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I FIORETTI DI SAN FRANCESCO D'ASSISI

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 22:31
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21/09/2009 22:01

CAPITOLO UNDICESIMO

Come santo Francesco fece aggirare intorno intorno più volte frate Masseo, e poi n'andò a Siena. Andando un dì santo Francesco per cammino con frate Masseo, il detto frate Masseo andava un po' innanzi, e giungendo a un trivio di via, per lo quale si potea andare a Firenze, a Siena e Arezzo, disse frate Masseo: "Padre, per quale via dobbiamo noi andare?". Risponde santo Francesco: "Per quella che Iddio vorrà". Disse frate Masseo: "E come potremo noi sapere la volontà di Dio?". Risponde santo Francesco: "Al segnale ch'io ti mostrerò, onde io ti comando per lo merito della santa obbidienza, che in questo trivio nello luogo ove tu tieni i piedi, t'aggiri intorno, intorno, come fanno i fanciulli, e non ristare di volgerti s'io non tel dico". Allora frate Masseo incominciò a volgersi in giro, e tanto si volse, che per la vertigine del capo, la quale si suole generare per cotale girare, egli cadde più volte in terra; ma non dicendogli santo Francesco che ristesse ed egli volendo fedelmente ubbidire, si rizzava. Alla fine, quando si volgeva forte, disse santo Francesco: "Sta' fermo e non ti muovere". Ed egli stette; e santo Francesco il domanda: "Inverso che parte tieni la faccia?". Risponde frate Masseo: "Inverso Siena". Disse santo Francesco: "Quella è la via per la quale Iddio vuole che noi andiamo". Andando per quella via, frate Masseo fortemente si maravigliò di quello che santo Francesco gli avea fatto fare, come fanciulli, dinanzi a' secolari che passavano; nondimeno per riverenza non ardiva di dire niente al padre santo. Appressandosi a Siena, il popolo della città udì dello avvenimento del santo, e fecionglisi incontro e per divozione il portarono lui e 'l compagno insino al vescovado, che non toccò niente terra co' piedi. In quell'ora alquanti uomini di Siena combatteano insieme, e già n'erano morti due di loro; giungendo ivi, santo Francesco predicò loro sì divotamente e sì santamente, che li ridusse tutti quanti a pace e grande umiltà e concordia insieme. Per la qual cosa, udendo il Vescovo di Siena quella santa operazione ch'avea fatta santo Francesco, lo 'nvitò a casa, e ricevettelo con grandissimo onore quel dì e anche la notte. E la mattina seguente santo Francesco, vero umile, il quale nelle sue operazioni non cercava se non la gloria di Dio, si levò per tempo col suo compagno, e partissi sanza saputa del Vescovo. Di che il detto frate Masseo andava mormorando tra se medesimo, per la via, dicendo: "Che è quello ch'ha fatto questo buono uomo? Me fece aggirare come uno fanciullo, e al vescovo, che gli ha fatto tanto onore, non ha detto pure una buona parola, né ringraziatolo.". E parea a frate Masseo che santo Francesco si fusse portato così indiscretamente. Ma poi per divina ispirazione, ritornando in se medesimo e riprendendosi, disse fra suo cuore: "Frate Masseo, tu se' troppo superbo, il quale giudichi l'opere divine, e se' degno dello 'nferno per la tua indiscreta superbia: imperò che nel dì di ieri frate Francesco si fece sì tante operazioni, che se le avesse fatte l'Agnolo di Dio, non sarebbono state più maravigliose. Onde se ti comandasse che gittassi le pietre, sì lo doveresti fare e ubbidirlo, che ciò ch'egli ha fatto in questa via è proceduto dall'operazione divina, siccome si dimostra nel buono fine ch'è seguito; però che s'e' non avesse rappacificati coloro che combattevano insieme, non solamente molti corpi, come già aveano cominciato, sarebbero istati morti di coltello, ma eziandio molte anime il diavolo arebbe tratte allo 'nferno. E però tu se' stoltissimo e superbo, che mormori di quello che manifestamente procede dalla volontà di Dio". E tutte queste cose che dicea frate Masseo nel cuore suo, andando innanzi, furono da Dio rivelate a santo Francesco. Onde appressandosi santo Francesco a lui disse così: "A quelle cose che tu pensi ora t'attieni, però ch'elle sono buone e utili e da Dio spirate: ma la prima mormorazione che tu facevi era cieca e vana e superba e futti messa nell'animo dal demonio". Allora frate Masseo chiaramente s'avvide che santo Francesco sapea li secreti del suo cuore, e certamente comprese che lo spirito della divina Sapienza dirizzava in tutti i suoi atti il padre santo. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO DODICESIMO

Come santo Francesco puose frate Masseo allo ufficio della porta, della limosina e della cucina; poi a priego degli altri frati ne lo levò. Santo Francesco, volendo aumiliare frate Masseo, acciò che per molti doni e grazie che Iddio gli dava non si levasse in vanagloria, ma per virtù della umiltà crescesse con essi di virtù in virtù, una volta ch'egli dimorava in luogo solitario con que' primi suoi compagni veramente santi, de' quali era il detto frate Masseo, disse un dì a frate Masseo dinanzi a tutti i compagni: "O frate Masseo, tutti questi tuoi compagni hanno la grazia della contemplazione e della orazione: ma tu hai la grazia della predicazione della parola di Dio a soddisfare al popolo. E però io voglio, acciò che costoro possano intendere alla contemplazione, che tu faccia l'ufficio della porta e della limosina e della cucina: e quando gli altri frati mangeranno, e tu mangerai fuori della porta del luogo, sicché a quelli che verranno al luogo, innanzi che picchino, tu soddisfaccia loro di qualche buone parole di Dio, sicché non bisogni niuno andare fuori allora altri che tu. E questo fa per lo merito di santa obbidienza". Allora frate Masseo si trasse il cappaccio e inchinò il capo, e umilemente ricevette e perseguitò questa obbedienza per più dì, facendo l'ufficio della porta, della limosina e della cucina. Di che li compagni, come uomini alluminati da Dio, cominciarono a sentire ne' cuori loro grande rimordimento, considerando che frate Masseo era uomo di grande perfezione com'eglino o più, e a lui era posto tutto il peso del luogo e non a loro. Per la qual cosa eglino si mossono tutti di uno volere, e andarono a pregare il padre santo che gli piacesse distribuire fra loro quelli uffici, imperò che le loro coscienze per nessuno mondo poteano sostenere che frate Masseo portasse tante fatiche. Udendo cotesto, santo Francesco sì credette a' loro consigli e acconsenti alle loro volontà. E chiamato frate Masseo, sì gli disse: "Frate Masseo, li tuoi compagni vogliono fare parte degli uffici ch'io t'ho dati; e però io voglio che li detti uffici si dovidano". Dice frate Masseo con grande umiltà e pazienza: "Padre, ciò che m'imponi, o di tutto o di parte, io il reputo fatto da Dio tutto". Allora santo Francesco, vedendo la carità di coloro e la umiltà di frate Masseo, fece loro una predica maravigliosa e grande della santissima umiltà, ammaestrandoli che quanto maggiori doni e grazie ci dà Iddio, tanto noi dobbiamo esser più umili; imperò che sanza l'umiltà nessuna virtù è accettabile a Dio. E fatta la predica, distribuì gli uffici con grandissima carità. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO TREDICESIMO

Come santo Francesco e frate Masseo il pane che aveano accattato puosono in su una pietra allato a una fonte, e santo Francesco lodò molto la povertà. Poi pregò Iddio e santo Pietro e santo Paulo che gli mettesse in amore la santa povertà, e come gli apparve santo Pietro e santo Paulo. Il maraviglioso servo e seguitatore di Cristo, cioè messere santo Francesco, per conformarsi perfettamente a Cristo in ogni cosa, il quale, secondo che dice il Vangelo, mandò li suoi discepoli a due a due a tutte quelle città e luoghi dov'elli dovea andare; da poi che ad esempio di Cristo egli ebbe radunati dodici compagni, sì li mandò per lo mondo a predicare a due a due. E per dare loro esempio di vera obbidienza, egli in prima incominciò a fare, che 'nsegnare. Onde avendo assegnato a' compagni l'altre partì del mondo, egli prendendo frate Masseo per compagno prese il cammino verso la provincia di Francia. E pervenendo un dì a una villa assai affamati, andarono, secondo la Regola, mendicando del pane per l'amore di Dio; e santo Francesco andò per una contrada, e frate Masseo per un'altra. Ma imperò che santo Francesco era uomo troppo disprezzato e piccolo di corpo, e perciò era riputato un vile poverello da chi non lo conosceva, non accattò se non parecchi bocconi e pezzuoli di pane secco, ma frate Masseo, imperò che era uomo grande e bello del corpo, sì gli furono dati buoni pezzi e grandi e assai e del pane intero. Accattato ch'egli ebbono, si si raccolsono insieme fuori della villa in uno luogo per mangiare, dov'era una bella fonte, e allato avea una bella pietra larga, sopra la quale ciascuno puose tutte le limosme ch'avea accattate. E vedendo santo Francesco che li pezzi del pane di frate Masseo erano più e più belli e più grandi che li suoi fece grandissima allegrezza e disse così: "O frate Masseo, noi non siamo degni di così grande tesoro". E ripetendo queste parole più volte, rispose frate Masseo: "Padre, come si può chiamare tesoro, dov'è tanta povertà e mancamento di quelle cose che bisognano? Qui non è tovaglia, né coltello, né taglieri, né scodelle, né casa, né mensa, né fante, né fancella". Disse santo Francesco: "E questo è quello che io riputo grande tesoro, dove non è cosa veruna apparecchiata per industria umana; ma ciò che ci è, è apparecchiato dalla provvidenza divina, siccome si vede manifestamente nel pane accattato, nella mensa della pietra così bella, e nella fonte così chiara. E però io voglio che 'l tesoro della santa povertà così nobile il quale ha per servidore Iddio, ci faccia amare con tutto il cuore". E dette queste parole, e fatta orazione e presa la refezione corporale di questi pezzi del pane e di quella acqua, si levarono per camminare in Francia. E giungendo ad una chiesa, disse santo Francesco al compagno: "Entriamo in questa chiesa ad orare". E vassene santo Francesco dietro all'altare, e puosesi in orazione, e in quella orazione ricevette dalla divina visitazione sì eccessivo fervore, il quale infiammò sì fattamente l'anima sua ad amore della santa povertà, che tra per lo colore della faccia e per lo nuovo isbadigliare della bocca parea che gittasse fiamme d'amore. E venendo così infocato al compagno gli disse: "A, A, A, frate Masseo, dammi te medesimo". E così disse tre volte, e nella terza volta santo Francesco levò col fiato frate Masseo in aria, e gittollo dinanzi a sé per ispazio d'una grande asta di che esso frate Masseo ebbe grandissimo stupore. Recitò poi alli compagni che in quello levare e sospignere col fiato il quale gli fece santo Francesco, egli sentì tanta dolcezza d'animo e consolazione dello Spirito Santo, che mai in vita sua non ne sentì tanta. E fatto questo disse santo Francesco: "Compagno mio carissimo, andiamo a santo Pietro e a santo Paulo, e preghiamoli ch'eglino c'insegnino e aiutino a possedere il tesoro ismisurato della santissima povertà imperò ch'ella è tesoro sì degnissimo e sì divino, che noi non siamo degni di possederlo nelli nostri vasi vilissimi, con ciò sia cosa che questa sia quella virtù celestiale, per la quale tutte le cose terrene e transitorie si calcano, e per la quale ogni impaccio si toglie dinanzi all'anima, acciò ch'ella si possa liberamente congiungere con Dio eterno. Questa è quella virtù la quale fa l'anima, ancor posta in terra, conversare in cielo con gli Agnoli. Questa è quella ch'accompagnò Cristo in sulla croce; con Cristo fu soppellita, con Cristo resuscitò, con Cristo salì in cielo; la quale eziandio in questa vita concede all'anime, che di lei innamorano, agevolezza di volare in cielo; con ciò sia cosa ch'ella guardi l'armi della vera umiltà e carità. E però preghiamo li santissimi Apostoli di Cristo, li quali furono perfetti amatori di questa perla evangelica, che ci accattino questa grazia dal nostro Signore Gesù Cristo, che per la sua santissima misericordia ci conceda di meritare d'essere veri amatori, osservatori ed umili discepoli della preziosissima, amatissima ed evangelica povertà". E in questo parlare giunsono a Roma, ed entrarono nella chiesa di santo Pietro; e santo Francesco si puose in orazione in uno cantuccio della chiesa, e frate Masseo nell'altro. E stando lungamente in orazione con molte lagrime e divozione, apparvono a santo Francesco li santissimi apostoli Pietro e Paulo con grande splendore, e dissono: "Imperò che tu addimandi e disideri di osservare quello che Cristo e li santi Apostoli osservarono, il nostro Signore Gesù Cristo ci manda a te annunziarti che la tua orazione è esaudita, ed ètti conceduto da Dio a te e a' tuoi seguaci perfettissimamente il tesoro della santissima povertà. E ancora da sua parte ti diciamo, che qualunque a tuo esempio seguiterà perfettamente questo disiderio, egli è sicuro della beatitudine di vita eterna; e tu e tutti i tuoi seguaci sarete da Dio benedetti". E dette queste parole disparvono, lasciando santo Francesco pieno di consolazione. Il quale si levò dalla orazione e ritornò al suo compagno e domandollo se Iddio gli avea rivelato nulla, ed egli rispuose che no. Allora santo Francesco sì gli disse come li santi Apostoli gli erano appariti e quello che gli aveano rivelato. Di che ciascuno pieno di letizia diterminarono di tornare nella valle di Spulito, lasciando l'andare in Francia. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Come istando santo Francesco con suoi frati a parlare di Dio, Iddio apparve in mezzo di loro. Essendo santo Francesco in un luogo, nel cominciamento della religione, raccolto co' suoi compagni a parlare di Cristo, egli in fervore di spirito comandò a uno di loro che nel nome di Dio aprisse la sua bocca e parlasse di Dio ciò che lo Spirito Santo gli spirasse. Adempiendo il frate il comandamento e parlando di Dio maravigliosamente, sì gl'impose santo Francesco silenzio, e comanda il simigliante a un altro frate. Ubbidendo colui e parlando di Dio sottilmente, e santo Francesco simigliantemente sì gli impuose silenzio; e comandò al terzo che parli di Dio. Il quale simigliantemente cominciò a parlare sì profondamente delle cose segrete di Dio, che certamente santo Francesco conobbe ch'egli, siccome gli altri due, parlava per Ispirito Santo. E questo anche sì si dimostrò per esempio e per espresso segnale; imperò che istando in questo parlare, apparve Cristo benedetto nel mezzo di loro in ispezie e 'n forma di un giovane bellissimo, e benedicendoli tutti li riempi di tanta grazia e dolcezza, che tutti furono ratti fuori di se medesimi, e giacevano come morti, non sentendo niente di questo mondo. E poi tornando in se medesimi, disse loro santo Francesco: "Fratelli miei carissimi, ringraziate Iddio, il quale ha voluto per le bocche de' semplici rivelare i tesori della divina sapienza; imperò che Iddio è colui il quale apre la bocca ai mutoli, e le lingue delli semplici fa parlare sapientissimamente". A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO QUINDICESIMO

Come santa Chiara mangiò con santo Francesco e co' suoi compagni frati in Santa Maria degli Agnoli. Santo Francesco, quando stava a Sciesi, ispesse volte visitava Santa Chiara dandole santi ammaestramenti. Ed avendo ella grandissimi desideri di mangiare una volta con lui, e di ciò pregandolo molte volte, egli non le volle mai fare questa consolazione. Onde vedendo li suoi compagni il desiderio di santa Chiara, dissono a santo Francesco: "Padre, a noi non pare che questa rigidità sia secondo la carità divina, che suora Chiara, vergine così santa, a Dio diletta tu non esaudisca in così piccola cosa, come è mangiare teco e spezialmente considerando ch'ella per le tue predicazioni abbandonò le ricchezze e le pompe del mondo. E di vero, s'ella ti domandasse maggiore grazia che questa non è, sì la doveresti fare alla tua pianta spirituale". Allora santo Francesco rispuose: "Pare a voi ch'io la debba esaudire?". Rispondono li compagni: "Padre, si degna cosa è che tu le faccia questa grazia e consolazione". Disse allora santo Francesco: "Da poi che pare a voi, pare anche a me. Ma acciò ch'ella sia più consolata, io voglio che questo mangiare si faccia in Santa Maria degli Agnoli, imperò ch'ella è stata lungo tempo rinchiusa in santo Damiano, sicché le gioverà di vedere il luogo di santa Maria, dov'ella fu tonduta e fatta isposa di Gesù Cristo; ed ivi mangeremo insieme al nome di Dio". Venendo adunque il dì ordinato a ciò, santa Chiara escì del monistero con una compagna, accompagnata di compagni di santo Francesco, e venne a Santa Maria degli Agnoli. E salutata divotamente la Vergine Maria dinanzi al suo altare, dov'ella era stata tonduta e velata, sì la menorono vedendo il luogo, infino a tanto che fu ora da desinare. E in questo mezzo santo Francesco fece apparecchiare la mensa in sulla piana terra, siccome era usato di fare. E fatta l'ora di desinare si pongono a sedere insieme santo Francesco e santa Chiara, e uno delli compagni di santo Francesco e la compagna di santa Chiara, e poi tutti gli altri compagni s'acconciarono alla mensa umilmente. E per la prima vivanda santo Francesco cominciò a parlare di Dio sì soavemente, sì altamente, maravigliosamente, che discendendo sopra di loro l'abbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti. E stando così ratti con gli occhi e con le mani levate in cielo, gli uomini da Sciesi e da Bettona e que' della contrada dintorno, vedeano che Santa Maria degli Agnoli e tutto il luogo e la selva ch'era allora allato al luogo, ardeano fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e 'l luogo e la selva insieme. Per la qual cosa gli Ascesani con gran fretta corsono laggiù per ispegnere il fuoco, credendo veramente ch'ogni cosa ardesse. Ma giugnendo al luogo e non trovando ardere nulla, entrarono dentro e trovarono santo Francesco con santa Chiara con tutta la loro compagnia ratti in Dio per contemplazione e sedere intorno a quella mensa umile. Di che essi certamente compresono che, quello era stato fuoco divino e non materiale, il quale Iddio avea fatto apparire miracolosamente, a dimostrare e significare il fuoco de divino amore, del quale ardeano le anime di questi santi frati e sante monache; onde si partirono con grande consolazione nel cuore loro e con santa edificazione. Poi, dopo grande spazio tornando in sé santo Francesco e santa Chiara insieme con li altri, e sentendosi bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del cibo corporale. E così compiuto quel benedetto disinare, santa Chiara bene accompagnata si ritornò a Santo Damiano. Di che le suore veggendola ebbono grande allegrezza; però ch'elle temeano che santo Francesco non l'avesse mandata a reggere qualche altro monisterio, siccome egli avea già mandata suora Agnese, santa sua sirocchia, abbadessa a reggere il monisterio di Monticelli di Firenze; e santo Francesco alcuna volta avea detto a santa Chiara: "Apparecchiati, se bisognasse ch'io ti mandassi in alcuno luogo"; ed ella come figliuola di santa obbidienza avea risposto: "Padre, io sono sempre apparecchiata ad andare dovunque voi mi manderete". E però le suore sì si rallegrarono fortemente, quando la riebbono; e santa Chiara rimase d'allora innanzi molto consolata. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO SEDICESIMO

Come santo Francesco ricevuto il consiglio di santa Chiara e del santo frate Silvestro, che dovesse predicando convertire molta gente, e' fece il terzo Ordine e predicò agli uccelli e fece stare quete le rondini. L'umile servo di Cristo santo Francesco, poco tempo dopo la sua conversione, avendo già radunati molti compagni e ricevuti all'Ordine, entrò in grande pensiero e in grande dubitazione di quello che dovesse fare: ovvero d'intendere solamente ad orare, ovvero alcuna volta a predicare, e sopra ciò disiderava molto di sapere la volontà di Dio. E però che la santa umiltà, ch'era in lui, non lo lasciava presumere di sé né di sue orazioni, pensò di cercarne la divina volontà con le orazioni altrui. Onde egli chiamò frate Masseo e dissegli così: "Va' a suora Chiara e dille da mia parte ch'ella con alcune delle più spirituali compagne divotamente preghino Iddio, che gli piaccia dimostrarmi qual sia il meglio; ch'io intenda a predicare o solamente all'orazione. E poi va' a frate Silvestro e digli il simigliante". Quello era stato nel secolo messere Silvestro, il quale avea veduto una croce d'oro procedere dalla bocca di santo Francesco, la quale era lunga insino al cielo e larga insino alla stremità del mondo; ed era questo frate Silvestro di tanta divozione e di tanta santità, che di ciò che chiedeva a Dio, e' impetrava ed era esaudito, e spesse volte parlava con Dio, e però santo Francesco avea in lui grande divozione. Andonne frate Masseo e, secondo il comandamento di santo Francesco, fece l'ambasciata prima a santa Chiara e poi a frate Silvestro. Il quale, ricevuta che l'ebbe, immantenente si gittò in orazione e orando ebbe la divina risposta, e tornò frate Masseo e disse così: "Questo dice Iddio che tu dica a frate Francesco: che Iddio non l'ha chiamato in questo stato solamente per sé, ma acciò che faccia frutto delle anime e molti per lui sieno salvati". Avuta questa risposta, frate Masseo tornò a santa Chiara a sapere quello ch'ella avea impetrato da Dio. Ed ella rispuose ch'ella e l'altre compagne aveano avuta da Dio quella medesima risposta, la quale avea avuto frate Silvestro. Con questo ritorna frate Masseo a santo Francesco, e santo Francesco il riceve con grandissima carità, lavandogli li piedi e apparecchiandogli desinare. E dopo 'l mangiare, santo Francesco chiamò frate Masseo nella selva e quivi dinanzi a lui s'inginocchia e trassesi il cappuccio, facendo croce delle braccia, e domandollo: "Che comanda ch'io faccia il mio Signore Gesù Cristo?". Risponde frate Masseo: "Sì a frate Silvestro e sì a suora Chiara colle suore, che Cristo avea risposto e rivelato che la sua volontà si è che tu vada per lo mondo a predicare, però ch'egli non t'ha eletto pure per te solo ma eziandio per salute degli altri". E allora santo Francesco, udito ch'egli ebbe questa risposta e conosciuta per essa la volontà di Cristo, si levò su con grandissimo fervore e disse: "Andiamo al nome di Dio". E prende per compagno frate Masseo e frate Agnolo, uomini santi. E andando con empito di spirito, sanza considerare via o semita, giunsono a uno castello che si chiamava Savurniano. E santo Francesco si puose a predicare, e comandò prima alle rondini che tenessino silenzio infino a tanto ch'egli avesse predicato. E le rondini l'ubbidirono. Ed ivi predicò in tanto fervore che tutti gli uomini e le donne di quel castello per divozione gli volsono andare dietro e abbandonare il castello; ma santo Francesco non lasciò, dicendo loro: "Non abbiate fretta e non vi partite, ed io ordinerò quello che vo' dobbiate fare per salute dell'anime vostre". E allora pensò di fare il terzo ordine per universale salute di tutti. E così lasciandoli molto consolati bene disposti a penitenza, si partì quindi e venne tra Cannaio e Bevagno. E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli; di che santo Francesco si maravigliò e disse a' compagni: "Voi m'aspetterete qui nella via, e io andrò a predicare alle mie sirocchie uccelli". E entrò nel campo e cominciò a predicare alli uccelli ch'erano in terra; e subitamente quelli ch'erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco compiè di predicare, e poi anche non si partivano infino a tanto ch'egli diè loro la benedizione sua. E secondo che recitò poi frate Masseo a frate Jacopo da Massa, andando santo Francesco fra loro, toccandole colla cappa, nessuna perciò si movea. La sustanza della predica di santo Francesco fu questa: "Sirocchie mie uccelli, voi siete molto tenute a Dio vostro creatore, e sempre e in ogni luogo il dovete laudare, imperò che v'ha dato la libertà di volare in ogni luogo; anche v'ha dato il vestimento duplicato e triplicato; appresso, perché elli riserbò il seme di voi in nell'arca di Noè, acciò che la spezie vostra non venisse meno nel mondo; ancora gli siete tenute per lo elemento dell'aria che egli ha deputato a voi. Oltre a questo, voi non seminate e non mietete, e Iddio vi pasce e davvi li fiumi e le fonti per vostro bere, e davvi li monti e le valli per vostro refugio, e gli alberi alti per fare li vostri nidi. E con ciò sia cosa che voi non sappiate filare né cucire, Iddio vi veste, voi e' vostri figliuoli. Onde molto v'ama il vostro Creatore, poi ch'egli vi dà tanti benefici, e però guardatevi, sirocchie mie, del peccato della ingratitudine, e sempre vi studiate di lodare Iddio". Dicendo loro santo Francesco queste parole, tutti quanti quelli uccelli cominciarono ad aprire i becchi e distendere i colli e aprire l'alie e riverentemente inchinare li capi infino in terra, e con atti e con canti dimostrare che 'l padre santo dava loro grandissimo diletto. E santo Francesco con loro insieme si rallegrava e dilettava, e maravigliavasi molto di tanta moltitudine d'uccelli e della loro bellissima varietà e della loro attenzione e famigliarità; per la qual cosa egli in loro divotamente lodava il Creatore. Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della Croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la Croce ch'avea fatta loro santo Francesco si divisono in quattro partì; e l'una parte volò inverso l'oriente e l'altra parte verso occidente, e l'altra parte verso lo meriggio, e la quarta parte verso l'aquilone, e ciascuna schiera n'andava cantando maravigliosi canti; in questo significando che come da santo Francesco gonfaloniere della Croce di Cristo era stato a loro predicato e sopra loro fatto il segno della Croce, secondo il quale egli si divisono in quattro partì del mondo; così la predicazione della Croce di Cristo rinnovata per santo Francesco si dovea per lui e per li suoi frati portare per tutto il mondo; li quali frati, a modo che gli uccelli, non possedendo nessuna cosa propria in questo mondo, alla sola provvidenza di Dio commettono la lor vita. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO DICIASSETTESIMO

Come uno fanciullo fraticino, orando santo Francesco di notte, vide Cristo e la Vergine Maria e molti altri santi parlare con lui. Uno fanciullo molto puro e innocente fu ricevuto nell'Ordine, vivendo santo Francesco; e stava in uno luogo piccolo, nel quale i frati per necessità dormivano in campoletti. Venne santo Francesco una volta al detto luogo; e la sera, detta Compieta, s'andò a dormire per potersi levare la notte ad orare, quando gli altri frati dormissono, come egli era usato di fare. Il detto fanciullo si puose in cuore di spiare sollecitamente le vie di santo Francesco, per potere conoscere la sua santità e spezialmente di potere sapere quello che facea la notte quando si levava. E acciò che 'l sonno non lo ingannasse, sì si puose quello fanciullo a dormire allato a santo Francesco e legò la corda sua con quella di santo Francesco, per sentirlo quando egli si levasse e di questo santo Francesco non sentì niente. Ma la notte in sul primo sonno, quando tutti gli altri frati dormivano, si levò e trovò la corda sua così legata e sciolsela. Pianamente, perché il fanciullo non si sentisse, e andossene santo Francesco solo nella selva ch'era presso al luogo, ed entra in una celluzza che v'era e puosesi in orazione. E dopo alcuno spazio si desta il fanciullo e trovando la corda isciolta e santo Francesco levato, levossi su egli e andò cercando di lui; e trovando aperto l'uscio donde s'andava nella selva, pensò che santo Francesco fusse ito là, ed entra nella selva. E giungendo presso al luogo dove santo Francesco orava, cominciò a udire un grande favellare; e appressandosi più, per vedere e per intendere quello ch'egli udiva, gli venne veduta una luce mirabile la quale attorniava santo Francesco, e in essa vide Cristo e la Vergine Maria e santo Giovanni Battista e l'Evangelista e grandissima moltitudine d'Agnoli, li quali parlavano con santo Francesco. Vedendo questo il fanciullo e udendo, cadde in terra tramortito. Poi, compiuto il misterio di quella santa apparizione e tornando santo Francesco al luogo, trovò il detto fanciullo, col piè, giacere nella via come morto, e per compassione si lo levò e arrecollosi in braccia e portollo come fa il buono pastore alle sue pecorelle. E poi sapendo da lui com'egli avea veduta la detta visione, sì gli comandò che non lo dicesse mai a persona, cioè mentre che egli fosse vivo. Il fanciullo poi, crescendo in grazia di Dio e divozione di santo Francesco, fu uno valente uomo in nello Ordine, ed esso dopo la morte di santo Francesco, rivelò alli frati la detta visione. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO DICIOTTESIMO

Del maraviglioso Capitolo che tenne santo Francesco a Santa Maria degli Agnoli dove furono oltre a cinquemila frati. Il fedele servo di Cristo santo Francesco tenne una volta un Capitolo generale a Santa Maria degli Agnoli, al quale Capitolo si raunò oltre cinquemila frati; e vennevi santo Domenico, capo e fondamento dell'Ordine de' frati Predicatori, il quale allora andava di Borgogna a Roma, e udendo la congregazione del Capitolo che santo Francesco facea in nel piano di Santa Maria degli Agnoli, si lo andò a vedere con sette frati dell'Ordine suo. Fu ancora al detto Capitolo uno Cardinale divotissimo di santo Francesco, al quale egli avea profetato ch'egli dovea essere Papa, e così fu, il quale Cardinale era venuto istudiosamente da Perugia, dov'era la corte ad Ascesi; e ogni dì veniva a vedere santo Francesco e' suoi frati, e alcuna volta cantava la messa, alcuna volta faceva il sermone a' frati in Capitolo; e prendea il detto Cardinale grandissimo diletto e divozione, quando venia a visitare quel santo collegio. E veggendo sedere in quella pianura intorno a Santa Maria i frati a schiera a schiera, qui quaranta, ove cento, dove ottanta insieme, tutti occupati nel ragionare di Dio, in orazioni, in lagrime, in esercizi di carità, e stavano con tanto silenzio e con tanta modestia, che ivi non si sentia uno romore, nessuno stropiccìo e maravigliandosi di tanta moltitudine in uno così ordinata, con lagrime e con grande devozione diceva: "Veramente questo si è il campo e lo esercito de' cavalieri di Dio!". Non si udiva in tanta moltitudine niuno parlare favole o bugie, ma dovunque si raunava ischiera di frati, quelli oravano, o eglino diceano ufficio, o piagneano i peccati loro o dei loro benefattori, o l'ragionavano della salute delle anime. Erano in quel campo tetti di graticci e di stuoie, e distinti per torme, secondo i frati di diverse Provincie; e però si chiamava quel Capitolo, il Capitolo di graticci ovvero di stuoie. I letti loro si era la piana terra e chi avea un poco di paglia; i capezzali si erano o pietre o legni. Per la qual ragione si era tanta divozione di loro, a chiunque li udiva o vedeva, e tanto la fama della loro santità, che della corte del Papa, ch'era allora a Perugia, e delle altre terre della Valle di Spulito veniano a vedere molti conti, baroni e cavalieri ed altri gentili uomini e molti popolani e cardinali e vescovi e abati e con molti altri cherici, per vedere quella così santa e grande congregazione e umile, la quale il mondo non ebbe mai, di tanti santi uomini insieme; e principalmente veniano a vedere il capo e padre santissimo di quella santa gente, il quale avea rubato al mondo così bella preda e raunato così bello e divoto gregge a seguitare l'orme del vero pastore Gesù Cristo. Essendo dunque raunato tutto il Capitolo generale, il santo padre di tutti e generale ministro santo Francesco in fervore di spirito propone la parola di Dio, e predica loro in alta voce quello che lo Spirito Santo gli facea parlare; e per tema del sermone propuose queste parole: "Figliuoli miei, gran cose abbiamo promesse a Dio, troppo maggiori sono da Dio promesse a noi se osserviamo quelle che noi abbiamo promesse a lui; e aspettiamo di certo quelle che sono promesse a noi. Brieve è il diletto del mondo, ma la pena che seguita ad esso è perpetua. Piccola è la pena di questa vita, ma la gloria dell'altra vita è infinita". E sopra queste parole predicando divotissimamente, confortava e induceva tutti i frati a obbidienza e a riverenza della santa madre Chiesa e alla canta fraternale, e ad orare per tutto il popolo Iddio, ad avere pazienza nelle avversità del mondo e temperanza nelle prosperità, e tenere mondizia e castità angelica, e ad avere concordia e pace con Dio e con gli uomini e con la propria coscienza, e amore e osservanza della santissima povertà. E quivi disse egli: "lo comando, per merito della santa obbedienza, che tutti voi che siete congregati che nessuno di voi abbia cura né sollecitudine di veruna cosa di mangiare o di bere o di cose necessarie al corpo, ma solamente intendere a orare e laudare Iddio; e tutta la sollecitudine del corpo vostro lasciate a lui, imperò ch'egli ha spezialmente cura di voi". E tutti quanti ricevettono questo comandamento con allegro cuore e lieta faccia. E compiuto il sermone di santo Francesco, tutti si gettarono in orazione. Di che santo Domenico, il quale era presente a tutte queste cose, fortemente si maravigliò del comandamento di santo Francesco e riputavalo indiscreto, non potendo pensare come tanta moltitudine si potesse reggere, sanza avere nessuna cura e sollocitudine e cose necessarie al corpo. Ma 'l principale pastore Cristo benedetto, volendo mostrare com'egli ha cura delle sue pecore e singulare amore a' poveri suoi, immantanente ispirò alle genti di Perugia, di di Spulito e di Foligno, di Spello e d'Ascesi e delle altre terre intorno, che portassono da mangiare e da bere a quella santa congregazione. Ed eccoti subitamente venire delle predette terre uomini con somieri, cavalli, carri, carichi di pane e di vino, di fave, di cacio e d'altre buone cose da mangiare, secondo ch'a' poveri di Cristo era di bisogno. Oltre a questo, recavano tovaglie, orciuli, ciotole, bicchieri e altri vasi che faceano mestieri a tanta moltitudine. E beato si riputava chi più cose potesse portare, o più sollecitamente servire, in tanto ch'eziandio i cavalieri e li baroni e altri gentili uomini che veniano a vedere, con grande umiltà e divozione servirono loro innanzi. Per la qual cosa santo Domenico, vedendo queste cose e conoscendo veramente che la provvidenza divina si adoperava in loro, umilmente si riconobbe ch'avea falsamente giudicato santo Francesco di comandamento indiscreto, e inginocchiossi andandogli innanzi e umilmente ne disse sua colpa e aggiunse: "Veramente Iddio ha cura speziale di questi santi poverelli, e io non lo sapea, e io da ora innanzi prometto d'osservare la evangelica povertà e santa; e maladico dalla parte di Dio tutti li frati dell'Ordine mio, li quali nel detto Ordine presumeranno d'avere proprio". Sicché santo Domenico fu molto edificato della fede del santissimo Francesco, e della obbidienza e della povertà di così grande e ordinato collegio, e della provvidenza divina e della copiosa abbondanza d'ogni bene. In quello medesimo Capitolo fu detto a santo Francesco che molti frati portavano il cuoretto in sulle carni e cerchi di ferro, per la qual cosa molti ne infermavano, onde ne morivano, e molti n'erano impediti dallo orare. Di che santo Francesco, come discretissimo padre, comandò per la santa obbidienza, che chiunque avesse o cuoretto o cerchio di ferro, si se lo traesse e ponesselo dinanzi a lui. E così fecero. E furono annoverati bene cinquecento cuoretti di ferro e troppo più cerchi tra da braccia e da ventri, in tanto che feciono un grande monticello e santo Francesco tutti li fece lasciare ivi. Poi compiuto lo Capitolo, santo Francesco confortandoli tutti in bene e ammaestrandoli come dovessino iscampare e sanza peccato di questo mondo malvagio, con la benedizione di Dio e la sua li rimandò alle loro provincie, tutti consolati di letizia spirituale. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO

Come dalla vigna del prete da Rieti in casa di cui orò santo Francesco, per la molta gente che venia a lui furono tratte e colte l'uve, e poi miracolosamente fece più vino che mai sì come santo Francesco gli avea promesso. E come Iddio rivelò a santo Francesco ch'egli arebbe paradiso alla sua partita. Sendo una volta santo Francesco gravemente infermo degli occhi messere Ugolino, cardinale protettore dell'Ordine, per grande tenerezza ch'avea di lui, sì gli iscrisse ch'egli andasse a lui a Rieti dov'erano ottimi medici d'occhi. Allora santo Francesco ricevuta la lettera del Cardinale, se ne andò in prima a Santo Damiano, dove era santa Chiara divotissima isposa di Cristo, per darle alcuna consolazione e poi andare al Cardinale. Essendo ivi santo Francesco, la notte seguente peggiorò sì degli occhi ch'e' non vedea punto di lume; di che non potendosi partire, e santa Chiara gli fece una celluzza di cannucce, nella quale egli si potesse meglio riposare. Ma santo Francesco tra per lo dolore della infermità e per la moltitudine de surci che gli faceano grandissima noia, punto del mondo non si potea posare, né di dì, né di notte. E sostenendo più dì quella pena e tribulazione, cominciò a pensare e a conoscere che quello era un flagello di Dio per li suoi peccati; e incominciò a ringraziare Iddio con tutto il cuore e con la bocca: e poi gridava ad alte voci e disse: "Signore mio Iddio, io sono degno di questo e di troppo peggio. Signore mio Gesù Cristo, pastore buono, il quale a noi peccatori hai posta la tua misericordia in diverse pene e angoscie corporali, concedi grazia e virtù tu a me tua pecorella, che per nessuna infermità e angoscia e dolore io mi parta da te". E fatta questa orazione, gli venne una voce dal cielo che disse: "Francesco, rispondimi. Se tutta la terra fosse oro, e tutti li mari e fonti e fiumi fossino balsimo, e tutti li monti, colli e li sassi fussono pietre preziose, e tu trovassi un altro tesoro più nobile che queste cose, quanto l'oro è più nobile che la terra, e 'l balsimo che l'acqua, e le pietre preziose più che i monti o i sassi, e fusseti dato per questa infermità quello più nobile tesoro, non ne dovresti tu essere contento e bene allegro?". Risponde santo Francesco: "Signore, io sono indegno di così prezioso tesoro". E la voce di Dio dicea a lui: "Rallegrati, Francesco, però che quello è il tesoro di vita eterna, il quale io ti riserbo e insino a ora io te ne investisco; e questa infermità e afflizione è arra di quello tesoro beato". Allora santo Francesco chiamò il compagno con grandissima allegrezza di così gloriosa promessa, e disse: "Andiamo al Cardinale". E consolando in prima santa Chiara con sante parole e da lei umilmente accomiatandosi, prese il cammino verso Rieti. E quando vi giunse presso, tanta moltitudine di popolo gli si feciono incontro, che perciò egli non volle entrare nella città ma andossene a una chiesa ch'era presso la città forse a due miglia. Sappiendo li cittadini ch'egli era alla detta chiesa, correvano tanto intorno a vederlo, che la vigna della chiesa tutta si guastava e l'uve erano tutte colte. Di che il prete forte si dolea nel cuore suo, e pentessi ch'egli avea ricevuto santo Francesco nella sua chiesa. Essendo da Dio rivelato a santo Francesco il pensiero del prete, sì lo fece chiamare a sé e dissegli: "Padre carissimo, quante some di vino ti rende questa vigna l'anno, quand'ella ti rende meglio?". Rispuose, che dodici some. Dice santo Francesco: "Io ti priego, padre, che tu sostenga pazientemente il mio dimorare qui alquanti dì, però ch'io ci truovo molto riposo, e lascia torre a ogni persona dell'uva di questa tua vigna per lo amore di Dio e di me poverello; e io ti prometto dalla parte del mio Signore Gesù Cristo, ch'ella te ne renderà uguanno venti some". E questo faceva santo Francesco dello stare ivi, per lo grande frutto delle anime che si vedea fare delle genti che vi veniano, dei quali molti partivano inebriati del divino amore e abbandonavano il mondo. Confidossi il prete della promessa di santo Francesco e lasciò liberamente la vigna a coloro che venivano a lui. Maravigliosa cosa! La vigna fu al tutto guasta, sicché appena vi rimasono alcuni racimoli d'uve. Viene il tempo della vendemmia, e 'l prete raccoglie cotali racimoli e metteli nel tino e pigia, e secondo la promessa di santo Francesco, ricoglie venti some d'ottimo vino. Nel quale miracolo manifestamente si diè ad intendere che, come per merito di santo Francesco la vigna spogliata d'uve era abbondata in vino, così il popolo cristiano sterile di virtù per lo peccato, per li meriti e dottrina di santo Francesco spesse volte abbondava di buoni frutti di penitenza. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

CAPITOLO VENTESIMO

D'una molto bella visione che vide uno frate giovane, a quale avea in tanta abbominazione la cappa, ch'era disposto di lasciare l'abito e uscire dell'Ordine. Un giovane molto nobile e delicato venne all'Ordine di santo Francesco; il quale dopo alquanti dì, per istigazione del demonio, cominciò ad avere in tanta abbominazione l'abito che portava, che gli parea portare un sacco vilissimo; avea orrore delle maniche e abbominava il cappuccio, e la lunghezza e la asprezza gli parea una soma incomportabile. E crescendo pure il dispiacere della religione, egli finalmente si diliberò di lasciare l'abito e tornare al mondo. Avea costui già preso per usanza, secondo che gli avea insegnato il suo maestro, qualunque ora egli passava dinanzi all'altare del convento, nel quale si conservava il corpo di Cristo, d'inginocchiarsi con gran riverenza e trarsi il cappuccio e colle braccia cancellate inchinarsi. Addivenne che la notte, nella quale si dovea partire e uscire dell'Ordine, convenne ch' e' passasse dinanzi all'altare del convento; e passandovi secondo l'usanza s'inginocchiò e fece riverenza. E subitamente fu ratto in ispirito, e fugli mostrata da Dio maravigliosa visione; imperò che vide dinanzi a sé quasi moltitudine infinita di santi a modo di processione a due a due, vestiti di bellissimi e preziosi vestimenti di drappi, e la faccia loro e le mani risplendeano come il sole, e andavano con canti e con suoni d'agnoli; fra' quali santi erano due più nobilemente vestiti e adorni che tutti gli altri, ed erano attorniati di tanta chiarezza, che grandissimo stupore davano a chi li riguardava; e quasi nel fine della processione, vide uno adornato di tanta gloria, che parea cavaliere novello, più onorato che gli altri. Vedendo questo giovane la detta visione, si maravigliava e non sapea che quella processione si volesse dire, e non era ardito di domandarne e istava stupefatto per dolcezza. Essendo nientedimento passata tutta la processione, costui pure prende ardire e corre dritto agli ultimi e con grande timore li domanda dicendo: "O carissimi, io vi priego che vi piaccia di dirmi chi sono quelli così maravigliosi, i quali sono in questa processione così venerabile". Rispondono costoro: "Sappi, figliuolo, che noi siamo tutti frati Minori, li quali veniamo ora della gloria di paradiso". E così costui domanda: "Chi sono quelli due che risplendono più che gli altri?". Rispondono costoro: "Questi sono santo Francesco e santo Antonio, e quello ultimo che tu vedesti così onorato, è uno santo frate che morì nuovamente; il quale però che valentemente conbattette contro alle tentazioni e perseverò insino alla fine, noi il meniamo con trionfo alla gloria di paradiso. E questi vestimenti di drappi così belli che noi portiamo, ci sono dati da Dio in iscambio delle aspre toniche le quali noi pazientemente portavamo nella religione, e la gloriosa chiarità che tu vedi in noi, ci è data da Dio per la umiltà e pazienza e per la santa povertà e obbedienza e castità, le quali noi servammo insino alla fine. E però, figliuolo, non ti sia duro portare il sacco della religione così fruttuoso, però che se col sacco di santo Francesco per lo amore di Cristo tu disprezzerai il mondo e mortificherai la carne e contro al demonio combatterai valentemente, tu avrai insieme con noi simile vestimento e chiarità di gloria". E dette queste parole, il giovane tornò in se medesimo, e confortato della visione, cacciò da sé ogni tentazione. Riconobbe la colpa sua dinanzi al guardiano e alli frati; e da indi innanzi desiderò l'asprezza della penitenza e de' vestimenti, e finì la vita sua nell'Ordine in grande santità. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
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