pubblicani e peccatori nella stessa casa, attorno allo stesso tavolo.
• Matteo 9,11: La domanda dei farisei. Ai giudei era proibito sedersi a tavola con i pubblicani e con i peccatori, ma Gesù non segue questa proibizione. Anzi, fa amicizia con loro. I farisei, vedendo l’atteggiamento di Gesù, chiedono ai discepoli: "Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?" Questa domanda può essere interpretata come un’espressione del loro desiderio di sapere perché Gesù agisce così. Altri interpretano la domanda come una critica al comportamento di Gesù, perché per oltre cinquecento anni, dal tempo della schiavitù in Babilonia fino all’epoca di Gesù, i giudei avevano osservato le leggi della purezza. Questa osservanza secolare diventa un forte segno di identità. Allo stesso tempo era fattore della loro separazione in mezzo agli altri popoli. Così, a causa delle leggi sulla purezza, non potevano né riuscivano a sedersi attorno allo stesso tavolo per mangiare con i pagani. Mangiare con i pagani voleva dire contaminarsi, diventare impuri. I precetti della purezza legale erano rigorosamente osservati, sia in Palestina che nelle comunità giudaiche della Diaspora. All’epoca di Gesù, c’erano più di cinquecento precetti per conservare la purezza. Negli anni 70, epoca in cui scrive Matteo, questo conflitto era molto attuale.
• Matteo 9,12-13: Misericordia voglio e non sacrifici. Gesù ascolta la domanda dei farisei ai discepoli e risponde con due chiarimenti. Il primo è tratto dal buon senso: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati”. L’altro è tratto dalla Bibbia: “Imparate, quindi, cosa significa: Misericordia voglio, e non sacrifici”. Per mezzo di questi chiarimenti, Gesù esplicita e chiarisce la sua missione tra la gente: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori". Gesù nega la critica dei farisei, non accetta i loro argomenti, poiché nascevano da una falsa idea della Legge di Dio. Lui stesso invoca la Bibbia: "Misericordia voglio e non sacrifici!" Per Gesù, la misericordia è più importante della purezza legale. Lui fa riferimento alla tradizione profetica per dire che la misericordia vale per Dio molto di più che tutti i sacrifici (Os 6,6; Is 1,10-17). Dio ha viscere di misericordia, che si commuovono dinanzi alle mancanze del suo popolo (Os 11,8-9).
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23/09/2010 08:34
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Luca 9,7-9

Riflessione

- Il vangelo di oggi presenta la reazione di Erode alla predicazione di Gesù. Erode non sa come porsi davanti a Gesù. Aveva ucciso Giovanni Battista ed ora vuole vedere Gesù da vicino. L'orizzonte sembra minacciato.
- Luca 9,7-8: Chi è Gesù? Il testo inizia con l'esposizione delle opinioni della gente e di Erode su Gesù. Alcuni associavano Gesù a Giovanni Battista e a Elia. Altri lo identificavano con un Profeta, cioè con una persona che parla a nome di Dio, che ha il coraggio di denunciare le ingiustizie dei poderosi e che sa animare la speranza dei piccoli. E' il profeta annunciato nell'Antico Testamento come un nuovo Mosè (Dt 18,15). Sono le stesse opinioni che Gesù stesso raccoglie dai discepoli quando domanda: "Chi sono io secondo la gente?" (Lc 9,18). Le persone cercavano di capire Gesù partendo da cose che loro conoscevano, pensavano e speravano. Cercavano di inquadrarlo nei criteri familiari dell'Antico Testamento con le sue profezie e speranza, e nella Tradizione degli Antichi con le loro leggi. Ma erano criteri insufficienti. Gesù non vi entrava, lui era più grande!
- Luca 9,9: Erode vuole vedere Gesù. Ma Erode diceva "Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?" E cercava di vederlo. Erode, uomo superstizioso e senza scrupoli, riconosce di essere lui l'assassino di Giovanni Battista. Ora vuole vedere Gesù. In questo modo Luca suggerisce che le minacce incominciano a spuntare sull'orizzonte della predicazione di Gesù. Erode non ha avuto paura di uccidere Giovanni. Non avrà paura di uccidere Gesù. D'altro canto, Gesù, non ha paura di Erode. Quando gli dissero che Erode cercava di prenderlo per ucciderlo, gli mandò a dire: "Andate a dire a quella volpe: ecco io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani; ed il terzo giorno avrò finito" (Lc 13,32). Erode non ha potere su Gesù. Quando nell'ora della passione, Pilato manda Gesù ad essere giudicato da Erode, Gesù non risponde nulla (Lc 23,9). Erode non merita risposta.
- Da padre a figlio. A volte si confondono i tre Erodi che vissero in quell'epoca, poi i tre appaiono nel Nuovo Testamento con lo stesso nome:
a) Erode, chiamato il Grande, governò su tutta la Palestina dal 37 a. Cristo. Lui appare alla nascita di Gesù (Mt 2,1). Uccise i neonati di Betlemme (Mt 2,16).
b) Erode, chiamato Antipas, governò sulla Galilea dal 4 al 39 dopo Cristo. Appare nella morte di Gesù (Lc 23,7). Uccise Giovanni Battista (Mc 6,14-29).
c) Erode, chiamato Agrippa, governò su tutta la Palestina dal 41 al 44 dopo Cristo. Appare negli Atti degli Apostoli (At 12,1.20) e uccise l'apostolo Giacomo (At 12,2).
Quando Gesù aveva più o meno quattro anni, il re Erode morì. Era lui che aveva fatto uccidere i neonati di Betlemme (Mt 2,16). Il suo territorio fu diviso tra i figli, Archelao, ricevette il governo sulla Giudea. Era meno intelligente di suo padre, ma più violento. Quando assunse il potere, furono massacrate circa 3000 persone sulla pizza del Tempio! Il vangelo di Matteo dice che Maria e Giuseppe, quando seppero che questo Archelao aveva assunto il governo della Giudea, ebbero paura di ritornare per quel cammino e si ritirarono a Nazaret, in Galilea (Mt 2,22), governata da un altro figlio di Erode, chiamato Erode Antipa (Lc 3,1). Questo Antipa durò oltre 40 anni. Durante i trenta e tre anni di Gesù non ci furono cambiamenti nel governo della Galilea.
Erode il Grande, il padre di Erode Antipa, aveva costruito la città di Cesarea Marittima, inaugurata nell'anno 15 prima di Cristo. Era il nuovo porto di sbocco dei prodotti della regione. Doveva competere con il grande porto di Tiro nel Nord e, così, aiutare a svolgere il commercio nella Samaria e nella Galilea. Per questo, fin dai tempi di Erode il Grande, la produzione agricola in Galilea iniziava ad orientarsi non più a partire dai bisogni delle famiglie, come succedeva prima, ma partendo dalle esigenze del mercato. Questo processo di mutazione nell'economia continuò durante tutto il governo di Erode Antipa, oltre quarant'anni, e trovò in lui un organizzatore efficiente. Tutti questi governatori erano ‘servi del potere'. Infatti chi comandava in Palestina, dal 63 prima di Cristo, era Roma, l'Impero.


4) Per un confronto personale

- E' bene chiedersi sempre: Chi è Gesù per me?
- Erode vuole vedere Gesù. Era una curiosità superstiziosa e morbosa. Altri vogliono vedere Gesù perché cercano un senso per la loro vita. Ed io che motivazione ho che mi spinge a vedere ed incontrare Gesù?
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24/09/2010 08:40
 
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(Lc 9,18-22)

Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto

 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Questa lettura ci interpella sul valore del tempo, sull’utilizzo corretto o meno che ne facciamo, sulla riflessione del suo scandire, sulle ore che passano e non torneranno più indietro.

Ci invita a vivere alla presenza di Dio, prendendo cura del momento presente, che è l’unico di cui possiamo disporre veramente.

La lettura del Qoèlet ci dice che ogni funzione o dovere ha il suo tempo, e bisogna valutare con intelligenza come distribuire il tempo. Pochi pensano all’importanza del tempo, lo fanno quando non concludono certi impegni per mancanza di tempo o quando una malattia si presenta e fa spaventare. Sorgono domande sull’aldilà, sulla morte, su Gesù, il luogo dove si finirà, ecc. Ma non appena è passata la sofferenza, si ritorna come prima a non valutare la preziosità del tempo.

Riflettete quanto tempo si consuma ogni giorno in cose inutili.  

Invece di rimanere bloccati davanti la televisione, ipnotizzati da certe trasmissioni sul nulla, si possono svolgere tantissime altre cose. Per esempio, leggere, meditare, pregare il Rosario.

Molte persone si lamentano della mancanza di tempo, ma se viene chiesto a loro di riflettere, poi si ricordano che hanno sprecato molte ore davanti la televisione perché non sapevano cosa fare. Attratti da personaggi vuoti di valori e di credibilità.

La televisione va seguita per le cose intelligenti e che interessano la nostra vita.

Il tempo inesorabile passa e lascia ricordi, l’esperienza, soprattutto lascia in noi i segni della comunione con Gesù o l’avversione con Lui. I segni che intendo si evidenziano all’esterno, sul viso, i lineamenti della persona esprimono la dolcezza della vicinanza a Gesù o la crudeltà della lontananza da Gesù.

Questi segni sono incisi nell’anima, o sono buono o sono cattivi.

Il tempo che passa dovrebbe dare ai cristiani la possibilità di riempire sempre più di significato la loro esistenza, perché ogni giorno è una nuova grande opportunità di schierarci a fianco di Gesù e di diventare eroici. Ogni secondo è per noi credenti una grande occasione per vivere il Vangelo, mettendo Dio al primo posto ed amando il prossimo come noi stessi. Questo è il Cristianesimo.

Per attuare il Vangelo, dobbiamo vivere il momento presente, essere lucidi e riflessivi, senza lasciarci guidare dagli eventi. La vera difficoltà nasce quando non si conosce la volontà di Dio e si perdono mesi, lunghi anni inattivi, in attesa di capire cosa vuole Dio. E mentre si cerca la volontà di Dio, non si trova il tempo adeguato per ogni cosa.

Molti non riescono più a capire se sono loro a correre superando il tempo regolare oppure è il tempo che scorre regolare lasciandoli immobili con le loro fantasie, capricci, fissazioni.

Oggi è più l’uomo che corre, il tempo gli và dietro.

L’uomo corre, ma per andare dove? L’agitazione non porta a nulla, perdere tempo inutilmente avviene molto spesso, e per capire la finalità dell’utilizzo del tempo dobbiamo fare l’esame di coscienza, meditare sulla nostra vita e curare la vita spirituale. La cura dell’anima deve venire prima di quella del corpo, destinato a perire ed è mezzo di tentazione.

Il momento presente bisogna coglierlo con tutto quello che esso porta, solo così possiamo costruire la casa sulla roccia, mattone sopra mattone, virtù dopo virtù.

È questo è il segreto della vita spirituale.

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28/09/2010 13:17
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Si diresse risolutamente verso Gerusalemme

Riferisce l'evangelista Luca che Gesù e i suoi discepoli stavano andando a Gerusalemme. Egli sapeva che andava a morire. Lo muoveva solo un forte desiderio di amore: "Si diresse risolutamente verso Gerusalemme". Passarono vicino ad un villaggio di Samaritani, ma essi si rifiutarono di riceverlo. Anche i samaritani, gli esclusi, escludono l'escluso. Gesù è l'inviato del Padre, che accoglie tutti, per questo è il più piccolo di tutti. Propone il suo messaggio, propone liberamente la sua persona. Quando videro ciò i discepoli dissero: "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?" Essi desiderano che siano puniti per la loro disubbidienza, quando Gesù si consegna loro per l'obbedienza al Padre e li salva. Contrasto grandissimo fra quel cuore di Dio che cammina verso la salvezza di tutti e quei cuori di discepoli che camminano sì con lui, ma non hanno ancora compreso nessun mistero di salvezza. D'ora in poi il Vangelo non è solo parola da ascoltare, ma anche e soprattutto via da seguire per giungere a contemplare quella croce, manifestazione piena dell'infinito amore di Dio per l'intera umanità. "E voltatosi, li sgridò". Gesù si volge verso di noi che non siamo ancora rivolti pienamente verso di lui. Siamo lontani dall'accogliere personalmente la rivelazione di un Dio di compassione e di tenerezza. "E si avviarono verso un altro villaggio". Il rifiuto è un tassello in più sul suo cammino verso Gerusalemme. Rifiutato dai fratelli, ci salva - attraverso la misericordia e la croce. Qui si manifesta la diversità tra lo spirito dell'uomo e quello di Dio.
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29/09/2010 13:39
 
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VANGELO (Gv 1,47-51)

Vedrete il cielo aperto e gli Angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’Uomo

 

Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Continuano ad arrivarmi messaggi pieni di gratitudine per i commenti. Dobbiamo ringraziare la Madonna per la nostra Parrocchia virtuale e la newsletter giornaliera. Per questioni di spazio non riporto gli innumerevoli messaggi, ne approfitto qui per ringraziare tutti quelli che mi scrivono, ad uno a uno, ricordando tutti i nomi.

Non sono vicino solamente a chi scrive, non è così, mi sento veramente vicino a tutti voi iscritti a questa newsletter, perché prego ogni giorno per tutti. Molti non scrivono ma pregano  per me, sono anch’essi interiormente e fortemente partecipi a questa nostra comunità virtuale.

Non ci vediamo, non parliamo, ma ci conosciamo attraverso i nostri Angeli Custodi. Non siamo mai soli, c’è sempre un Angelo vicino a noi, a proteggerci dai pericoli e guidarci verso la salvezza. Molti però non riescono ad ascoltare le ispirazioni dell’Angelo Custode, dovuto alla mancata purificazione, ad uno stato spirituale ancora molto umano.

Eppure, i nostri Angeli sono così obbedienti e vicini, desiderosi di lavorare per noi, perché Dio li ha incaricati di guidarci in questo caos mondano. Se gli Angeli rimangono inoperosi, la colpa è nostra, non Li amiamo, non Li preghiamo, non ci ricordiamo di Loro, non facciamo alcun sacrificio per ringraziarli, e si vive nella dissipazione, ovvero, nei vizi.

La Festa liturgica dei tre Arcangeli è l’occasione per mostrare la nostra gratitudine, magari recitando alcune preghiere agli Angeli o meditando qualcosa sull’importanza della devozione ai messaggeri divini.

Proprio perché gli Angeli sono straordinari, satana ispira i suoi uomini.

Da alcuni decenni è iniziata una campagna contro la devozione agli Angeli, molti teologi hanno insegnato che non esistono, allo stesso tempo negano l’inferno e l’esistenza dei diavoli.

Quale vantaggio ne hanno? Sembrerebbe nulla a prima vista, in realtà, perseguono il progetto di demolire quella Fede che loro non hanno più, essi soffrono nel pensare che i semplici fedeli pregano con vera devozione e credono ancora con fermezza in Gesù e nella Chiesa Cattolica.

Quanti hanno perduto la Fede, non gioiscono pensando a quelli che avanzano nel cammino spirituale, preferiscono diventare assassini spirituali piuttosto che morire di invidia, così uccidono le anime con insegnamenti eretici. Compiono tutti gli sforzi per negare Gesù storico.

Quando erano credenti non avevano questo vigore e sonnecchiavano, ma dopo essere diventati pagani, dopo avere perduto quella altalenante Fede che avevano, sono diventati energici nell’apostolato a favore di satana, perché vogliono distruggere la figura storica di Gesù Cristo e la Chiesa Cattolica.

Molti cristiani sono sorprendentemente vivaci nel seminare zizzania all’interno della Chiesa, inventando nuove dottrine e manifestando una santità che non esiste affatto.

Molti partecipanti a gruppi di preghiera dicono in giro di avere visioni e di ricevere messaggi. Non si rendono conto di affermare allo stesso tempo di non essere onesti né credibili, perché chi ha visioni non lo racconta agli altri, essendo già stato purificato dalla Grazia di Dio e trasfigurato dallo Spirito Santo. I tesori li tiene nascosti nel cuore. In silenzio.

Allora abbiamo bisogno degli Angeli Custodi, senza dimenticare i tre grandi Arcangeli di domani, Loro possono notevolmente aiutarci a superare atteggiamenti spirituali pieni di superbia e di inganno.

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30/09/2010 11:07
 
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Riflessione

Contesto. Il cap.10 di LUCA di cui il nostro brano è l’inizio, presenta un carattere di rivelazione. In 9,51 si dice che Gesù «prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». Questo cammino, espressione del suo essere filiale, è caratterizzato da una duplice azione: è unito strettamente all’«essere tolto» di Gesù (v.51), la sua «venuta» mediante l’invio dei suoi discepoli (v.52): c’è un legame nel duplice movimento: «essere tolto dal mondo» per andare verso il Padre, ed essere inviato agli uomini. Difatti accade che l’inviato qualche volta non venga accolto (9,52 e quindi deve apprendere come essere «consegnato», senza per questo lasciarsi modificare dal rifiuto degli uomini (9,54-55). Tre brevi scene fanno comprendere al lettore il significato di seguire Gesù che va a Gerusalemme per essere tolto dal mondo. Nella prima viene presentato un uomo che desidera seguire Gesù dovunque egli vada; Gesù lo invita ad abbandonare tutto ciò che gli procura benessere e sicurezza. Coloro che vogliono seguirlo devono condividere il suo destino di nomade. Nella seconda è Gesù che prende l’iniziativa e chiama un uomo a cui è appena morto il padre. L’uomo chiede una dilazione della chiamata per ottemperare al suo dovere di seppellire il genitore. L’urgenza di annunciare il regno supera questo dovere: la preoccupazione di seppellire i morti è inutile perché Gesù và oltre le porte della morte e lo compie anche per coloro che lo seguono. Nella terza scena, infine, viene presentato un uomo che si offre spontaneamente a seguire Gesù ma pone una condizione: salutare prima i suoi genitori. Entrare nel regno non ammette ritardi. Dopo questa triplice rinuncia l’espressione di Lc 9,62, «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio», introduce il tema del cap.10.
La dinamica del racconto. Il brano che è oggetto della nostra meditazione inizia con delle espressioni alquanto dense. La prima, «Dopo questi fatti, rimanda alla preghiera di Gesù e alla sua decisione ferma di andare a Gerusalemme. La seconda riguarda il verbo «designare»: «designò altri settantadue e li inviò…» (10,1), dove si precisa che li inviò davanti al suo volto, è lo stesso volto risoluto con cui s’incammina verso Gerusalemme. Le raccomandazioni che Gesù rivolge loro prima dell’invio sono un invito a essere consapevoli della realtà a cui sono mandati: messe abbondante in contrasto con il numero esiguo degli operai. Il Signore della messe arriva con tutta la sua forza ma la gioia di tale arrivo è ostacolata dal numero ridotto di operai. Di qui l’invito categorico alla preghiera: «Pregate il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (v.2). L’iniziativa di inviare in missione è di competenza del Padre ma Gesù trasmette l’ordine: «Andate!» e poi indica le modalità da seguire (vv.4-11). Si inizia con l’equipaggiamento: né borsa, né sacco, né sandali. Elementi questi che connotano la fragilità di chi è inviato e la sua dipendenza dall’aiuto che riceve dal Signore e dagli abitanti della città. Le prescrizioni positive sono sintetizzate prima nell’accesso alla casa (vv.5-7) e poi nel successo in città (vv.8-11). In ambo i casi non è escluso il rifiuto. La casa è il primo luogo dove i missionari intrattengono i primi scambi, le prime relazioni, valorizzando i gesti umani del mangiare e del bere e del riposarsi come mediazioni semplici e ordinarie per comunicare il vangelo. La «pace» è il dono che precede la loro missione, vale a dire, pienezza di vita, e di relazioni; la gioia vera e reale è il segno che contraddistingue l’arrivo del Regno. Non bisogna cercare le comodità, è indispensabile essere accolti. La città diventa, invece, il campo più esteso della missione: in esso si svolge la vita, l’attività politica, le possibilità della conversione, dell’accoglienza o del rifiuto. A quest’ultimo aspetto è legato il gesto di togliere via la polvere (vv10-11), è come se i discepoli abbandonando la città che li ha rifiutati dicano agli abitanti di non essersi impossessati di nulla o potrebbe esprimere la cessazione delle relazioni. Infine, Gesù ricorda la colpevolezza di quella città che si sarà chiusa alla proclamazione del vangelo (v.12).
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01/10/2010 11:11
 
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Eremo San Biagio
Commento Luca 10,13-16


Dalla Parola del giorno
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato.

Come vivere questa Parola?
Per cogliere tutta la portata di questa affermazione di Gesù, è bene porre attenzione all'antifona che ne è come la porta: "Accogliete docilmente la parola che è stata seminata in voi: parola che può salvare la vostra vita".
Nel chiasso di oggi e di sempre ci sono persone che sono state consacrate appositamente per la trasmissione della Parola di Dio. Molte sono degne di questa altissima incombenza. Alcune (è capitato e può capitare) non lo sono, perché preda di umane debolezze. Ma bisogna ricordare che Gesù stesso, ai suoi tempi, a proposito di questi sacerdoti addetti al tempio ma avari e superbi, disse: "Fate quello che vi dicono ma non imitate quello che fanno". Non imitateli!
Ascoltare la Parola e accoglierla. Come la bottiglia che accoglie il vino buono anche se versato da un recipiente vecchio e scortecciato.
Ascoltare chi porge la Parola, chi parla nel nome del Signore. E non disprezzare la persona, mai. Tutt'al più, se si riscontra qualcosa di scandaloso, ricorrere a chi, nella Chiesa è il superiore responsabile di colui che non si dimostra all'altezza del suo compito: porgere la Parola, evangelizzare, dare i sacramenti. In un mondo confuso e invaso di chiacchiere mediatiche è importante, anche a questo proposito, essere come Gesù ci vuole.

È su questa importanza che mi soffermo nella mia pausa contemplativa e prego.

Dammi, Signore, un cuore in ascolto della tua Parola, un cuore buono e grato verso chi me la porge, un cuore orante perché siano mandati molti operai nel campo della tua Parola.
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02/10/2010 13:57
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 18, 1-5.10

Alla domanda dei discepoli: "Chi è il più grande nel regno dei cieli" (v.1), Gesù non risponde direttamente, ma compie anzitutto un gesto simbolico, che è già di per sé una risposta sconvolgente alle loro prospettive arriviste. Ci troviamo catapultati in una comunità in cui l'ordine delle grandezze è invertito, perché il bambino accolto si rivela essere Gesù in persona: "Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me" (v.5).

I rapporti tra di noi si impostano correttamente solo mediante la conversione e un atteggiamento umile verso Dio (v.3). Quando ci scopriamo poveri e piccoli davanti a Dio, allora capiamo che la domanda posta all'inizio dai discepoli non ha più senso. "Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli" (v.4).

Il punto di arrivo di ogni vera conversione è il diventare come i bambini. Ciò non significa ritornare nell'infanzia o, peggio, nell'infantilismo, ma mettersi davanti a Dio come bambini di fronte al padre. Questa situazione è considerata dal vangelo un'esigenza indispensabile di umiltà che permette tutte le crescite.

Diventare come un bambino e percepire che il Padre ci chiama sempre a crescere, è diventare ciò che dobbiamo essere: dei piccoli, dei poveri, dei beati (v.3) che aspettano tutto dalla sua grazia. Questa "umiltà attiva", che ha in Dio la sua origine e deve stare alla base della comunità cristiana, è un cammino coraggioso verso la croce come quello di Gesù. Consiste nel prendere il posto che è realmente il nostro.

Umiliarsi, diventare piccoli non è un ideale ascetico di timido nascondimento o di rassegnata sottomissione, ma un concreto servizio di Dio e del prossimo. Se Gesù si identifica con il piccolo, chi vorrà ancora essere grande? Piccolo è colui che non conta, colui che serve. Il primo posto nella comunità cristiana è riservato a lui. L'autorità deve mettere i piccoli al primo posto nella sua considerazione e nei suoi programmi. E tutti, se vogliono stare nella comunità cristiana, che è il regno di Dio, devono diventare piccoli, mettendosi in atteggiamento di servizio.

Dunque, per entrare nella comunità cristiana, per rimanervi e ancor più per affermarsi, non bisogna salire, ma tornare indietro (convertirsi) o discendere, non sentirsi grandi, ma farsi piccoli. Più la creatura si svuota di sé, più si rende idonea ad essere riempita da Dio.

La base di misura dei cristiani non è la grandezza o la potenza, ma l'umiltà (v.4). Essa è un atteggiamento interiore che si manifesta all'esterno ed è il segreto per la buona riuscita dei rapporti comunitari. Colui che è piccolo è un vero discepolo di Cristo ed è un vero membro della comunità, perché non pone ostacoli all'accoglienza e alla costruzione del regno di Dio.

Nel discorso della montagna (5, 3) Matteo aveva presentato la Chiesa dei poveri, qui presenta la Chiesa dei piccoli, che è una continuazione e un ampliamento della medesima. Purtroppo, anche nella Chiesa di Dio non sempre si vive fedelmente e integralmente il vangelo. San Giacomo scriveva: "Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria. Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: "Tu siediti qui comodamente", e al povero dite: "Tu mettiti in piedi lì", oppure: "Siediti qui ai piedi del mio sgabello", non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero!" (2, 1-5).

Un simile atteggiamento provoca il forte richiamo di Gesù: "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli!" (v.10) e l'intervento immediato del Padre in loro difesa: egli ha disposto uno schieramento di angeli a servizio e a difesa dei suoi bambini, dei suoi "piccoli". Tramite i propri angeli che vedono la faccia di Dio, essi possono far giungere fino a lui i torti e le ingiustizie che ricevono. Chi tocca i suoi "piccoli", tocca Dio.

Il valore dei "piccoli" davanti a Dio è sottolineato dal riferimento ai loro angeli che vedono sempre la faccia del Padre che è nei cieli. Nella tradizione giudaica gli angeli "che stanno davanti a Dio", chiamati "angeli del volto", sono quelli di primo grado, incaricati di compiti speciali in ordine alla protezione degli eletti (cfr 1Enoch 40,1-10).
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04/10/2010 16:06
 
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padre Lino Pedron
 Commento su Matteo 11,25-30

L'opera di Gesù è presentata come rivelazione di Dio. Le "cose" che il Padre ha rivelato ai piccoli sono l'intero vangelo, cioè quella nuova comprensione di Dio e della sua volontà che è manifestata nei comportamenti e nelle parole di Gesù.

I sapienti e gli intelligenti, ai quali il Padre ha tenuto nascoste queste cose, sono i rabbini e i farisei che restano ciechi di fronte alla chiarezza delle parole di Gesù e irritati perché predica ai poveri.

I piccoli non sono i bambini, ma gli uomini senza cultura, senza competenza nelle scienze religiose. Concretamente, al tempo di Gesù, erano i poveri popolani disprezzati cordialmente dagli scribi e dai farisei. Di essi dicevano: "Un ignorante non può sfuggire al peccato e un uomo dei campi non può appartenere a Dio".

Gli affaticati e gli oppressi sono coloro che penavano sotto le pesanti prescrizioni della legge e che si sentivano smarriti davanti alla dottrina difficile e complicata dei rabbini. Gesù invita tutti costoro a cercare nel suo vangelo la vera volontà di Dio: una volontà esigente, ma lineare e semplice, alla portata di tutti.

Gesù si definisce mite e umile di cuore. Mite significa l'atteggiamento di Gesù nei confronti degli uomini, un atteggiamento lineare, coraggioso ma non violento; misericordioso, tollerante, pronto al perdono, ma anche severo ed esigente. Umile indica l'atteggiamento ubbidiente e docile alla volontà del Padre: un atteggiamento interiore, libero e voluto.

Il "riposo" che Gesù offre, corrisponde alla promessa biblica di pace e felicità. Al seguito di Gesù, la volontà di Dio non è più un giogo oppressivo e duro, ma genera già ora quella pace gioiosa promessa agli umili e ai miti, garanzia della salvezza definitiva. Gli insegnamenti degli scribi e dei farisei, invece, sono "pesanti fardelli che impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito" (Mt 23,4) e producono allontanamento da Dio e disperazione di potersi salvare.

Questo brano contiene un forte richiamo alla conversione rivolto a tutti, ma specialmente ai teologi. La rivelazione della sapienza di Dio incontra l'uomo non nella sua sapienza e assennatezza, ma dove smette di fare affidamento sulla propria sapienza. Dio dona la sua rivelazione a modo suo.

Il cuore umano trova riposo quando accoglie come dono la bontà e l'amore di Dio e quando percorre deciso il cammino nel quale Cristo l'ha preceduto: il cammino della croce.
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06/10/2010 11:09
 
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padre Lino Pedron
Commento su Luca 11, 1-4


Questa preghiera è un rapporto diretto tra un "Tu" che è il Padre e un "noi" che è il nostro vero io, in quanto siamo in comunione con il Figlio e con i fratelli. La fraternità tra gli uomini si fonda unicamente sulla paternità di Dio. Di conseguenza, non si può stare davanti al Padre separati dal Figlio e dai fratelli: sarebbe negare la sua paternità proprio mentre lo chiamiamo "Padre". Per questo se non amiamo e non perdoniamo i fratelli, non amiamo il Padre e non accettiamo il suo amore e il suo perdono.

Tutto quanto chiediamo con questa preghiera al Padre, ce lo ha già donato nel suo Figlio e, quindi, la preghiera è aprire la nostra persona ad accogliere quanto Dio ha già realizzato per noi.

La preghiera è comunione con Gesù e con i fratelli per vivere la vera fraternità e la vera filialità in Cristo ed entrare nel dialogo di Gesù con il Padre. Nella preghiera troviamo la sorgente della nostra vita, il Padre; per questo, chi prega vive e chi non prega muore, secondo il detto di sant'Alfonso de' Liguori: "Chi prega si salva e chi non prega si danna". E sant'Agostino ci insegna: "Chi impara a pregare, impara a vivere". Si impara a pregare pregando Gesù perché ci insegni a pregare: "Signore, insegnaci a pregare" (v.1). Solamente imparando da Cristo, i cristiani pregano da cristiani, figli del Padre e fratelli di Cristo, e vivono secondo il vangelo.

La preghiera insegnataci da Cristo ci rivela la nostra vera identità di figli nel Figlio. Il Padre ci ama come ama il Figlio; ci ama più di se stesso: "Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi" (Rm 8,32). Avvolti dalla tenerezza di questo amore infinito, possiamo vivere nella serenità e nella fiducia. L'olio e il vino che guariscono le nostre ferite mortali (cfr Lc 10,34) è l'amore di Dio riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato (cfr Rm 5,5). Dio sarà sempre nostro Padre, perché il Figlio si è fatto per sempre nostro fratello.

"Sia santificato il tuo nome" significa glorificare la persona del Padre nella nostra vita, dando a lui l'importanza che ha e, di conseguenza, amandolo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutte le forze. Il nome di Dio è santificato quando accogliamo il suo amore e la sua paternità e accettiamo di essere suoi figli senza paura del nostro limite e della nostra morte. Chi rifiuta la paternità di Dio cerca di essere padre a se stesso, glorificando il proprio nome. Da questo rifiuto, che è la radice del peccato, nasce l'orgoglio e l'ansia, la paura che ci allontana da lui e ci divide tra noi, la voracità che ci separa dai fratelli e distrugge il creato. Tutti quelli che cercano la propria gloria, non possono credere in Gesù e quindi rifiutano anche il Padre: "Come potete credere, voi che prendete la gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?" (Gv 5,44).

"Venga il tuo regno". Il regno di Dio è la liberazione dal potere del diavolo e dalla dannazione eterna; è la sovranità di Dio nostro Padre che ci libera da ogni schiavitù e ingiustizia, da ogni inquietudine e tristezza. Il regno di Dio è già venuto nella persona di Gesù, viene in ogni istante della nostra vita e della storia quando accogliamo Gesù, e verrà nella pienezza della sua gloria quando tutti gli uomini saranno figli del Padre e Dio sarà tutto in tutti (cfr 1Cor 15,28). Il regno di Dio viene ogni volta che accogliamo la misericordia e la compassione di Dio e doniamo ai fratelli la misericordia e la compassione ricevuta da Dio.

"Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano". Chiediamo al Padre il pane per la vita umana e per la vita divina, per la vita presente e per la vita eterna. Dietro ogni pane c'è la mano del Padre che ce lo porge come dono del suo amore. Il pane "nostro" è dono del Padre per tutti i suoi figli e va condiviso con tutti i fratelli. Chi defrauda l'altro non gli è fratello e non si comporta da figlio di Dio. Dopo il peccato, il pane va guadagnato con il sudore della fronte (Gen 3,19; 2Ts 3,6-13), diversamente è rubato. Il pane di cui l'uomo vive è l'amore di Dio, ed è concesso gratuitamente ad ogni figlio, anche indegno e perverso, perché Dio non ci ama per i nostri meriti ma per il nostro bisogno.

"Perdonaci i nostri peccati". Dio ci ha creato per dono del suo amore e ci ricrea col per-dono della sua misericordia. E questo secondo dono è più grande del primo, è un super-dono. Il cristiano non è e non si crede un giusto, ma un giustificato. San Luca ha centrato giustamente tutto il suo vangelo sulla misericordia del Padre che si manifesta nella vita del Figlio Gesù. Il credente in Gesù perdona perché è stato perdonato da Dio. Chi non perdona, non conosce né il Figlio né il Padre. L'unico peccato imperdonabile è quello di chi non perdona e ritiene di non dover essere perdonato per questo. La cecità di chi si ritiene giusto (cfr Lc 9,41) e non conosce il perdono da dare e da ricevere, è il peccato contro lo Spirito. Il cristiano non è perfetto, ma misericordioso; non è sicuro di non cadere, ma compassionevole verso chi è caduto. Per questo non condanna, ma perdona. La sola condizione per il perdono del Padre è il perdono dato ai fratelli.

"Non c'indurre in tentazione". Non chiediamo a Dio di non essere tentati, ma di non cadere quando siamo tentati. Anche a questo riguardo la parola di Dio ci rassicura: "Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via di uscita e la forza per sopportarla" (1Cor 10,13). La tentazione più grande è quella di perdere la fiducia nel Padre. Il credente è tentato soprattutto dalla mancanza di fede nella misericordia di Dio: non riesce ad accettare che Dio sia così buono, soprattutto nei confronti degli altri. Ma la vittoria che ha vinto il mondo è proprio la nostra fede nell'infinita misericordia di Dio.
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07/10/2010 10:32
 
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Paolo Curtaz
Commento Luca 11,5-13

Molte volte, nel mio servizio ministeriale alla comunità, mi trovo di fronte a persone che mi confidano: "Ho pregato, ho chiesto, ma non stato esaudito, Dio non mi ha ascoltato". Perché? Eppure, a ben leggere questa pagina di Vangelo, Gesù ci invita alla perseveranza e all'insistenza; perché, dunque, ci capita di restare inascoltati? Bisogna anzitutto dire che la prospettiva in cui ci mettiamo è quella del figlio che parla con il Padre, dell'amico che sveglia l'amico e non dell'assicuratore con l'assicurato. Mi spiego: spesse volte trovo persone che ragionano in questo modo: io mi faccio la mia vita, so cos'è la mia felicità (sicurezza, affetto, lavoro, posizione sociale, soldi...) e mi dicono che Dio, potente e immortale, mi potrebbe dare una mano. Inizio allora a contrattare la raccomandazione, fino a giungere all'eccesso del ricatto: "Dio, se esisti fa' che io...". No, guardate, fuori tiro completo. Dio non è il potente amico che devo lisciare per farmi sganciare qualche privilegio! Una logica di questo tipo "usa" Dio, senza che di Lui veramente mi importi qualcosa. Esagero? Magari! In questa prospettiva, che ho un po' caricaturato, sono io al centro del Regno, del Cosmo, e Dio è a mio servizio. So io dove sta la mia felicità, il mio qui e subito, il mio desiderio appagato. Tale e quale al bambino un po' viziatello che al secondo barattolo di Nutella si arrabbia con la madre perché glielo sequestra. Ragionamento che non fa una grinza: in quel momento, per il bambino, la felicità consiste nel rimpinzarsi di cioccolato. La mamma, che vede in prospettiva, sa che la cosa gli farebbe del male e gliela toglie, suscitando le ire del bambino. Domanda piccante: non è che alle volte le nostre preghiere sono un po' "nutellose"? Cioè che guardano l'immediato, senza mettersi in discussione, senza guardare veramente lo sguardo di Colui che sa in cosa consista la mia felicità? Molto spesso le nostre preghiere non vengono esaudite perché non sono il nostro bene, non vengono ascoltate perché restano nel limitato orizzonte di ciò che io considero essenziale alla mia felicità, senza ascoltare il Padre che da' cose buone a colui che gliele chiede. Gesù conclude dicendo: chiedete tutto e vi sarà dato lo Spirito Santo. Incredibile! Fosse per noi diremmo: " tientelo pure lo Spirito, a me serve invece...". No, amici: lo Spirito è colui che dobbiamo continuamente invocare, chiedere, pregare, colui che ci fa vedere la realtà con gli occhi di Dio. Al figlio che chiede aiuto, Dio risponde inviando il suo Spirito che ci aiuta a vedere da dentro, sul serio, la nostra vita.

La nostra, Signore, sia sempre una preghiera rivolta ad un padre buono che sa di cosa hanno bisogno i propri figli, Dio benedetto nei secoli!

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08/10/2010 08:46
 
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padre Lino Pedron Commento su Luca 11, 15-26

E' lo Spirito Santo che ci libera dallo spirito maligno. Nel capitolo quarto del vangelo di Luca avevamo letto: "Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo... Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per tornare al tempo fissato" (Lc 4,1.13). La lotta che Gesù condusse contro satana nel deserto, ora continua. La sua forza è lo Spirito del Padre. Di fronte a questi due contendenti, ognuno deve schierarsi. Non è possibile rimanere neutrali (cfr v.23).

Le tentazioni che Gesù subì nel deserto ritornano continuamente durante la sua vita. Il diavolo e i suoi amici chiedono sempre e monotonamente la stessa cosa: un segno dal cielo (v.16). E Dio dà i suoi segni: non quelli della potenza, ma quelli dell'umiltà. Il segno di Dio è il segno della Croce. Non può darne uno più grande. Là infatti dona tutto se stesso e si rivela come amore infinito e incondizionato per noi.

Vincere lo spirito del male è il primo obiettivo della missione di Gesù (cfr Lc 10,18) per donare all'uomo il suo Spirito di Figlio. Ogni vittoria sullo spirito di menzogna e di egoismo si ottiene solo con la forza dello Spirito di verità e di vita (cfr Lc 9,49-50).

Satana ha vinto ogni uomo nel primo uomo, Adamo. Da allora egli è "l'uomo forte, bene armato" (v.21) che fa la guardia ai suoi possedimenti, che sono tutti i regni della terra (cfr Lc 4,6). Gesù è "il più forte" (cfr Lc 3,16) preannunciato da Giovanni il Battista. Egli viene dall'alto come sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte (cfr Lc 1,78-79). La sua vittoria è automatica, come quella della luce sull'oscurità. Ad essa può sottrarsi solo chi chiude gli occhi nella cecità volontaria (cfr Gv 9,41). Gesù spoglia satana di tutte le sue armi, che sono quelle dell'avere, del potere e dell'apparire, quando more, spogliato di tutto, sulla croce. In questo modo restituisce all'uomo ciò che il demonio gli aveva tolto: la sua vera identità di immagine di Dio e la sua realtà di figlio di Dio.

Lo stare con Gesù è la caratteristica della nostra vita presente (cfr Lc 8,2; Mc 3,4) e della nostra vita futura (cfr 1Ts 4,17). Chi non è con Gesù è con il diavolo. Non esiste una terza posizione, una terza possibilità.

Satana, cacciato dall'uomo, cerca di entrare nuovamente in lui usando tutti i mezzi che può avere a disposizione. Bisogna resistergli nella fede (cfr 1Pt 5,8-9) per non ricadere nella schiavitù di prima, come ci ricorda anche la Lettera agli Ebrei: "Quelli che sono stati una volta illuminati, che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi del dono della Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro. Tuttavia se sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all'infamia" (Eb 6,4-6). Se il credente ritorna sotto il potere di satana, cade in una situazione peggiore di quella dalla quale Cristo l'aveva liberato.
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09/10/2010 12:17
 
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padre Lino Pedron
Commento su Luca 11, 27-28

La felicità e l'onore di una donna dipende dai figli che essa ha generato e nutrito. Una donna del popolo è profondamente toccata dalla grandezza di Gesù. Egli rovescia il dominio di satana e porta la salvezza. La fama del figlio si riflette anche sulla madre.

La madre di Gesù è da lodare. La grandezza di Gesù rende grande anche la madre. Ma questa lode potrebbe essere interpretata male. La maternità fisica, da sola, non è motivo sufficiente per essere chiamata beata. Molto più è da proclamare beato chi ascolta la parola di Dio e la osserva. Maria ha ascoltato, ha creduto a ha messo in pratica. Essa è beata perché è la madre di Gesù, il vincitore dei demoni e il Salvatore; ma lo è molto di più perché ascolta e osserva la parola di Dio.

Il grido della donna "beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!" riecheggia quello di Elisabetta: "Benedetta tu tra le donne e benedetto il frutto del tuo seno" (Lc 1,42). Ma Elisabetta aveva aggiunto anche il motivo ultimo di questa beatitudine: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45). E Gesù riprende questa motivazione, dicendo: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!" (v.28). La grazia e la grandezza di Maria non scaturiscono dalla sua maternità fisica, ma dall'adempimento della volontà di Dio. La sua beatitudine consiste nell'aver ascoltato e accolto la sua parola con il cuore e la mente e soprattutto di averla messa in pratica. La parola è la volontà di Dio che le chiede di prendere un posto accanto al figlio, nonostante che lei non ne colga sempre tutta la portata e le conseguenze. Ma questo posto accanto a Gesù è disponibile a tutti: dipende solo dalla capacità di ascolto e di accoglienza della parola di Dio e dal metterla in pratica. Maria si distingue nella Chiesa per la sua fedeltà alla proposta di Dio. Tutti possono salire fino a lei, purché vivano come lei. Invece di invidiare Maria, dobbiamo imitarla nell'ascolto e nella pratica della parola di Dio.

La vera beatitudine è Gesù. Egli, Parola eterna del Padre fatta carne nell'obbedienza, è nuovamente Parola nell'annuncio del vangelo per incarnarsi in quanti l'accolgono. La maternità di Maria, prima che nel ventre, fu nella mente e nel cuore. Ella obbedì, e per questo fu madre. La sua beatitudine si estende a tutti coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.
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10/10/2010 22:53
 
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Monastero Janua Coeli Tornò indietro

Il cammino di ogni giorno è spesso una trafittura al cuore, un cuore che facilmente esplode per un banale vuoto di risposta da parte dell'altro o un cuore che si chiude in una sottile rassegnata disperazione di non essere significativi per nessuno. Il Maestro oggi ci richiama nel dirci che presenza chiama presenza. Il bisogno di essere riconosciuti e amati per se stessi è antico quanto è antico l'uomo, è un bisogno scritto nelle fibre del suo esistere e non può essere taciuto o misconosciuto, né strapazzato colmandolo di piaceri e di soddisfazioni temporanee. Varcare i confini della propria individualità per entrare in punta di piedi nel territorio altrui costa fatica, perché togliersi gli scarponi di ferro con i quali abitualmente camminiamo sui sassi irti delle nostre difficoltà e intolleranze profonde richiede come prima cosa "guardarsi per bene" per rendersi conto che i confini della comunione sono non terre di conquista e di dominio, ma approcci di dono. Dopo che abbiamo percorso sentieri impervi e il cuore batte forte perché pretende di essere capito, come fermarsi e arrivare a percepire il grido della solitudine altrui che chiede a noi comprensione? La lebbra dell'amarezza e di un pianto ingrato che corrode il tempo di grazia accomuna e divide: dieci lebbrosi, isolati nell'isolamento, uniti nel chiedere pietà al Signore della storia. Ci sentiremo abbastanza stranieri da accorgerci, stupiti, della vita restituita, per tornare a rendere grazie? Oppure continueremo per la nostra strada, come nulla fosse accaduto? L'augurio per tutti noi è che le cascate di misericordia dell'Amore che inondano le nostre giornate di bellezza ci rendano capaci di danzare al crepuscolo della sera e di cantare nelle notti del mondo e dello spirito i segreti di Colui che in questo deserto è venuto a camminare con noi.

Tornò indietro

MEDITAZIONE
Domande
Tornò indietro. Quando scoprirò di essere stato risanato dalla misericordia di una parola che è passata nella mia vita, cosa farò? Tornerò indietro a rendere grazie a Colui che mi ha guarito oppure proverò anch'io, come agli altri nove, probabilmente giudei, un sentimento di "giustizia resa": Era ora che il Signore mi facesse la grazia! Con tutto quello che ho fatto e faccio per lui...?!

Chiave di lettura
L'itinerario che si traccia tra Gesù e il gruppo di lebbrosi è significativo. Si parla di Samaria e Galilea e si parla di nove più uno. Gesù è in cammino verso il compimento della sua vita e anche i lebbrosi camminano: gli vanno incontro. Nelle condizioni più disperate e alienanti quello che si richiede all'uomo è che sia vigilante, che si muova. Lo stare nella propria piaga senza un movimento verso l'evento che a lui si offre lungo i fossati del tempo chiude a ogni possibilità di ritorno. È nell'attenzione a ciò che avviene attorno a noi il segreto di un Dio che passa. Non si stanca il Signore di accostarsi a noi, lo fa però senza rumore, mescolandosi tra i volti più ordinari. E se passa oltre senza che noi lo vediamo, rimaniamo nella nostra lebbra: l'isolamento, piaga dei villaggi umani dell'oggi. Quante solitudini nelle caotiche vie di una modernità sempre più vorace... quante dolorose piaghe portate insieme a pochi altri, lontani dagli altri e catalogati come "impuri". Le piaghe della diversità, di valori stranamente vissuti, declinati alla luce del proprio isolato sentire... Quando le dispersioni di pensiero e le vicissitudini degli affetti alzano recinti e chiudono serrature, finché l'unica parola è quella della paura del contagio: Non ti avvicinare! allora il grido come uno straniero si leva silenzioso: pietà. Gesù pronuncia le parole della legge e le anima di vita: mentre vanno, si vedono guariti. È quello che avviene ogni giorno per ciascuno di noi: Gesù pronuncia le parole che noi già conosciamo ma che abbiamo lasciate come morte, le parole della vita già vissuta. Ci riapre il sentiero per andare verso la meta abbandonata a suo tempo a causa della lebbra. E a questo punto il senso del vero miracolo si schiude. I nove che non tornano a ringraziare siamo noi uomini quando diamo tutto per scontato e viviamo senza salvatore, tutto per merito: Abbiamo obbedito alla legge e siamo salvi per questo. Lo straniero che torna indietro a ringraziare siamo noi uomini quando, stupiti per ciò che è si è trasformato in noi, ci sentiamo restituiti a noi stessi e debitori a un Salvatore. Chi sta dietro la mia salvezza? Quella persona che ho incontrato sui miei passi e mi ha detto dove e cosa fare, è Lui che mi ha salvato. Quanti Lui abbiamo incontrato nelle pagine della nostra storia! E quante volte non siamo tornati indietro a dirgli grazie, perché pensavamo che tutto si fosse risolto grazie a ciò che avevamo fatto noi! Se lo stupore del vederci guariti ci spinge a tornare indietro, incontreremo lì dove lo abbiamo lasciato il Maestro che ci ha inviato. Lo straniero diventerà discepolo.

PREGHIERA
Mi hai fatto provare molte angosce e sventure: mi darai ancora vita e tornerai a consolarmi. Allora ti renderò grazie sull'arpa, per la tua fedeltà, o mio Dio; ti canterò sulla cetra, o santo d'Israele. Cantando le tue lodi, esulteranno le mie labbra e la mia vita, che tu hai riscattato (salmo 70).


CONTEMPLAZIONE
Seguirò, Signore, le tue parole come tracce per tornare a vivere, ma prima di continuare il cammino fa' che io torni a guardare tutti i luoghi della tua presenza che ho attraversato senza conoscerne il nome. Quei silenzi, quel sentirsi toccare il cuore, quella leggerezza di sentimento e quell'ardore nel cedere all'amore nonostante tutte le ritrosie, quel risorgere dopo notti di spossatezza da situazioni indicibili di costrizione interiore... tu eri là, e io non ti avevo riconosciuto. Pensavo fosse la vita che mi aveva ridato quel che mi spettava, e solo ora comprendo che era tutto dono quello che ho ricevuto. Donami occhi trasparenti, mio Dio, per rivedere tutto ciò che è stato alla luce del tuo volto con le lenti del gratuito. Che io percorra la via del ritorno con il tuo sguardo, Gesù, perché la memoria delle mie piaghe sia il dolce rimpianto di non averti riconosciuto e la gioia di oggi riscaldi di nuovo abbraccio l'isolamento amaro di ore interminabili e sconsolate, le ore dell'abbandono e dell'inerte ripiegamento. Che io non sia più straniero, Signore, alla mia vita!

Per i piccoli
Sono dieci i lebbrosi guariti da Gesù ma uno solo torna a dirgli grazie. Che strano pure Gesù... che aveva paura ad avvicinarli e a guarirli toccandoli?! Così lo avrebbero ringraziato tutti, e sarebbe stato più bello. Perché dice loro di andare dai sacerdoti? Gesù non vuole per sé il ringraziamento, perché quello va a Dio e basta. Andare dai sacerdoti significava riavere il permesso di vivere con tutti, senza stare lontani dalle proprie case e dai villaggi. Gesù li manda a loro perché il miracolo lo compie già la parola che Dio ha dato nella legge scritta, solo che gli uomini hanno svuotato la legge della vita ed è rimasta una parola morta. Tu pensa al tuo giubbotto. Quando ci stai tu dentro e quando tu non ci stai. Quando ci stai tu è vivo il giubbotto, perché si muove con te, "prende corpo"... quando tu non ci sei dentro, il giubbotto rimane lì fermo, si affloscia e non fa altro che attendere che tu lo indossi. La stessa cosa hanno fatto gli uomini con gli insegnamenti di Dio: erano fatti per l'uomo, e quindi in ogni parola c'era l'uomo dentro. Per farla breve invece l'uomo è stato tolto da quegli insegnamenti che sono rimasti come stoffe morte. Gesù le fa rivivere perché ci si mette di nuovo lui dentro. Così mentre i lebbrosi vanno dai sacerdoti guariscono. La vita è tornata! Ma se è tornata la salute per tutti e dieci, la vita vera è tornata solo per uno, quello straniero... per colui che è tornato indietro a ringraziare Gesù. Gli altri pensavano tutto normale, e sono andati per la loro strada. Uno ha sentito il bisogno di dire grazie. E tu dici mai grazie a chi ti dà la vita continuamente? Attraverso tutte le persone che incontri ogni giorno? Se guardi bene, magari ce n'è qualcuna a cui il grazie lo devi dire più grosso. Prova un po' a pensare e poi vai a dirglielo, che fa bene al cuore: al tuo e a quello di chi lo riceve. La vita cresce se si passa, se resta piegata in sé muore, diventa lebbra che consuma e allontana dagli altri. Approfitto anch'io per dire grazie a te, perché camminiamo insieme da un po' e il tuo ascolto è per me un grande dono.
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TUTTO QUELLO CHE E' VERO, NOBILE, GIUSTO, PURO, AMABILE, ONORATO, VIRTUOSO E LODEVOLE, SIA OGGETTO DEI VOSTRI PENSIERI. (Fil.4,8) ------------------------------------------
 
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