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Giovanni Paolo II e la sua visione del concilio

Ultimo Aggiornamento: 31/10/2009 08:38
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Giovanni Paolo II e la sua visione del concilio

Parliamo all'uomo in modo comprensibile


Si apre il 28 ottobre a Roma, presso la Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura Seraphicum il convegno internazionale "Cristo, Chiesa, Uomo. Il vaticano II nel pontificato di Giovanni Paolo II". Pubblichiamo stralci dell'intervento di apertura del cardinale segretario di Stato.

di Tarcisio Bertone

Negli anni del dopo-concilio due interpretazioni, due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto: l'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente, ma sempre più visibilmente, ha portato frutti.

La prima, "l'ermeneutica della discontinuità e della rottura", che a tratti si è avvalsa della simpatia dei mass-media, e di non pochi esponenti della teologia moderna, la seconda, l'"ermeneutica della riforma", del rinnovamento nella continuità. L'ermeneutica della discontinuità -
mette in guardia Benedetto XVI - rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare.

Vale la pena citare qui testualmente le parole di Benedetto XVI: "Essa asserisce che i testi del concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del concilio, ma negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l'intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del concilio, ma il suo spirito" (Insegnamenti, i, 2005, pp. 1024-1025).

Ma in che consiste veramente lo spirito conciliare? Ampio è qui lo spazio d'interpretazione e, di conseguenza, ampia è la possibilità di essere estrosi nell'applicarlo. Il concilio - è sempre il Papa a dirlo - "viene considerato come una specie di costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo, al quale la costituzione deve servire. I padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna. I vescovi, mediante il sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore e "amministratori dei misteri di Dio"". (Insegnamenti, i, 2005, p. 1024).
All'ermeneutica della discontinuità si oppone invece quella che Sua Santità chiama "l'ermeneutica della riforma", che ben traduce le intenzioni di Giovanni xxiii espresse nel suo
discorso d'apertura del concilio l'11 ottobre 1962 e poi di Papa Paolo vi manifestate con chiarezza nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965.
Giovanni xxiii - proprio oggi ricordiamo il cinquantesimo di inizio del suo pontificato - affermava che il concilio intendeva "trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti".
E continuava: "Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell'antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell'opera, che la nostra età esige(...)
È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo". (Sacri Oecumenici Concilii Vaticani ii Constitutiones Decreta Declarationes, 1974, pp. 863-865). Se si vuole esprimere in modo nuovo una determinata verità occorre certo una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa; occorre inoltre tener conto che la nuova parola può maturare soltanto se nasce da una comprensione consapevole della verità espressa e che, d'altra parte, la riflessione sulla fede esige - precisa Benedetto XVI - che si viva questa fede.
In questo senso il programma proposto da Papa Giovanni xxiii era estremamente esigente, come esigente è la sintesi di fedeltà e dinamismo creativo. Ma ovunque questa interpretazione ha orientato il lavoro di "aggiornamento" secondo il concilio, si sono registrati tanti frutti di santità e di vita apostolica.
Continua ancora Benedetto XVI: "Nella grande disputa sull'uomo, che contraddistingue il tempo moderno, il concilio doveva dedicarsi in modo particolare al tema dell'antropologia" (Insegnamenti, vol. i, 2005, p. 1026). Esso stesso doveva determinare in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età moderna, un rapporto iniziato in maniera problematica con il processo a Galileo; rapporto spezzatosi in seguito quando Immanuel Kant definì la "religione entro la sola ragione" e quando, nella fase radicale della rivoluzione francese, venne diffusa un'immagine dello stato e dell'uomo che in pratica non concedeva più spazio alla Chiesa ed alla fede. Nell'Ottocento si era registrato un duro scontro tra un liberalismo radicale alleato con la pretesa delle scienze naturali di abbracciare tutta la realtà, rendendo superflua l'"ipotesi Dio" e la Chiesa che, sotto Pio ix, condannò lo spirito dell'età moderna. Seguirono anni di reciproca diffidenza e chiusura, ma con il passare degli anni, e siamo al secolo xx, l'elaborazione della dottrina sociale della Chiesa e la progressiva apertura a Dio delle scienze naturali, che lavorando con un metodo limitato all'aspetto fenomenico della realtà si rendevano conto sempre più chiaramente che questo metodo non poteva comprendere la totalità della realtà, segnarono un processo di reciproco avvicinamento. Vennero così a chiarirsi tre ambiti di domande a cui il concilio doveva rispondere: definire in modo nuovo la relazione tra fede e scienze moderne; chiarire il rapporto tra Chiesa e Stato moderno e, collegato con questo tema, approfondire il problema della tolleranza religiosa, questione questa che esigeva una nuova definizione del rapporto tra fede cristiana e religioni del mondo.
Mi chiedo ora: quale era la visione che del concilio aveva Karol Wojtyla? Da ogni suo intervento sia da arcivescovo di Cracovia, e ancor più da Pontefice, si comprende facilmente che per lui i decreti conciliari non segnano una rottura con il passato, ma sono un invito ai pastori a tradurre il messaggio evangelico in modi comprensibili all'età contemporanea; un lavoro questo che non tocca l'essenza delle verità di fede immutabili, bensì la maniera di presentarle agli uomini di ogni epoca. Che questo sia il modo con cui recepì il concilio vaticano II il servo di Dio Giovanni Paolo II lo si comprende da tanti significativi interventi. Mi limiterò qui a citarne qualcuno.
Nel 1985, per ricordare i venti anni della chiusura del concilio, egli convocò un sinodo straordinario dei vescovi, ed in quella circostanza i padri sinodali non mancarono di evidenziare le "luci e ombre" che avevano caratterizzato il periodo post conciliare. Riprese le considerazioni del sinodo nella Lettera
Tertio Millennio adveniente, in preparazione al grande Giubileo del 2000, affermando che "l'esame di coscienza non può non riguardare anche la ricezione del Concilio" (n. 36).
La preoccupazione di Papa Wojtyla fu dunque sempre quella di salvaguardare la genuina intenzione dei padri conciliari, recuperando, anzi superando quelle "interpretazioni prevenute e parziali" che di fatto impedirono di esprimere al meglio la novità del magistero conciliare.
C'è poi il discorso che egli tenne il 27 febbraio del 2000, al convegno internazionale di studio proprio sull'attuazione del concilio. In quella circostanza affermò che anzitutto il concilio fu "un'esperienza di fede per la Chiesa", anzi - disse testualmente - "un atto di abbandono a Dio che, da un esame sereno degli Atti, emerge sovrano".
E continuò asserendo che chi volesse avvicinare il concilio prescindendo da questa chiave di lettura "si priverebbe della possibilità di penetrarne l'anima profonda". Inoltre - egli proseguì - il concilio fu una vera sfida per i padri conciliari, che consisteva - e cito ancora testualmente - "nell'impegno di comprendere più intimamente, in un periodo di rapidi cambiamenti, la natura della Chiesa e il suo rapporto con il mondo per provvedere all'opportuno "aggiornamento". Ed aggiunse, facendo leva su ricordi personali: "Abbiamo raccolto quella sfida - c'ero anch'io tra i padri conciliari - e vi abbiamo dato risposta cercando un'intelligenza più coerente della fede. Ciò che abbiamo compiuto al concilio è stato di rendere manifesto che anche l'uomo contemporaneo, se vuole comprendere a fondo se stesso, ha bisogno di Gesù Cristo e della sua Chiesa, la quale permane nel mondo come segno di unità e di comunione" (Insegnamenti, xxiii, 1, 2000, p. 274). E pertanto, una lettura del concilio come rottura col passato è decisamente fuorviante.
Sempre in questo memorabile discorso, egli fece sue le parole di Paolo vi che, aprendo la quarta sessione, definì il concilio: "Un grande e triplice atto d'amore": un atto d'amore "verso Dio, verso la Chiesa, verso l'umanità" (Insegnamenti, iii, 1965, p. 475). Ed aggiunse Giovanni Paolo II che l'efficacia di quell'atto non si era esaurita, ma continuava ad operare attraverso la ricca dinamica dei suoi insegnamenti.
Torno ora brevemente alla già citata assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi. Aprendola, il 24 novembre del 1985, Giovanni Paolo II affermò: "Il concilio, che ci ha donato una ricca dottrina ecclesiologica, ha collegato organicamente il suo insegnamento sulla Chiesa con quello sulla vocazione dell'uomo in Cristo" (Insegnamenti, viii, 2, 1985, p. 1371). Cristo - Chiesa - Uomo: ritorna dunque il tema di questo vostro convegno. La costituzione pastorale Gaudium et spes, molto cara a questo Pontefice - ponendo gli interrogativi fondamentali a cui ogni persona è chiamata a rispondere, non cessa di ripetere queste parole sempre attuali: "Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (n. 22), parole che Papa Wojtyla volle riproporre nei passaggi fondamentali del suo magistero perché segnano come la "vera sintesi a cui la Chiesa deve sempre guardare nel momento in cui dialoga con l'uomo di questo come di ogni altro tempo". Il vescovo Karol Wojtyla, appena terminato il concilio, aveva scritto che "prendendo in esame l'insieme del magistero conciliare, ci accorgiamo che i pastori della Chiesa si prefiggevano non tanto e non soltanto di dare una risposta all'interrogativo: in che cosa bisogna credere, quale è il genuino senso di questa o quella verità di fede o simili, ma cercavano piuttosto di rispondere alla domanda più complessa, che cosa vuol dire essere credente, essere cattolico, essere membro della Chiesa?".
Per lui, dunque, il concilio vaticano II fu il concilio "della Chiesa", "di Cristo", "dell'uomo", parole che descrivono lo stretto rapporto esistente tra l'ecclesiologia, la cristologia e l'antropologia del vaticano II. Parlare di Gesù, è parlare della Chiesa e quindi dell'uomo: l'uno richiama necessariamente l'altro perché non si può dividere la storia della redenzione in categorie che non abbiano a che fare con la nostra storia e personale e comunitaria.

(©L'Osservatore Romano - 29 ottobre 2008)
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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO INTERNAZIONALE SUL TEMA "IL VATICANO II NEL PONTIFICATO DI GIOVANNI PAOLO II", 28.10.2008

Si è aperto oggi a Roma il Convegno Internazionale sul tema "Il Vaticano II nel Pontificato di Giovanni Paolo II", organizzato dalla Pontificia Facoltà Teologica "San Bonaventura" - Seraphicum e dall’Istituto di Documentazione e di Studio del Pontificato di Giovanni Paolo II.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio inviato dal Santo Padre Benedetto XVI ai partecipanti, indirizzato al Rev.mo P. Marco Tasca, Ministro Generale dei Frati Minori Conventuali e Gran Cancelliere della Pontificia Facoltà Teologica "San Bonaventura" - Seraphicum:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Rev.mo P. Marco Tasca
Ministro Generale dei Frati Minori Conventuali
e Gran Cancelliere della Pontificia Facoltà Teologica


"San Bonaventura"- Seraphicum

Ho appreso con gioia che codesta Pontificia Facoltà Teologica, insieme con l’Istituto di Documentazione e di Studio del Pontificato di Giovanni Paolo II, ha voluto promuovere un Convegno Internazionale sul tema "Il Vaticano II nel Pontificato di Giovanni Paolo II". Con questa iniziativa la Facoltà Teologica ha inteso, fra l’altro, sviluppare una riflessione approfondita sulla situazione attuale della Chiesa in vista della celebrazione dell’VIII centenario della Regola che san Francesco presentò al Papa Innocenzo III nel 1209, ricevendone a voce l’approvazione. L’Istituto di Documentazione e di Studio con quest’importante evento scientifico si è proposto di celebrare il 30° anniversario dell’elevazione di Karol Wojtyła alla Sede di Pietro, con lo scopo di far meglio conoscere l’insegnamento del grande Pontefice e il suo amore per la Chiesa nel contesto storico e teologico del Concilio, che tanto gli stava a cuore.

Nel rivolgerLe, caro Ministro Generale, il mio saluto cordiale La prego di volersi far interprete con i Confratelli conventuali, con i Professori dell’Ateneo, con il Direttore e i Membri dell’Istituto e con tutti i partecipanti al Congresso, dei sentimenti di paterno affetto che nutro per ciascuno di loro.

Non posso non rallegrarmi per la scelta di un tema che unisce insieme due argomenti di un interesse del tutto singolare per me: il Concilio Vaticano II, a cui ebbi l’onore di partecipare come esperto, da una parte, e la figura dell’amato mio Predecessore Giovanni Paolo II, dall’altra, che a quel Concilio recò un significativo contributo personale come Padre conciliare, divenendone poi, per volere divino, primario esecutore negli anni di Pontificato.

In questo contesto, mi pare doveroso anche ricordare che il Concilio scaturì dal grande cuore del Papa Giovanni XXIII, del quale ricordiamo proprio oggi, 28 ottobre, il cinquantesimo anniversario di elezione alla Cattedra di Pietro.

Ho detto che il Concilio è scaturito dal cuore di Giovanni XXIII, ma più esatto sarebbe dire che esso ultimamente, come tutti i grandi avvenimenti della storia della Chiesa, scaturì dal cuore di Dio, dalla sua volontà salvifica
: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16).

Rendere accessibile all’uomo di oggi la salvezza divina fu per Papa Giovanni il motivo fondamentale della convocazione del Concilio e fu questa la prospettiva con la quale i Padri hanno lavorato.

Proprio per questo "i documenti conciliari -
come ho ricordato il 20 aprile 2005, all’indomani della mia elezione a Pontefice - con il passare degli anni non hanno perso di attualità", ma anzi si rivelano "particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente società globalizzata".

Giovanni Paolo II ha accolto praticamente in ogni suo documento, ed ancor più nelle sue scelte e nel suo comportamento come Pontefice, le fondamentali istanze del Concilio Ecumenico Vaticano II, diventandone così qualificato interprete e coerente testimone. Sua preoccupazione costante è stata quella di far conoscere a tutti quali vantaggi potevano scaturire dall’accoglienza della visione conciliare, non solo per il bene della Chiesa, ma anche per quello della stessa società civile e delle persone in essa operanti. "Abbiamo contratto un debito verso lo Spirito Santo,- egli disse
all’Angelus del 6 ottobre 1985, riferendosi al Sinodo straordinario dei Vescovi, che si stava per celebrare proprio per riflettere sulla risposta data dalla Chiesa durante i vent’anni che erano trascorsi dalla conclusione del Vaticano II - abbiamo contratto un debito verso lo Spirito di Cristo. Questo infatti è lo Spirito che parla alle Chiese (cfr Ap 2, 7): durante il Concilio e per suo mezzo, la sua parola è divenuta particolarmente espressiva e decisiva per la Chiesa".

Noi tutti siamo davvero debitori di questo straordinario evento ecclesiale. La molteplice eredità dottrinale che ritroviamo nelle sue Costituzioni dogmatiche, nelle Dichiarazioni e nei Decreti, ci stimola tuttora ad approfondire la Parola del Signore per applicarla all’oggi della Chiesa, tenendo ben presenti le numerose necessità degli uomini e delle donne del mondo contemporaneo, estremamente bisognoso di conoscere e sperimentare la luce della speranza cristiana.

Il
Sinodo dei Vescovi appena concluso ha posto queste necessità al centro delle proprie proficue e ricche riflessioni, riaffermando quanto la Costituzione Dei Verbum già auspicava: "Con la lettura e lo studio dei sacri libri «la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata" (2 Ts 3,1), e il tesoro della Rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini" (n. 26), portando ad essi la salvezza di Dio e con essa l’autentica felicità.

È un impegno che mi piace affidare in modo particolare a voi, cari Professori della Pontificia Facoltà Teologica, che venera il Dottore serafico San Bonaventura come suo celeste Patrono. Nella ricchezza del suo pensiero, egli può offrirvi chiavi di lettura ancora attuali, con le quali avvicinarvi ai documenti conciliari per cercarvi risposte soddisfacenti ai molti interrogativi del nostro tempo. L’ansia per la salvezza dell’umanità, che animava i Padri del Concilio orientandone l’impegno nella ricerca di soluzioni ai tanti problemi odierni, non era meno viva nel cuore di San Bonaventura di fronte alle speranze e alle angosce degli uomini del suo tempo. Poiché, d’altra parte, gli interrogativi di fondo che l’uomo si porta nel cuore non cambiano col mutare dei tempi, anche le risposte elaborate dal Dottore serafico rimangono nella sostanza valide ancora oggi.

In particolare, resta valido quell’Itinerarium mentis in Deum che San Bonaventura compose nel 1259. Questo prezioso piccolo libro, pur guidando alle altezze della teologica mistica, parla anche a tutti i cristiani di ciò che è essenziale nella loro vita. La meta ultima di tutte le nostre attività deve essere la nostra comunione col Dio vivente. Così anche per i Padri del Concilio Vaticano II l’ultimo scopo di tutti i singoli elementi del rinnovamento della Chiesa fu guidare al Dio vivente rivelatosi in Gesù Cristo.

Sono certo che la Pontificia Facoltà San Bonaventura e l’Istituto di Documentazione e di Studio del Pontificato di Giovanni Paolo II continueranno a sviluppare la loro riflessione sui testi conciliari, avvalendosi anche degli apporti maturati nel presente Congresso. Assicuro in questo senso il sostegno della mia preghiera e, quale pegno dei lumi celesti per un lavoro ricco di frutti, imparto a Lei, Reverendissimo Ministro Generale, ai Relatori del Congresso ed a quanti vi prendono parte, come anche alla Fondazione Giovanni Paolo II che ha generosamente contribuito alla sua realizzazione, l’Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 28 ottobre 2008

BENEDICTUS PP. XVI

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