In vita, van Gogh è riuscito a vendere una sola opera. Si tratta di
Vigneto rosso ( 1888 ) oggi al museo Puskin di Mosca, acquistato all'inizio del 1890 da Anne Boch, sorella del giovane pittore Eugène, amico di Vincent. Scrive l'artista olandese in una lettera del 1889 al fratello minore Theo, amorevole soccorritore di tutta una vita e promotore senza successo - sebbene direttore di una galleria d'arte parigina - della pittura di Vincent: ( circostanza che è già una spia del paradosso insito nel suo destino ) "
La prassi del commercio dell'arte, che fa salire i prezzi quando l'autore è morto, si è conservata tutt'ora". E aggiunge: "
I prezzi più alti di cui si sente parlare, che sono stati pagati per lavori di pittori che sono morti e che in vita non sarebbero stati pagati tanto, questa è una specie di commercio di tulipani, nel quale il pittore che vive ha più svantaggi che vantaggi". Pensando alle quotazioni vertiginose raggiunte dai suoi quadri nelle aste del nostro secolo, la considerazione suona come un'amara profezia e un commento sulla cieca fortuna che domina le nostre esistenze. Il presentimento di una sorte paradossale che sembra riassunta - e sottolineata dai cento anni tondi dalla sua morte - dagli ottantadue milioni e mezzo di dollari ( la cifra più alta mai pagata per un dipinto ) realizzati dal ritratto del
Dottor Gachet in un'asta da Christie's, a New York, nel maggio del 1990. Che nel caso di Vincent il destino avrebbe giocato sul colpo di scena, sul rovesciamento della situazione, rendendo famosissimo e amato un autore vissuto misconosciuto e disprezzato, si ha la sensazione di intuirlo già dalla sua nascita. I segni di un destino singolare di un qualcosa "scritto nelle stelle" sono presenti già quando per una strana coincidenza, Vincent Wilhelm viene alla luce il 30 marzo 1853, lo stesso giorno in cui, l'anno precedente, nasceva morto il primo figlio di Theodorius van Gogh e Anna Cornelius Carbentus ( i genitori ) e battezzato con lo stesso nome. Il primogenito viene seppellito davanti alla chiesa del paese; Vincent avrebbe quindi visto il proprio nome sulla lapide del fratello tutte le volte che passava in quel punto. Non occorre essere Freud per capire che vedere una tomba con il proprio nome tutti i giorni non può far bene alla testa di un bambino. Quella lapide fu un memento mori per il piccolo Vincent, romantico in un secolo romantico: gli toccò prendere confidenza con la morte ancor prima di conoscere la vita. Di Vincent bambino si sa davvero poco. Leggeva parecchio e non stava volentieri con gli altri bambini, forse perchè lo prendevano in giro per i capelli rossi e per una certa aria da vecchio che aveva fin da piccolo. Tutto e di più, si è scritto poi sulla sua presunta follia, centinaia di psicanalisti e psichiatri si sono esercitati nelle più svariate analisi di questo magnifico caso clinico. Probabilmente - come sostiene Giordano Bruno Guerri nel suo bellissimo libro
Follia ? vita di Vincent van Gogh - soprattutto soffriva di una sensibilità esasperata. Girovagò molto nel cuore di una certa Europa alla ricerca della vera identità, ebbe crisi mistiche e sensi di colpa devastanti. Provò con il fratello Theo la professione del mercante d'arte, pensò addirittura di diventare prete come il padre ma dovette lasciare per il suo rifiuto del greco e latino ( a che servivano ? ) Poi, aspirante missionario, minatore in Belgio ( si umiliò fino a lavorare con loro nei cunicoli ) e solo alla fine capì che fare il pittore era la sua strada. Fallimenti a catena costellarono la sua esistenza e minarono la sua psiche, fino a portarlo al ricovero in una clinica per dementi a Saint- Rémy in Provenza, durante la parentesi con gli impressionisti francesi che lo innalzò alla suprema maturità con una infinità di tele, fino al suicidio. Pochi giorni prima di quei giorni drammatici, Vincent riceve l'ultima visita del fratello Theo, con moglie e figlio. Va a prenderli alla stazione di Auvers portando in dono al figlioletto del fratello di neppure sei mesi, un nido prelevato da un albero. Pranzarono insieme all'aperto, nel giardino del dottor Gachet ( che lo aveva preso in consegna durante la permanenza al manicomio e il quale ritratto cento anni dopo sarebbe entrato nel guiness dei primati ) mostrando al pargoletto suo omonimo, nonostante la giovanissima e incosciente età, tutte le bestie che c'erano in giro: cani, gatti, oche, galline, conigli, tacchini, capre... Poi si lamentò: "
Credo che non abbia capito granchè...". Theo lo invita a Parigi soltanto per un giorno, il 5 luglio. Per distrarlo invita anche Toulose-Lautrec, ma Vincent ha fretta di tornare ad Auvers. Quella vita di famiglia non gli appartiene più: vuole andare incontro al suo destino. Il suo destino è nel piccolo cimitero quadrato di Auvers, con il muricciolo basso in discesa verso il fiume Oise. Se si svolta a sinistra e si fanno ancora cento passi, si trova ancora il punto dove dipinse Il campo di grano con volo di corvi, oggi celeberrimo e comunemente ritenuto l'ultima opera di van Gogh (
Campo di grano con volo di corvi: Auvers -sur -Oise 1890 )
Campo di grano con volo di corvi Poco prima di suicidarsi aveva scritto: "
Io sono completamente preso dall'immensa pianura con i campi di grano contro le colline, senza confini come un mare, di un giallo, di un verde tenero". Il suo Campo di grano con volo di corvi ha proprio quei colori: il campo è un mare in tempesta sotto un cielo minaccioso. Ci sono tre viottoli che portano al grano e al cielo, ma l'aggressione dei corvi non permette di andare avanti. Va da sé che molti critici hanno visto l'autorappresentazione della vita di van Gogh. Certamente il volo dei corvi, veri protagonisti del quadro, sembra preannunciare un dramma. Volano a ali spiegate, nerissimi, disordinati; sembra di sentire urlare, mentre cercano una preda. A Theo spiega: "
Sono campi estesi di grano sotto cieli agitati e non avevo bisogno della mia condizione per esprimere tristezza e solitudine estrema". La tristezza lo avvolge come un nero sudario e Vincent vede prossima la sua morte, tetra compagna dei suoi incubi. La morte si prenderà il rosso van Gogh venti giorni dopo, alla bella età di 37anni; il giallo, il nero, il verde e il rosso del suo sangue, saranno i colori finali della sua tavolozza. Molti credono romanticamente che van Gogh si sia ammazzato proprio lì, perchè la versione ufficiale dice che si è sparato nei campi. Il perbenismo dei suoi contemporanei e dei suoi biografi gli ha tolto la fama dell'ultimo oltraggio che Vincent volle fare alla società e a sé stesso. Nessuno ha voluto prendere in considerazione l'unica testimonianza precisa sul luogo dello sparo: è del maestro elementare Charles- François Daubigny, che gli voleva bene. Quella domenica del 27 luglio Vincent uscì di casa, si diresse verso la frazione di Chaponval, prese Rue Buchet, poi entrò nel terreno di una piccola fattoria che ora non c'è più. Camminò un poco, poi si stese nella buca del letame e si sparò con la pistola che si era fatto prestare dal proprietario della locanda, per scacciare i corvi. "
Mi disturbano mentre dipingo", aveva detto. La buca del letame ! Non c'è posto più assurdamente logico, per un uomo che considera così poco la propria vita da volersene liberare. Se oggi qualche coppia di turisti, ammirando al Van Gogh Museum di Amsterdam il celeberrimo Campo di grano con volo di corvi, chiederà informazioni sulle spoglie di Vincent, se ubicate nella terra natìa, non sarà affatto così: occorre ritornare ad Auvers, in Francia, per poter deporre un fiore sulla sua tomba. Nel cimitero troveremo due semplicissime lapidi recanti i nomi di Theo e Vincent, addossate al muro, nella parte più alta del campo, in una bella posizione soleggiata, che guarda il fiume. Sulle pietre ci sono i nomi e le date, nient'altro. La terra è coperta da una pianta di edera che unisce in un unico tappeto le due tombe. Ma che ci fa, li, Theo ? Vincent non aveva mai detto di volerlo accanto e il fratello non sopportava di avere accanto Vincent da vivo. Theo morì appena sei mesi dopo Vincent, il 25 gennaio 1891, a trentatré anni, ma non di crepacuore, come si è tentato di far credere. Era malato, forse di sifilide. Quando Theo morì, Vincent se ne stava tranquillo in un punto qualsiasi del cimitero, sotto una nuda tomba di terra. E ci rimase per parecchio, per più di vent'anni. Nel 1914 la vedova di Theo, ormai ricchissima grazie a Vincent, fece spostare dall'Olanda il cadavere del marito, estirpò dalla terra la bara di Vincent e li accoppiò proprio nel punto dove tutt'ora riposano le loro spoglie. La sua vita sembra quasi un romanzo, con una fine tragica e se si vuole, assurda. Van Gogh che si taglia un orecchio per portarlo ad una prostituta; Van Gogh che cerca di uccidere il suo caro amico Gauguin; Van Gogh che mostra evidenti segni di disturbi mentali fino a portarlo al ricovero in manicomio, illusoria panacea di una pace ritrovata nelle campagne di Auvers, prima del suicidio. Sembra quasi di parlare di un libro che narra la storia di un personaggio mai esistito, ed anche per questo che Van Gogh è uno dei pittori più conosciuti, perché la sua storia incuriosisce, rende le persone quasi tristi nel pensare quanto deve aver sofferto questa persona, ed è anche questo che ci fa immaginare Van Gogh prima come personaggio, e poi come un pittore rivoluzionario, perché proprio grazie a lui ed altri personaggi come Cézanne, Gauguin e Seurat, ha contribuito in maniera determinante a rivoluzionare l'arte andando oltre i suoi contemporanei e a gettare le basi dell'arte moderna. Vincent compì una svolta grazie agli impressionisti, dai quali prese soprattutto la forza del colore. Però se ne discostò subito, e anzi fu proprio lui il precursore, e forse l'inventore, della scuola che superò l'impressionismo; l'espressionismo nato ufficialmente solo agli inizi del Novecento, dieci anni dopo la sua morte. Gli espressionisti privilegiavano, esasperandola, la propria interpretazione emotiva della realtà, non ciò che si vede realmente. Un cipresso dipinto da van Gogh è riconoscibile immediatamente come un cipresso, ma è riconoscibile soprattutto come "
un cipresso di van Gogh". L'impressionismo rappresentava una specie di moto dall'esterno all'interno, era la realtà a imprimersi nella coscienza dell'artista. L'espressionismo inverte la direzione: dall'interno all'esterno, dall'anima dell'artista direttamente nella realtà, senza meditazioni. (
G.B.Guerri )
Quando le ha chiesto conosci
il tale il tal dei tali Tizio Caio,
ti dico che ho sentito, dice,
ti dico che ho sentito tutto il rosso
del sangue partirsene col nero
dei corvi e le cornacchie sopra il giallo,
le macchie ondose e lente,
dei campi gialleggianti di frumento
L'Olanda è stata generosa come fioritura di talenti, fornendo oltre a van Gogh, van Eyck, Rembrandt, Bosch, Bruegel ( il vecchio e il giovane ) Vermeer, Hals, Ruisdael. Per non parlare dei musei, tra i più prestigiosi al mondo, con le maggiori città, Amsterdam, Rotterdam, L’Aja e Utrecht, a contendersi i visitatori più esigenti. Sembrerebbe tutto normale in un paese normale, ma non è così. E' guardando la geografia che questa terra lascia interdetti; chi guarda per la prima volta una grande carta dell’Olanda, potrebbe meravigliarsi che un paese così possa esistere. Esiste perchè è stata rivoltata la natura. L’Olanda è una fortezza e il popolo olandese ci sta come in una fortezza, perennamente assediata e in guerra col mare. Un esercito d’ingegneri, sparpagliato sul paese e ordinato come un esercito, spia continuamente il nemico, veglia sull’ordine delle acque interiori, previene la rottura delle dighe, ordina e dirige i lavori di difesa. Le spese della guerra che gli olandesi combattono da secoli contro il mare sono equamente ripartite: una parte tocca allo Stato, una parte alle provincie; ogni proprietario paga, oltre l’imposta generale, un’ imposta speciale per le dighe, proporzionata all’estensione dei suoi poderi e alla vicinanza delle acque. Una rottura accidentale, un’inavvertenza possono produrre un diluvio. Il pericolo è continuo. Le sentinelle sono al loro posto sui baluardi e al primo assalto del mare, danno il grido di guerra e l'Olanda manda braccia, materiali e denari. Ed anche quando non si combattono grandi battaglie si combatte una lotta sorda e lenta. I mulini innumerevoli, anche nei laghi prosciugati, seguitano a lavorare senza posa per assorbire e versare nei canali l’acqua piovana e quella che filtra dalla terra. Ogni giorno le cateratte dei golfi e dei fiumi, chiudono le loro porte gigantesche all’alta marea che tenta dipenetrare con i suoi flutti nel cuore del paese. Si lavora continuamente a rafforzare le dighe malferme, a fortificare le dune con piantagioni e a gettare nuove dighe, dove le dune sono basse per rompere l'impeto delle onde.
ha sentito come un gran rivoltamento,
e cateratte urbane e vigili del fuoco
In Olanda vi è un allarme atavico per le inondazioni e le grandi abbondanze di pioggie vengono vissute con particolare ansia.
I pompieri e l'esercito interagiscono e regolano le possibili evacuazioni. Amsterdam è la città di van Gogh e dei mulini a vento, delle biciclette, dei diamanti e dei tulipani. E'una città cosmopolita, anche se non enorme come le più grandi metropoli della terra. Monumenti e chiese, locali e pub, costellano le sue piazze e i vicoli più astrusi. Quando van Gogh lasciò la sua famiglia e la sua gente, lo fece per disperazione d'amore, di patimenti interiori e di solitudine. A Nuenen la vita con la famiglia gli risultava alquanto monotona,
I mangiatori di patate sono il suo punto di arrivo; dopo aver dipinto tutti i giorni e anche di sera alla luce fioca delle lampade nei campi e nelle case dei contadini, con colori scuri e terrosi ( quasi un'adesione sentimentale alla vita quotidiana dei poveri ) vuole uscire da questa cupezza che lo rattristava oltremodo. La sua fuga verso L'Europa del sole, alla ricerca di nuova luce, lo porterà a Parigi, dove si era stabilito il fratello amato Theo. Il 28 febbraio del 1886, quando arriva nella capitale, gli rimanevano altri quattro anni da vivere. Stanco dei colori della miseria, arriva a Montmartre con le scarpe rotte, i vestiti a brandelli, ma gli occhi gli brillano di una luce che affascina e fa paura insieme. Chi lo incontra ne rimane colpito e capisce d'istinto che non si tratta del solito vagabondo. Rosso di capelli e di barba, "
Vincent l'olandese", come lo chiamano gli artisti di Montmartre, si distingue subito per la sua eccentricità. Cerca un'evasione nella luce, si è innamorato del sole. Ma nessuno vuole i suoi quadri ed egli è costretto a vivere della carità del fratello Theo, il quale, benchè minore di età, lo accudisce finanziariamente trattandolo come un padre indulgente. Il cuore pulsante dell'arte è qui, sulle sponde della Senna, a contatto con gli impressionisti che lui tanto desiderava conoscere. L'impressionismo è stato il fenomeno più originale della seconda metà dell'Ottocento, rivoluzionando il tradizionale modo di fare pittura. Ha detto basta con i soggetti e la tecnica accademica e ha posto la sensazione al centro della rappresentazione, scegliendo la pittura "
en plein air", le tematiche tratte dalla vita quotidiana, le tonalità chiare e luminose, l'uso dei colori stesi a piccoli tocchi, in modo tale che l'immagine si formi nell'occhio dello spettatore posto a una conveniente distanza del dipinto, anziché direttamente sulla tela. Il 1896 è anche l'anno in cui il poeta Jean Moréas pubblica sul "
Figaro " Il manifesto del Simbolismo, termine che designava <<
l'attuale tendenza dello spirito creatore dell'arte >>. Nata in ambito letterario, la nuova corrente esercita la sua influenza nei più diversi ambiti culturali proponendosi come la tendenza dominante di fine secolo. Sempre nel 1886 vengono gettate le fondamenta della Tour Eiffel ( sarà completata tre anni dopo per l'esposizione universale del 1889 ) costruzione d'avanguardia, realizzata interamente in ferro, che rispecchia l'importanza della sperimentazione tecnologica. Per l'artista olandese l'incontro decisivo è quello con la pittura impressionista e postimpressionista della quale grazie al fratello, conosce alcuni dei più famosi esponenti: Claude Monet, Camille Pissarro, Alfred Sisley, Pierre- Auguste Renoir e gli emergenti Paul Signac ( con cui lavorerà "
en plein air " ) e George Seurat. Il biennio parigino, dal febbraio 1886 al febbraio 1888, rappresenta per Vincent il periodo della sua sperimentazione tecnica e del confronto con le tendenze più innovative della pittura contemporanea. In questi due anni dipinge duecentotrenta quadri, più che in qualsiasi fase della sua carriera. A Parigi van Gogh vive il suo momento di massima socializzazione e soprattutto omaggia le stampe giapponesi, tanto da influenzare costantemente la sua arte nell'ultimo periodo della sua vita in Provenza. Incontra artisti, discute con loro, frequenta gli stessi posti in cui gli amici pittori amano ritrovarsi. Ma la realtà di Parigi è ben altra, è fatta principalmente di competizione e di stress: "
Per riuscire occorre ambizione, e l'ambizione mi sembra assurda", dichiara Vincent al fratello. Inoltre il suo carattere impulsivo e le sue idee anticonformiste lo pongono spesso al centro di contese e contrasti e anche Theo, a un certo punto, si sfoga per lettera con la sorella Willemien parlando di convivenza "
quasi insopportabile". Alla fine, Parigi gli diventa odiosa: "
Voglio ritirarmi in qualche posto nel sud, per non dover vedere tanti pittori che, come uomini mi disgustano", confida ancora al fratello. E così fa. Nel febbraio del 1888 parte alla volta di Arles, nel caldo rifugio della Provenza. Lasciata Parigi per la Provenza, van Gogh accorda subito la sua tavolozza sui toni luminosi caldi e accesi del Sud. Anche la pennellata abbandona i tratti distintivi dell'impressionismo e del postimpressionismo per campiture più nette e definite, stesure più ampie e circoscritte. Resta, e non lascerà mai la pittura di van Gogh, l'ispirazione diretta della natura, l'abitudine di dipingere "
en plein air". La ricerca sulla luce e sul colore segue ora un nuovo modello ( o meglio, scoperto da tempo ma solo adesso divenuto preminente ): la pittura giapponese di Hiroshige. "
La regione" scrivendo sempre al fratello,"
mi sembra bella come il Giappone per la limpidezza dell'atmosfera e l'allegria dei colori". Prima dell'ultima fase della sua vita - quella di Auvers sur Oise - Vincent esegue i suoi più grandi capolavori: Il Caffè di notte è uno di questi. Il caffè dell'Alcazar esiste ancora oggi, ad Arles, in place Lamartine al numero 2. Nelle sue sale, ai suoi tavoli o attorno al suo biliardo Vincent ha modo di confrontarsi con la gente del posto, rude e schietta gente di paese, solidale e diffidente al tempo stesso. La signora Ginoux, il postino Joseph Roulin - forse l'unico vero amico che incontra in paese - e sua moglie. Ma il caffè, come scrive a Theo proprio a proposito del dipinto, nasconde due volti contrastanti e schizofrenici: "
Ho cercato di esprimere la potenza tenebrosa di un'osteria. E' un posto dove ci si può rovinare, si può impazzire, commettere delitti. E' un'atmosfera da fornace infernale, di zolfo pallido, che esprime come la potenza tenebrosa di una trappola. E tuttavia sotto un'apparenza di gaiezza". Ed è un senso di disperata solitudine a prevalere nel quadro: l'orologio segna mezzanotte passata; qualche avventore dorme accasciato sull'ultimo bicchiere di vino; una coppia, sul fondo, ha ancora il fiato di tentare una conversazione; al centro, come in posa, il padrone del locale; a un tavolino che non vediamo, posto al di quà del primo piano del dipinto ( davanti alle due sedie vuote ) van Gogh schizza la scena.
Caffè interno notte Un periodo fecondo, pur nella sua brevità, che lo porterà nonostante la rassicurante influenza della natura, in una china senza ritorno. Convive con Gauguin nella celeberrima casa gialla di Arles ( dipinto del settembre 1888 ) fino alla lite con l'amico e la susseguente automutilazione del suo orecchio, portato dallo stesso van Gogh in dono ad una prostituta del luogo. Le liti frequenti e la paura degli arlesiani verso questo "
pericolo pubblico" lo condurranno al manicomio di Saint- Rémy, prima della sua partenza forzata per l'ultima tappa di Auvers. Aveva smesso di bere e recuperato il piacere di dipingere all'aria aperta; tenta di conciliare una maniera pittorica che è ormai a tutti gli effetti espressionista ( e questo movimento sarà particolarmente debitore dalla sua opera ) nutrita di violente tensioni, con l'aspirazione a una serenità interiore sempre più inafferrabile. Colori violenti, linee distorte si accostano a una certa grazia decorativa delle composizioni, alla scelta di temi semplici e gentili come fiori, giardini, angoli quieti della cittadina. Van Gogh descrive il soggetto riprodotto: "
Un quadro grande della chiesa del villaggio, con un effetto dove l'edificio appare violaceo contro il cielo di un blu profondo e semplice di cobalto puro; le vetrate sembrano macchie blu oltremare; il tetto è violetto e in parte arancione. Sul davanti un po' di verde fiorito e della sabbia rosa".
La chiesa di Auvers
e din don dan,
tutti i bicchieri straripare dai bar,
scoppiando in un cin cin,
di bei cristalli isterici
Per i visitatori che ogni giorno si accalcano ad Amsterdam, non può sfuggire la somiglianza e le molti similitudini con Venezia. Con i suoi molti canali, le novanta isole di cui si compone e mille fra ponti e viadotti, Amsterdam può essere considerata a tutti gli effetti come la "
Venezia del Nord", e da secoli, proprio come la sua famosa "
gemella", sta lentamente sprofondando, millimetro dopo millimetro. Attualmente, proprio a causa del modo in cui sono state progettate le fondamenta degli edifici, molti scienziati hanno fatto ipotesi sulla brevità della sua vita; si dice che la città non sopravviverà al tempo, che non durerà più di duecento anni. Ma per il momento Amsterdam è ancora lì, pronta a farsi ammirare da tutti, e pare non avere nessuna voglia di sparire dalla faccia della terra. Per evitare che il legno, materiale principale delle palafitte, subisca ulteriori danni, gli olandesi hanno progettato e realizzato un eccezionale sistema di chiuse con il quale è possibile tenere sotto controllo il deteriorarsi dei pali situati sott'acqua. Grazie a un complesso apparato di pompe, infatti, ogni notte l'acqua "
usata" dei canali viene sostituita da quella pulita proveniente ed espulsa attraverso il canale che collega Amsterdam al Mare del Nord.
tutte le pompe, con l'acqua nelle vene,
si mettono a ballare,
e pioggiano di gioia.
L'acqua scorre nelle condotte del tessuto urbano di Amsterdam come sangue in un corpo umano, il quale attraversando vene, arterie e capillari, funge da linfa vitale per la nostra esistenza. Le pompe come un cuore pulsante garantiscono la sopravvivenza di questa terra costruita sui fondali del mare. Ma Amsterdam non è solo arte e svago, le meraviglie non finiscono: è unica nel mondo per il sesso e la trasgressione. Van Gogh chiamava le prostitute "
amiche" e "
sorelle" e forse non immaginava la sua città arrivasse a tanto. Ecco dunque la faccia totalmente liberale e tollerante di Amsterdam : Il Red Light District (o ‘Rossebuurt’ come viene chiamato dalla gente locale) non lascia certo spazio all’immaginazione: il nome prende origine dalle luci al neon delle vetrine dove le prostitute posano in attesa dei clienti.
Quartiere rosso
Io ti vorrei incontrare però non lo vorrei
Arriva lo schiumogeno e la gente,
sussulta di piacere è pronta a tutto,
a consumare lì sopra l'asfalto,
la scivolata delle relazioni;
lo sguazzo dell'ardire e dell'osare,
ed è da tanto tempo che volevo;
e dirmelo potevi dirlo prima:
o farmelo capire, o farmelo capire.
Io ti vorrei incontrare però non lo vorrei: la morale si scontra con la voglia di trasgredire. La prostituzione, il matrimonio gay, l’eutanasia, il consumo di marjuana ed hashish qui sono perfettamente legali. In ogni angolo, in ogni singola porzione di quartiere a luci rosse, viene offerta ogni forma di consumo sessuale nel migliore dei modi, arricchendola con servizi di ristorazione, alberghi, centri di informazioni turistiche e caratteristici coffe shop. In un orgia di colori, luci, folle umane in movimento, si alternano night club con lap dance, videoteche hard, musei del sesso, spettacoli di sesso dal vivo, sexy shop e ultime ma non ultime, loro le indiscutibili protagoniste, le prostitute “
in vetrina". Amsterdam è una tentazione sconfinata, un luna park che ci fa tornare ( noi uomini ) dei curiosi bambini, dove la scelta del nostro giocattolo diventa un gioco a se stante, creativo e liberatorio. Vedere quelle donne bellissime di cosi varia razza, sensuali, poco vestite, non sembra un peccato o una cosa proibita, ma piuttosto una riproduzione di un fenomeno piacevole che prende il nome di shopping. Quasiasi cosa è li per essere desiderata ed acquistata, è il trionfo del consumismo applicato al piacere maggiore che un uomo possa anelare: la copulazione.
Casa Rosso
Le macchine rampando sulle ruote,
le gomme posteriori fanno un giro,
di piazza col pennacchio,
soffiato dai roventi radiatori;
lo struzzo, lo spauracchio,
il gongolo di gioia,
lo spruzzo e lo sbatacchio,
l'immensa scorciatoia,
per arrivare al sodo.
Sembra di rivedere antiche immagini raccontate sui libri di storia del primo Novecento, quando in caso d'emergenza nel paese veniva suonato un campanaccio posizionato nella piazza principale. Dalle postazioni i pompieri con i loro carri e pennacchi in testa accorrevano sul luogo dell'incendio ( tra il giubilo e il sollievo degli abitanti ) per spegnere le fiamme con l'acqua attinta dai pozzi, grazie a delle rudimentali pompe manuali. Ma tutto questo cosa c'entra con van Gogh ? Facile a dirsi: il fuoco ha regalato al mondo uno dei più grandi artisti del Giappone, un ex samurai, amatissimo anche da Van Gogh tanto da riprodurne in copia fedele alcune sue opere. Utagawa Hiroshige, figlio di un pompiere e a sua volta pompiere, prima di dedicarsi completamente all’arte, per ben 14 anni ha vegliato sulla sicurezza della città dalla cima delle torrette di controllo, e quando ha lasciato questo nobile e pericoloso mestiere per la pittura, nelle sue vedute della capitale, a volte seminascoste dai rami di un albero, a volte libere di spaziare verso l’orizzonte, si è spesso ricordato di quelle lunghe ore trascorse a osservare Edo ( la Tokyo odierna )dall’alto. Se avesse seguito le orme del padre, avrebbe condiviso con lui un’esistenza da pompiere. Invece scelse di abbandonare la carica, e lo stipendio, e di attraversare il Giappone per rivelarne la natura, in un universo di cui l’uomo è parte, ma non padrone. Il suo Giappone lo raccontò in oltre 4000 tavole ed infinite riproduzioni a stampa, che i giapponesi amavano scambiarsi come souvenirs. Vincent Van Gogh si ispirò a lui, realizzando alcune olii come “
Ponte di pioggia”, “Il giardino dei susini a Kameido” e “
Piccolo pero in fiore”. Tutte le versioni oggi note furono dipinte da Van Gogh durante il soggiorno a Parigi e ad Arles, in Provenza, dove s'era recato alla ricerca del sole e di se stesso.
Hiroshige e van Gogh
Una lady s'incendia un po' per sfizio,
e un po' per gaudio immenso anticipato.
E il suo marito in cravatta con la lingua,
diventa un calamaro così che non sfigura.
L'Olanda non è solo il paese dei tulipani e dei formaggi, la sua economia si fonda per buona parte sul commercio ittico. Amsterdam è una città marinara, una lingua di terra, che vive soprattutto di pesca.( capitale del commercio marittimo durante l'epoca d'oro ) Un sottile e arcano gioco di parole che si riallaccia alle tradizioni della capitale olandese può essere ricercato a pieno titolo nella definizione di "
calamaro". Una lingua di terra sinonimo di mare e di libertà sessuale ( lingua - erotismo ) in cui si può immergersi pienamente nei meandri più inaccessibili nella più totale legalità. Il fuoco ritorna soprattutto come un pretesto, intervallando allusioni sessuali con il servizio urbanistico antincendio dei pompieri. Panella è un maestro in queste situazioni, dove i doppisensi si sprecano: Il fuoco sacro dell'eros e gli incendi da domare del servizio pubblico dei vigili del fuoco. Amsterdam certamente non era questa, quando Vincent se ne andò verso i paesi del nord alla ricerca di nuove esperienze. Forse approverebbe questi sex - center, visto che le prostitute sono state le donne della sua vita. Si privava di tutto, mangiava poco e male, risparmiava sul tabacco ( fumava la pipa perchè non poteva più permettersi le sigarette ) i pochi denari li spendeva per l'assenzio e i bordelli. Scriverà alla sorella minore: "
Per quel che mi riguarda continuo avere avventure amorose impossibili e assai poco decorose, da cui esco regolarmente con vergogna e danno, ma non per questo quelle donne cessano di essere profondamente giustificate ai miei occhi ". Forse perchè le prostitute sono leggere e non fannno perdere tempo all'arte. Le altre vogliono essere felici, terrenamente felici. Per le prostitute il sesso è fonte di guadagno, non di felicità.
Per questo motivo Vincent non le disprezzava.
Marameo, marameo fanno i cupidi,
i frecciatori dal culetto nudo;
In araldica Cupido, detto anche Amorino, è rappresentato come un bambino, con due ali sulla schiena, munito di un arco e di una faretra piena di frecce. Cupido è sinonimo di amore e marameo è un'interiezione di sberleffo che ricorda il miagolio del gatto.
Un gesto infantile che assomiglia alla linguaccia, e quindi riconducibile ad uno sfottò. Sommate queste due frasi, si evince una delusione d'amore. ( cucù, lei non c'è più ) Fin da ragazzo l'artista manifestò inclinazioni inquiete e tormentate in un continuo alternarsi di grandi entusiasmi e forti depressioni. L'inizio della sua formazione artistica risale al 1869, presso la casa d'arte Goupil a L'Aia. A Londra durante uno dei suoi primi viaggi, s'innamorò perdutamente della figlia della sua padrona di casa ( Ursula Loyer ) ma si trattò di un amore non corrisposto. Lei era già segretamente fidanzata e lo respinse più volte. Il fratello Théo e i famigliari restarono fortemente colpiti dal senso di tristezza e dalle turbolenze psichiche di Vincent dovute alla delusione d'amore subìta. Per lei avrebbe rinunciato a tutto pur di mettere famiglia, e dell'artista oggi osannato in tutto il mondo non ci sarebbe rimasta traccia alcuna. Ma lei lo rifiutò; il giovane Vincent la prese malissimo e si acuì in lui la tendenza malinconica e nevrotica di un complesso d'inferiorità nei confronti delle donne, tanto che le sue vere amiche furono in seguito solamente le prostitute. Rimase illibato fino all'età di trent'anni circa, e il primo rapporto sessuale venne con una rappresentante della categoria. Addirittura fu sul punto di sposare una prostituta ( contrasse da lei pure sifilide e blenorragia ) ma neppure questa occasione fu propizia per lui: Theo lo minacciò di tagliare i sussidi che ogni mese provvedeva per lo sciagurato e squattrinato fratello. Dovette arrendersi, non per quella donna ( che non smise mai di amare sostenendola per anni con i suoi piccoli risparmi ) ma per la sua missione di pittore e genio. Decisamente il suo aspetto - che al contrario di Theo, bello, perbene e alquanto ordinato - non ispirava particolare fiducia ad alcunchè. Troppo strano e con un futuro così incerto, non poteva avere molte chances con le donne e il perbenismo della borghesia filistea del XIX secolo. Nell'estate del 1881 Vincent vive un altro amore infelice: s'innamora di una sua giovane cugina rimasta vedova con un bambino. La donna si trovava in visita dai genitori di Van Gogh. Vincent le chiese di sposarla, ma lei lo respinse. E' innegabile che la causa maggiore di tutti i suoi guai fu dovuta al mal d'amore. Come sostituto d'amore provò con la religione e numerose furono le sue crisi mistiche. Allo stesso modo, in seguito vivrà l'arte come surrogato della fede, e, insieme, come unica passione vitale e bruciante.A differenza della religione e, ancor più, a differenza dell'amore, l'arte viene vissuta da Vincent come una purificazione continua e multiforme, perfettamente plasmabile attraverso il suo silenzio, che ha cento occhi e mille dita. Finalmente nell'estate dell' 83, in una lettera al fratello, manifesta la coscienza di avere capacità al di là della norma. Van Gogh scrive che gli restano ancora da sei a dieci anni di vita. In realtà saranno esattamente sette. Scrive anche che non gli importa se tutti lo sbeffeggiano, quel poco tempo gli basterà per dimostrare di essere un pittore. E tutti lo prendono per pazzo. Eccolo il van Gogh che osserva la natura e ne racconta i colori con la forza di scrittore, senza avere ancora il coraggio di dipingerli a olio:non riesce ancora a riprodurre quei colori ma manca poco. Leggiamo da una lettera di van Gogh: "
Mi siedo con una tavola bianca di fronte al luogo che mi colpisce. Guardo quel che mi sta dinanzi e mi dico: questa tavola vuota deve diventare qualcosa. Torno insoddisfatto, la metto via e quando mi sono riposato un po' vado a guardarla con una specie di timore. Allora sono ancora troppo insoddisfatto perchè ho ancora troppo chiara in mente quella scena magnifica per poter essere soddisfatto di quello che ne ho tirato fuori. Ma trovo che nel mio lavoro c'è, in fondo, un'eco di quello che mi ha colpito. Vedo che la natura mi ha detto qualcosa, mi ha rivolto la parola, e che io l'ho trascritta in stenografia". Vincent era dunque cosciente di avere addirittura stenografato l'enigma della natura. Le sue visioni allucinate, in realtà, sono il risultato di una visione potente. Quando Vincent arrivò ad Arles in treno, settecentocinquanta chilometri a sud di Parigi, il 20 febbraio del 1888, stranamente trovò la neve. Rimase stupefatto, lui che era venuto al sud per incontrare il sole, si ritrovò ancora con i colori spenti del nord. Ma il bel tempo arrivò presto e la primavera esplose con tutti i colori degli alberi da frutto, che in Provenza fioriscono con grande anticipo. I mandorli, riparati dai venti più forti, sbocciano addirittura in gennaio. Vincent si buttò a capofitto sui suoi quadri, realizzando un'abbagliante sequenza di variazioni cromatiche anche con albicocchi, ciliegi, meli, peschi e susini. "
Lavoro furiosamente " scrisse ancora a Theo, "
perchè gli alberi sono in fiore, e i frutteti di Provenza hanno un'allegria folle". E' un clima estremamente mite che gli rintempra le energie e ridà vigore al suo fisico. Lì visse l'intera esistenza Jeanne Calment, la donna più longeva del Novecento. Era nata nel 1875 e morì nel 1997, a centoventidue anni, cinque mesi e quattro giorni. Aveva tredici anni e poco più, quando vedeva passare per le vie e i campi di Arles van Gogh, con il suo buffo cappello di paglia, lo sdrucito vestito lilla con venature gialle, e incollati sulle spalle, come un'ingombrante zaino, lo sgabello, il cavalletto e la tela. "
Era sporco, malvestito e sgradevole " ricordò la vegliarda, durante le celebrazioni di Amsterdam per il centenario della morte. "
L'imbrattatele pazzo" veniva chiamato dagli arlesiani, e tutti ridevano, specialmente la notte, quando lo vedevano dipingere nei campi con una dozzina di candele accese sulla tesa del suo cappellaccio. Non potevano sapere che la natura e le stelle nel firmamento si mostravano a lui in tutta la loro magnificenza. Van Gogh stava lavorando alla prefigurazione del suo prossimo quadro, e racconta a Theo: "
Il cielo di un blu cupo era macchiato da un blu più cupo del blu fondamentale, di un cobalto intenso, e da nuvole di un blu più chiaro, come il biancore azzurro della Via Lattea. Sul fondo blu le stelle splendevano chiare, adamantine come pietre preziose, più che da noi. Come opali, smeraldi, lapislazzuli, rubini, zaffiri". Ogni stella di Vincent ha la propria faccia, la propria personalità, che la rendono diversa da ogni altra, come se fossero esseri umani, vive, vibranti, desiderose di essere guardate. Ridevano di lui durante i primi mesi del suo soggiorno, poi dopo il suo gesto drammatico, ma innocente verso gli altri, di mozzarsi l'orecchio, molti buoni cittadini firmeranno una petizione al sindaco per farlo rinchiudere in manicomio. Lui, venuto lì per sfidare il sole e i colori della Provenza si ritroverà convinto anche da Theo, legato al letto del manicomio di Saint-Rémy. Forse accetta l'internamento per paura che il fratello in procinto di sposarsi non possa più adempiere al suo sostentamento ( la pigione della Casa gialla ) non perchè si sentisse veramente pazzo, ma per la certezza di vitto e alloggio gratis che la nuova dimora gli avrebbe garantito. Con i matti si trova bene e trova una solidarietà che tra i "sani" non ha mai avuto. Quando dipinge in giardino vengono tutti a vedere, discreti e educati nel non disturbarlo. Niente a che vedere con i bravi cittadini di Arles... A Saint-Rémy il cibo sa di muffa, il menù è spesso a base di fagioli, lenticchie e piselli, e uno dei passatempi preferiti dei ricoverati è esibirsi in anarchici concerti di peti intorno alla stufa. Vincent li guarda con tenerezza e ritrae alcuni di loro all'interno del manicomio, con i carcerati che girano in tondo per l'ora d'aria fra le mura altissime di una prigione. Arriva alla conclusione che morire pazzo non è peggio che morire di sifilide o tisi; di lì a decidere che morire giovane non è peggio che morire vecchio ci vuole poco. Vincent scrive ancora: "
Nell'esistenza dell'artista forse la morte non è l'atto più difficile. Io dichiaro di non saperne proprio nulla, ma sempre la vista delle stelle mi fa sognare. Semplicemente i puntini neri che sulla carta geografica indicano città e paesi. Perché mi dico, i punti luminosi del firmamento dovrebbero essere meno accessibili dei punti neri sulla carta della Francia ? Se prendiamo il treno per recarci a Tarascona o a Rouen, prendiamo la morte per raggiungere una stella". Dal terrazzo del manicomio comincia a dipingere le stelle: é il periodo della Notte Stellata, uno dei quadri più famosi, se non il più famoso. Nella prima Notte stellata sul Rodano, le stelle palpitavano nella calma del firmamento, ma erano immobili. Nella Notte stellata di Saint-Rémy, le stelle si muovono, non hanno più quell'aria viva ma tranquilla, sono parte di una corrente celeste, indecifrabile. Molti critici hanno cercato di spiegare questo mistero con la sua pazzia, come se solo un pazzo potesse dare un'interpretazione così nuova, così unica, di un fenomeno al quale l'uomo assiste dall'alba dei secoli.
La Notte Stellata Quando dipinse quelle stelle in processione, animate e fluttuanti, accadde qualcosa di terribile nella testa del povero Vincent. I pipistrelli citati nella canzone di Battisti sono realistici e profetici nel descrivere un senso di sventura. Luoghi comuni, quali l’aspetto vampiresco, lo stridere irritante, il corpo disarmonico, fanno del pipistrello l’impersonificazione del male. In sostanza si può facilmente immaginare che in quel cielo stellato e vertiginoso, non ci viene comunicata soltanto la presunta follia dell’artista, ma in quell'apocalisse magica nel cielo notturno, una fine prossima a venire.
Il pipistrello di van Gogh ( digitare su ricerca pipistrello van gogh - cranio - sedia di Vincent ) Il pipistrello è uno dei lavori di van Gogh sui suoi presagi di morte. Disegnò ancora, rappresentando la sua dissoluzione, un teschio con sigaretta, poi una sedia vuota e pipa, elementi imprescindibili che provano la tesi di un destino ineluttabile annunciatogli da lungo tempo. ( sapeva che avrebbe vissuto poco ) Quella notte riuscì a scoprire qualche segreto troppo grande nel traffico dell'universo. La comunione fra il cipresso e il roteare pazzo delle stelle costruisce un complotto che nessun uomo deve conoscere, per non venirne schiantato. Forse pochi sanno che dopo aver dipinto la Notte Stellata, Vincent tentò di ammazzarsi e ebbe una crisi di pazzia che durò più di un mese. Vide il proprio destino scritto nelle stelle ? I pipistrelli, i corvi e le cornacchie, volatili del malaugurio, lo aspettano al varco. L'appuntamento con la nera signora sarà soltanto rimandato di pochi mesi. (
G.B.Guerri )
più fitti fitti più dei pipistrelli
nella notte stellata, che volano d'estate.
Però più belli, belli più bellini,
bianchi color del lilla gridellino;
ma non è notte è giorno:
magari è estate forse;
forse magari è estate,
Non è notte, ma una mattina di un'estate torrida quando si compie il destino. D'altronde i gialli di van Gogh sono unici al mondo e la sua dipartita non poteva essere affatto casuale. Ad Arles ormai l'aria è diventata irrespirabile, dopo le sue dimissioni dall'ospedale per gran parte degli abitanti è un ospite indesiderato. I veri malati sono fuori e per Vincent la coabitazione si fa stretta; decide di partire per Parigi dove il fratello si è sposato e passare in famiglia con lui gli ultimi momenti felici. Theo è diventato padre e mostra orgoglioso al fratello la giovane moglie e un angioletto di tre mesi e mezzo, che ha voluto chiamare Vincent. "
Spero possa diventare qualcuno, d'importante". " Speriamo", risponde lui, pensando con un brivido di freddo al suo fratellino omonimo nato morto, augurandosi che il destino non gli giocasse brutti scherzi come toccò a lui con quella lapide in bella vista con il suo nome. Viene ospitato per tre giorni. Ricorda Johanna: "
Era sempre lieto e pieno di vita. Non parlammo mai di Saint-Rémy. Uscì per comperare delle olive che era abituato a mangiare tutti i giorni e che anche noi dovemmo assaggiare. Di primo mattino era già intento a guardare i suoi quadri, di cui la nostra casa era piena. Erano appesi a tutte le pareti: i frutteti in fiore erano nella camera da letto; in sala da pranzo, sopra al caminetto, I mangiatori di patate; nel soggiorno il grande paesaggio d'Arles, La notte stellata sul Rodano. E poi, dappertutto, con gran disperazione della domestica, sotto il letto, sotto il divano, e sugli armadi, nella camera degli ospiti, c'erano mucchi enormi di tele ancora senza cornice, che posammo per terra ed esaminammo attentamente". Per tre giorni Vincent zampetta tra i suoi quadri, che dispone a terra, appoggia alle pareti, sposta freneticamente da una stanza all'altra. La Notte stellata accanto ai Girasoli, gli Iris accanto al Campo di grano. Adesso, se mai avesse avuto qualche dubbio, sa per certo quale immenso prodigio ha compiuto e può mettere a confronto la sua vita con quella del fratello: Theo con la moglie che cucina per lui, gli dà affetto e sesso ogni volta che ne vuole, con il bambino che è il suo futuro nel mondo. E lui con le sue tele. Vincent avrebbe fatto cambio con il fratello ? Fra la vita del creatore senza famiglia e la vita del padre senza creazione, van Gogh non ha dubbi, e ormai è troppo debole e troppo allucinato di sé, troppo stanco per tentare una mediazione. Anche se volesse, non potrebbe più reggere - in nessun senso - una famiglia. Dopo i tre giorni passati a Parigi, Vincent accetta l'interessato consiglio di Theo e parte per Auvers. Era già un anno che Theo gli parlava di quel posto magnificandolo, anche perchè lì vive un medico suo amico, il dottor Gachet, che potrà stargli vicino. Vincent si era dimostrato docile già in una lettera dal manicomio di Saint-Rémy: "
Ciò che tu mi racconti di Auvers è per me una prospettiva molto piacevole e sia presto o tardi bisognerà realizzarla. La cosa principale è conoscere il medico, per non cadere, nell'eventualità di una crisi, in mano alla polizia e essere trasportato a forza in un ricovero". E' chiaro che ora ha molta paura, Theo tiene famiglia e non potrà aiutarlo ancora a lungo. Auvers non è lontana da Parigi, oggi basta un'ora d'automobile; allora un po' di più in treno. Prima ci sono i grandi svincoli che portano fuori dalla capitale, poi il porto di Parigi, le cittadine dei dintorni e infine la campagna, di un verde quasi grigio, soprattutto d'inverno. La strada va parallela al fiume Oise, e sia la strada sia il fiume sono affiancati dai pioppi. Il paesino è tutto stretto intorno alla strada nazionale, con un'area antica e le case di pietra scura. Ha ancora la severità e la bellezza modesta che ci trovò Vincent. Al centro del borgo c'era l'osteria dei coniugi Ravoux, la più economica, dove andò a vivere e dove morì. Gli danno una piccolissima mansarda che contiene appena un tavolino e il letto, dove la luce arriva da un minuscolo lucernario sul soffitto. Paga poco, e per sovrapprezzo Vincent fa un ritratto alla figlia del proprietario e glielo regala. Dopo la sua morte, l'oste ricevette in regalo da Theo un altro quadro: il municipio decorato a festa per il 14 luglio, anniversario della presa della Bastiglia. Monsieur Ravoux appese i due quadri nel retrobottega. Un giorno, anni dopo, passò da lì un altro pittore americano che li vide e gli piacquero, offrendo quaranta franchi per entrambi. Una bella cifretta ( tredici notti d'affitto nella stanza di Vincent ) e l'oste senza pensarci li cede volentieri, convinto del buon affare. Poi in famiglia, scherzò su quanto fosse ingenuo quell'americano scialacquone. Il municipio di Auvers, di fronte alla locanda, è ancora lì identico; sembra un elmetto prussiano, con il suo campaniluccio puntuto in cima al tetto.
Tredici giorni prima di spararsi, van Gogh lo aveva massacrato, raffigurandolo con linee sghembe e incerte, quel palazzotto rigido e pieno di sé, fino a renderlo una struttura fragile e inaffidabile. Aveva raffigurato l'anima di una nazione orgogliosa e noiosa nelle sue presunzioni di grandezza. Quel quadro pagato venti franchi dall'americano, oggi vale quaranta milioni di euro. Si trova ancora negli Stati Uniti, in una collezione privata di Chicago. Dal municipio ci sono poche centinaia di metri prima di svoltare a sinistra, verso il cimitero. Appena iniziata la salita, si incontra la chiesa del paese. Vincent l'ha dipinta da dietro, dall'abside, dove non c'è porta e i due viottoli che si fiancheggiano si perdono nel niente. Una donna volta le spalle a Vincent e si allontana in fretta. Donna e chiesa sono minacciate da un cielo blu profondo e cobalto che annuncia il diluvio. La strada conduce o alla città e alla vita o ai campi e al cimitero. Nel quadro è in primo piano la via per il cimitero. Il parroco del paese non volle celebrare una funzione funebre, visto che si trattava di un suicida. Il cadavere di Vincent ebbe un destino che ricorda molto crudamente la sua vita. Il feretro venne deposto sul biliardo dell'osteria, cioè in uno di quei luoghi dove van Gogh aveva trascorso tanta della sua tristezza. Alle pareti furono appesi gli ultimi quadri: sulla bara misero dieci girasoli, perchè tutti sapevano quanto gli piacevano. Dalla bara, che era fatta male, uciva un liquido fetido. Il sacerdote rifiutò persino di prestare il carro per il trasporto al cimitero. Ma Theo ottenne di farlo seppellire in terra consacrata. Almeno durante la sepoltura, Vincent non sarà solo: oltre a Theo e a Gachet c'erano i pittori Lucien Pissarro, Tanguy e Bernard, che ricorderà: "
C'era un sole atroce. Salimmo le strade di Auvers parlando di lui, della svolta ardita che aveva impresso alla pittura, dei grandi progetti che aveva sempre in mente, del bene che aveva fatto a ciascuno di noi". Insomma, parlavano bene di lui come si fa sempre a proposito dei morti, soprattutto di quelli che da vivi non si è riusciti a aiutare abbastanza ( o forse non si è voluto ). La morte di Vincent van Gogh meritò quattro righe su un giornale locale: "
Domenica 27 luglio un uomo di nome van Gogh di trentasette anni, olandese, pittore di passaggio a Auvers, si è tirato un colpo di revolver nei campi, e, essendo soltanto ferito, è rientrato nella sua camera, dove è morto l'indomani". Un piccolo episodio di cronaca nera. Arrivato a Auvers Vincent non si sentiva di condurre una vita in solitudine e tentò con ingenuità di convincere qualcuno dei pochi amici di Arles a seguirlo per convivere con lui. Nessuno vuole stare vicino a Vincent, nessuno tranne lo strano dottor Gachet, che era un amico di Pissarro. Secondo Theo, Gachet disponeva di un terzo merito, oltre a essere dottore e pittore dilettante, cioè di avere avuto una bisnonna fiamminga; parlava il fiammingo e quindi avrebbe potuto comunicare con il fratello nella lingua madre. Sennonché Vincent si esprimeva da molti anni ormai soltanto in francese, benissimo, e non amava affatto usare la propria aspra lingua natale. Il dottor Paul Ferdinand Gachet fu fatale per van Gogh. Ha sessantadue anni, è alto, magro, rosso di pelo, il volto sbieco, le occhiaie profonde e scurissime. Theo pensa che potrà controllare bene l'inquieto fratello perchè il dottore ha conosciuto e amato molti pittori, quasi tutti i rappresentanti del gotha artistico parigino impressionista. Possiede molti loro quadri e continua a dipingere con lo pseudonimo di Paul van Ryssel. Purtroppo dipinge senza arte e né parte, lo sa e l'invidia lo rode nei confronti di quel presuntuoso olandese. Gachet si consola facendo il psichiatra, ma è pazzo pure lui, di una pazzia speculare a quella di Vincent: Ognuno dei due è scontento della mezza vita che gli è toccata: al dottore quella senza creazione, a van Gogh la creazione senza un'esistenza degna di questo nome. Vincent, appena lo incontra, scopre "
la malattia nervosa di cui mi sembra soffra in forma grave almeno quanto me". E in luglio, quando lo conosce meglio: "
Credo che non si possa contare minimamente sul dottor Gachet. Anzitutto è più malato di me, a quanto mi è parso, o almeno altrettanto. Ora se un cieco guiderà un altro cieco, non cadranno tutti e due in acqua ?" Il medico si era laureato con una tesi sulla malinconia e era il più malinconico degli uomini. Fu lui a dare - involontariamenta chi sa - il colpo di grazia a Vincent. Per Gachet la malinconia è diffusa in tutta la natura ( animali, vegetali, pietre addirittura )."
Il ragno, il gufo, il rospo, il rettile sono melanconici" scrisse. Figurarsi gli uomini. In conclusione, non cura Vincent, se non incoraggiandolo a andare nei campi con tele, pennelli e colori, ovvero spingendolo sempre di più verso la disperazione esistenziale e cosmica che lo avrebbe portato al suicidio. Van Gogh di lui fa due ritratti ( il primo a sinistra diventerà il più costoso della storia ) ma negli occhi del medico vi è una chiara luce di demenza rispetto la sua persona.
Il dottor Gachet Gachet è un vero pericolo per Vincent, ma Theo non se ne accorge, o se se ne accorge fa finta di niente. Come aveva previsto Vincent, ora Theo è tutto preso dalla famiglia e continua a scrivergli che i soldi non gli bastano a sfamare tante bocche. Vincent non vede affatto un futuro felice e gli rimangono solo settanta giorni da vivere. In quel paesaggio meno solare della Provenza, all'inizio sembra affascinato soprattutto dalle nuvole, che raffigura come mosse da un'intima forza misteriosa, che non è affatto quella del vento. Lavora tutto il giorno, va a letto alle nove di sera e si alza alle cinque. In settanta giorni terminò settanta quadri e almeno trenta disegni. Sapeva che il suo tempo era terminato.
Il 13 giugno Vincent scrive a Theo: "
La salute va bene. Spero anche di continuare così, perchè mi sento molto più sicuro del mio pennello di prima che andassi ad Arles e monsieur Gachet dice che gli sembra improbabile una ricaduta e che va proprio bene". L'acuto dottor Gachet. In effetti Gachet non aveva capito niente di lui, la prova è che non spese un solo franco per comprare uno dei suoi settanta quadri che gli vennero dipinti sotto gli occhi, che gli venivano mostrati tutti i giorni. Si tenne attaccato al suo denaro e alla sua malinconia, e morì di noia a ottantun anni. Non si offrì nemmeno di comprare uno dei due ritratti che gli fece Vincent; Gachet non lo chiese neanche in dono, o in prestito, ne pensò, dopo la morte del grande artista, di tenerlo come ricordo. Sicuramente non lo amava. Il 27 luglio è domenica. Vincent si sveglia alle cinque come il solito, ma al contrario del solito, non va nei campi a dipingere. Sta su una sedia, nella sua stanza minuscola e senza finestre. Fuma la pipa, mangia olive verdi. Resta immobile per ore, nessuno saprà mai cosa pensa. A un certo punto va al tavolino, e scrive una lettera a Theo, l'ultima. Inizia come decine di altre: "
Mio caro fratello, grazie della tua lettera e del biglietto di cinquanta franchi che conteneva. Che tu mi rassicuri sulla tranquillità della tua vita famigliare non valeva la pena: credo di aver visto il lato buono e il suo rovescio. E' del resto sono d'accordo che tirar su un marmocchio in un appartamento al quarto piano è una grossa schiavitù sia per te che per Jo." Poi, riprende un discorso confuso sull'arte e sul mercato dell'arte, ma importante è la conclusione dell'ultima parte della lettera. E' la sintesi della sua vita e la spiegazione della sua morte:
Ebbene, nel mio lavoro ci rischio la vita, e la mia ragione vi si è consumata a metà.
Non termina la lettera, se la infila in tasca. In un altra tasca mette la pistola, poi scende per la colazione. Forse il suo ultimo tentativo per salvarsi, un ottimo rimedio per distoglierlo, almeno temporaneamente, dal suo proposito. ( Dickens consigliava agli aspiranti suicidi di mangiare poichè aiuterebbe a farsi buon sangue ) Questi trucchi però non gli bastano più, e oltretutto ha smesso di bere dai tempi del manicomio. Nel mio lavoro ci rischio la vita. Nonostante questa frase, sono stati scritti e si scriveranno centinaia di libri per capire il suo suicidio. Dopo mangiato si alza da tavola e esce, per la prima volta senza cavalletto, sgabello, tela e colori. Ma la pistola è un pennello, con quel colpo Vincent non si uccide: si termina. Mentre si avvia verso la campagna, incontra paesani e contadini vestiti di tutto pronto; scendono in piazza per la domenica, festanti. Lui arriva fuori dal paese con il solito passo veloce e ingobbito; puzza di sudore, i capelli corti e radi sono sporchi; indossa pantaloni scuri macchiati di terra e grosse scarpe da contadino; ha una camicia bianca senza colletto e, nonostante il caldo terribile, una giubba blu da operaio, la stessa che porta da anni. Aprendo la bocca nella camminata rapida mostra una dentatura gialla di nicotina, nera di carie e metallica di acciaio. Il sole è alto. Come mai, proprio oggi, Vincent non si è messo il cappello ? Fa ancora qualche centinaio di metri, entra nella buca del letame, accende la pipa, fuma con calma l'intera carica, la vuota, la rimette in tasca e impugna la pistola. Così come ha fumato, con calma, preme il grilletto.E' uno sparo indeciso e debole: si era tagliato solo un po' d'orecchio, si spara proprio sotto le costole, a sinistra, all'altezza dell'ombelico, puntando la canna verso l'alto. La pallottola buca la carne, attraversa la cavità pleurica e si conficca vicino ai grandi vasi della colonna vertebrale e nel diaframma. Non era una ferita grave, oggi lo avrebbero salvato. Forse lo avrebbero salvato anche allora, se fosse stato curato subito e bene. Vincent rimane nel letame per chissà quanto tempo, aspettando di vedere
se muore o, chissà, se qualcuno viene a prendersi cura di lui. Ma non si spara un secondo colpo, anzi butta la pistola, che non verrà più ritrovata. Quando fa buio torna disciplinamente in albergo, barcollando. Si tiene il ventre, zoppica, la testa gli pende dalla parte dell'orecchio mozzato. I padroni dell'albergo, preoccupati lo interrogano. "
Che avete ?" - "O nulla, mi sono ferito...", risponde, e sale lentamente i diciassette gradini che portano alla mansarda. Monta sul letto a fatica, rivolge la faccia al muro. La luce, pochissima, entra dal piccolo lucernario sul soffitto. Da sotto lo sentono lamentarsi e monsieur Ravoux sale le scale per vedere cosa succede. Gli chiede ancora che cos'ha, e finalmente Vincent mostra un piccolo foro sanguinante sulla camicia: "
Ecco." - "
Ma che avete fatto?!" - "Mi sono sparato. Speriamo di non essermi mancato." Viene subito chiamato il medico del paese, che lo esamina alla luce di una candela. Non si può estrarre il proiettile sostiene. Non resta che aspettare e vedere se il ferito si riprende. Arriva anche Gachet. Van Gogh chiede di fumare, e da questo momento non abbandonerà più la pipa. "
E' un ottimo rimedio contro la malinconia", dice per compiacere la fissazione di Gachet. O per prenderlo in giro, forse. Gachet lo rassicura, probabilmente si salverà. "
E'da rifare allora", risponde Vincent. Arriva la polizia. Stavolta van Gogh ha pronta la frase che non gli era venuta quando si era tagliato l'orecchio e la polizia di Arles l'aveva tanto tormentato con interrogatori stravaganti, per poi ritrovarsi al manicomio: "
Quel che ho fatto non riguarda che me. Sono libero di fare del mio corpo ciò che voglio". E rifiuta di dire qualsiasi altra parola alla polizia. La pipa ha un ottimo sapore e il cielo non sembra più così minaccioso. I corvi forse hanno lasciato posto a brandelli di spighe che fluttuano leggeri nella foschia. Gachet va a dormire e lascia lì un figlio. Passa la notte, torna il giorno. Fa un caldo torrido, sotto il tetto della mansarda. I dolori dell'infezione sono tremendi, e nessuno gli dà niente per soffrire meno. Vincent supplica: "
Ma non c'è nessuno capace di aprirmi la pancia ?" E' circondato di nuovo dai proprietari della locanda, da Gachet e dai loro figli. A chi gli chiede spiega gentilmente: "
Mi scocciavo, e allora mi sono ucciso". Ma non c'è lingua che possa tradurre bene il verbo francese: "
Je m'emmerdai".Nessuno gli apre la pancia, nessuno chiama altri medici e nessuno pensa di trasportarlo a Parigi. E' un povero pazzo che si è sparato: era inevitabile, prima o poi. Gachet si è limitato a mandare d'urgenza, con i mezzi di allora, un biglietto a Theo, che finalmente arriva. Vincent gli dice, come per scusarsi: "
Ancora mancato!" Theo lo abbraccia, piange, chiede perchè. "
Non piangere. L'ho fatto per il bene di tutti." Fa sempre più caldo. Van Gogh puzza di sangue, sudore e merda; le mosche ronzano ovunque e cercano di avvicinarsi alla ferita. Theo lo rasssicura, gli dice che guarirà, ma Vincent vede più lontano: "
E' inutile, la tristezza durerà tutta la vita". La tristezza dura tutte le ore che gli restano, in quella compagnia tanto lontana dai colori del suo spirito. All'una e trenta di notte, il 29 luglio, sviene e poco dopo, finalmente, muore. ( il rosso se ne partì col nero ) Due anni prima aveva scritto a Theo: "
Noi artisti paghiamo un prezzo incredibilmente alto di salute, di giovinezza, di libertà, delle quali noi dobbiamo godere nulla, proprio come il ronzino che tira la carrozza di gente che godrà, loro si, la primavera".
Ricordi di Auvers sur Oise Van Gogh ha vissuto troppo intensamente per poter reggere, bruciando in pochi anni se stesso. Ha sofferto la sua esistenza ribellandosi alla vita con sacrifici d'epica imponenza; si è immolato al suo stesso epos con una precisa coscienza di autopunizione. Antonin Artaud, commediografo, attore, scrittore e regista teatrale francese, nel suo libro
Van Gogh il suicidato della società, ha scritto: "
Van Gogh è, di tutti i pittori, quello che ci spogliato fino a fondo e fino alla trama. Aveva dunque ragione: si può vivere l'infinito, non saziarsi che d'infinito. C'è abbastanza infinito sulla terra e nelle sfere di che saziare mille grandi geni. E se van Gogh non ha potuto appagare il suo desiderio così da irradiarne la sua esistenza intera è perchè la società glielo ha proibito. L'umanità non vuole darsi il fastidio di esistere: ha sempre preferito accontentarsi di esistere. Una società malata ha inventato la psichiatria per difendersi dalle indagini delle menti superiori, di cui non sopporta la facoltà di divinazione". E il dottor Gachet ha condotto al suicidio Vincent per conto della società: "
L'hanno ucciso perchè rivelava all'umanità di vivere sopra un'immensa bestia immonda. Questa terra fatta di carne ostile, di collera, di viscere sventrate. Rovinava la poesia della natura, non sarebbero più riusciti a camminare su un prato, se lo lasciavano fare. Così hanno detto che era pazzo, gli hanno fatto credere di essere pazzo".(
G.B.Guerri )
Dopo questo lungo e appassionante viaggio, abbandoniamo alla storia il genio e il triste destino di questo grande protagonista dell'Ottocento e concediamoci una breve digressione di attualità sui tempi odierni. L'Olanda è una nazione che ha dato molto anche allo sport, grazie soprattutto alle sue colonie ha esportato nel mondo grandi campioni. Gli sport più popolari, sia dal punto di vista della pratica attiva che dell'affluenza di pubblico sono il baseball, il calcio, il ciclismo, il pattinaggio ed il tennis. Come nella maggior parte delle grandi nazioni sviluppate, molti degli abitanti dei Paesi Bassi praticano qualche sport a livello amatoriale: oltre un quarto degli olandesi frequenta almeno uno degli oltre 35.000 centri sportivi del paese, e due terzi della popolazione oltre i 15 anni pratica qualche sport. Come altrove, lo sport è anche un importante fenomeno sociale e di costume. Una grandiosa gara internazionale che richiama ogni anno nel mese di ottobre migliaia di appassionati, è la maratona di Amsterdam ( giunta ormai alla 34° edizione ) Una delle più prestigiose del mondo, dopo quella di New York, Londra, Chicago e Berlino. La Maratona ha origini antichissime ma divenne gara ufficiale alle Olimpiadi a partire dai giochi di Parigi del 1924. La successiva edizione del 1928 si svolse nello Stadio Olimpico di Amsterdam. "
L'importante non è vincere ma partecipare", era il motto di Pierre de Coubertin nel promuovere questa tradizione di confronto sportivo come incontro mondiale degli sport, vedendo nello sport uno strumento per favorire la fratellanza fra i popoli. L'agonismo non manca di certo, arrivare sul podio è il sogno di ogni atleta, ma in questo tipo di manifestazioni pochi possono ambire al primo posto, per la stragrande maggioranza dei partecipanti vale solo il contorno. Per celebrare questo evento storico, la maratona ogni anno viene rievocata iniziando e terminando la corsa all'interno del grande Stadio della capitale. L'itinerario attraversa il centro urbano di Amsterdam e passa per le maggiori attrazioni, tra le più belle piazze, vie e parchi della città, come il famoso Vondelpark e la piazza Rembrandt. I corridori nel loro percorso possono ammirare le riserve naturali da entrambi i lati del fiume Amstel, i Mulini a vento, il Museo marittimo, i canali storici, il Rijksmuseum.
Maratona di Amsterdam
cominciano le corse
tutti arrivando i primi:
i primi in una cosa,
una cosina dolce,
una cosina dolce.
Io ti vedrei davvero volentieri.
L'Olanda è tutto e di più. Arte, tradizioni, folclore e trasgressione, si fondono in un grande abbraccio.
"Rispetto le tue scelte e i tuoi diritti, purché tu rispetti le mie e i tuoi comportamenti non interferiscano con i miei". Un grande paese liberale e tollerante dal fascino indiscusso, un crogiuolo di culture diverse, in cui è impossibile annoiarsi. Come a Venezia in gondola, si può navigare in barca tra gli innumerevoli canali, visitare le grandi attrazioni, frequentare un gran numero di ristoranti, in cui si possono trovare diversi tipi di cucine, retaggio del suo passato coloniale. Lo sguardo si perde davanti ad una distesa infinita di tetti rossi, al verde dei giardini e alla cintura dei suoi
Il vate galante