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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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Gioventù Ardente Mariana (GAM) Fondatore don Carlo De Ambrogio

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 21:41
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21/09/2009 21:10

IL REGNO DI DIO PRIMA DI TUTTO - LA VITA DI DON CARLO DE AMBROGIO INIZIATORE E PRIMO ANIMATORE DEL MOVIMENTO G.A.M. a cura del Movimento Gam

G.A.M. GIOVENTU’ ARDENTE MARIANA

PRESENTAZIONE


Biografia di Don Carlo De Ambrogio. Era attesa, desiderata, auspicata. Da taluni ne venivano chieste informazioni a me, in forza - penso - della spontanea associazione di idee tra la dio­cesi di Alba e l'opera apostolica di quello zelante sacerdote evan­gelizzatore, in coloro che lo hanno conosciuto.

Io non ebbi il privilegio di conoscerlo personalmente. Il suo nome sale però dal nido della mia memoria di lettore della rivi­sta salesiana « Meridiano 12 » e del Settimanale torinese « Il Nostro Tempo», e, soprattutto, dall'incontro con i suoi originali commenti ai Vangeli, di cui mi misero a parte, qualche anno fa, a Roma, le mie Suore Orsoline, reduci entusiaste da un Cenacolo GAM.

Ora, venuto a diretto contatto con l'istituzione da lui fondata in virtù del mio ministero episcopale in Alba, sono veramente lieto di salutare la nascita del profilo biografico di lui e di intro­durre la lettura di queste pagine. Le quali ripercorrono il cam­mino di questo autentico «uomo di Dio» nella successione delle sue varie tappe e cercano nello stesso tempo di cogliere le linee della sua singolare figura di cristiano e di sacerdote. Pagine scritte indubbiamente con amore, che perciò assumono il carat­tere di testimonianza. Testimonianza sia della copiosa semina­gione che Don Carlo ha profuso nei cuori, sia della fedeltà di questi alla memoria ed all'eredità morale dell'indimenticabile padre. Il tutto sul filo di anni, che si direbbero cronaca, tanto ci sono vicini, e che fanno storia.

Il valore di testimonianza non oscura l'indole storica del libro. Il Movimento GAM, infatti, ha avuto cura di ricostruire l'esistenza terrena del protagonista, cominciando dalle sue ori­gini naturali nella povertà della sua famiglia veneta, e avanti avanti nell'itinerario formativo della fanciullezza e della gio­ventù, fino alla grazia del sacerdozio ministeriale, alla matura­zione del peculiare carisma da cui si è irradiata la virtù anima­trice del Movimento, che egli ha generato e guidato con umile e fervente senso ecclesiale. «Il Nostro Tempo», in un articolo pubblicato il 26 ottobre 1980, definisce Don Carlo «un'anima dolcissima e forte, un "santino", di quelli che non pesano, che camminano in punta di piedi, ma che vanno diritto allo scopo ». Il venerato Cardinale Corrado Ursi, che lo accolse nell'Archidio­cesi di Napoli e ne sanzionò autorevolmente il carisma, ha scritto di lui: « Visse nella Chiesa come messaggero dello Spirito e mi­nistro fiamma di fuoco. Il messaggio rovente, però, scaturiva sempre da labbra sorridenti di un volto luminoso di fanciullo in toni dolci, limpidi, penetranti ». Sono apprezzamenti che trovano ampie conferme nel percorso di Don Carlo e nella sua attività. Nella quale confluiscono, sui ritmi della sua marcata spiritualità, non comuni risorse umane e sacerdotali: una vasta cultura gene­rale, una musicalità d'animo pronta a tradursi nella composi­zione e nel canto, una profonda conoscenza della Sacra Scrittura capace di esprimere il senso della Parola di Dio nei termini più semplici ed accessibili della catechesi, una irresistibile dedizione all'apostolato tra la gioventù.

L'ardore apostolico lo stimolò ad agire, superando difficoltà e incomprensioni, in quelle direzioni in cui più manifesta e peri­colosa andava covando la crisi degli anni Settanta: l'Eucaristia, il Sacramento del perdono, la devozione alla Vergine, la missione del Successore di Pietro. Ne dedusse la improcrastinabile neces­sità di una nuova evangelizzazione condotta con metodi nuovi e originali, puntando soprattutto sul mondo giovanile, che gli era tanto congeniale. Ed ecco il Movimento GAM, programmatico già nel nome «Gioventù Ardente Mariana», e l'iniziativa dei « Cenacoli », la quale, in ideale collegamento col Cenacolo di Gerusalemme, attraverso la meditazione della Parola di Dio e la preghiera, sotto la guida della Madre celeste, prepara a ricevere il Sacramento della Penitenza e l'Eucaristia, e stimola all'aposto­lato. La fondatezza delle intuizioni di Don Carlo appare dalla diffusione geografica del Movimento e dalla sua fecondità. La Pia Unione «Figlie della Madre di Gesù», che si dedica all'ado­razione eucaristica, alla stampa e divulgazione della Parola di Dio in appoggio al Movimento stesso, e l'associazione dei « Con­sacrati del GAM », composta di sacerdoti e laici, ne sono espres­sioni qualificate.

Un'ultima annotazione. La piccola, grande storia di questo ministro del Signore - piccola perché concepita e vissuta nell'u­miltà, e grande anche per questo - appartiene al fecondo capi­tolo della «nuova stagione aggregativa », che segna la vita della Chiesa sullo scorcio del ventesimo secolo. Entra cioè a far parte di quel fenomeno di cui il nostro Papa Giovanni Paolo II, in preparazione al Sinodo del 1987 sulla vocazione e missione dei Laici, disse: «Accanto all'associazionismo tradizionale, e tal­volta dalle sue stesse radici, sono germogliati movimenti e soda­lizi nuovi, con fisionomia e finalità specifiche: tanta è la ric­chezza e la versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto ecclesiale» (Insegnamenti, X, 3 (1987) 240). Ed è un tema che il Pontefice riprende nella Christifideles Laici, non senza sot­tolineare l'opportunità che tali movimenti e associazioni siano esplicitamente approvati dalla competente autorità ecclesiastica, qualora siano ravvisabili in essi le caratteristiche di « ecclesia­lità ». Nella lettera e nello spirito di queste direttive pontificie, si può presagire un solido incremento dell'opera nata dalla creati­vità evangelica di Don Carlo e fedelmente custodita dai suoi figli spirituali. Un'opera concepita e attuata non come un momento di passaggio od un episodio marginale, ma vitalmente innestata nel dinamismo del fine missionario della Chiesa, carica quindi di volontà di crescita. Garante uno dei caposaldi della spiritualità e della pedagogia del Fondatore: l'amore al Vicario di Cristo e la sottomissione alla Gerarchia; dimostrando fattivamente che, sì, l'obbedienza è ancora una virtù.

Alba, 18 Ottobre 1989

Giulio Nicolini Vescovo di Alba

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1 - GLI ANNI DEL FOCOLARE

Un giglio del Tabernacolo


Le prime luci dell'alba illuminano la vetta del Cimone e si stendo­no man mano sull'altipiano vicentino. I galli danno richiami acuti e rochi qua e là e gli uccellini si danno la sveglia pigolando; qualche carro cigola in lontananza. Sulla strada deserta che porta alla chiesa un fan­ciullo è tutto ascolto, tutto sguardi qua e là sulla natura che si risve­glia, mentre sgambetta veloce con le scarpe in spalla. È Carletto. Tut­ti lo conoscono in paese, tutti salutano volentieri quel bambino dal visetto tondo sempre aperto al sorriso, dagli occhi vispi e dolci, che ha sempre i riccioli scompigliati per l'impulsiva vivacità.

La mamma ripete spesso a chi le parla di lui: «El me Carleto! El xe tuto spirito; speremo che el se calma».

Eppure quando sale l'altare vestito da chierichetto, tutti notano la sua compostezza semplice e raccolta, consapevole che sta per compiersi qualcosa di grande.

Eccolo giunto alla chiesa: si rimette le scarpe ed entra. L'amore ardente per Gesù Eucaristia che sarà il centro vitale, il fulcro lumino­so della sua spiritualità e della sua missione, ha la sua radice qui, nel­l'incontro eucaristico quotidiano.

D'estate, d'inverno, con il sole, la pioggia o la neve che d'inverno abbonda ad Arsiero, Carletto divora d'un fiato quel chilometro e più di strada che dalla casa porta alla chiesa.

« Gli piaceva tanto vestirsi da chierichetto e servire Messa », ricor­da la sorella Renata.

Finita la Messa, sosta qualche istante davanti all'altare della Ma­donna, poi corre a casa per un po' di colazione alla svelta ed eccolo di nuovo in strada - scarpe in spalla - per andare a scuola. Così ogni mattina.

Sapeva quanti sacrifici erano costate quelle scarpe e voleva farle durare il più a lungo possibile.



Le due annunciazioni di Maria

Carletto è il primo di quattro fratelli della famiglia De Ambrogio. Papà Pietro di Varallo Pombia (Novara) aveva messo su casa ad Ar­siero, paese nativo della sua sposa, la signora Lucia Augusta Carollo. In quegli anni dopo la prima guerra mondiale, un modesto falegname come lui faticava a trovare lavoro ed egli si adattava a cercare qua e là qualsiasi occupazione.

Intanto il 1921 segnò per loro una grande gioia: la nascita di Car­letto, il primogenito. Nasceva proprio il 25 marzo, festa dell'Annun­ciazione del Signore, il venerdì santo di quell'anno alle 14 e 30, l'ora in cui, nel primo venerdì santo, Gesù dalla croce donava la Madre al discepolo prediletto.

Carletto, divenuto poi Don Carlo, porterà sempre nel segreto del cuore la luce di questa coincidenza. Le due Annunciazioni di Maria - la prima da parte dell'Angelo Gabriele che la rese Madre di Dio e la seconda presso la croce da parte di Gesù che la rese Madre della Chiesa, Mamma di ciascuno di noi - saranno la realtà spirituale che tesserà in filigrana tutta la sua vita e la sua evangelizzazione.

Dopo qualche giorno dalla nascita, e precisamente lunedì 3 aprile, Carletto fu battezzato nella chiesa parrocchiale. Iniziava in lui la "vi­ta nascosta con Cristo in Dio" divenendo un tabernacolo vivente, una "stupenda Cattedrale dei Tre". S. Leonida, padre di Origene, si ingi­nocchiava a baciare sul petto il suo bambino, divenuto per il battesi­mo dimora della Santissima Trinità. Possiamo pensare che qualcosa di simile abbia fatto con il suo Carletto anche mamma Augusta che i figli ricordano come una donna di grande fede e di intensa preghiera.

Intanto le difficoltà finanziarie aumentavano e il papà con l'ap­poggio di un compaesano pensò di emigrare con la piccola famigliola in Francia. Ad Asniéres - sur Seine (vicino a Parigi), dove aveva tro­vato un impiego come falegname, la vita era dura. Abitavano in una baracca e per tirare avanti la mamma portava Carletto all'asilo-nido e cercava di lavorare qua e là riuscendo a malapena a raggranellare qualcosa da aggiungere al misero stipendio del marito. Al disagio del­la povertà si aggiungeva quello dell'umiliazione, perché gli emigrati italiani erano allora guardati con diffidenza e disprezzo.



"Non è mica nato santo mio fratello"

Anche se in tenera età, Carletto - che rivelava già un intuito per­spicace non comune - avvertiva il clima depresso e ne soffriva. Rea­giva anche. Infatti un giorno - aveva poco più di tre anni -, senten­dosi burlato da una signora francese che lo apostrofò: « Petit maca­rony » (piccolo maccherone), punto sul vivo raccolse una doppia ma­nata di terra e sassi e la gettò a tutta forza contro i vetri di quella casa, mandandoli in frantumi. Alla mamma che lo rimproverava per il pic­colo disastro, disse ancora rosso in viso per l'indignazione: «Ma mam­ma, io non sono un maccherone! ». La mitezza e la dolcezza che di­stingueranno il tratto e la parola di Don Carlo non erano dunque in­nate, ma frutto di Spirito Santo e di rinnegamento continuo della sua natura sensibile e pronta.

« Non è mica nato santo mio fratello - sottolinea la sorella Rena­ta che più di tutti gli è stata vicina -; ha sofferto per diventarlo».



Cadde nell'acqua

Renata era venuta ad allietare la famigliola tre anni dopo di Car­letto e condivise con lui gli anni più duri, ma anche più felici - come lei stessa sottolinea - dell'infanzia e della fanciullezza.

Un giorno, non si sa come, Carletto cadde nell'acqua. Riuscirono a salvarlo, ma per aver battuto violentemente sul fondo sassoso, ri­scontrarono subito delle gravi conseguenze con inizio di paresi al pie­dino. I medici consigliarono di portarlo d'urgenza in Italia, all'ospe­dale di Padova.

La mamma si mise subito in viaggio con i due bambini e, dopo aver lasciato Renata, di un anno, dai nonni a Varallo, proseguì in fretta per Padova.

All'ospedale civile dove venne accolto, la prognosi di Carletto ri­sultò grave e i medici presero a cuore il caso. Mamma Augusta per due o tre mesi non si staccò mai giorno e notte da quel lettino.

Il bambino intanto migliorava sensibilmente e riacquistava tutta la vivacità dei suoi quattro anni, facendo domande a non finire su tutto e su tutti, rivelando un'intelligenza non comune e una memoria straor­dinaria.



Mamma Augusta incise nella sua vita

Il papà intanto era rimasto in Francia per sostenere la famiglia, ma, data la necessità di continuare cure mediche e controlli all'ospe­dale, la mamma con i due bambini si stabilì ad Arsiero. Soffrivano per la lontananza del papà, ma sapevano che quel sacrificio reciproco era per provvedere il poco necessario già tanto scarso e misurato. Mam­ma Augusta cercava di supplire in tutti i modi e seguiva con amore i suoi bambini.

« Era sempre serena, allegra - ricorda Renata -, prendeva la vi­ta così come veniva. Anche se doveva affrontare tanti sacrifici e diffi­coltà, la sentivamo sempre cantare mentre andava su e giù per la casa o al torrente. Era sostenuta da una grande fede; pregava moltissimo e ci insegnava a pregare ».

Sapeva farsi amare in paese e non si sentiva affatto umiliata quan­do qualche buona donna le regalava i vestiti dimessi dei suoi bambini, anzi ringraziava sempre.

Allora si improvvisava sarta, li rivoltava, li ricuciva su misura e dalle sue mani uscivano come nuovi. Era sempre in movimento. Quan­do non trafficava in casa, era al torrente a lavare la biancheria e al lume di candela completava di notte ciò che non riusciva a fare di giorno.

La figura della mamma inciderà moltissimo in Carletto, nella sua formazione e nella vita spirituale caratterizzata appunto da un vivissi­mo amore alla Mamma Celeste e da una profonda esperienza della sua materna presenza.



Quel pianoforte a coda delle Suore

Ad Arsiero la casa era povera, ma almeno non era una baracca. Si arrampicava su un piccolo pendìo a ridosso del colle e al lato de­stro si affacciava su una ripida china chiamata "Le Grotte", che de­clinava a picco nel torrente Posina; alberi e prati tutt'intorno. Carlet­to vi si trovava a suo agio: poteva scorazzare liberamente, asseconda­re quello spirito di avventura che sentiva innato e affinare quella ca­pacità di ascolto e di stupore per la natura che sarà caratteristica del suo animo contemplativo.

Ormai era guarito completamente ed era diventato il piccolo leader di gioco dei suoi compagni. Amava la loro compagnia e andava volentieri all'asilo che era a un tiro di sasso da casa. Vi erano allora le Suore della S. Famiglia che lo accolsero con tanta bontà, lo teneva­no a mensa da loro e provvedevano ora a questa, ora a quella necessi­tà. Carletto vi si trovava di casa e in due salti, scarpe in mano, saliva quel piccolo pendio per andare dalle sue Suore più volte al giorno.

Da Sacerdote conserverà sempre una grande stima e predilezione per le anime consacrate, e oltre che tra i giovani svolgerà gran parte della sua predicazione (esercizi spirituali, ritiri ecc.) tra le religiose, claustrali in particolare.

Suor Luisa, la Superiora, vedendolo dotato di uno spiccato senso musicale, lo iniziò al suono del pianoforte a soli quattro anni. Lo af­fidò poi al Maestro Fontana di Arsiero, un valido ed esperto maestro di musica che suonava anche nei concerti classici.

Carletto imparava con passione, la musica lo affascinava al punto da passare a volte molte ore al pianoforte a coda delle Suore. Componendo musiche e canti per i giovani Gam (negli anni 1975 - 79), Don Carlo confiderà poi sorridendo: « La Mamma Celeste mi ha preparato a questo fin da bambino ».

A cinque anni sapeva già suonare e accompagnava i cori nei tea­trini dell'asilo e dell'oratorio festivo. Non solo suonava, ma recitava anche e attirava la simpatia di tutti.

Ma ciò che più cresceva in lui a contatto di quelle anime consacra­te era l'amore per Gesù e la Mamma Celeste già instillato da mamma Augusta. Nel cuore di Carletto, in quei primi anni d'infanzia, si face­va già strada il sogno più bello della sua vita: essere Sacerdote, essere tutto e solo di Gesù e di Maria. E lo confidò un giorno a Sr. Luisa con il candore innocente di chi affida la cosa più bella ancora in boccio. Quella sua calligrafia da fanciullo

A sei anni passò alla scuola elementare. Appena imparato a legge­re divorava tutto ciò che di scritto potesse capitargli sotto mano. So­prattutto cominciò a leggere il Vangelo e altri libri sacri che trovava dalle Suore e si appassionò a tal punto della Parola di Dio che a soli nove anni sapeva a memoria l'Apocalisse, il libro delle realtà future. Un fatto significativo per lui che diverrà un apostolo degli ultimi tempi, dei "cieli nuovi e terra nuova".

La Parola di Dio sarebbe stata la passione più grande di tutta la sua vita. La Madonna preparava già il suo evangelizzatore ed egli po­teva dire fin da allora come il profeta: « Quando le tue parole mi ven­nero incontro, le divorai con avidità, la tua Parola fu la gioia e la leti­zia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti» (Geremia 15,16).

Tornato da Messa raccoglieva i suoi libri e quaderni nella sacca di pezza cucita dalla mamma e si avviava a scuola. Se per strada tro­vava qualche carro di passaggio, vi si attaccava dietro e vi saliva con altri compagni a seconda della condiscendenza del carrettiere. E allo­ra era proprio una festa.

Non invidiava per niente i compagni di condizione più agiata, non rimpiangeva la sua povertà. Nella sua esuberanza, a volte birichina, diceva alle due figlie del direttore della cartiera che andavano a scuola accompagnate dalla governante: « Voi dovete sempre stare agli ordi­ni, io invece per la strada corro, salto, monto sul carretto, vado come voglio... ».

Per l'ottima riuscita a scuola, la maestra pensò bene di fargli ab­binare terza e quarta insieme e a fine anno riportò il giudizio: « ono­revole, con lode ».

Teneva sempre con diligenza i libri e i quaderni vergati da quella sua scrittura limpida, gentile e aggraziata. Conservò, tutta la vita, una calligrafia di fanciullo da cui trasparivano il candore e l'innocenza, l'equilibrio e l'armonia interiore.

Quando, nel 1979, nacque il foglio volante Gam "Per me Cristo" per i fanciulli con le figurine e il testo del Vangelo manoscritto, Don Carlo, presentando il primo numero agli intimi collaboratori, disse sor­ridendo: «Adesso capisco perché a differenza degli altri ho mantenu­to sempre una scrittura da bambino; la Mamma - così egli amava chiamare la Madonna - voleva utilizzare anche questo per il Regno di Dio ».

Tutto nella sua vita sarà finalizzato alla sua consacrazione e mis­sione, sia perché lo Spirito Santo e l'Immacolata tessevano passo pas­so la trama del disegno del Padre, sia perché la sua volontà indirizza­va tutto a quell'unico ideale: essere di Gesù e annunciare il Vangelo. Faceva continuamente esperienza di quanto dice il profeta Isaia:

«Io sono il Signore tuo Dio, che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi camminare» (48,17).



Un pubblico insolito

Al pomeriggio, eseguiti i compiti, correva all'asilo a suonare. La stanza del pianoforte dava sul piccolo orticello. Un giorno Carletto si accorse che tutti i coniglietti, orecchie drizzate, si erano radunati dinanzi alla vetrata e stavano immobili ad ascoltare. Preso dall'entu­siasmo per quel pubblico insolito si diede a pestare con più impeto sui tasti e quelli spaventati scapparono. Allora riprese l'andatura tran­quilla di prima e i timidi animaletti, uno dopo l'altro, tornarono ad ascoltare.

Fu per lui come una rivelazione: intuì il legame strettissimo con la natura, con l'intero cosmo.

Più volte - divenuto Sacerdote - nel suo annunzio sottolineerà questa comunione con l'universo; « Se tocchi un fiore, tremano le stel­le »; e parlerà di risurrezione cosmica in cui tutto l'universo - come dice S. Paolo - parteciperà alla gloria dei figli di Dio (cf Rm 8,22-23). Tutto per lui era segno. Ed era strada.



Si arrampicava come un vero scoiattolo

Dopo aver aiutato la mamma nei piccoli servizi e nell'accudire la sorellina Renata, Carletto trovava il tempo anche per giocare. I com­pagni venivano a cercarlo e sullo spiazzo poco sopra la sua casa, gio­cavano a rincorrersi, a nascondino, a bandiera, a palla e a mille altri giochi improvvisati al momento dalla fervida fantasia di quel piccolo trascinatore. Carletto era agilissimo nella corsa. Quando la palla s'im­pigliava tra i rami di qualche albero, tutti gli occhi erano su di lui: « Carletto, vai tu? ». « Sì, sì, vado io » rispondeva invariabilmente e si arrampicava come uno scoiattolo fino in alto. Ricorda il signor Da­nilo Zavagnin, suo compagno d'infanzia, che un albero era partico­larmente pericoloso perché pendeva su uno strapiombo, tanto che una volta un cuginetto salito a prendere la palla, non riusciva più a scen­dere e lo dovettero prelevare con le corde. Ma egli, tutto fuoco e gene­rosità, vi si arrampicava con estrema disinvoltura e coraggio.

Godeva delle piccole gioie della vita: un incontro, una piccola sor­presa, un bel voto a scuola, una scampagnata con gli amici. Gli piace­va tanto nelle giornate d'autunno sedere vicino alla finestra con un bel libro da leggere (divorava i libri), ascoltando il ticchettìo della piog­gia come una musica, magari con qualcosa di buono da sgranocchia­re: qualche nocciolina, raccolta nei boschi lì attorno, o un pugnetto di caldarroste.

Lo appassionava anche esplorare quelle zone battute dai soldati nella prima guerra mondiale e raccattare qua e là qualche resto signi­ficativo, a volte incorrendo anche in seri pericoli. Ma la Madonna lo difese sempre. E Mamma Augusta aveva la netta percezione di questa particolare protezione sul suo Carletto.



Mancava tutto... ma non la gioia

Giunse intanto la notizia tanto bella che papà sarebbe tornato dal­la Francia: cominciava a diventare insostenibile il sacrificio della lon­tananza dalla famiglia. Forse le cose erano un po' cambiate al paese e sperava di poter trovare lavoro nella grande cartiera di Arsiero che aveva assunto circa seicento operai.

Il ritorno del papà fu una grande festa per tutti, ma soprattutto per Carletto così espansivo e sensibile. Papà Pietro era un uomo di poche parole ma di un gran cuore. Semplice e senza esigenze, dopo il lavoro scambiava volentieri quattro chiacchiere con gli amici o una partita a carte. Non mancava mai alla Messa la domenica e anche se non lo esprimeva molto, si vedeva in lui una fede semplice.

Il lavoro intanto non si trovava: alla cartiera per il momento era­no al completo e altrove le porte erano chiuse. Questa situazione veni­va a incrudire ancor più le condizioni già misere della famiglia. A ta­vola vi era solo qualche patata, mezzo uovo o un pezzetto di formag­gio, un po' di pane o di polenta. La carne compariva solo nelle grandi feste ed era proprio solo una comparsa; qualche frutto o dolcetto a Natale e a Pasqua. Papà e mamma servivano prima i bambini e riser­vavano per sé solo ciò che rimaneva. Mamma Augusta doveva nascon­dere il pane, perché ce ne fosse anche a cena.

Eppure in una situazione così penosa c'era sempre tanta gioia. Ri­corda la sorella Renata: « Carletto era sempre contento, non aveva esigenze o pretese, né faceva pesare le privazioni. Si accontentava del mi­nimo e non era ambizioso. Non era attaccato a niente, anzi, se aveva qualcosa, dava via tutto ».



Augusta, corri... la casa brucia!

Un pomeriggio la mamma era scesa al torrente a fare il bucato; aveva con sé la piccola Renata che giocherellava con l'acqua. Dopo un po' sente gridare: «Il fuoco! Il fuoco!... Augusta, corri: la casa brucia! ». Le fiamme erano ormai più alte del tetto. D'un fiato la po­vera donna è nel cortile; il suo pensiero va subito a Carletto che aveva lasciato in casa a fare i compiti. Chiama, grida, ma il bambino non risponde. Entrare in casa ormai era impossibile.

La mamma piange e invoca la Madonna. Ad un tratto vede scen­dere dalla scarpata le Suore e Carletto tra loro: finiti i compiti era an­dato all'asilo a suonare. Inesprimibile la gioia e la gratitudine della mamma: la Madonna aveva salvato il suo bambino.

Più tardi tornò anche il papà e guardò quel cumulo di macerie in un muto silenzio, stretto dall'angoscia. Del poco che avevano rima­neva solo ciò che portavano addosso. Fu la mamma, come sempre, a rompere il silenzio e a fare coraggio a tutti: era allenata a calare la fede nella vita di tutti i giorni e anche in quell'ora di grave prova la sostenne la certezza che Dio è Padre e non abbandona mai.

Le buone Suore si industriarono subito a provvedere tutto lo stret­to necessario. Il papà, un po' alla volta, con materiale grezzo raccolto qua e là ricostruì alla meglio i muri distrutti. Persistendo la disoccu­pazione, tentò un'altra possibilità di lavoro all'estero e partì stavolta per l'Africa.



Era la consolazione di tutti

Carletto intanto cercava di essere la consolazione della mamma: si impegnava a fondo in tutto e a scuola riportava sempre il massimo dei voti con lode. «Fin dalla più tenera età - afferma la sorella Re­nata - viveva intensamente la sua giornata, applicandosi in tutto. Non litigava, né mancava di rispetto; era buono. Non diede mai dispiaceri alla mamma ». Diceva spesso anche in casa che voleva farsi Sacerdote.

Qualche scappellotto della mamma tuttavia piombava anche su di lui all'occasione, per qualche birichinata fuori serie. Scappando allo­ra diceva: «Quando sarò prete non me le darai più! ». E la mamma di rimando: « No, invece, te le darò anche da Papa, se ci sarà bisogno! ».

All'età di otto, nove anni, Carletto cominciò a confidare anche ai suoi compagni di voler farsi prete. Ne parlava soprattutto con Dani­lo, con il quale aveva più affinità e confidenza. Gli resterà sempre amico anche nei brevi contatti che terrà da Chierico e da Sacerdote. A di­stanza di molti anni il signor Danilo Zavagnin ricorda di lui: « Era sem­pre disponibile, buono. Quando lo vedevo mi pareva di vedere il Si­gnore: aveva una dolcezza nel parlare, una cordialità e finezza... ».

E i ricordi si accavallano come onde nella mente, chiari, incancel­labili. «...Ma la dolcezza che ho trovato in Don Carlo - conclude - è la cosa più sublime».

Quando aveva svolto i suoi impegni di scuola, di casa, di musica, andava volentieri in canonica per stare con i Sacerdoti: il Parroco e qualche Sacerdote o missionario di passaggio. Si intratteneva spesso anche con Caterino, un'anima stupenda, un consacrato laico che atti­rava i bambini con qualche gioco o dolcetto per parlar loro di Gesù, farli pregare, specialmente con il Rosario, e aiutarli a diventare più buoni.



Finalmente, il Tabernacolo si apre per lui

Il Papa dell'Eucaristia S. Pio X aveva aperto il Tabernacolo ai bam­bini fin dalla più tenera età, da quando sapevano distinguere « Pane da pane ». Aveva compreso il desiderio ardente di Gesù: « Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite» (Mc 10,14).

A quanti anni Carletto ricevette la Prima Comunione? Certamente pri­ma dei nove anni, ma ce ne sfugge l'età precisa. Si preparò con gran­de fervore alla Prima Confessione: voleva ricevere Gesù degnamente, con cuore immacolato. Da Sacerdote diverrà un fervente apostolo della Confessione, aiutando a riscoprirla come Sacramento della gioia. Ar­rivò finalmente anche per lui l'ora in cui poteva ricevere Gesù nell'O­stia santa tutti i giorni; l'aveva tanto desiderato con santa invidia mentre da chierichetto teneva la patena. Adesso all'alba volava per la strada pensando all'incontro eucaristico con Gesù e si fermava all'altare del­la Madonna per dirle: « Mamma, dammi il tuo Cuore per amare Gesù ». Carletto unirà sempre in tutta la sua vita un ardente amore a Gesù Eucaristia a un intenso e tenerissimo amore alla Mamma Celeste. Da Sacerdote dirà: « La Vergine e l'Emmanuele (Dio-con-noi) sono indis­sociabili; il candore dell'Ostia e quello dell'Immacolata si richiamano a vicenda. È la Mamma che ci dona Gesù». E insegnava a ripetere un piccolo saluto alla Vergine di S. Caterina da Siena: « Io ti ringra­zio, dolce Mamma, che ci dai Gesù, il Pane Eucaristico della tua farina ».

Il Papa Giovanni Paolo II dirà: «Alla radice dell'Eucaristia c'è la vita verginale e materna di Maria, la sua traboccante esperienza di Dio, il suo cammino di fede e di amore, che fece, per opera dello Spi­rito Santo, della sua carne un Tempio, del suo Cuore un altare.

Ave, o vero Corpo, nato da Maria Vergine».



All'ombra dello Spirito

A nove anni, il 30 agosto ricevette la Cresima da Monsignor Fer­dinando Rodolfi, Vescovo di Vicenza. La pienezza dello Spirito San­to con tutti i suoi doni opererà in lui con un'efficacia straordinaria, tanto da richiamare alla mente le parole di Gesù:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4,18).

L'azione divina dello Spirito Santo in lui si manifesterà solo più tardi, all'ora di Dio.

Intanto egli cresceva nel silenzio all'ombra dello Spirito e di Maria. Lucia, io ti battezzo...

Nel 1930 nasceva Lucia. Anche se poveri, mamma e papà acco­glievano come un grande dono le creature che il Signore mandava lo­ro. Renata era felice di avere una sorellina. L'unico a non essere con­tento stavolta fu Carletto: voleva un fratellino lui, non una sorellina; un fratellino avrebbe potuto fargli da chierichetto nelle messe che lui celebrava ormai da anni sugli altarini improvvisati in cucina o in camera.

Tutto il vicinato seppe del suo malumore e ne sorse una benevola ilarità. C'era chi a bella posta gli chiedeva notizie della sorellina e, particolarmente il direttore della cartiera che aveva un bimbo di po­chi giorni come Lucia, lo stuzzicava dicendo: « Il mio Enrico parla già, il mio Enrico già cammina, la tua invece... ». Carletto si indispettiva, ma non tardò a rappacificarsi e accettare con amore anche la piccola Lucia. Imparò a circondarla di tanta affettuosa attenzione, al punto che la mamma poteva fidarsi di lasciarla alle sue cure quando doveva assentarsi.

C'era però un fatto che lo lasciava inquieto: era già trascorso un mese e la sorellina non era ancora stata battezzata perché si attendeva dalla Svizzera lo zio Gaudenzio che doveva farle da padrino. Carletto aveva imparato a catechismo quanto fosse importante amministrare al più presto ai bimbi questo Sacramento sia per la grandezza del do­no di diventare figli di Dio, partecipi della stessa Vita divina, sia per la fragilità del loro fisico che li espone talvolta al pericolo di morire con il peccato originale, senza la grazia santificante. Una volta semi­nato questo dono stupendo, ineffabile di Dio, « dorma o vegli », dice Gesù nella parabola, cioè sia o no consapevole, come nel caso di un bimbo piccolo, « il seme cresce, senza che egli sappia come » (cf Mc 4,26-27).

Carletto credeva a tutto questo ed era sulle spine finché Lucia non fosse battezzata. In più le Suore, un po' scherzando bonariamente, lo tormentavano: « Va' via, che hai un`ebrea" in casa! ».

Carletto meditava sul come risolvere le cose, dato che lo zio tarda­va ancora. Un giorno portò a casa le vesti da chierichetto. La mamma gli fece notare che non erano sporche, ma lui insisté deciso: « Sono da lavare » ed evase l'argomento per non essere interrogato più oltre.

Attese il momento buono, che si presentò quando la mamma uscì al mercato. Allora indossò la piccola talare nera e rivestì Renata (che allora aveva sei anni) della cotta bianca, le affidò in braccio la picco­lina e prese un catino con l'acqua e il sale. Poi versando l'acqua pro­nunciò chiaramente con convinzione la formula: « Lucia, io ti battez­zo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ». Con tutta serietà Renata rispose: « Amen ».

Fece appena in tempo, perché le grida disperate della piccina atti­rarono l'attenzione di una passante che, entrata e vista la scena, si af­frettò a salvare la bimba da quel diluvio di acqua e sale. Ma ormai il Battesimo era amministrato e Carletto era felice.

Il Parroco, informato premurosamente dalla mamma, confermò che il Battesimo era valido, perché Carletto (lui lo conosceva bene) aveva l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa; tuttavia avrebbero ri­petuto la Liturgia battesimale in chiesa.



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21/09/2009 21:10

2 - IO TI HO SCELTO (1s42,6)

Iniziava qualcosa di grande


Intanto il disegno di Dio si svolgeva gradatamente e l'estate del 1930 fu decisiva per Carletto, che aveva ormai nove anni. Don Busa­to, un Salesiano del paese, venuto a trascorrere qualche tempo in fa­miglia, notò subito in quel fanciullo esilino ma volitivo, un'anima pron­ta e disponibile alla chiamata del Signore e propose di portarlo nel collegio-aspirantato salesiano di Trento.

La mamma ne fu subito contenta: vedeva che quel figlio era per il Signore, del resto gliel'aveva sempre detto fin da piccolino che vole­va farsi prete. In collegio inoltre avrebbe avuto qualche boccone in più e non avrebbe patito tanto freddo, lui che era soggetto a bronchi­ti: cose tutte che contavano per una mamma costretta dalla povertà a vedere i suoi bambini nella privazione, senza poterli soccorrere. Mam­ma Augusta vide in questa proposta la mano della Provvidenza. Il papà invece non si rassegnava a perdere il suo primogenito da cui sperava un valido aiuto e inoltre diceva: «Se va prete, perdo la discendenza». Ma in fondo anche lui voleva il vero bene dei figli e la volontà di Dio e non mise ostacoli alla sua partenza.

Carletto era fuori di sé dalla gioia. Sentiva che iniziava qualcosa di nuovo e di grande per lui: andava nella « Casa della Madonna » co­me gli aveva detto Don Busato (così infatti Don Bosco chiamava ogni casa salesiana). Con la Madonna, a cui aveva affidato tutta la sua vi­ta, si sarebbe preparato a diventare un santo Sacerdote. Non deside­rava di più. Partì con entusiasmo nel settembre del 1930 assieme ad altri due o tre ragazzi di paesi vicini, accompagnati in una specie di pulmino dal signor Checco de Moro.

All'Istituto "Maria Ausiliatrice" di Trento Carletto fu accolto pa­ternamente dal direttore Don Ghibaudo che, conosciute le sue condi­zioni di famiglia, gli abbassò quasi del tutto la retta; la mamma dava ogni tanto qualcosa, quel poco che riusciva con sacrificio a mettere da parte.

In un clima di preghiera e di gioia voluto da Don Bosco perché i suoi giovani fossero sempre allegri e in Grazia, Carletto si trovò a suo agio. La Congregazione Salesiana diventerà la sua seconda fami­glia intensamente amata fino alla fine.

Nelle omelie dei Superiori, nelle buone notti, nei momenti di pre­ghiera imparò ad approfondire il suo amore per Gesù Eucaristia, per la Madonna, per la Chiesa e il Papa, e scoprì sempre più la grandezza della vita sacramentale.

Gli piaceva quel fare anche le cose più serie e impegnate nel modo più semplice e sereno, nello spirito di famiglia. Così era lo stile deli­neato da Don Bosco e ad attuarlo lì nell'Istituto di Trento influirono molto alcuni vecchi salesiani che avevano conosciuto il Santo Fonda­tore: Don Rigoni, presente al miracolo della moltiplicazione delle ca­stagne; Don Olgiati che ricordava di aver visto il volto del Santo, lu­minoso e assorto, nella moltiplicazione dei pani; Don Stefanelli, un grande missionario mandato da Don Bosco stesso tra gli Indios.

Carletto era avido di sentirli raccontare. Il santo educatore dei gio­vani lo entusiasmava per la sua spiritualità semplice e profonda, per la sua passione di portare le anime giovanili a Gesù. Da Salesiano scri­verà molto su Don Bosco delineando con accenti caldi e penetranti i punti salienti della sua spiritualità e della sua azione educativa e pa­storale.



Non era più il bambino "tutto spirito"

Carletto si immerse nel nuovo genere di vita con il suo solito gioioso tuffarsi con intensità nel presente, ma qualcosa in lui stava cambian­do. Non era più il bambino irrequieto, « tutto spirito » come lo defini­va la mamma: iniziava in lui un processo di interiorizzazione, di pro­fondità spirituale che lo porterà, attraverso gli anni della formazione, a un alto grado di unione con Dio.

Un suo compagno di studi del ginnasio ci offre una preziosa testi­monianza di questi anni che potremmo paragonare al tempo della vi­ta nascosta di Gesù a Nazaret.

« Le cose grandi maturano sempre nel silenzio e nel nascondimen­to » disse più volte Don Carlo; lo aveva egli stesso sperimentato. Ecco dunque quanto dice quel suo compagno: « Ho conosciuto Car­lo De Ambrogio (in collegio ci si chiamava regolarmente per cognome, solo tra amici si usava il nome) nel settembre 1930, quando siamo entrati insieme (eravamo della stessa età) all'Istituto Maria Ausiliatri­ce di Via Barbacovi a Trento, per frequentare la 5a elementare.

Non ho precisi ricordi di quell'incontro né di quel primo anno. Car­letto, così lo chiamavo, non aveva caratteristiche da richiamare l'at­tenzione: era minuto, esilino; ma non ricordo che fosse malaticcio, se non forse per ripetuti mal di gola: portava fino a primavera un cra­vattone di lana.

Non ho mai saputo, o non ricordo, da che famiglia provenisse: de­corosa, non ricca, almeno a giudicare dai vestiti sempre in ordine, ma non vistosi come altri compagni portavano.

Ricordo la sua fierezza di essere vicentino; quando uscivamo alla passeggiata del giovedì pomeriggio per le vie di Trento, faceva conti­nui confronti con la maggior importanza di strade e case della sua Vi­cenza; ed io, che ero di Trento, ne rimanevo un po' indispettito.

Fin dai primi mesi andò a lezioni di pianoforte da Don Attilio An­gelini, con Angelo Paganella; evidentemente la musica l'aveva sem­pre avuta nel sangue. Eravamo insieme cantori; ricordo come si can­tava di gusto specialmente nelle annuali esibizioni dell'operetta ("Oc­chio di Falco" - "Menestrello della Morte" - "Il cieco di Gerico" - "Gara in montagna" ... ). Negli ultimi anni accompagnava al piano­forte le nostre esibizioni di fine anno. Non erano ormai più solo le sonatine di Clementi; gli ultimi anni, quando avevamo un po' più di libertà, andavo qualche volta, durante la ricreazione delle quattro, a sentirlo e a battergli il tempo: allora conobbi per la prima volta Cho­pin, Mozart, Beethoven e Liszt. Da allora, sempre, quando sento una Rapsodia Ungherese, una Polacca, la Patetica chiudo gli occhi e lo rivedo attento allo spartito con la gioia di trasmettere la sua gioia. La comune sensibilità musicale fu, forse, il nostro legame più stretto.

Molti anni dopo (eravamo a Praglia per la Prima Teologia) avem­mo frequenti conversazioni in materia: mi istruiva sul valore univer­sale della musica, linguaggio comune a tutte le lingue, sempre mezzo solo di unione fra i popoli, sempre immediato strumento di elevazio­ne ad un piano superiore. Forse mi ripeteva concetti ricavati da lettu­re; ma li esponeva con la convinzione e la foga di chi scava nel pro­prio animo e dà alla luce una sua creatura, una sua intuizione. Riascoltando le musicassette Gam, rivedo il suo volto illuminarsi condividendo con Bach o Beethoven la soddisfazione della creazione lirica. Non so quale atteggiamento abbia poi tenuto verso la "musica moderna", non riesco ad immaginargli che una benevola soppor­tazione.



Vinceva sempre lui e... ci teneva

Era sempre molto attento a scuola e, dotato di memoria superiore alla media, non faceva fatica a collegare e fissare le varie nozioni. Ri­cordo una rinnovata discussione (si era in 5° ginnasio) sulla superiori­tà del ragionamento (che io sostenevo) o della memoria. Egli infatti sosteneva che una buona memoria interiorizzata e illuminata dalla lo­gica, fosse più utile del semplice ragionamento. Non riuscì allora a convincermi della sua tesi. Solo in seguito, nelle varie necessità della vita e dell'insegnamento riconobbi che aveva ragione. Questa sua vi­vace memoria lo aiutò molto nello studio. Non ricordo che fosse sem­pre il primo nelle classifiche di fine anno; solo nelle gare di religione (si studiava allora a memoria il piccolo Catechismo di S. Pio X) vin­ceva sempre lui, e ci teneva.

Nel gioco era sempre impegnato, anche se non con prestazioni vi­stose. Era assai agile, aveva scatto ma non resistenza. Di voce delica­ta, aveva per natura un contegno che sembrava timido e rassegnato ma non rinunciatario. Faceva valere le sue ragioni con fermezza, mai con prepotenza.

In chiesa aveva un contegno serio, ma non sdolcinato. Ricordo al­tri compagni che passavano per "sanluigi" con pose mistiche, mentre lui fu sempre normale. Lo ebbi spesso compagno di banco in chiesa. Pregava, con tutti insieme, sottovoce, composto, ma non compunto. Era di gradevole compagnia, cordiale, pronto allo scherzo rispettoso, allo sgambetto anche, fra amici, quando si camminava insieme.



Queste parole non si dicono

Di particolare pulizia verbale. Eravamo già adolescenti, un giorno mi sgridò (ricordo chiaramente l'ora e il posto preciso) quando gli dissi ridendo un'espressione un po' volgare in uso dalle nostre parti. Si fe­ce di colpo serio e mi ammonì: "Queste parole non si dicono". Rimasi interdetto perché, anche con mia madre, avevo sempre usato la fra­se senza saperne il senso letterale. Da allora divenni anch'io più atten­to ad un esame preventivo di molte locuzioni.

Leggeva moltissimo. Ricordo, al ritorno dalle vacanze dopo la 4a ginnasio, durante i primi scambi di notizie sui fatti estivi, mi riferì su­bito il contenuto di un libro che gli era piaciuto. Era la narrazione della vita di una squadra di calcio di ragazzi particolarmente abili nel pal­leggio stretto e nell'intesa reciproca, tanto da non permettere agli av­versari di toccare il pallone, ottenendo quindi risultati favorevoli ad ogni incontro. Sono passati cinquant'anni, il calcio ha fatto bei pro­gressi, ma non ho mai dimenticato la ricchezza dei particolari, la vi­vezza degli occhi nel riferire le cose lette.

In collegio, in ogni classe, c'è sempre il "beniamino" degli inse­gnanti. Lui forse lo fu talvolta; ma non se ne vantò mai né se ne ap­profittò. Ricordo sospetti ed insinuazioni su altri egualmente preferi­ti; mai su di lui. Si faceva benvolere da tutti proprio per la sua riser­vatezza; non si vantava né si metteva in mostra pur avendone motivo, come quando si esibiva al pianoforte o veniva premiato.

Con me aveva molto tatto nei frequenti richiami ad un maggiore impegno nello studio; la sua cortesia in questo mi faceva ottenere qual­che miglioramento, più dei richiami degli insegnanti.

Più avanti i ricordi si fanno confusi. Cominciavo a vederlo più ri­servato, quasi più astratto. Aveva una forte vita interiore, ed i miei contatti con lui si fecero più sfiorati, quasi di striscio.

Mi dispiace moltissimo di non averlo potuto in seguito avvicinare di più che in brevi incontri. Fra i compagni di scuola fu quello con cui ebbi contatto umano più amichevole ed utile.

Grazie alle musicassette Gam lo sento ancora amico, e del bene me ne fa ancora tanto».



Arrivederci a Torino

Tali ricordi e impressioni collimano in pieno con quelli del geome­tra B., un altro compagno degli anni di formazione dal 1931 al 1937. Abitava a Velo D'Astico, a un chilometro da Arsiero, e questo servì non poco a stringere legami di familiarità e di amicizia, tanto più che le due mamme s'incontravano spesso avendo in comune le stesse an­sie e preoccupazioni e quella punta di nostalgia insopprimibile per il posto vuoto lasciato dai loro ragazzi.

In particolare Carletto ne aveva lasciato uno grande in famiglia per la sua bontà ed esuberanza gioiosa che contagiava. « Carlo era sem­pre molto affettuoso, in particolare con la mamma, molto compren­sivo nei suoi riguardi, non le dava mai motivo di sofferenza » afferma la sorella Renata. La mamma accettava anche il sacrificio della sua lontananza, purché fosse del Signore e fosse contento.

« Stravedeva per quel figlio - dice il sig. Brunello che la conobbe nei frequenti contatti -. Aveva per lui un amore indescrivibile, uni­co, ed era contentissima che si facesse Sacerdote. Più tardi lo fu an­che il papà».

Le brevi puntate che faceva in famiglia nelle vacanze estive erano una festa per tutti. Svolti i suoi impegni di preghiera e di servizio, amava fare passeggiate ed escursioni con i compagni sulle sue montagne: il Cimone, il Sumano, il Priaforà, il Caviojo ecc. Conserverà sempre uno spiccato amore alla montagna che dalla meditazione dei testi bi­blici, soprattutto dell'Esodo, aveva scoperto come «il luogo per ec­cellenza dell'incontro con Dio». Le vette lo attiravano - segno del suo spirito tutto proteso verso l'alto - e da adolescente compì con i Salesiani anche delle vere scalate sulle Dolomiti.

Nel periodo estivo del 1932 avvenne un piccolo episodio un po' singolare. Aveva allora 11 anni. Un giorno andando con la mamma a fare delle spese, incontrarono in treno, nello stesso scompartimento un'altra mamma con la sua bimbetta di cinque anni. Le due mamme intrecciarono subito dei fitti discorsi di casa e Carletto, che si sentiva molto più grande, intratteneva la bimba con piccoli giochi. Al mo­mento di salutare, disse alla bimba: «Arrivederci a Torino. Tu allora sarai Suora e io Sacerdote». Esattamente 26 anni dopo, quella bam­bina, divenuta una Suora del Cottolengo di Torino, andrà a confes­sarsi da Don Carlo.

Profezia? Di fatto si riscontrano qua e là negli anni della sua mis­sione di Sacerdote vari episodi di profezie avveratesi. Quando glielo si faceva notare, egli dissimulava sorridendo e diceva: «La Mamma a volte mi fa dire delle cose che poi, non so come, si avverano. Io le dico così... e poi si realizzano davvero. Ma è Lei che fa! ».

Per lui contava però quello che chiamava sempre: «il vero spirito di profezia », cioè l'annuncio della Parola di Dio. « II profeta - diceva - è uno che parla a nome di Dio, che diffonde la Parola stessa di Dio ».

E lanciando i giovani Gam all'evangelizzazione metterà in luce la promessa del Signore nel profeta Gioele: « Io effonderò il mio Spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (3,1).

E si fonderà sull'affermazione del Concilio Vaticano II che sotto­linea come tutti i laici «dopo essere stati incorporati a Cristo nel Bat­tesimo e costituiti Popolo di Dio, sono resi partecipi - nella loro mi­sura - dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo» (Lumen Gentium, n. 31 a).



Quella veste sacerdotale tanto attesa

Nell'aspirantato di Trento Carletto rimase un anno in più dei suoi compagni perché troppo giovane per accedere al noviziato. Anche que­sto fu provvidenziale, come sottolineò più volte egli stesso, perché poté approfondire meglio lo studio del greco alla scuola di Don Ponzio, un validissimo insegnante di greco e latino, allievo del Carducci. Que­ste solide basi gli serviranno in seguito per accostare e tradurre diret­tamente dal greco i testi originali della Parola di Dio, soprattutto i quattro Vangeli, le Lettere di S. Paolo e di S. Giovanni, l'Apocalisse.

A quindici anni Carletto entrò nel Noviziato Salesiano di Este (Pa­dova). Alla cerimonia della vestizione erano presenti la mamma che non poteva trattenere le lacrime dalla gioia, e la sorellina Lucia di sei anni. Papà era assente per lavoro e Renata era a casa con il fratellino Egidio nato da poco.

All'altare Carlo ricevette, assieme a una cinquantina di suoi com­pagni, la nera talare benedetta. Aveva tanto desiderato quella lunga veste sacerdotale. La baciò, la indossò con venerazione e gratitudine e da quel giorno non la toglierà più, neppure quando, anni dopo, farà dei lunghi e disagevoli viaggi in India e in Oriente. Era per lui segno della tunica sacerdotale di Cristo e della sua totale appartenenza a Lui e alla Chiesa.

Il Maestro dei Novizi, Don Manzoni, una figura di asceta, di pro­fonda vita interiore, si accorse subito della stoffa di quel novizio, esi­le e gracile, ma dotato di ferrea volontà e di slancio spirituale e comprese che con lui poteva puntare al massimo ed esigere tutto.

Don Carlo faceva tesoro di tutte le istruzioni sulle virtù e sui voti che il Maestro teneva ogni giorno, annotava i punti più salienti, ne faceva oggetto di meditazione, per tradurli in convinzioni personali e in vita pratica.

Soprattutto, come la Vergine in ascolto, meditava e conservava nel suo cuore ogni Parola di Dio; la leggeva e rileggeva con avidità in pre­ghiera e scopriva come ogni volta gli apriva nuovi e luminosi orizzonti.



Nel suo cuore l'offerta era per sempre

Sull'esempio dell'umile Serva del Signore coltivava in particolare l'umiltà, sapendo come questa virtù attirasse l'azione dello Spirito San­to e fosse il fondamento di ogni altra virtù, come dice S. Agostino: «Vuoi costruire un altissimo edificio? Comincia a scavare delle fon­damenta profonde ». Da Sacerdote ripeterà spesso questa frase, espres­sione del suo indirizzo spirituale: « Non ci può essere amore vero, se non è umile amore».

La Vergine dell'annunciazione era il suo modello per un sì di amore a Dio sempre nuovo, totale ed esclusivo in preparazione alla profes­sione religiosa.

E l'ora venne. Il 21 agosto, vigilia della festa di Maria Regina, Don Carlo si consacrava al Signore con il voto di castità, povertà e obbe­dienza; la formula era per un anno, ma nel suo cuore l'offerta era per sempre. Del resto Gesù e Maria erano i suoi amori da sempre.

Nel suo cuore generoso e ardente vi era anche il grande ideale di essere missionario per portare il Vangelo ai più poveri che ancora non lo conoscevano. Forse questo desiderio gli era nato quando da ragaz­zetto ascoltava nel collegio di Trento i racconti infuocati del missio­nario salesiano Don Stefanelli. Ne parlò con i Superiori, i quali rico­nobbero in quel giovane novizio umile e volitivo la stoffa del missio­nario. Occorreva però il permesso scritto dei genitori, ma questa vol­ta papà Pietro fu irremovibile: non se la sentiva proprio di non rive­dere più il suo amato Carletto. E così non se ne parlò più. Il disegno di Dio per lui era un altro: sarebbe stato missionario del Vangelo in Italia nell'ora in cui le tenebre del materialismo-ateo sarebbero state ancora più fitte di quelle del paganesimo. Con la sua evangelizzazione Don Carlo riaccenderà la fede spenta in tante anime, soprattutto tra i giovani.

Dopo la professione religiosa partì con i suoi compagni per lo stu­dentato filosofico di Foglizzo Canavese e due anni dopo diede con esito brillante l'esame di maturità classica. Lo studio e l'approfondimento culturale in lui non erano mai fine a se stessi, ma in vista del Regno di Dio; tutto per lui diventava segno o esplicitazione delle grandi real­tà racchiuse nella Parola di Dio.

Negli anni 1939 - 43 fu mandato prima a Legnago, poi a Verona e infine a Mogliano Veneto per il periodo del cosiddetto "tirocinio", in cui, a contatto con le attività specifiche della Congregazione, il gio­vane Salesiano verificava e collaudava la sua vocazione, imparando a unire la vita di preghiera e di unione con Dio con l'azione educativo­apostolica tra i giovani.

Don Carlo aveva allora solo diciotto anni, eppure all'esuberanza nell'animare il gioco o il canto dei ragazzi che gli erano affidati, uni­va un forte senso di responsabilità nell'assistenza e nell'insegnamento.

Soprattutto sentiva l'urgenza di portarli a Gesù: era questo lo sco­po del suo stare lì, in mezzo a loro. E usava lo stile semplice ed effica­ce della "parolina all'orecchio", insegnato da Don Bosco nel "Siste­ma preventivo". Nel pieno del gioco o nei momenti di passaggio avvi­cinava or l'uno or l'altro e gli diceva qualcosa che lo portasse ad ama­re Gesù e la Mamma Celeste: era una parola del Vangelo che lasciava in quelle anime giovanili una traccia incancellabile.



Il suo tutto era Gesù

Egli stesso trascriveva qualche parola di Gesù su un biglietto e la portava nel taschino interno della veste, dalla parte del cuore: piccole attenzioni e industrie di un'anima sensibile all'azione dello Spirito San­to. Viveva intensamente i tempi di preghiera. Adesso in mezzo all'at­tività ne sentiva ancor più l'urgenza e, per mantenere ininterrotta l'u­nione con Dio anche a scuola, in cortile, per la strada, si serviva delle giaculatorie ( = brevi preghiere e atti d'amore) che lui chiamava « pic­cole frecce di fuoco».

Questo amore di Dio tenuto sempre vivo, si riversava poi, oltre che nei giovani, anche nei Confratelli della Comunità che lo amavano molto per la sua gioiosa generosità, per quel suo costante sorriso, per l'atteggiamento discreto e riservato che lasciava agli altri lo spazio di esprimere se stessi, per il suo esempio di fervore che stimolava al be­ne. Da parte sua Don Carlo cercava di vedere in ogni fratello Gesù stesso e maturava in sé una sempre più delicata attenzione agli altri e la capacità di accoglierli e di amarli così com'erano.

Al termine dei quattro anni di tirocinio i Superiori lo ritennero idoneo alla vita salesiana e lo ammisero alla professione perpetua il 16 agosto 1943, il giorno dopo la solennità dell'Assunta. Aveva solo 22 anni e già si era spossessato della sua vita per farne dono totale ed esclusivo a Dio e alla sua dolcissima Mamma, « la Diletta del suo cuore» per sempre.

In preparazione all'ordinazione sacerdotale lo inviarono prima a Praglia, poi di nuovo a Mogliano Veneto e quindi a Monteortone per i corsi di teologia. Contemporaneamente portava avanti gli studi per la laurea in lettere all'università di Padova.

In questi quattro anni di preparazione immediata al Sacerdozio ma­turò in lui una più profonda interiorità che si intravedeva - come af­fermano i suoi compagni di studi - dal suo atteggiamento semplice e naturale, ma più raccolto e silenzioso, e dai suoi interventi e discorsi centrati su Gesù. Gesù era davvero "il tutto" della sua vita e a Lui orientava ogni cosa.



Berrò solo il vino della Messa

Un suo compagno di teologia che gli fu vicino in tutto il curricu­lum della formazione, notò che non prendeva mai vino a tavola, nep­pure nelle feste. Un giorno volle chiedergliene il motivo e Don Carlo rispose: « Non ho mai voluto prenderlo in vita mia. Berrò solo il vino della mia prima Messa ». Era così grande il Mistero Eucaristico ai suoi occhi che tutto era preparazione a quell'ora tanto desiderata di salire l'altare per celebrarlo. E berrà sempre e solo il vino eucaristico.

In questi quattro anni di teologia si dedicava molto alla lettura e allo studio di esegesi biblica per conoscere, penetrare e comprendere sempre meglio la Parola di Dio, e poiché a quel tempo scarseggiavano i libri di esegesi cattolica, sviscerava anche quelli di autori protestan­ti, confrontando tutto con il Magistero della Chiesa e tenendo ciò che era vero e buono.

Si applicava allo studio della teologia con l'anima in preghiera per interiorizzare e rendere vitali nello Spirito Santo verità e nozioni. Aveva fatta sua la preghiera di Salomone per chiedere al Padre il do­no della Sapienza: «Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito.

Chi può rintracciare le cose del cielo? Chi ha conosciuto il tuo pensiero se tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il tuo Santo Spirito dall'alto? » (Sap 9,10.16-17). Molti anni dopo dirà: « La mistica, ossia l'esperienza intima di Dio, la preghiera che attira la presenza dello Spirito Santo con la sua un­zione spirituale, dovrebbero sempre impregnare, permeare tutta la teo­logia; altrimenti questa diventa pura teologia razionale che non co­struisce nulla, anzi disorienta».

È quanto lui aveva sempre fatto. Integrava lo studio strettamente necessario con la lettura di libri di ascetica e di biografie di santi, tra i quali preferiva i mistici: S. Francesco d'Assisi per il suo amore al Vangelo « sine glossa », S. Teresina del Bambino Gesù per la sua "pic­cola via" di amore e di abbandono al Padre, la beata Elisabetta della Trinità per l'intensa vita di contemplazione e di unione con i Tre.

Oltre a S. Giovanni Bosco - che egli amava per la sua anima di apostolo che sapeva fondere insieme contemplazione ed azione -, que­sti tre Santi influirono grandemente nella sua vita spirituale e nella spi­ritualità che sarà chiamato a trasmettere.

La Mamma Celeste lo guidava passo passo per formarlo secondo i suoi disegni.

Si servirà di questa fusione di Parola di Dio, di teologia, di ascetica e mistica, non solo per avanzare nell'intimità con Dio e nella santità, ma anche per guidare spiritualmente le migliaia di anime che incon­trerà nella sua missione sacerdotale, soprattutto religiose e claustrali, anime di intensa vita interiore che egli con semplicità lanciava a mète altissime.



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21/09/2009 21:13

3 - SACERDOTE IN ETERNO

La Stella del suo Sacerdozio


Giunse finalmente nel 1947 l'ora tanto attesa dell'ordinazione sa­cerdotale che avvenne il 29 giugno, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nella chiesa parrocchiale annessa allo studentato teologico sa­lesiano di Monteortone.

Gli esercizi spirituali che precedettero l'ordinazione furono giorni di cielo, in cui poté meditare più profondamente sul mistero sublime che stava per compiersi in lui: partecipe dello stesso sacerdozio di Gesù « sommo Sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek » (Ebrei 6,20). L'autore sacro specifica che «Melchisedek, sacerdote del Dio Altissimo, è senza padre, senza madre, senza genealogia..., fatto si­mile al Figlio di Dio e rimane Sacerdote in eterno» (Ebrei 7,1.3).

Consapevole di questa grande elezione da parte di Dio, realizzò fin dall'inizio della sua vita sacerdotale un tale distacco dai suoi fami­liari e da se stesso, che nessuno quasi sapeva da dove provenisse, dato che non parlava mai dei suoi cari e tanto meno di sé. Il « seguimi » di Gesù lo attirava e concentrava tutte le sue energie.

Mentre saliva l'altare con una gioia indicibile, la sua anima canta­va il Magnificat di Maria. Sentiva come il suo Sacerdozio era legato alla Vergine-Madre. Lei che aveva formato Gesù, il Sacerdote del Pa­dre, aveva formato anche lui fin dalla più tenera età, rendendolo nel­lo Spirito Santo « alter Christus », come dice S. Agostino.

Il Papa Giovanni Paolo II dirà ai Sacerdoti: « Voi dovete annun­ciare Cristo, che è Figlio di Maria, e chi vi trasmetterà meglio la verità su di Lui, se non sua Madre?».

Don Carlo lo sapeva e consacrava tutto se stesso e il suo sacerdo­zio a Colei che, oltre ad esserle Mamma tenerissima, gli era sorella, amica, sposa, tutto... Viveva con Lei il suo Cantico dei Cantici.

« Tutto tuo io sono, o Maria, - ripeteva con le parole di S. Luigi M. Grignion de Montfort - e tutto ciò che è mio è tutto tuo ». Affi­dava al suo Cuore Immacolato tutte le anime che avrebbe incontrato sulla sua strada. Era Lei la Stella del suo sacerdozio.

Don Carlo De Ambrogio

Gesù obbediente alla sua voce

Ed eccolo all'altare a consacrare per la prima volta il pane e il vi­no. Da tutto il suo contegno semplice, ma intensamente raccolto tra­spariva una fede viva e un ardente amore per Gesù che si era consegnato nelle sue mani ed era là, sotto i veli eucaristici, «Pane vivo, disceso dal Cielo » (Gv 6,51).

A mamma Augusta non sembrava vero che fosse il suo Carletto quel Sacerdote che stava alzando l'Ostia santa dicendo: « Ecce Agnus Dei... ». Quante volte fin da piccolino aveva ripetuto quel gesto da­vanti a un piccolo altare, improvvisato sopra una seggiola o un'asse da cucina. Quanto tempo era passato? Quanti sacrifici! Ma ora non ricordava altro che la grande gioia di vederlo all'altare, così vicino al Signore, radioso come un Angelo nei sacri paramenti. E ringraziava di cuore la Vergine Santissima che l'aveva condotto a realizzare il suo sogno di sempre. Anche papà Pietro aveva un nodo alla gola quando il suo Carletto gli porse la S. Comunione.



Ogni Messa come la prima, l'ultima, l'unica...

La Messa celebrata al paese qualche tempo dopo, fu un vero trion­fo. Tutta Arsiero era presente per vedere il suo novello Sacerdote e sentirlo predicare.

Tutti si sentivano in qualche modo partecipi di quell'avvenimen­to: chi con qualche aiuto, chi con la preghiera; e c'era Sr. Luisa che tanto aveva fatto per lui; e il maestro Fontana che gli aveva insegnato a suonare; e c'erano i compagni di scuola e di gioco, Danilo e gli al­tri... Don Carlo era commosso quando rivolse a tutti parole di ringra­ziamento. La gratitudine sarà una caratteristica costante del suo ani­mo gentile e delicato.

Rimasero colpiti dalla sua gioia e dal suo modo di spiegare il Van­gelo in maniera così penetrante e nello stesso tempo semplice, tanto che tutti, anche i bambini avevano capito le parole di Gesù.

Don Carlo conservò sempre il fervore della sua prima Messa e non si lasciò mai prendere né dalla routine né dalla fretta.

Era solito dire che occorreva celebrare ogni Messa « come fosse la prima, l'ultima, l'unica Messa ». Così faceva lui. Non aveva nulla di esteriore, ma sembrava un serafino: lo sguardo raccolto; scandiva pacatamente le parole della Liturgia e coinvolgeva i presenti in un clima di fede profonda, di pace interiore e di amore a Gesù presente nella Celebrazione Eucaristica. Nell'Omelia, e più tardi anche nelle piccole monizioni suggerite dal Concilio, faceva riferimento alla Madonna.

Diceva: «Dove c'è un'Ostia consacrata, là è presente Maria in at­teggiamento di adorazione. La Mamma è qui presente, è Lei che ci dona Gesù».

Un autista, il signor R. B., che lo accompagnava spesso in mac­china nei vari spostamenti per i Cenacoli Gam dal 1977 al 1979, rac­conta di averlo un giorno accompagnato al monastero delle Suore Vi­sitandine di Treviso per celebrare la S. Messa.

Fu tale l'impressione che ne riportò che gli rimase impressa nell'a­nima: «Di solito - racconta egli stesso - mi capita di stancarmi in chiesa e di guardare l'orologio, ma quel giorno il tempo volò in un attimo. Mi sembrava di essere in Paradiso e mi sentivo così immerso in quello che Don Carlo diceva e faceva con tanta devozione, che alla fine sarei rimasto ancora tanto tempo a continuare così la preghiera. Io non ho mai visto in tanti anni celebrare la Messa come Don Carlo. Vorrei che tutti i Sacerdoti fossero come lui all'altare ».

Perché il Santo Sacrificio non fosse un momento isolato nella gior­nata, Don Carlo raccomandava di « portare tutta la vita nella Messa e tutta la Messa nella vita ».



Potevano disporre di lui liberamente

Di Don Bosco si diceva: «Era Sacerdote all'altare, in cortile tra i giovani, per la strada, ovunque... ». Lo stesso si può dire di Don Car­lo; egli continuava a celebrare la sua Messa nel sacrificio della sua gior­nata come l'obbedienza delineava.

I Superiori sapevano che potevano disporre di lui liberamente: Don Carlo era pronto al sì, sempre, con generosità e gioia, senza mai far pesare il suo sacrificio.

Appena ordinato, lo mandarono al "Don Bosco" di Pordenone, nel Friuli, un grande Collegio salesiano con scuola, internato e orato­rio. Don Carlo accettò ogni incarico, vedendo nelle disposizioni dei Superiori la volontà di Dio. Si notava in lui una ricerca attenta e amo­rosa della volontà divina, che lo porterà all'eroismo di perdere tutto, anche le cose più care e sante per compiere il disegno del Padre che la Madonna gli indicava passo passo. Aveva fatto suo il programma di Gesù: «Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera» (Gv 4,34).

A Pordenone gli fu affidato l'insegnamento di italiano, latino e greco nel ginnasio, in particolare in quarta e in quinta; gli erano quin­di affidati gli adolescenti nell'età più delicata e difficile. Ma Don Car­lo aveva l'arte di Gesù: attirava con l'amore, un amore vero, sopran­naturale, trasparente.

I giovani gli rispondevano in pieno. « Sapeva ottenere tutto da noi - dice un suo ex allievo - senza alzare mai la voce. Usava modi sem­pre pazienti, era di aspetto molto mite. Anche fuori di scuola aveva una grande facilità a conquistare l'attenzione e la simpatia dei ragazzi ». Era il segreto di Don Bosco consegnato ai suoi figli salesiani nel —Si­stema preventivo", una traccia di principi educativi ispirati al Vange­lo che fa leva non sul timore del castigo, ma sull'amore. « Fatevi ama­re - diceva il Santo educatore dei giovani - se volete farvi temere».

Don Carlo trattava tutti con bontà e rispetto, senza preferenze o esclusioni: tutti anche i meno dotati e i più irrequieti sapevano di po­ter contare su di lui.

Come insegnante era molto quotato. Nei concorsi nazionali per la cattedra dell'insegnamento di lettere raggiunse il secondo posto in clas­sifica dopo Lucia de Gasperi, la figlia del grande statista cattolico. Tutto era mezzo per portare a Gesù

Il dottor P. N., suo ex allievo di 41 ginnasio, dice di lui: «Era un insegnante di livello notevole perché sapeva comunicare, aveva didat­tica, sapeva porgere le cose in maniera soave e attraente, e poi aveva sempre molti argomenti; ampliava; con una grande capacità di sintesi unificava rendendo efficace l'insegnamento. Non faccio fatica a defi­nirlo un ottimo insegnante, di un'intelligenza acuta e una profonda cultura di fondo ».

Oltre al greco, conosceva diverse lingue che aveva studiato come autodidatta, tra le quali l'ebraico e 1'aramaico di cui era appassionato perché erano la lingua di Gesù. Tale studio gli offriva inoltre la possi­bilità di comprendere meglio la Parola di Dio.

Gli avevano affidato anche l'insegnamento di musica e di canto per tutti gli allievi del collegio. Con la sua passione per la musica orientava all'ideale apostolico, trascinava fino all'entusiasmo quella mas­sa di giovani nei cori meravigliosamente preparati per le feste liturgi­che e per la S. Messa quotidiana, momenti vertice dell'azione educativa.

Così pure era tutta una festa la preparazione di canti e operette per il teatrino dei giovani in collaborazione con altri suoi Confratelli. Don Carlo si serviva di tutto per l'unico scopo: innamorare le anime giovanili di Gesù e della Mamma Celeste.

Dice un suo ex allievo: «Nelle sue omelie e nei vari momenti del suo apostolato per noi ragazzi, aveva dei punti fissi: "il Cristo" (ci parlava molto di Gesù) e la Madonna. Indicavano, la sua affezione per il Vangelo e per la Madre di Gesù. Quello della Madonna era uno de­gli argomenti che gli stava molto a cuore, del quale ci parlava con mag­gior frequenza. Celebrava raramente per noi giovani, perché general­mente era il direttore o qualche altro Superiore a farlo, ma parlava di Gesù nei momenti di passaggio tra un'attività e l'altra, al termine della ricreazione o della scuola, là dove se ne presentava l'occasione; anche nella spiegazione delle varie materie infilava qualche rapidissi­mo accenno alla Parola di Dio ».

Solo chi ha il cuore traboccante di Dio può avere la prontezza di donarlo a tutte le ore.

« Era una persona di grande fervore - dicono ancora i suoi ex al­lievi -. Faceva molto di più per noi, che lo stretto necessario imposto dal suo dovere. Dal suo comportamento si notava molta dedizione; si dava senza misura, con sacrificio ».



Trasformava in cielo l'esistenza degli altri

Era anche assistente degli interni: un compito non facile tenere a bada uno squadrone di adolescenti dall'argento vivo addosso dopo quattro, cinque ore di scuola. Don Carlo creava tra loro un clima di famiglia e di gioia. Faceva in modo che entrasse in loro Gesù, la sua Grazia, il senso della presenza di Dio, la consapevolezza di essere tan­to amati dal Padre e dalla Mamma Celeste. Poi aveva continue atten­zioni e piccole invenzioni per entusiasmare al bene, in modo che ai ragazzi diventasse facile essere buoni e compiere anche i doveri più faticosi.

Dirà più tardi: « Ognuno di noi deve trasformare in cielo l'esistenza degli altri ». Lui lo faceva. Quando qualche ragazzo gli chiedeva di suonare qualcosa al pianoforte, accondiscendeva sempre. Con il suo immancabile sorriso iniziava qualche brano classico di Beethoven o di Mozart, di Schubert, ma soprattutto di Franz Liszt, in particolare la seconda Rapsodia Ungherese, e parlava con simpatia del grande mu­sicista dalle dita lunghe e affusolate che raggiungevano i tasti da un'ot­tava all'altra del pianoforte.

Più tardi spigolando qua e là da questi grandi autori classici per comporre canti per alcuni Salmi dei giovani Gam, sottolineerà come dal Paradiso erano certamente felici e fieri che la loro musica servisse non per una gloria effimera, ma per la Parola di Dio: non c'era rea­lizzazione più alta e più feconda.



Una traduzione di greco sottobanco

«Era sempre disponibile» dice il dott. N., suo ex allievo, e rac­conta un episodio successogli in quinta ginnasio. Aveva quell'anno un altro insegnante di lettere e, al ritorno dalle vacanze di Natale, teme­va fortemente la meritata punizione del professore, perché ai compiti assegnati mancava una traduzione di greco. Non sapendo come fare, bussò alla stanza di Don Carlo. Questi, invece di fargli una sonora ramanzina, si sedette a tavolino e, con aria arguta, quasi divertita « di complice » gli fece la traduzione, raccomandando al birichino di non dire nulla a nessuno, cosa che il ragazzo naturalmente non mantenne, passando il compito straordinario a tutti i compagni.

La sua bontà che aveva tratti di delicatezza materna, avvolgeva tutti. I suoi Confratelli lo sentivano e gli volevano bene; lo chiamava­no familiarmente: il nostro Don Carletto.

Nelle feste svegliava i ragazzi con la fisarmonica e li elettrizzava con i canti più belli alla Madonna e i canti di montagna.

«Era sempre sereno, allegro - dice un suo ex allievo interno - e ci comunicava la sua esuberanza. In ricreazione partecipava sempre ai nostri interessi, giocava anche con noi. Coglieva sempre con una certa arguzia aspetti di situazioni e persone, ci sorrideva sopra e face­va delle osservazioni così argute, brevi folgorazioni ironiche, ma mai offensive, tipiche di una persona intelligentissima. Era questo un aspet­to che gli cattivava molta simpatia ». E nello stesso tempo era riservato, non parlava mai di sé e della sua famiglia, non scendeva a confi­denze con i giovani. Possedeva un forte autocontrollo e un costante dominio di sé. « Il dominio di sé - diceva - è un dono da chiedere allo Spirito Santo, perché ci è tanto necessario nel rapporto con Dio e con gli altri. È lo Spirito Santo l'equilibratore meraviglioso della no­stra anima, del nostro essere. Quando c'è Lui non c'è mai turbamen­to, ma serenità ». Ecco il segreto della sua calma inalterabile.



La lampada rimaneva accesa anche di notte

Era dimentico di sé e la sua giornata - che iniziava prestissimo - si snodava intensa tra preghiera, scuola, lezioni di musica, corre­zione di compiti, assistenza in cortile e in studio. Era tutto un dono a Dio e alle anime.

Qualche ragazzo ricorda che, come assistente degli interni, dormi­va nell'angolo di una lunga camerata. Dietro il separé di tela bianca la lampada del suo tavolino rimaneva accesa fino a notte inoltrata.

Che cosa faceva Don Carlo in quelle ore notturne rubate al sonno, reagendo alla stanchezza di una dura giornata? Forse ultimava le cor­rezioni dei compiti o stilava qualche articolo del giornalino, o conti­nuava lo studio dell'ebraico e del greco; certamente pregava e medita­va la Parola di Dio sulla piccola Bibbia tascabile che portava sempre con sé. Anche al momento della sua morte gli si troverà in tasca la Bibbia di Gerusalemme in francese. Era il suo vademecum.

Nelle vacanze estive i Salesiani portavano i ragazzi a Valgrande, nel Cadore, in un'ex colonia fascista restaurata. Era un sollievo tro­varsi all'ombra delle Dolomiti, ma era anche un notevole sacrificio sobbarcarsi l'assistenza dei ragazzi giorno e notte per un mese, dopo la fatica di un anno scolastico.

Don Carlo, richiesto dal Direttore, si prestava sempre volentieri. Qualche giovane di quel tempo conserva un ottimo ricordo di quei gior­ni animati dalla presenza sempre gioiosa di Don Carlo. La sera dopo cena, raccoglieva tutti i ragazzi e li intratteneva per ore intere con rac­conti avventurosi e fantastici che la sua fervida fantasia e lo spirito di avventura gli suggerivano al momento, accostando ambienti e vi­cende emersi dalle molte letture fatte. Portava avanti questi racconti a puntate creando un'atmosfera di suspense che attanagliava l'atten­zione di tutti quegli adolescenti.

Sul momento culmine di questi racconti o alla conclusione sapeva infilare sempre qualcuna di quelle frasi-messaggio che fanno pensare, lasciando così un seme di luce in tutti quei cuori giovanili.

Aveva indubbiamente la stoffa dello scrittore e del giornalista. I Superiori infatti se ne accorsero e gli affidarono dapprima la di­rezione e redazione del giornalino "Qui, Pordenone", piccolo orga­no di informazione e di formazione per gli alunni, le famiglie, i benefattori ecc. e poi la stesura di alcuni articoli su "Meridiano 12", una rivista Salesiana per i giovani; infine lo chiameranno a Torino per assumerne la direzione e molta parte della redazione.

Ma il suo sogno - e soprattutto il disegno del Padre - era di uti­lizzare tutti questi talenti a servizio esclusivo del Vangelo.

Negli anni successivi, quando dovrà preparare sempre nuovi pieghe­voli e fascicoletti per i giovani Gam, dirà: « La Mamma mi ha prepa­rato a questo. La strada del giornalismo era in vista di questa evangelizzazione ».



Tutto era segno per lui

Nelle giornate di pioggia intratteneva i ragazzi con la fisarmonica accompagnando i canti più belli e i cori di montagna. Accanto a lui un anziano confratello strimpellava una chitarra così scordata da far accapponare la pelle, ma i ragazzi non se ne accorsero mai, anzi ap­plaudivano perché Don Carlo cercava di coprire le stonature con il suono della fisarmonica, lodando alla fine il bravo chitarrista. Sfu­mature della carità.

Accompagnava i ragazzi nelle passeggiate ed escursioni, cercando sempre nuove mète. In quel grande scenario di boschi e di vette, lo spunto per innalzare i giovani all'amore e alla lode del Padre Celeste era immediato e Don Carlo sapeva cogliere momenti di particolare stu­pore e di meraviglia per farlo, insegnando a leggere i segni nella natu­ra, come lui faceva.

Aveva iniziato fin da bambino ad ascoltare nella voce del vento, dei fiori, delle montagne, dell'acqua... la voce di Dio che gli ripeteva: « Io ti amo » - « Sono tutte telefonate dell'amore del Padre » diceva. E tra i suoi ricordi di ragazzo racconta egli stesso un episodio incan­cellabile: « Ero salito da solo sulle Dolomiti, fermandomi ai piedi di un ghiacciaio. Mi ero steso a mezzogiorno a guardare il cielo proprio sotto i pini mughi, sotto le rocce dove terminano le lingue dei ghiac­ciai e si formano quei piccoli laghi cristallini, limpidissimi... C'era un silenzio immenso. Ad un certo momento in quel silenzio mentre guar­davo il cielo azzurrissimo, sento smuovere le pietre e vedo un capriolo che scende agilissimo. Correva sulle cenge con una rapidità e sicurez­za meravigliose. Scende fino al laghetto e comincia con la lingua, tac, a bere. Fermo, immobile l'ho guardato; una scena fantastica. Mi è venuto in mente il Salmo 41: "Come una cerva anela ai corsi d'ac­qua, così l'anima mia anela a te, o Dio" ».

Pur nell'intensità dell'azione, si immergeva facilmente nella con­templazione: trasfigurava la realtà nella preghiera e nell'amore e tut­to per lui diventava segno.

Andava sempre all'essenziale in vista del Regno di Dio. Non era facile per chi gli viveva accanto cogliere la sua realtà più vera e pro­fonda, nascosta sotto il suo costante sorriso e dietro un atteggiamen­to estremamente semplice e mite.

« Le anime che scendono in profondità, totalmente lanciate in Dio, sono destinate all'incomprensione e alla solitudine» scrisse un auto­re. Non aveva torto. Anche per Gesù è stato così.

Don Carlo guardava a Gesù e tutto nella sua vita si illuminava. Ricordava spesso che «il Vangelo è iterativo: si ripete nella nostra vi­ta ». Lui lo sperimentava e provava una gioia purissima nel riconosce­re nelle sue vicende i tratti e le somiglianze con la vita stessa di Gesù. Vivere il Vangelo infatti « sine glossa », alla lettera, e poi annunciarlo era il suo grande ideale.



GLI ANNI DI TORINO

Il suo "fiat" fu pronto, generoso, totale


« Certe grazie entrano dalla finestra rompendo i vetri », era solito ripetere. Si verificò proprio così anche per lui in quel 1956 in cui il Sig. Don Ricceri, allora Superiore responsabile della stampa e dei coo­peratori salesiani (poi Rettor Maggiore), scoperte le sue brillanti doti giornalistiche, lo chiamò a Torino come direttore della redazione di "Meridiano 12" - una rivista per i giovani a livello internazionale - e come collaboratore del "Bollettino Salesiano", organo ufficiale della Congregazione.

Iniziava per lui una nuova fase della vita in cui, libero da altre at­tività, sarebbe stato più disponibile all'annuncio del Vangelo in un cre­scendo sempre più ampio e intenso fino al culmine nel Movimento gio­vanile Gam che sorgerà nel 1975.

Tuttavia, abbandonare il suo Veneto, culla della sua vocazione e dei suoi primi anni di Sacerdozio, lasciare l'insegnamento e l'attività tra i giovani, fu per lui una piccola morte.

« A Pordenone Don Carlo era molto amato e stimato da tutti - afferma un suo confratello coadiutore che gli visse accanto per ven­t'anni nella comunità di Valdocco -. Gli era costato non poco lascia­re tante persone e cose care, soprattutto i suoi allievi a cui era affezio­nato e che lo riamavano con gli stessi sentimenti.

Parlava sempre dei suoi giovani. Eppure la sua obbedienza fu com­pleta; non pose ostacolo alcuno ed il suo "Fiat" alla chiamata del Su­periore fu pronto, generoso, totale. Seppi più tardi da alcuni confra­telli del Veneto che lasciò un grande vuoto in quella comunità, perché già allora era un Sacerdote eccezionale.

Ero molto amico di Don Carlo; spesso mi avvicinava e confidava le sue difficoltà e anche le poche gioie che provava inizialmente». Fu per lui un capovolgimento di vita: non più una vita movimen­tata e la comunicativa vitale con i giovani, ma la solitudine di un la­voro mentale che lo teneva giorno e parte della notte chiuso tra quat­tro pareti della stanza. «Non trovava momenti per il dovuto sollievo perché il lavoro da svolgere tutti i giorni era sempre molto intenso » afferma ancora quel suo confratello.

Certamente lo entusiasmava raggiungere migliaia di anime, soprat­tutto i giovani attraverso quegli articoli che sfornava in continuità sor­prendente con uno stile fresco e giovane, lasciando immancabilmente nei lettori un messaggio profondo e incancellabile. Ma è anche certo che la sua natura sensibilissima ed esuberante ne soffriva.



Entrava come un'ombra

Eppure - sottolinea quel suo confratello - « era sempre raggian­te in volto; sorrideva costantemente, ma di un sorriso angelico, celestiale. Incantava e conquistava tutti. Non l'ho mai visto una volta se­rio o turbato. Lo si vedeva attraversare il cortile e avvicinare ora que­sto ora l'altro; diceva una parola breve e sempre col sorriso anche quan­do aveva molto lavoro urgente. Era imperturbabile. Anche le persone esterne rimanevano colpite da quel sorriso.

Talvolta per motivi di lavoro doveva passare nel reparto spedizio­ni dove lavorava un gruppo di dodici impiegate.

Don Carlo entrava silenzioso come un'ombra, salutava brevemente con un sorriso e lasciava un'impressione in quelle giovani di una pre­senza soprannaturale ».

Anche il portinaio che per ben otto anni poté osservare Don Carlo nella sua quotidianità ordinaria, attesta: « Sono stato quarantatré an­ni all'estero e sono ormai da diciott'anni in servizio qui all'Istituto dei Salesiani. Ne ho incontrati tanti Sacerdoti e ne incontro, ma non ho trovato nessuno come Don Carlo. Era sempre sorridente, ma di quel sorriso sincero che non è ipocrisia. Questo lo può dire solo chi ci vive assieme. E io vivo nella comunità, perciò vengo a conoscenza delle persone. Quando uno è stanco non può sorridere, non ce la fa; eppu­re Don Carlo anche se era molto stanco aveva sempre il sorriso sulle labbra. Rimanevo stupito, perché vedevo quanti impegni aveva».



Il segreto del suo sorriso

Qual era il segreto di questa gioia, di questo suo equilibrio interio­re, di questa spinta soprannaturale che lo sosteneva in una così inten­sa attività? Lo scopriamo in un'affermazione di Bergson da lui ripor­tata: « Un'anima molto unita a Dio, un'anima mistica (che vive inti­mamente e intensamente di Dio) vede chiaro, vede grande e realizza forte ».

Ecco il suo segreto: il suo grande amore a Dio, la sua vita di pre­ghiera, di contemplazione, di unione con i Tre é con la Mamma Cele­ste. Da qui scaturiva tutto.

« A uno - dice S. Caterina - puoi chiedere solo quello che ama. Niente più ». A Don Carlo il Signore e le anime potevano chiedere tutto, perché la misura del suo amore era totale.



[Modificato da Caterina63 21/09/2009 21:14]
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4 - NEI TRE CON LA MAMMA CELESTE

Vedeva l'invisibile


Alle quattro del mattino la finestra della sua stanza, che guarda sulla piazza di rimpetto al monumento di Don Bosco, si illuminava. Don Carlo iniziava la sua giornata. Si tuffava subito nell'ascolto del­la Parola di Dio, nella preghiera dei Salmi, sotto l'azione dello Spiri­to Santo, come Gesù quando si rivolgeva al Padre, sulla montagna.

Appena si apriva la Basilica scendeva a confessare: c'erano sem­pre operai, operaie, Suore ad attenderlo. Egli continuava la sua pre­ghiera: in ogni anima vedeva Gesù e prolungava la sua adorazione trinitaria. Lo si trovava spesso davanti al tabernacolo della Cappella o della Basilica in silenziosa adorazione. E nei tempi di preghiera co­munitaria, quando non era fuori casa per impegni, era sempre pre­sente con il suo atteggiamento raccolto, ma semplice e naturale.

« Era davanti a me in chiesa - nota un suo confratello - e non si muoveva mai nel banco; dove si metteva stava ». In lui pareva che l'anima fasciasse il corpo sotto l'impulso dello Spirito Santo.

« Col passare del tempo, la preghiera diventa uno stato abituale» di­ceva. Era la sua esperienza.

«Aveva un'unione abituale con Dio - afferma una claustrale che lo conobbe da vicino -. Il contatto con Dio era normale per lui, con­tinuo come il respirare, quasi da faticare a staccarsene. Quando gli si parlava ti dava sì tutta l'attenzione, ma si sentiva che era trasporta­to da altro, non dall'umano; anche dallo sguardo stesso lo si potevà notare: ti guardava ma si capiva che vedeva l'invisibile. Il suo cibo era la vita Trinitaria, l'intimità profonda con i Tre».



Ascoltavo i miei Tre

Richiamava con una gioia tutta particolare quella Parola di Gesù sull'inabitazione trinitaria: « Se uno mi ama farà tesoro della mia pa­rola e il Padre mio l'amerà e noi (Padre, Figlio e Spirito Santo) verre­mo a lui e faremo in lui la nostra dimora» (Gv 14,23).

Si capiva che era per lui un polo luminoso attorno al quale rotava la sua vita interiore.

Un giorno, una Suora venuta a cercarlo per parlargli, lo vide usci­re dalla Basilica di Maria Ausiliatrice per recarsi al n. 9, nella sua stan­za. Lo chiamò ripetutamente, ma senza risposta. Don Carlo camminava adagio, con la testa leggermente china verso terra, un tenue sorriso, profondamente assorto. Allora la Suora girò attorno al monumento di Don Bosco dalla parte opposta per incontrarlo di fronte.

Quando gli fu dinanzi lo chiamò nuovamente e solo allora Don Carlo si scosse con un leggero sussulto come se rientrasse in se stesso. Appena la vide, la chiamò per nome con un gesto di sorpresa e il suo solito sorriso. La Suora gli disse: « Ma Don Carlo, l'avevo chiamata più volte anche prima e lei non mi ha sentito... ». Rispose con natura­lezza: « Ascoltavo i miei Tre». E si mise subito a sua disposizione.

S. Francesco d'Assisi fu definito « la preghiera stessa ». Qualcosa di simile si può dire anche di Don Carlo per gli effetti che produceva nelle anime anche la sola sua presenza.

«Aveva una carica, un'attrattiva così divina che ci coinvolgeva in maniera unica», afferma un'altra claustrale.

E una Madre Priora: « Quando arrivava lui tutta l'atmosfera di­ventava così pura, così trasparente come aria ossigenata di Dio. Ci lasciava dentro una pace, un bisogno di essenziale, di Parola di Dio come tale, per lasciarla risuonare dentro nel clima del silenzio dello Spirito. Possedeva talmente lo Spirito Santo che tutto ciò che diceva era una comunicazione all'anima».



Come se pensasse a qualcosa di bello

Di S. Domenico fu detto: « Domenico o parla con Dio o parla di Dio». Anche per Don Carlo si può dire che fosse così; non era mai dispersivo, ma serenamente raccolto e silenzioso anche nei passaggi, negli spostamenti e viaggi. Ricorda l'autista che ultimamente lo ac­compagnava spesso ai vari Cenacoli Gam: « Lo vedevo a lungo assor­to, con lo sguardo lontano e così sereno come se pensasse a qualcosa di bello o fosse in comunicazione con qualcuno ».

E quando parlava era talmente grande la piena del cuore che ogni discorso, di qualsiasi genere andava immancabilmente a sfociare nel Regno di Dio. Ma con naturalezza, senza forzature. Tutto era segno per lui: la natura, le persone, gli avvenimenti. In tutto vedeva una te­lefonata di amore del Padre.

È tipico in questo senso ciò che scrisse a una Suora: «Dio è tutto; il resto è una telefonata del suo amore ». E in questo leggere i segni del Padre aveva lo stupore del bimbo che si meraviglia di tutto.



Accostare l'universo con l'amore

Trasformare tutto in amore era il segreto di S. Teresina del Bam­bino Gesù, che egli sentiva molto vicina per la sua piccolezza interiore e il suo totale abbandono al Padre.

Anche Don Carlo guardava tutto e tutti con uno sguardo di amo­re, con gli occhi stessi di Dio che è Amore. « L'adorazione incessante, che è l'estasi dell'amore, - disse - è accostarsi a tutto l'intero uni­verso con un unico atteggiamento: l'amore ». Egli vedeva in tutto e in tutti le tracce di Dio e a questo sguardo di fede orientava le anime. « Quando ci incontrava di sfuggita lungo i corridoi o nell'orto - dice una claustrale - aveva sempre una parola di attenzione per santifica­re ciò che si stava facendo. Era una parola breve, detta sottovoce, una Parola di Gesù adatta alla circostanza che dava subito un colpo d'ala.

Un giorno mi chiese se avevo scoperto il mio nome nuovo; gli dissi di no e lo pregai di dirmelo lui da parte del Signore. Il giorno dopo venne con un foglio "Per me Cristo" e puntando il dito su una frase mi pregò di leggere e aggiunse: "Lei si chiamerà Suor T. del nascon­dimento. Le piace?". Ancora adesso ricordo questo nome come un piccolo programma di vita».



Un piccolo vademecum per tutti

Non solo alle anime consacrate trasmetteva questo dono, ma an­che ai giovani e ai laici. È significativo quanto scrisse nel 1972 al dr. G. che gli chiedeva un programma per vivere più intensamente il Vangelo.

« ... Scrivo da questo sperduto paese, dove sto predicando un Corso di Esercizi Spirituali a 104 Suore: faccio tutto il Vangelo di S. Luca; è un gioiello di luce e di gioia, il Vangelo della gioia, della lode a Dio, della misericordia; della preghiera, della povertà.

Trascrivo una semplice preghiera che è come un programma di vita: "Rallenta la mia corsa, o Signore. Calma il battito del mio cuore ac­quietando la mia mente. Trattieni il mio passo frettoloso con la visio­ne dell'eternità. Dammi, in mezzo alla confusione della mia giornata, la pace della risurrezione. Aiutami ad affondare le radici nel terreno dei valori durevoli della vita, così che io possa crescere verso il cielo del mio destino".

Suggerisco il seguente piccolo vademecum: a) Ogni mattina: una pagina di Vangelo, "assaporata" in lettura letta lentissimamente, sotto l'azione dello Spirito Santo: ricavarne la "parola di vita", cioè la frase da vivere durante il giorno.

b ) Se è possibile, una breve visita a Gesù nell'Eucaristia: è come un bagno di sole; l'anima ne esce radioattivizzata.

c ) Almeno tre umili azioni di bontà verso gli altri, dimenticandosi: "non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra"; è la gioia na­scosta della bontà segreta.

d ) Non ripiegare assolutamente su se stesso; essere dono, purissimo dono a Dio e ai fratelli.

Il cuore si incendierà di gioia. Una gioia che assume le dimensioni dell'eterno e che si chiama "beatitudine". "Beati i poveri di spirito (gli umili) perché di essi è (già adesso) il Regno dei Cieli" ».

Il Salesiano Don A. A., segretario del Rettor Maggiore, che si di­stingueva per la sua intensa spiritualità, dopo aver esaminato questo scritto, esclamò: «Solo un santo può dire certe cose e tracciare una via così profonda con estrema semplicità». E se lo trascrisse.

A una giovane mamma di Roma, un giorno disse: «Sia un giglio di preghiera». Questa frase, piccolo concentrato di tante esperienze di preghiera fatte nei Cenacoli Gam, le è stata una spinta interiore non solo per coltivare la preghiera personalmente, ma anche per trasmet­tere questa gioia agli altri raccogliendoli nella sua casa in piccoli Ce­nacoli Gam in famiglia.

Particolarmente i giovani erano oggetto delle sue attenzioni. Li ca­ricava di Parola di Dio, li lanciava a mète altissime di preghiera, di adorazione eucaristica e trinitaria sull'esempio e sotto la guida della Madonna, « l'adoratrice per eccellenza, un'anima verginalissima tut­ta raccolta in Dio e tutta preghiera».



Lo portò alla gioia dell'immolazione

Sapeva innalzare e buttare in Dio le anime in qualunque situazio­ne si trovassero e trasformava in Cielo la loro esistenza. Lo testimo­nia l'esperienza veramente singolare di Igino Piovano, un giovane di Torino, affetto di ipertrofia dei tessuti. Le cellule del capo si moltipli­cavano in continuazione e queste crescenze disordinate cancellavano ogni lineamento del volto; le palpebre arrivavano al petto ed era com­pletamente cieco. Le ossa del capo si dilatavano ed erano tutte slegate tra loro, mobili, quindi il parlare, il masticare, ogni movimento gli causava sofferenza. In particolare alla notte lo prendevano dolori atroci di capo; in più aveva dei bubboni in tutto il corpo e doveva passare quasi tutta la notte con la testa all'ingiù fino a toccare il pavimento. Una situazione dolorosissima che lo costringeva a una solitudine atroce, anche se circondato dalla cure affettuosissime dei suoi veramente eroici genitori. Era intelligentissimo e dotato di una non comune sensibilità d'animo.

Don Carlo, che negli anni 1959 - 61 si prestava anche per la predi­cazione ai volontari della sofferenza, nell'Opera di Monsignor Nova­rese, lo conobbe dopo gli Esercizi Spirituali tenuti a Re, tramite la si­gnorina Maria Cristina Chicco, che dal 1951 aiutava con molta dedi­zione questo giovane. Aveva ottenuto dalla Curia il permesso che gli si celebrasse la Messa in casa. Don Carlo, appena informato di que­sto, si mostrò subito disponibile. Per lui una sola anima valeva come mille e vi si dedicava con la stessa intensità come fosse un'intera as­semblea, imitando Gesù che per incontrare la Samaritana scelse di per­correre la strada più disagevole che dalla Giudea conduceva alla Gali­lea (cf Gv 4,3).

« Portavo sempre a Gino i fiori più belli che trovavo sui prati - afferma la signorina Chicco -: Don Carlo era uno di questi, anzi la sua presenza era talmente preziosa per Gino che mi offrivo a fare l'au­tista pazientissimo perché, dati tutti i suoi molteplici impegni, a volte dovevo attendere delle ore e infine andarlo a prelevare all'uscita di qual­che scuola o istituto, dove aveva predicato o confessato».



In Paradiso andrò a cercarlo

Don Carlo si sedeva accanto a Gino e gli parlava dell'amore del Padre e della Mamma Celeste, delle meraviglie del Cielo che ci atten­de, dell'intero cosmo a cui siamo tutti strettamente legati, portandolo a scoprire la gioia di trovare il suo posto, la sua missione insostituibi­le quaggiù nel piano del Padre, perché « un'anima che si eleva, eleva tutto l'universo ». Questa scoperta aveva folgorato quel giovane che da allora ripeteva spesso con slancio: « Allora io posso far tutto! ». Era la gioia dell'immolazione. Aveva fatta sua una preghiera suggeri­tagli da Don Carlo: « Signore, aiutami ad essere una docile ostia che si lascia trasformare in te, per diventare volontà di Dio».

Nei cenni biografici da lei tracciati, la signorina Maria Cristina Chicco attesta: « Chi ha maggiormente plasmato l'animo di Gino fin dal 1960 circa, portandolo al godimento dell'immolazione quale assi­milazione a Gesù, fu Don Carlo De Ambrogio. Con la sua dogmatica angelica lo traeva in alto, facendogli pregustare le gioie del Paradiso con conseguente, sistematico distacco dagli interessi terreni. La dire­zione spirituale di questo Sacerdote serafico è stata determinante in tutta la battaglia di Gino fino alla fine. Sovente egli stesso diceva: "In Paradiso, fra le anime che andrò a cercare per ringraziare tra i primi sarà quella di Don Carlo" ».



Quello è un prete santo

« Tante persone non praticanti ritornavano alla fede vedendolo e sentendolo parlare - dice una Suora del Suffragio -. Dove passava portava la presenza di Dio e riusciva ad illuminare e portare pace e serenità. Tornando dalla Palestina sostò in una nostra casa a Roma. In quell'occasione gli presentarono una signora che da anni non an­dava più in chiesa. Rimase colpita e trasformata da quello sguardo dolce e penetrante, dal sorriso, dal suo passare discreto, e disse: "Quello è veramente un prete santo" ».

« Come Gesù - afferma un Sacerdote della diocesi di Messina - Don Carlo prima faceva, poi diceva. Da questa pienezza scaturiva an­che il consiglio che egli sapeva dare in qualsiasi circostanza». « Non risolveva mai i problemi sul piano umano - dice Sr. S. - non si inol­trava nella casistica, ma illuminava le situazioni con la Parola di Dio e lasciava tanta pace dentro, in modo che si vedevano e si affrontava­no le difficoltà in modo diverso ».

E il dott. C., che gli fu strettissimo collaboratore per diversi anni fino alla morte, afferma: « Per ogni quesito, di qualsiasi genere, che gli si poneva, aveva una risposta alla luce della Parola di Dio che egli conosceva a perfezione e sapeva calare con un intuito di Spirito Santo per ogni circostanza. Questa sicurezza assoluta ci dava una grande gioia coinvolgendoci in tutte le sue iniziative e vicissitudini per il Regno di Dio. Se erano cose semplici si raccoglieva un attimo e poi dava la ri­sposta. Ma per i problemi più importanti faceva ricorrere alla preghiera.

Ricordo che per una decisione importante mi propose di andare per una settimana ogni sera a partecipare alla S. Messa in Via delle Orfane, dalle Piccole Suore dei poveri. Potei così ascoltare le sue stu­pende omelie che teneva alle poche Suore come fossero un'intera as­semblea. Al termine della settimana, mentre lo accompagnavo a Val­docco, mi diede una risposta così decisa e illuminata che poteva veni­re solo dal Cielo, perché ciò che è nato da quella decisione continua tuttora e a distanza di anni si vede come fosse nei disegni di Dio ».



No, dica di no

Una giovane Suora era tormentata da un problema di coscienza. La Superiora le aveva proposto di frequentare un corso filmico ed es­sa, intuendo i gravi rischi a cui sarebbe andata incontro nella vita spi­rituale, non sapeva come interpretare la volontà di Dio in quell'obbe­dienza. « Chiesi alla Madonna di farmi luce - racconta lei stessa - di mandare Don Carlo anche solo di passaggio, perché sentivo che so­lo lui così immerso nella Parola di Dio avrebbe potuto trasmettermi con chiarezza il disegno del Padre. Inaspettatamente giunse e, in cor­ridoio, gli esposi brevemente il mio caso. Si raccolse un attimo e poi disse deciso: « No, dica di no ». Compresi allora le parole di Gesù da lui tante volte commentate: « Voi non siete del mondo, la mia scelta vi ha tirati fuori dal mondo » (Gv 15,19). Sapevo che un tale rifiuto mi avrebbe precluso la strada a un incarico di responsabilità e di pre­stigio, creandomi attorno un clima di freddezza e di poca considera­zione, tuttavia compresi che allineandomi con la mentalità del mondo non si sarebbero aiutate le anime, ma tradite e ingannate. Ancora ades­so ringrazio la Mamma Celeste che attraverso Don Carlo mi ha impe­dito di inoltrarmi nelle vie intricate e fangose del mondo ».

« Un giorno - racconta Sr. A. che si prestava con tanta generosi­tà a trascrivergli le omelie - al termine del plico consegnato c'era una frase scritta di suo pugno e poi cancellata, ma che in controluce ero riuscita a decifrare. Eccola: "Grazie, Gesù, che mi hai permesso di finire il lavoro prima di partire" (doveva partire per l'Oriente). Paro­le semplicissime ma che lasciano intravedere come svolgesse il suo la­voro unito a Gesù ».



Non si stancavano di sentirlo parlare di Gesù

Partì per l'Oriente nel 1969 inviato dai Superiori per visitare le Case dei confratelli Salesiani in India, Giappone, Cina e nello stesso tempo raccogliere parecchio materiale per i servizi giornalistici di Meridiano 12 e del Bollettino Salesiano, che per molto tempo furono arricchiti di queste singolari esperienze viste in chiave cristiana, basti ricordare i servizi dalla Cina.

Questi mesi lasciarono delle tracce incancellabili in lui; furono un intenso rodaggio allo spirito di fede e di abbandono al Padre; alla di­sponibilità e al sacrificio per le fatiche, il clima e le abitudini diverse; alla carità e all'attenzione agli altri. Avvolgeva di tanto amore quei fratelli missionari lontani incoraggiandoli all'annuncio del Vangelo.

I giovani chierici e i ragazzi dei vari collegi e oratori salesiani non si stancavano di sentirlo parlare di Gesù.

Tutto questo aveva ingigantito l'amore già così intenso per la Pa­rola di Dio facendogli sentire ancora più viva l'urgenza di annunciare il Vangelo.



Vent'anni dopo

Circa vent'anni dopo il suo passaggio nell'estremo Oriente, alcuni Missionari esprimono dei ricordi incancellabili di lui e dei suoi scritti. Uno di essi dice: « Da molto tempo leggevo con avidità i suoi articoli e opuscoli: vi trovavo lì dentro tutto lo spirito evangelico. Quando potei incontrarlo personalmente - e mi accadde un'unica volta - non mi colpì nulla di nuovo in lui: era veramente quell'uomo di Dio - un vero Sacerdote - che io conoscevo già attraverso le sue pubblicazio­ni. Ero pure a conoscenza del Movimento Gam e di come aveva sapu­to infondere nei giovani l'amore alla preghiera sulla Parola di Dio.

Questo era il punto centrale di Don Carlo, con l'amore alla Madon­na. Un anno mi sono trascritto alcuni punti del Gam per farne un pro­gramma di apostolato ». E conclude: «Adesso lo immagino in Cielo, molto alto, perché ha sofferto, ha predicato, ha praticato... Ma so­prattutto perché ha sofferto prove molto dure. Capita sempre così agli uomini di Dio. E questo è quanto viene maggiormente premiato in Cielo ».



5 - IL TESORO DEL SUO CUORE

A Torino la sua evangelizzazione aveva riempito ormai tutta la sua giornata, al punto che lavorava anche di notte, lasciando pochissimo spazio al riposo. A chi gli faceva notare che la sua finestra era accesa fino a notte inoltrata e si riaccendeva prima dell'alba, diceva: « È ve­ro, riposo solo quattro o cinque ore, ma vado a letto sereno e le dor­mo tutte. Mi è sufficiente».

Oltre alle Figlie di Maria Ausiliatrice, alle quali dedicò con parti­colare amore e dedizione molto tempo della sua predicazione, parec­chi altri istituti religiosi lo invitavano per ritiri, corsi di esercizi spiri­tuali, conferenze, omelie, confessioni alle Suore e alle giovani, senza contare i colloqui particolari con le numerose persone che lo veniva­no a cercare a Valdocco. Era letteralmente "mangiato".

Un giorno disse: « Se cercate le creature come tali, queste vi sfug­gono; se cercate Gesù, le creature vi assediano ». Era davvero così per lui ed era sempre pronto, sempre disponibile per donare Gesù alle anime.

La Parola di Dio era un fuoco divorante che lo spingeva incessan­temente.

Il Cardinal Ursi intuendo questa sua realtà profonda e sopranna­turale lo definì: « Ministro fiamma di fuoco ». E scrisse: «Don Carlo è vissuto nell'ascolto assiduo e amoroso della Parola di Dio. Cono­sceva le Sacre Scritture, le riviveva e le spiegava nell'ebbrezza dello Spirito ».

« Se uno mi ama, farà tesoro della mia Parola » aveva detto Gesù (Gv 14,23). Don Carlo faceva continuamente tesoro della Parola di Dio, viveva della Parola di Dio, « era tutta Parola di Dio - come dis­se una Madre Priora -. Era l'uomo che aveva fatto del Vangelo la sua stanza, la sua vita. Ho assunto da lui questa nostalgia di purezza evangelica, il desiderio di vivere questo messagio di Gesù, di lasciar­lo penetrare nella mia esistenza. Ogni giorno leggo un po' di Vangelo e una frase detta da lui (ne ho trascritte molte sulla mia agenda). Oggi ho meditato questa: "grazie di esistere". Lo diceva sempre ad ogni incontro, eppure solo oggi l'ho capita in profondità. L'esistenza è in fondo il dono fondamentale di Dio. Man mano che vado avanti nella vita, il suo messaggio si fa sempre più trasparente, sempre più vivo e sempre più vero, nel senso che entra in me con una comprensione più profonda ».



Coinvolgeva e affascinava

« Non mi era mai capitato nella mia vita di essere così colpito, ab­bagliato dalla Parola di Dio come quando l'ascoltavo da Don Carlo - confessa un giovane Gam di Rovigo - anche se la stessa mi era stata spiegata da altri Sacerdoti. Commentata da lui era un qualcosa che macinava nel profondo e mi portava a riflettere sulla vita trascor­sa e sul futuro di Dio che ci attende ».

«Mi è rimasto incancellabile - afferma P., un altro giovane - il suo modo di presentare la Parola di Dio con un atteggiamento e un modo così mite ed umile che coinvolgeva e affascinava sempre».

« Mi è sempre parso di vedere realizzato in Don Carlo - afferma una Suora - ciò che dice il Signore nel profeta Isaia: « Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della Parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55,10-11). Don Carlo aveva una fede assoluta nella Parola di Dio « che è crea­trice, realizza ciò che esprime - diceva -. Anche se non mi accorgo degli effetti, so che ci sono, perché la Parola di Dio è efficace».

Avrebbe avuto capacità e preparazione per inoltrarsi con successo nella pastorale della problematica umano-sociale, ma egli era convin­to che le parole umane sono solo "cisterne screpolate" (Geremia 2,13) che lasciano il vuoto nelle anime. Solo la Parola di Dio può riempirle e rispondere in pieno a tutte le attese e le ansie dell'uomo di ogni età, di ogni condizione e ceto sociale in ogni epoca della storia.



Riproporre il Vangelo

Chi conosceva Don Carlo, o l'aveva sentito qualche volta, sapeva che questa era la soluzione fondamentale da lui proposta, come sotto­linea questo stralcio da: "Il Nostro Tempo", settimanale cattolico di Torino, a cui Don Carlo collaborava con i suoi articoli sempre così sottili e incisivi: «In questi giorni ci è venuto un rimorso di coscienza. Pensavamo a Don Carlo De Ambrogio, un'anima dolcissima e forte, scomparso da non molto tempo. Noi abbiamo taciuto. Non perché volevamo ta­cere, ma perché il "giornale è girato male". Abbiamo rimandato da una settimana all'altra la biografia di Don Carlo ed eccoci qui ora a batterci il petto e a chiedere a Don De Ambrogio scusa se - non nella preghiera - abbiamo taciuto di lui su "Il Nostro Tempo" di cui fu amico caro, collaboratore prezioso, articolista intelligente e acutissimo.

Don De Ambrogio era un "santino", di quelli che non pesano, che camminano in punta di piedi, ma che vanno diritto allo scopo. Diresse la rivista salesiana "Meridiano 12", tradusse in forma piana Vangeli e libri dell'Antico Testamento. Poi, innamorato della Madon­na, passò al di là di ogni confine e spaziò nei cieli limpidi di un amore ardente. E fu trascinatore.

Non entriamo nelle pieghe di una vita che si è distesa lungo i mi­steriosi disegni di Dio nella ricerca del bene, nello sforzo verso la san­tità. Ci piace ricordare Don Carlo presente in mezzo a noi per cercare di intuire quello che servirebbe oggi (...).

Ecco: Don Carlo De Ambrogio - se ritornasse, ma è sempre in mezzo a noi - riproporrebbe gli stessi temi che hanno formato i pri­mi cristiani e i martiri e sono la fonte vitale che disseta ogni creatura che lo voglia e sia evangelizzata sino alla fine del mondo » (26 ottobre 1980).



Tutti volevano ascoltarlo

«Aveva davvero un'esperienza divina della Parola di Dio e la co­municava » afferma una claustrale. E un'altra: « La Parola di Dio do­natami da Don Carlo mi è stata di grande sostegno, unico direi, nelle numerose e forti prove di ogni genere che si sono susseguite nella mia vita. Tutto il resto è crollato, ma la gioia di vivere la Parola di Dio mi è rimasta».

Elettrizzava di gioia i giovani che stavano ore ed ore ad ascoltarlo senza stancarsi. Un gruppo di giovani universitari di Torino ogni set­timana e anche più spesso andava a prelevarlo alle 21 e lo riportava a mezzanotte, l'una... Erano insaziabili del Vangelo. Anche alcuni do­centi del Politecnico di Torino con le loro mogli si radunavano in una delle loro famiglie fino a tarda notte per ascoltarlo. E Don Carlo sem­pre instancabile seminava senza misura o risparmio di se stesso.



Disponibile a tutte le ore

Per la Parola di Dio era disponibile a tutte le ore. Talvolta gli im­pegni erano così numerosi e incalzanti che gli sfuggiva di avvisare del­la sua assenza qualche Comunità religiosa che l'attendeva per la Mes­sa o le Confessioni. Successe così anche quella sera al Cottolengo. Le Suore attesero a lungo fino a tardi. La Madre fece un ultimo tentati­vo telefonico e finalmente riuscì a rintracciarlo. Era appena rientrato da Milano. La neve molto alta rendeva difficile il transito. Rispose: «Vengo subito ». E poco dopo giunse in bicicletta, con un freddo pun­gente, e senza aver preso niente di caldo. Le Suore rimasero sbalordi­te di fronte a una tale disponibilità e a un tale amore per la sua missione.



È la Mamma che mi ha fatto questo dono

Il suo segreto di penetrazione della Parola di Dio e di efficace an­nuncio era l'accostarsi ad essa attraverso il Cuore Immacolato di Ma­ria, colei che egli chiamava « la Tutta-verbizzata, tutta trasparenza al­la Parola di Dio, che custodiva e meditava nel suo Cuore » (cf Lc 2,5 1).

Un giorno una persona gli chiese come facesse a comprendere così profondamente la Parola di Dio, con quelle intuizioni chiave e a co­municarle con tanta chiarezza e incisività. Rispose: « È la Mamma che mi ha fatto questo dono, perché sono nato il 25 marzo, festa dell'An­nunciazione, giorno in cui il Verbo, la Parola, scendeva dal Cielo e si faceva carne in Lei ». E poi, quasi per distogliere l'attenzione da se stesso, aggiunse: «Io sono innamorato della Parola di Dio, ma an­che lei lo è molto; dica grazie alla Mamma di questo». Conosceva bene l'affermazione di S. Bernardo: «Dio vuole che ogni dono e ogni grazia venga a noi attraverso Maria ».



Pronto a perdere tutto

La presenza di Don Carlo realizzava un clima di Spirito Santo che avvolgeva e illuminava. « Visse nella Chiesa come messaggero dello Spirito Santo - scrisse ancora il Cardinal Ursi. Il messaggio rovente, però, scaturiva sempre da labbra sorridenti di un volto luminoso di fanciullo in toni dolci, limpidi, penetranti ».

Talora il messaggio si faceva davvero rovente quando vedeva in­taccato il Regno di Dio con la rovina delle anime. Allora con un co­raggio sorprendente interveniva e parlava chiaro con chi di dovere, prima in maniera personale, ma se il male continuava lo denunciava apertamente anche tramite la stampa, come faceva l'apostolo Paolo attraverso le lettere. Non si spiega in lui così dolce e timido questa presa di posizione se non con l'esperienza del Profeta Geremia: «La Parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno (Don Carlo sapeva che poi gli sarebbe arrivata addosso tanta sofferenza). Mi dicevo: "Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome! "Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente... mi sfor­zavo di contenerlo, ma non potevo"» (Ger 20,8-9).

« Se dentro di sé non avesse avuto questo ardore, questa fiamma, non avrebbe potuto parlare così - afferma una claustrale -. Era Gere­mia ai nostri giorni ».

Un giorno disse: « Il Regno di Dio esige coraggio, violenza, come ha fatto Giovanni Battista: "Non ti è lecito!". Ci vuole tutto il corag­gio, ma per averlo occorre essere mitissimi, avere un'umiltà profon­da. Solo chi è profondamente umile si porta su un piano di fede: per­de tutto, vede solo Dio ». E soggiungeva con l'incisione di chi ne ha fatto l'esperienza: « Bisogna rassegnarsi a perdere tutto ».



Grazie per il coraggio e la chiarezza

In mezzo a quella fascia di solitudine e di ostilità che si creava at­torno a lui, come è spiegabile dopo simili interventi, c'era anche chi vedeva nella luce di Dio e ne condivideva le posizioni, come attesta questo stralcio di lettera di un'autorità: « Carissimo Don Carlo, le do il mio abbraccio più affettuoso per il suo coraggio e la sua chiarezza. Ho letto quanto ha scritto su (...). Era ora che si denunziassero certe cose, con inequivocabile chiarezza. Viviamo in un momento in cui (...) si lascia che l'errore si diffonda. Bisogna ormai alzare la voce. Lei ha questo coraggio. (...). Dio l'accompagni e la Madonna la conforti e la consoli. Prego per lei ». Lo confortava in queste ore il pensiero che anche Gesù aveva sof­ferto per aver detto la verità, e la certezza che da questa piccola morte sarebbe scaturita una nuova forza per l'evangelizzazione e l'avanza­mento del Regno di Dio nella Chiesa e nel mondo. « È la legge del chicco di frumento - diceva riportando le Parole di Gesù - se muore porta molto frutto» (cf Gv 12,24).



La gratuità, radice ultima dell'amore

Intanto pubblicava una collana di volumetti dell'Antico e Nuovo Testamento in collaborazione con due signorine dottoresse di Rosta. I volumetti a formato tascabile e a prezzo simbolico ebbero una dif­fusione rapidissima in tutta Italia. Così pure molto richiesti furono i volumetti "A Messa" per i commenti profondi e incisivi della Litur­gia della Parola, la rivista "Conosci tua Madre", ricca di spiritualità mariana in veste attraente e popolare, e molti altri opuscoletti e pa­gelline per lanciare la devozione e l'amore alla Madonna.

Il suo sogno (che vedrà realizzato poi nel Gam) era di arrivare alla diffusione capillare e del tutto gratuita della Parola di Dio, secondo la Parola di Gesù: « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente da­te» (Mt 10,8). E riportava un'espressione incisiva di S. Tommaso: «La radice ultima dell'amore divino è la gratuità». «Nella Parola di Dio - spiegava Don Carlo - è presente Gesù sotto la terminologia uma­na, così come nell'Eucaristia è presente sotto le specie del pane e del vino. Come non si fa pagare l'Eucaristia, così non si deve far pagare la Parola di Dio ». Ai suoi più stretti collaboratori del Gam dirà: « Se noi mettiamo in atto alla lettera le Parole di Gesù: "Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù" (Mt 6,33), il Padre ci manderà sempre i mezzi per dif­fondere gratuitamente la Parola di Dio. Al Padre interessa più che a noi diffondere la Parola del Figlio. E la Mamma interverrà sempre perché si compia il comando ultimo del suo Gesù: "Evangelizzate ogni creatura" (Mc 16,15) ».



Per sette prediche e mezza

Già negli anni '60 - '70 faceva continuamente esperienza anche in maniera straordinaria di questi segni dell'amore del Padre. « Riceve­va spesso - attesta la Suora portinaia del n. 27 a Torino - delle grandi offerte, spesso anonime, e sorridendo ce le faceva vedere come un do­no per la Parola di Dio».

Anche un suo confratello coadiutore attesta: « Don Carlo al ter­mine del pranzo sempre breve e frugale, con gesto delicato estraeva dalla tasca una manata di corrispondenza; mi leggeva volentieri qual­che espressione di benefattori che lo aiutavano con copiose offerte, ma anche se offerte generose e frequenti non lo interessavano eccessi­vamente; la sua unica aspirazione, la gioia immensa che provava era il constatare che la devozione alla Madonna si divulgava e faceva un bene immenso a quelle anime che a Lei si rivolgevano».

Un giorno raccontò che mentre si trovava in un monastero della costa ligure a predicare un ritiro alle Carmelitane, un signore dopo la Messa lo raggiunse in sacrestia e gli consegnò una busta dicendo: «Tenga, Padre, è perché lei possa continuare a parlare così di Gesù e diffondere il Vangelo. Ho sentito la sua predica: mi ha trasformato dentro. Non avevo mica intenzione, sa, di venire in chiesa, tutt'altro! Stavo passeggiando nel lungomare (la cappella del Monastero dava proprio sulla strada) e mi sono sentito spinto ad entrare. È capitato qualcosa di forte dentro di me. La ringrazio ». Don Carlo senza apri­re infilò la busta nella tasca e continuò il suo programma di evange­lizzazione che in quel giorno era particolarmente intenso perché il tem­po disponibile era breve e le Suore desideravano approfittare al mas­simo del dono della sua presenza. Avevano già avuto sei conferenze sulla Parola di Dio, più l'Omelia e infine chiedevano un piccolo ser­moncino dopo Compieta che servisse da "buona notte". Don Carlo accondiscese; anche se era stremato di forze non rifiutava mai di par­lare di Gesù.

Al termine di tutto si ritirò nella sua stanza e mentre si rivolgeva confidenzialmente alla Madonna - come abitualmente faceva prima di addormentarsi - richiamò alla mente che quel giorno era un 24 del mese, giorno in cui, in riferimento al 24 maggio, festa di Maria Ausiliatrice, Don Carlo ricordava con particolare amore Maria, Ma­dre della Chiesa (il numero 24 - egli diceva - comprendeva le dodici tribù d'Israele e i dodici apostoli, quindi Maria era Madre dell'Antico e del Nuovo Israele, la Chiesa nella sua totalità). In ogni festa o gior­no della Madonna era abituato a ricevere un'offerta per la Parola di Dio.

Quel giorno non l'aveva ricevuta e se ne lamentò dolcemente: «Mamma, oggi non mi hai mandato niente. Come mai? ». Improvvi­samente si ricordò di quel signore e della busta deposta e dimenticata nella tasca. La prese e l'aprì con un tuffo al cuore: c'erano 750.000 lire, una somma esattamente corrispondente alle 7 prediche della gior­nata e al sermoncino più breve della buona notte. Lo raccontò con lo stupore e la gioia del bimbo che si sente amato e condotto per ma­no dalla mamma. Così era per lui la Madonna e questi segni del suo amore materno gli davano sempre un nuovo slancio per continuare il cammino anche tra difficoltà e incomprensioni.

Piccolo programma tracciato da Don Carlo (di suo pugno) per un dirigente d'azienda che gli chiedeva sulla linea del Vangelo come dare disposizioni di comando sul lavoro.



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21/09/2009 21:20

6 - I TRE AMORI BIANCHI

Sia un'anima eucaristica


Aveva un grande amore per l'Eucaristia, la Madonna e il Papa, che egli chiamava con un'espressione significativa: "I tre amori bianchi".

Viveva per l'Eucaristia e dell'Eucaristia. Non si spiega diversamente la sua capacità di trascinare le anime a un ardente amore eucaristico. Dove trovava una persona o una Comunità aperta allo Spirito, ne fa­ceva con Maria delle anime di adorazione eucaristica, delle lampade accese davanti al Tabernacolo.

Così lo ricordano le Suore non vedenti dell'Istituto "Figlie di Gesù Re" di Torino, per le quali Don Carlo nutriva un amore di predilezio­ne e tra le quali ritornava sempre con gioia. Avvertiva infatti un'aper­tura semplice, totale, gioiosa alla Parola di Dio, senza razionalismi, e trovava nella preghiera e nell'apertura di quelle Sorelle privilegiate dalla Grazia, un punto di riferimento e di sostegno spirituale nella sua evangelizzazione. « Abbiamo tanto bisogno - diceva - della preghiera delle Sorelline cieche». Le paragonava alle conchiglie marine di una nota leggenda indiana che nella notte, dopo essere venute a galla apren­do le valve per assorbire la luce argentea della luna, si rinchiudevano nel silenzio abissale del mare per filare la perla preziosa. E hanno dav­vero racchiuso la perla nel loro cuore queste anime dotate di una sen­sibilità spirituale straordinaria, perché riportano particolari e frasi di Don Carlo con una precisione sorprendente.

Don Carlo venne a conoscenza di queste Suore nel 1961 tramite la lettura della biografia del loro Fondatore, il Servo di Dio Canonico Luigi Boccardo. Si rammaricò di non averle conosciute prima e andò subito a visitarle. Ottenne dalla Superiora di poter intervistare la Co­munità per farne un servizio da pubblicare su "Meridiano 12". Si of­frì a celebrare settimanalmente la S. Messa nella loro cappella, al sa­bato, l'unico giorno che gli era rimasto libero. « Aveva un amore eucaristico intensissimo - ricordano le Suore - e ce lo trasmetteva.

Quando entrava in cappella camminava come un Angelo e non lo si sentiva arrivare. Insegnava anche a noi questa delicatezza di tratto per far piacere a Gesù.

Ci faceva comprendere con quale amore Gesù rimaneva giorno e notte nel Tabernacolo e come attendeva anche solo una breve visita, un pensiero. Ci suggeriva di non passare mai vicino alla cappella sen­za entrare almeno un istante o solo aprire la porta per una genufles­sione, un atto di amore. Anche svegliandoci di notte ci suggeriva di pensare a Gesù, solo sull'altare, e da come ci parlava dell'adorazione notturna si capiva che lui passava tempo della notte in preghiera. "Si sta così bene - diceva - davanti a Gesù. Ed è una forza potentissi­ma per la Chiesa e per il mondo. Con la preghiera noi raggiungiamo tutti i miliardi di fratelli che sono sulla terra".

L'ultima volta che venne da noi nell'Epifania del '78 si sentì invi­tare da una telefonata, ma nessuna di noi l'aveva chiamato. Fu per noi un grande dono».



Voglio essere come lui

« Quando ci fu detto che veniva Don Carlo a predicarci gli esercizi - ricorda una claustrale - provai un senso di freddezza e di indiffe­renza. "Staremo a vedere" dicevo tra me. Ma quando lo vidi salire l'altare per la Messa ebbi la chiara percezione interiore che fosse un santo, convinzione che conservo tuttora ».

E un giovane, adesso Sacerdote Gam: «Quando a volte doveva ar­rivare, si pensava di chiarire alcuni problemi, farglieli presenti, ma quando arrivava, la sua presenza li faceva sparire tutti: ci si trovava di fronte a un vulcano di gioia, di entusiasmo e di presenza divina».

E ricorda un momento di grazia particolare: « Al Cenacolo di For­mula 1 di Spin (Bassano del Grappa) l'ho conosciuto per la prima volta. Fu un incontro affascinante, un incontro che travolse tutta la mia vi­ta e mi fece passare da una "riva all'altra": dal piano umano al piano soprannaturale. Ho visto in Don Carlo Gesù e la figura del vero Sa­cerdote, un Sacerdote nuovo... Ciò che più mi affascinava era la sua voce dolce e penetrante, il suo modo espressivo, gioioso e fresco, di trasmettere la Parola di Dio. Appena ascoltate le prime frasi, mi in­cantai, tanto da non staccarmi più da quell'ascolto. E rimasi non solo al pomeriggio, ma anche il giorno dopo. Passai la notte con una gioia infinita. Mi nacque il desiderio di essere come Don Carlo, di imitarlo in tutto; sentivo che sarei stato felice solo facendo quello che faceva lui. Era la chiamata dello Spirito Santo e della Mamma Celeste.

Il giorno dopo, durante la Messa, mentre Don Bruno distribuiva la Comunione e Don Carlo era seduto vicino a me, a un certo punto provai una gioia ineffabile; non potei frenare le lacrime: era un pian­to di gioia e insieme di dolore per aver compreso solo allora quella luce nuova. Mi gettai ai piedi di Don Carlo e gli baciai l'orlo della casula. Sentivo che dovevo tutto alla Mamma, ma anche a lui, perché ne era stato lo strumento».



In libera uscita davanti al Tabernacolo

Ripeteva spesso: «Riempite i giovani di Parola di Dio, tuffateli in Gesù Eucaristia e potrete lanciarli senza timore dappertutto». Un giovane Gam racconta: «Mancavano pochi giorni alla mia partenza per il servizio militare. A un ritiro all'Assisium (Roma) avvicinai Don Carlo per dirgli: "Don Carlo, ho bisogno di qualcosa che mi tenga forte in questo periodo che sarà sicuramente duro". Don Carlo com­prese e mi suggerì di portare con me il Vangelo. Gli risposi che l'ave­vo già messo in valigia. "Allora - soggiunse - ecco qualcosa ancora di più: prova a innamorarti dell'Eucaristia". È stata l'unica cosa che veramente mi ha reso forte in quel periodo di vita militare. Appena ero in libera uscita entravo in una chiesa, mi mettevo a pregare lì da­vanti a Gesù nel Tabernacolo e non avevo più paura di niente».



Agganciare l'aratro a una stella

L'adorazione era uno dei poli luminosi a cui faceva ancorare sem­pre; doveva diventare connaturale all'uomo, come il respiro, perché « il sogno del Padre - diceva - è di formare un popolo liturgico, un popolo di figli che ama e adora. Ed è per questo che ha reso facile l'adorazione in Gesù, l'Emmanuele, il Dio-con-noi, che è in mezzo a noi, di una bontà e di una semplicità infinita».

Tutti capivano questo suo linguaggio che risvegliava dentro una nostalgia di Dio che spesso l'uomo non sa neppure di avere. «Era una vera soddisfazione ascoltarlo - afferma il sig. A., un operaio che prestava servizio in un Monastero dove Don Carlo cele­brava spesso anche per gli esterni -. Parlava di Dio in una maniera mai sentita. E parlava in modo semplice come semplice era il suo at­teggiamento, e umile. Dopo averlo ascoltato avevo una gran voglia di confessarmi, allora lo fermavo in corridoio la sera quando passava e mi salutava sempre con quel suo sorriso. Mi confessavo e gli parla­vo. Andavo a letto così tranquillo e contento... Era proprio un dono avvicinarlo ».

Il dirigente di un'azienda rimase profondamente colpito da una sua espressione tanto significativa da lui riportata per invitare a sublima­re ogni realtà: « È sempre bene agganciare l'aratro a una stella ».

La signora G., una casalinga, ricorda come Don Carlo suggerisse di rivolgere il pensiero al Signore svolgendo le faccende domestiche, anche solo infilando qualche breve preghiera o ripetendo un canto Gam, dicendo di spalancare le finestre perché anche alla vicina giun­gesse il messaggio della Parola di Dio di quel canto.

Alle anime consacrate chiedeva di non lasciar mai Gesù solo in chie­sa, di ruotare attorno al Tabernacolo come le rondini attorno ai cam­panili.

« Ci entusiasmava per l'adorazione notturna - dice una Maestra delle novizie - per consolare Gesù abbandonato in tanti tabernacoli del mondo. Dopo Compieta un gruppo di Sorelle si fermava in ado­razione notturna (e continuano tuttora) e altre, sempre col permesso della Madre, si alzavano nel cuore della notte; era una gara di amore ».

« La nostra Comunità respirava un clima di Cielo per il fervore eu­caristico portato da Don Carlo - afferma un'altra claustrale -. In Paradiso andremo a ringraziarlo per la forte spinta spirituale che ci ha dato».



Il suo volto splendeva

« Ogni volta che si entra in chiesa e si viene a trovare il Signore, si è illuminati da Gesù Eucaristico di una luce meravigliosa: la luce dello Spirito Santo ».

È una sua espressione, ma è soprattutto la sua esperienza. Lo atte­sta un episodio raccontato da alcuni giovani Gam, uno dei quali ades­so è Sacerdote nel Movimento.

Avvenne nel 1979. Don Carlo con alcuni giovani di Torino si era portato a Padova nella Basilica di S. Antonio per un Cenacolo Gam. Lo raggiunse anche un gruppo di giovani di Rovigo. Mentre questi preparavano il materiale e disponevano gli amplificatori all'altare mag­giore, Don Carlo stava in preghiera davanti all'altare del Santissimo, nella navata di destra. Era inginocchiato all'estremità della balaustra destra, vicino al cancelletto centrale, con lo sguardo fisso al Taberna­colo, incurante del via vai di gente che affolla sempre la Basilica.

Un giovane in particolare lo osservava, colpito da quell'intensità di adorazione. « Passando dopo un po' vicino a lui - racconta - no­tai che il suo volto era di una bellezza straordinaria, tutto avvolto di luce, ma di una luce tenue, non abbagliante. Mi nascosi dietro il pila­stro ad osservare e compresi allora le parole del Salmo 33 che Don Carlo spesso ripeteva: "Guardate a lui e sarete raggianti -, e commen­tava: "Guardate Gesù, sorridetegli, fissatelo, amatelo e diventerete lu­minosi, trasparenti". Chiamai D., un giovane di Rovigo, per consta­tare se vedeva anche lui quello che vedevo io. E rimase egli pure colpi­to dalla luce che emanava da quel volto ».



7 - EUCARISTIA NELL'EUCARISTIA

Mi offrirò anche per questo


Da questo intenso amore eucaristico scaturiva la sua capacità di dono fino all'immolazione, perché egli sapeva che il Sacerdote non solo deve salire l'altare per celebrare l'Eucaristia, ma deve con Gesù e in Gesù diventare sull'altare Eucaristia offerta al Padre. « L'immo­lazione - egli diceva - la sofferenza vicaria presa su di noi per sal­vare i fratelli è il vertice dell'amore». Egli lo visse in pieno in un sì continuo, così come il Padre disponeva nella trama di un disegno stu­pendo, che avanzava e si compiva attraverso la sofferenza nascosta, l'umiliazione e il fallimento umano, l'angoscia e il buio del Getsemani. In lui si compiva come in Gesù il quarto canto del Servo sofferente, in un crescendo sempre più intenso fino a offrire la sua vita non solo per i giovani, ma anche per chi l'aveva fatto soffrire di più.

Ne sono testimoni poche persone a lui vicine, una delle quali l'av­vicinò per esporgli delle difficoltà e Don Carlo le disse come fosse la cosa più naturale: « Mi offrirò anche per questo ». Era davvero diven­tato dono totale, piccola ostia nella grande Ostia che è Gesù. «Non c'è più grande amore che dare la vita per i propri amici » (Gv 15,13).

Questo vertice di amore non è stato improvvisato, ma preparato dal sì quotidiano nascosto sotto il suo luminoso sorriso o dietro le sue brevi, tipiche espressioni dinanzi alle contrarietà: «Va benissimo. È la Mamma che ha disposto così ». La Madonna era davvero il suo so­stegno per accogliere ogni croce. Era solito ripetere: « Come Maria era presso la croce di Gesù, così è presso la nostra croce di ogni giorno e ci aiuta a dire sì come lei alla volontà del Padre».



Le anime si pagano

Una mattina la Superiora dell'Istituto delle Suore non vedenti di Torino lo vide arrivare per la Messa pallido, quasi terreo; non riusci­va neppure a parlare, tanto era sfinito. Era talmente spossato che ce­lebrò solo la S. Messa senza fare l'Omelia, come il solito. Interrogato, rispose che aveva confessato tutta la notte nella veglia dell'Ausiliatrice, ma non era quella la causa, perché si era sentito bene fino al ter­mine delle Confessioni. Poi lasciò intendere brevemente che si era offerto al Signore per qualche anima che aveva incontrato e allora ave­va dovuto lottare con il demonio.

« Eh, le anime si pagano » soggiunse sforzandosi di sorridere. Quante volte si offrì in questo modo? Solo "Colui che scruta il cuore e la vita" può saperlo. Ma certamente diversi episodi dimostra­no come il sacrificio e la dimenticanza di sé erano in lui uno stato abi­tuale. Aveva sempre presenti le Parole di Gesù: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perde­rà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,2~-24).



Prima le anime...

« Si capiva che faceva molta penitenza e mortificazione - dicono ancora le Suore non vedenti -. D'estate quando arrivava qui in bici­cletta a confessare lo si vedeva con le labbra riarse per la sete, ma non prendeva niente. Un giorno afoso di luglio la Suora portinaia, veden­dolo arrivare così sudato e stanco (aveva già confessato a Maria Ausi­liatrice), gli offerse subito dell'acqua fresca. Ma lui, ringraziando col suo solito sorriso, respinse gentilmente e soggiunse: "Eh, prima biso­gna pagarle le anime... Dopo, quando esco, prendo" ».

« Quello che più mi stupiva era la sua mortificazione quotidiana nel cibo - attesta un suo fratello coadiutore -. Parecchie volte arri­vava a tavola con notevole ritardo (magari c'era qualcuno che lo in­tratteneva) e in refettorio veniva volentieri a sedersi nello stesso tavolo, di fronte a me; di solito avevo sempre un posto libero. Lo vedo chia­ramente, come in questo momento, tutto sorridente, incurante del ci­bo: quello che c'era d'avanzo, anche se freddo, per lui andava bene. Non voleva disturbare chi serviva; mai un goccio di vino, solo mezzo bicchier d'acqua, qualche bocconcino di pietanza e un grissino: il pran­zo era consumato; pranzo appena sufficiente per un canarino. Ci me­ravigliavamo come potesse vivere. Eppure sembrava star bene, era bianco e rosso; mai che mangiasse di più; inoltre mangiava con asso­luto disinteresse del cibo e si occupava poi subito della corri­spondenza».

Lo stesso afferma il portinaio: « Io servivo a tavola e vedevo. Non aveva neanche il tempo per mangiare perché tante persone lo veniva­no a cercare e lui non diceva mai di no a qualsiasi ora. Mangiava po­chissimo e di riposo prendeva quasi niente. Mi chiedevo: ma come fa quest'uomo a tenersi sempre in piedi, preso com'è da tanto lavoro? Era una cosa oltre il normale, perché, c'è poco da dire, il cibo e il ri­poso ci vogliono per rifare le energie. E lui era gracile, non era un uo­mo di forza. A volte era pieno di raffreddore, forse con febbre, eppure andava sempre avanti ».



Il sale nel caffé

« Un giorno - racconta una Suora - gli offrii il caffé; era assie­me a un altro Sacerdote. Inavvertitamente portai a tavola il sale inve­ce dello zucchero. Servii prima Don Carlo, mettendone quattro cucchiaini, come lui sempre indicava: tre più uno, in onore dei Tre, più la Mamma Celeste.

Poi servii anche l'altro Sacerdote il quale al primo sorso esclamò: "Ma qui c'è il sale, ci vuole avvelenare!". Mi preoccupai subito di sostituire le tazzine, ma Don Carlo ormai l'aveva già bevuto tutto senza dire niente, per non mortificarmi ».

Che dire poi dei sacrifici, delle privazioni sofferte, delle stanchez­ze dissimulate negli anni del Gam in cui si spostava da una città all'al­tra d'Italia per i Cenacoli viaggiando spesso di notte, sbocconcellando qualche panino o talvolta digiunando?

Una sera di ritorno da un Cenacolo, dopo un lungo viaggio, gli chiedemmo se aveva potuto pranzare; dopo molta insistenza, aggiun­se con semplicità: « Non è stato possibile. Avevo una caramella in ta­sca ». « Tutto il giorno con una caramella? » gli chiedemmo. E lui sorridendo: « Eh, la Mamma sa lei quando farci fare digiuno; occorre per tutte queste anime, per l'evangelizzazione... Poi però ci stracolma di delicatezze e di attenzioni. Ma bisogna essere pronti a tutto, essere un sì continuo a tutto ciò che dispone ».



Riposeremo a Casa

Nell'estate del '79, in seguito a una corrente d'aria durante un Cenacolo all'aperto, fu preso da una temporanea sordità acuta e, dopo qualche giorno, accettò di sottoporsi a una visita specialistica. Il prof. R.D., primario di grande fama ed esperienza, disse a chi lo accompa­gnava: « Quest'uomo è logoro. Ha bisogno di fermarsi e di riposare in maniera assoluta ». Ma Don Carlo lasciò subito cadere ogni propo­sta di riposo col suo solito: "Riposeremo a Casa. Adesso occorre, ur­ge lavorare per il Regno di Dio!". E così rispondeva ogni volta che lo si invitava a una sosta: lui doveva annunciare, il resto non contava.

Non faceva pesare niente, era sempre nella gioia. Anche lui come S. Teresina poteva dire: «Non riesco più ad avere sofferenza senza gioia o almeno pace, né avere gioia senza sofferenza».



Mi son fatto un amico

Ciò che lo faceva soffrire molto era la critica e l'incomprensione per le sue iniziative di evangelizzazione o le pubblicazioni sulla Parola di Dio, non tanto per l'umiliazione personale, quanto perché veniva intaccato o impedito un grande bene alle anime.

«Un giorno - racconta una Suora - una persona aveva pubbli­cato su una rivista cattolica una recensione denigratoria sul Vangelo di S. Luca, un vero gioiello da lui preparato e diffuso. Don Carlo non ne era ancora a conoscenza. Trattandosi della gravità del caso, gli passai il giornale. Mi ringraziò e il giorno dopo mi fece giungere in busta chiusa una copia della lettera di risposta spedita a quella persona. (Era una caratteristica della sua finezza d'animo quella di partecipare ini­ziative, notizie, ecc. a chi collaborava in qualche modo con lui). Non so come, la superiora aprì la busta e, comprendendo subito di che si trattava, rimase così colpita dall'atteggiamento di carità e di rinnega­mento di sé che pervadeva quello scritto, che alla sera lo lesse a tutta la comunità ».

La lettera iniziava sottolineando un aspetto positivo (sullo schema delle lettere dell'Apocalisse che egli non solo teneva presente quando doveva richiamare, ma che insegnava ad attuare anche ai responsabili di Comunità, ai genitori, agli animatori). Eccone uno stralcio:

« Gentilissimo signore,

ho avuto modo di leggere la Sua recensione sul Vangelo di S. Luca, uscita in "...", nel numero di maggio 1966. Mi permetto di rettificare e delucidare alcune cose. Le dico grazie, sincerissimamente, per la Sua affermazione là dove dice: "Si tratta di uno studio che non ha alcu­n'altra pretesa di quella di edificare spiritualmente i lettori" ». (Era sempre e solo questo lo scopo di ogni pubblicazione di Don Carlo: portare le anime a Gesù, illuminarle con la Parola di Dio). Elenca quin­di con chiarezza, rispetto e competenza cinque punti in risposta ai punti più salienti di quella critica infondata.

E conclude: « Le chiedo scusa se mi sono permesso queste rettifi­che e delucidazioni. Avendo da anni pratica di pubblicazioni e di rivi­ste (oltre che di giornalismo e di studi seri e traduzioni dal tedesco, dall'inglese, dal francese...) so quanto sia necessario essere guardin­ghi e sfumare le proprie affermazioni. Si potrebbe senza accorgersi offrire il fianco a una ritorsione umiliante per il recensore, che non farebbe altro che danneggiare la causa del Cristo per cui tutti noi lavo­riamo ». E poi un'affermazione stupenda: «Le assicuro che di tutto ciò non farò minimamente parola su alcuna pubblicazione (benché ne abbia diritto e amplissima possibilità) per non nuocere a Lei, che sti­mo moltissimo e per cui prego il Signore nella S. Messa. Mi creda sempre Suo cordialissimo amico ».

Dopo qualche tempo la Suora gli chiese se avesse ricevuto qualche risposta da quella lettera. Don Carlo rispose sorridendo: « Mi sono fatto un amico! ».



La Mamma lo vuole

«Negli esercizi spirituali - dice una claustrale - commentando l'espressione di Gesù: "Per questo il Padre mi ama, perché io do la mia vita per riprenderla di nuovo" (Gv 10,17), Don Carlo ci parlò del voto di vittima, cioè dell'offerta totale della vita per la salvezza dei fratelli. L'ultimo giorno degli Esercizi, desideravo chiedergli con­siglio su questo. Chiesi alla Madre di poterlo avvicinare, ma mi rispo­se che non era possibile perché tutta la Comunità aspettava per la Messa. Dissi tra me: "Se è Sua volontà che faccia quello che ho in cuore, il Signore mi darà la possibilità di incontrare Don Carlo, altri­menti sarà segno che da me non lo vuole".

Era la festa dell'Assunta e affidai tutto alla Madonna. La Madre era andata a servire un ospite in parlatorio e mentre andavo ad avvisarla di una commissione, vidi Don Carlo seduto al tavolino di una piccola sala nella posizione a lui insolita di nascondere il volto tra le mani. Non poteva certo vedermi. Eppure si alzò di scatto e mi venne incontro. In quel momento dimenticai del tutto ciò che dovevo dirgli e mi affrettai ad informarlo: "La Madre viene subito a portarle i ci­clostilati". E lui, deciso: "No, non cerco la Madre". Allora mi tornò alla mente quanto volevo chiedergli e glielo esposi, sia pure con un po' di timidezza. Mi rispose con sicurezza: "La Mamma lo vuole". Mi è bastata quella risposta per comprendere la volontà di Dio. E non potrò mai dimenticare il modo con cui ciò è avvenuto».



Pronti a dare la vita

Per i tempi di particolare emergenza, di purificazione della Chiesa e del mondo, diceva di essere pronti a tutto, anche alla suprema testi­monianza del martirio che avrebbe preparato la Chiesa nuova di do­mani, « i cieli nuovi e la terra nuova». Questo lo diceva non solo ai Sacerdoti e alle anime consacrate, ai laici impegnati, ma anche ai gio­vani infondendo una forza di Spirito Santo e un abbandono alla Mam­ma Celeste, per cui non solo non avevano paura di sentir parlare di martirio, ma lo vedevano come un vertice di amore a Gesù, una spin­ta fortissima per la rapida diffusione del Regno di Dio, un dono par­ticolare per « andare a Casa con la veste bianca e rossa ».

Del resto il Papa Giovanni Paolo II afferma: « Il martirio è consi­derato nella Chiesa come un dono particolare dello Spirito Santo. La morte dei martiri è simile alla morte di Gesù sulla croce e dà inizio a una nuova vita. La nostra è un'epoca di eroi della fede, di testimoni e di martiri ».

Diceva Don Carlo: « I giovani daranno la vita per la Chiesa e per il Papa. Costruiranno con Maria la civiltà dell'Amore. Dovranno pa­gare... e tanto, ma ci riusciranno ».



Mi offro per le vocazioni...

Ed ecco un episodio che è un piccolo segno di come lo Spirito di Dio operasse attraverso questa generosità di offerta che Egli stesso su­scitava nelle anime attraverso Don Carlo.

Un giorno, uscendo dal Santuario della Consolata a Torino, si sentì inseguire da un uomo. Quando questi gli fu a fianco, in una via se­condaria, lo fermò e gli disse: « Padre, da tanti anni non vado più in chiesa. Ero entrato in seminario e poi per un'incomprensione di un Superiore ho abbandonato tutto. Stamattina passando di qua mi so­no sentito stranamente spinto ad entrare. Celebrava un Vescovo mis­sionario che sottolineò la grande urgenza di aiuto laggiù nel Brasile. Ho avuto come una folgorazione e ho deciso: partirò come missiona­rio laico ». E gli fece vedere la cartolina con l'indirizzo appena ricevu­ta in sacrestia dal Vescovo. Poi soggiunse: «Ho visto entrare lei in chiesa e non so perché mi ha colpito tanto. Adesso, per favore, mi confessi ».

Quando quell'uomo si allontanò con la gioia del perdono di Dio e lo slancio della sua nuova vocazione, Don Carlo si ricordò che, la sera prima, una Suora malata di cancro l'aveva mandato a chiamare per dirgli: « Fino a pochi giorni fa lottavo, non volevo accettare que­sta dura realtà ormai chiara per me, ma adesso è scesa in me una grande pace. Ho offerto la mia vita al Signore e gli ho detto: "Fa' di me quello che vuoi". L'ho offerta soprattutto per le vocazioni sacerdotali, in par­ticolare per i Sacerdoti che hanno tradito e abbandonato».

Mentre camminava verso Valdocco Don Carlo aveva ora dinanzi due volti; quello emaciato della Suora dagli occhi di luce e quello sca­vato di quell'uomo. Risentiva le loro voci: « Mi offro per le vocazio­ni... »; « ... partirò missionario». E pensava alle stupende vie nasco­ste e sotterranee dell'economia divina nella Comunione dei Santi. Forse quaggiù non avrebbero mai saputo l'uno dell'altra, ma nel piano di Dio quella morte era stata necessaria alla vita.



La morte per la vita

Gli era familiare la piccola parabola di Gesù al capitolo 16 di S. Giovanni: « La donna, sul punto di diventare madre è triste perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce, dimentica i suoi do­lori per la gioia che sia venuto al mondo un uomo. Anche voi adesso siete tristi - spiega Gesù - ma io vi rivedrò e il vostro cuore ne go­drà e la vostra gioia nessuno ve la potrà rapire» (Gv 16,21-22).

Don Carlo aveva sempre di mira il Cielo ed era certissimo che ogni sofferenza sfociava in una nuova fecondità: «Ogni nascita porta con sé una lacerazione» diceva. Soprattutto dopo la nascita del Gam egli sapeva che, legati al suo sì, c'erano migliaia e migliaia di giovani e che la Mamma Celeste per fondare in profondità l'Opera da Lei stes­sa iniziata, aveva bisogno di un piccolo chicco di grano che, caduto a terra, sapesse «lasciarsi andare a picco nella morte come Gesù».

«Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori - dice il libro di Isaia che Don Carlo preferiva fra tutti i testi dell'Antico Testamento -. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore» (Is 53,10). «Amava tanto questo quarto canto del Servo sofferente - dice una persona - e ci consigliava di leggerlo ogni giorno per viverlo. "Si ricordi - mi disse una volta - che la sua è una strada di solitudine; sarà così per tutta la vita. Ma vada avanti: Gesù e la Mamma saranno con Lei. Ha il suo Gesù, di che cosa ha paura?».

Lui andava avanti così. Amava ripetere: «Chi accetta la sofferen­za è una volta nella luce; chi ama la sofferenza è due volte nella luce; chi desidera la sofferenza (non in se stessa, ma per realizzare il piano di amore del Padre) è tre volte nella luce ».

Don Carlo ha percorso quest'ascesa nella luce, passo passo, un sì dietro l'altro giungendo a un vertice di immolazione quando (per mo­tivi e situazioni che non ci soffermiano ad analizzare, ma affidiamo al Padre che tutto sa) si venne a trovare nel dilemma angoscioso di dover scegliere tra la Congregazione Salesiana che lui amava intensa­mente e il Gam, quest'Opera che la Madonna gli aveva affidato per i giovani e che riscopriva in modo nuovo il cuore del carisma stesso di Don Bosco con i tre amori bianchi: l'amore a Gesù Eucaristia, alla Madonna, al Papa e alla Chiesa, con la novità assoluta di lanciare i giovani stessi all'evangelizzazione.



Mi ha donato alla Chiesa

Di quest'ora di Getsemani che rimane nel segreto del Padre, pote­rono sollevare il velo solo poche persone, tra le quali in particolare una Madre Abbadessa di un Monastero che, con grande carità, lo ac­colse e ospitò proprio in questo periodo di intensa sofferenza. Egli trovò in questa piccola Betania un luminoso riferimento, tornando sempre volentieri negli ultimi due anni della sua vita.

«Don Carlo - attesta la Madre Abbadessa - era venuto per la prima volta a predicarci gli esercizi lasciando un grande fervore nella Comunità. Ci promise di tornare; infatti venne alcune volte dopo qual­che Cenacolo nei dintorni. Poi si fermò più a lungo e ci teneva ogni giorno la meditazione sull'Apocalisse e sui Salmi. Una sera arrivò e mi disse: "Madre, devo dirle una cosa: il mio Rettor Maggiore mi ha donato alla Chiesa".

In quel momento io ho capito Don Carlo: la sua grandezza mora­le e il suo valore soprannaturale. Perché? Perché si vedeva che amava intensamente la sua Congregazione, tanto che lo si poteva paragona­re a Melchisedek: senza padre, senza madre... (Eb 7,3): la sua fami­glia era la Congregazione Salesiana. Mi aveva detto in antecedenza che vi era entrato a 9 anni, che fu sempre tanto amato; era la sua cul­la: vi era cresciuto, aveva studiato, aveva esplicato i suoi ideali apo­stolici... Si sentiva in lui un grande amore alla Congregazione; una persona ancorata, un Salesiano entusiasta, gettato nella linea di Don Bosco. Sentirmi dire quella sera tali parole, senza aggiungere altro in un momento in cui si trovava sradicato dalla Congregazione e messo al largo, mi ha colpito profondamente.

Non espresse né un risentimento né un giudizio e neppure aggiun­se delle ragioni pro o contro. Niente. L'ho visto unicamente buttato nella fede, abbandonato totalmente a Dio e alla Mamma Celeste. Al­lora veramente la persona di Don Carlo mi ha impressionato.

E da quel momento l'ho visto evolversi in una maniera sopranna­turale meravigliosa attraverso abbandono, sofferenza, offerta conti­nua in silenzio, senza rimpianti né rammarichi o lamentazioni. Ha sa­puto solo accettare e offrire incominciando la via del Calvario allora in modo del tutto eccezionale. E l'ha percorsa questa via con una ge­nerosità radicale. Ho visto in lui un cambiamento di qualità in manie­ra visibile e unica: prima era una persona entusiasta che attirava i gio­vani, che suscitava fervore, spiritualità..., dopo è diventato - se così si può dire - di qualità divina ».



Capita sempre così agli uomini di Dio

Un Sacerdote gesuita di Torino, P. R., dice: « Ho avuto l'occasio­ne d'incontrarlo la prima volta in un Cenacolo a Maria Ausiliatrice.

Avevo ammirato il tono di spiritualità notevolmente elevato con la spin­ta anche al Sacramento della Confessione, al Rosario e all'amore alla Chiesa. Questo senso di ammirazione per lui venne ribadito notevol­mente in me quando - attraverso incontri con altre persone, soprat­tutto Sacerdoti che conoscevano intimamente la sua vita - venni a conoscenza delle sue vicende che non erano state tutte serene e gioio­se. Il sapere tali cose, suscitò in me una maggior simpatia verso que­sto Sacerdote che ammiravo per l'elevatezza con cui aveva superato tutte queste difficoltà, senza mai recriminare e senza mai sfogarsi ma­lamente con critiche o altro... ». « Capita sempre così agli uomini di Dio - commenta un missionario dell'estremo Oriente che era a cono­scenza delle sue difficoltà e sofferenze -. Noi stiamo quieti, perché non siamo ancora uomini di Dio».



Il Cielo che ci attende è stupendo

La Suora che lavorava nell'orto del monastero dov'era ospitato in quel periodo di prova, lo vedeva - quando non si sentiva osserva­to mentre passeggiava dicendo il Rosario - con un pallore e un'e­spressione che lasciava intuire tanta sofferenza. «Quando però si accorgeva della mia presenza, allora - dice lei stessa - subito sorri­deva, si illuminava tutto nel parlare dei giovani Gam, nel raccontare dei Cenacoli, ma si capiva che in quel momento faceva tacere il cuore che sanguinava.

Più tardi, a questa prova così dura per lui, se ne aggiunse un'altra che gli causò molto dolore (...). Confesso di non aver mai sofferto tanto in vita mia - neppure quando lasciai la famiglia - quanto in quel periodo nel veder soffrire così quel Sacerdote.

Davvero compresi come Dio soltanto poteva sostenere una creatu­ra così e come solo il Paradiso poteva compensare una tale offerta. Mai usciva in qualche parola di critica. Un giorno gli chiesi: "Ma, Don Carlo, mi dica almeno quanto soffre!". Mi rispose: "Eh, il Paradiso è bello. Il Cielo che ci attende è stupendo!"».



Piangeva anche la Madonna

La Suora addetta agli ospiti che andava a portargli un po' di caffè nel pomeriggio, racconta che più volte bussava, ma Don Carlo non rispondeva, tornava a bussare e solo allora usciva. «Aveva il volto gonfio dal gran piangere - dice la Suora - e la veste tutta bagnata davanti. Eppure aveva il sorriso. Gli chiedevo: "Ma, Don Carlo, co­me mai? Cosa è successo?!". Rispondeva: "Eh, Sr. G., piangeva an­che la Madonna, sa!". Lo diceva con un'espressione, con una gioia tale pur nel dolore, che veniva quasi voglia di cercare la sofferenza. Sapeva davvero trasformare il dolore in gioia e lo viveva con un'ele­vatezza tale che mi trasformava dentro. Solo a vederlo così mi dava una testimonianza così viva di Dio e mi faceva capire com'è bello sof­frire in questo mondo per raggiungerlo di là, che non mi occorreva altro per andare avanti nella vita spirituale. Solo a guardarlo io attin­gevo forza nei sacrifici quotidiani con una pienezza di Dio che mi tra­smetteva prima ancora di parlare».



Lo accolse con cuore di padre

Lo consolò moltissimo l'accoglienza paterna di S.E. il Cardinale Corrado Ursi, Arcivescovo di Napoli, che subito lo incardinò nella sua archidiocesi, all'inizio del 1978.

Ma già il 26 settembre 1977 Sua Eminenza gli aveva inviato una lettera stupenda, di suo pugno, che gli fu di grande conforto. Eccola:

Caro Don Carlo,

la santa Chiesa che è a Napoli è pronta ad acco­gliere la S.V. nel suo Presbiterio.

Appena Ella verrà qui, sarà fatto il decreto di incardinazione. Prego il Signore che La inondi della Sua Luce. La dolce Vergine La guidi maternamente.

L'abbraccio con immenso affetto fraterno e La benedico.

+ Corrado Card. Ursi



Don Carlo sentiva - e lo diceva ai più intimi - che nella diocesi di Napoli si sarebbero aperte tante cose nuove per il Gam. E così fu. Solo dal Cielo egli poté vedere l'estensione del Movimento, l'intensità di evangelizzazione e il dono inestimabile dei primi tre Sacerdoti Gam usciti dalle file del Movimento, ordinati dal Cardinale stesso e incardinati nella sua diocesi.

È una trama che la Madonna sta tessendo a poco a poco, per com­piere il disegno eterno del Padre.



Coraggio, Don Carlo, vada avanti

Un altro Vescovo gli fu di incoraggiamento e di sostegno: Monsi­gnor Fausto Vallainc, Vescovo di Alba. Un giorno, prendendolo amo­revolmente per mano, gli disse: « Coraggio, Don Carlo, vada avanti. Ha una croce molto pesante sulle spalle... Ma vada avanti! ».

Don Carlo si commosse. Ogni minimo cenno di approvazione da parte dell'autorità della Chiesa era per lui un segno di approvazione da parte del Signore stesso. Monsignor Vallainc, poco dopo la morte di Don Carlo, concesse ciò che egli aveva tanto desiderato: 1'impri­matur a tutta la stampa del Gam.

Successe a Mons. Vallainc nel settembre '87 Sua Eccellenza Mons. Giulio Nicolini, proveniente dalla Sacra Congregazione dei Vescovi, vice direttore della sala stampa del Vaticano e intimo collaboratore del Santo Padre Giovanni Paolo II. Egli, oltre a ratificare i passi del suo predecessore, si prodigherà, con ansia di pastore, per ottenere ul­teriori approvazioni della Chiesa alla parte consacrata del Movimen­to. Inoltre, il 4 novembre 1989, proprio nel giorno onomastico di Don Carlo, Sua Ecc. Mons. Nicolini conferirà l'ordinazione presbiterale al altri quattro diaconi, incardinati nella sua diocesi. Provenienti essi pure dalle file del Movimento, hanno compiuto la loro formazione nella Comunità "Consacrati del Gam" presso il Santuario di Mombirone a Canale d'Alba, e la loro formazione teologica nello Studentato Teo­logico Interdiocesano di Fossano, frequentando inoltre il sesto anno nel Seminario vescovile della diocesi.

Sua Eccellenza, prendendo a cuore l'intera associazione composta di Sacerdoti e di laici, che - come egli stesso sottolinea nel settima­nale diocesano del 28 - 6 - '89 - « costituisce come "il motore" del Movimento Gam, ossia il gruppo di animazione spirituale e apostoli­ca», ha iniziato i necessari passi presso la Santa Sede per l'erezione canonica in società di vita apostolica.

« Una preoccupazione del pastore - afferma ancora - deve esse­re quella di valorizzare prudentemente il soffio dello Spirito ed i carismi che esso suscita. Nel tempo presente la fioritura di aggregazioni nuove, consentita e incoraggiata dall'ordinamento ecclesiastico che de­dica ampia trattazione alla libertà dei christifideles di associarsi, è un segno positivo. Il Papa, nella Christifideles laici, auspica che tali as­sociazioni, specialmente quelle che hanno una irradiazione nazionale o internazionale, possano ottenere il riconoscimento ufficiale da par­te dell'autorità ecclesiastica.

Il Movimento Gam, approvato come Movimento ecclesiale nel 1981 dall'Arcivescovo di Napoli - specifica inoltre - si è diffuso in varie diocesi italiane e in Argentina, in alcune delle quali ha costituito an­che dei centri di riferimento propri, riscuotendo numerose adesioni, soprattutto tra i giovani, impegnati, sempre in piena sottomissione alla gerarchia, in attività di evangelizzazione.

Tutto considerato, è sembrato giunto il momento di iniziare il cam­mino orientato a far sì che la comunità dei consacrati sia in grado di ottenere, secondo le norme del nuovo codice di diritto canonico, una fisionomia giuridico-pastorale chiaramente definita come società reli­giosa di diritto diocesano».

L'intero Movimento è profondamente riconoscente a Sua Eccel­lenza e a tutte le altre persone della diocesi che per esso si prodigaro­no, soprattutto nel Seminario Vescovile. In maniera tutta particolare Mons. Natale Bussi, grande teologo, mistico e "maestro di intere ge­nerazioni di Sacerdoti e catechisti", che conobbe personalmente Don Carlo e lo appoggiò nei suoi ideali apostolici.

Don Carlo ricordava sempre tutti con umile gratitudine. Egli ave­va visto tutto questo nella fede. « Vedrete - diceva - il Gam entrerà nella Chiesa». E questo pensiero lo riempiva di gioia.



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Sesso: Femminile
21/09/2009 21:23

8 - GESÙ DISSE AL DISCEPOLO: « ECCO TUA MADRE » (Gv 19,20

Era per lui semplicemente la Mamma


Nel 1975 nasceva il Gam: nella notte dal 23 al 24 maggio, che pre­cede la festa di Maria Ausiliatrice, ci fu una veglia di preghiera a cui parteciparono alcune migliaia di giovani di tutta Italia che riempiro­no l'ampio cortile retrostante la Basilica di Maria Ausiliatrice.

«Il Gam è tutta opera della Madonna - affermava sempre Don Carlo con sicurezza -. La fondatrice è Lei ed è anche la condottiera. È Lei che sceglie e chiama i suoi giovani».

E soggiungeva: «La Madonna mi ha preparato tutta la vita per quest'Opera; tutto è stato una preparazione in vista di quest'ora». Affermazioni come queste lasciano intravedere quale intensità di amore Don Carlo avesse per la Madonna, in quale clima di filialità e di unione con Lei vivesse abitualmente.

«L'anima di Don Carlo - disse il sig. S., portinaio del n. 9 - era per una cosa sola: la Madonna. Aveva piena fiducia in Lei; sembrava che parlasse con la Madonna ». E un confratello coadiutore: « La po­tente calamita che lo attirava era l'amore bruciante che gli ardeva in cuore per la "Mamma" del Cielo, come sempre la chiamava lui con i titoli più belli. Voleva che questo amore fosse anche preziosa con­quista dei giovani.

Nelle iniziative per Lei non vedeva difficoltà: era sicuro di vivere sempre sotto la sua ispirazione».

Chi era la Madonna per Don Carlo?

Una persona l'ha definito: "uno dei più grandi cantori di Maria, la Madre di Gesù". Don Carlo esplorava in continuazione i brani del Vangelo che si riferiscono a Lei. Li metteva a parallelo con altri tratti dell'Antico Testamento, perché diceva: « La migliore spiegazione del­la Parola di Dio è la Parola di Dio stessa ». E ne traeva delle luci sem­pre nuove per conoscere e per far conoscere la Vergine-Madre di Dio.

Aveva una penetrazione nel Mistero di Maria che era indubbiamente dono dello Spirito Santo.

S. Massimiliano Kolbe a ragione disse: « Si può comprendere Ma­ria solo in ginocchio e solo se lo Spirito Santo ci rivela la sua mistica Sposa ».

Don Carlo ha potuto entrare nel cuore di questo "giardino chiu­so", assaporare le acque limpidissime di questa "fonte sigillata" (ci Ct 4,12) che è Maria, e ne ha fatto dono incessantemente a tutti.



Non la vede, ma la sente

La sua anima vibrava particolarmente mettendo in luce le relazio­ni di Maria con le Tre Persone divine: «Vedremo di là chi è la Ma­donna; resteremo senza respiro di fronte alla sua bellezza - diceva -. Maria è la trasparenza più luminosa dei Tre, è come l'ingresso, l'introduzione alla Santissima Trinità. È il sogno più stupendo di Dio, il suo capolavoro di Grazia; l'anima più splendida, più appassionata; la più grande lode della Santissima Trinità. Fu sempre pura, immaco­lata, irreprensibile agli occhi di Dio tre volte Santo. Il suo Cuore Im­macolato è il Cuore che più ha amato, che è arrivato ai confini della Divinità, dell'Amore infinito ».

Don Carlo vedeva l'invisibile con gli occhi della fede. Un giorno, predicando gli Esercizi in un monastero di Milano, parlando della Ma­donna con accenti così vivi, qualcuna gli chiese se l'avesse vista. Don Carlo rispose, come già altre volte: « No, non l'ho mai vista, né desi­dero vederla quaggiù per poter vivere di fede. La vedrò di là e allora sarà una gioia indescrivibile ».

Al termine dell'istruzione, una monaca chiese di parlargli e gli dis­se: « Don Carlo, è vero, Lei non ha mai visto la Madonna, però la sente; ne sente la presenza, l'ispirazione... ». Colto alla sprovvista, ri­spose semplicemente: «Questo è vero ».



Poi disse al discepolo: «Ecco tua Madre» (Gv 19,27)

« Veramente la Madonna lo guidava in tutto - afferma il dott. G. - perché per lui era tutto; era soprattutto la Mamma, come lui amava chiamarla sempre ». Spiegava che un figlio non chiama la mam­ma col suo nome di anagrafe: Lucia, Anna, ecc., ma col nome che è suo proprio e che la caratterizza nel suo rapporto vitale: "Mamma".

« Come ogni mamma è felice di esser chiamata così - concludeva - la Madonna è felice di essere chiamata "Mamma"; è il suo vero no­me». E riportava il dialogo svolto tra la Madonna e S. Gemma Gal­gani: « Tu, Gemma, sei felice quando io ti chiamo "figlia mia", ma non sai la gioia che io provo nel sentirmi chiamare da te: "Mamma" ».

Questa fiducia filiale scaturiva dal capitolo 19 di S. Giovanni: « Presso la croce di Gesù stavano sua madre; la sorella di sua madre, Maria, moglie di Cleofa, e Maria di Magdala. Vedendo la madre e, accanto a lei, il discepolo che egli amava, Gesù disse alla madre: —Don­na, ecco tuo figlio—. Poi disse al discepolo: `Ecco tua madre—. Da quell'ora il discepolo l'accolse come sua» (Gv 19,25-27).

Si trovava in armonia perfetta con l'esperienza mistica di S. Tere­sina del B. Gesù: « Compresi che la Vergine vegliava su di me, che ero veramente la sua figlia, perciò non potevo chiamarla se non col nome di "Mamma" che mi sembrava più tenero di quello di Madre ».

Con le parole della piccola Teresa di Lisieux metteva in luce il se­greto della santità: « Più uno è piccolo, più lascia che Maria gli sia madre. Il bimbo si abbandona tanto più filialmente alla mamma quanto più è debole e piccolo... La perfezione della via dell'infanzia nel pia­no divino, è la vita in Maria».



Dico il Rosario e mi sento sazio

« Don Carlo è stato animatore stupendo della realtà liturgica ma­riana - scrive Sr. M. - sapeva parlare e scrivere così efficacemente di Maria, proprio perché sentiva profondamente dentro di sé l'atteg­giamento del figlio che ama la Mamma». Ed era un amore così vivo che lo sosteneva e impregnava tutta la sua vita fin nei particolari, co­me dimostra un episodio raccontato dal portinaio che prestava servi­zio in portineria al n. 9, a Torino: « Don Carlo accoglieva sempre tut­ti a qualsiasi ora, non diceva mai di no. A volte venivano all'ora di pranzo e lo intrattenevano fino a pomeriggio inoltrato. Ormai, passa­to l'orario, in refettorio non avrebbe trovato più niente e non voleva disturbare in cucina. Allora saltava il pranzo. Me ne accorgevo io per­ché osservavo in portineria e servivo a tavola. Un giorno glielo feci notare: "Ma lei, Don Carlo, non ha pranzato e così altre volte; come fa?". Mi diede una risposta che mi ha impressionato: "Sa, S., dico il Rosario e mi sento sazio" ».



Perde l'aereo ma non la pace

« Veramente si abbandonava in tutto alla Mamma Celeste - dice una claustrale che l'ha avvicinato per due anni -. Nelle difficoltà e contrarietà - che erano continue - diceva con tanto abbandono: « Penserà la Mamma; lasciamo pensare a Lei. Offriamo tutto alla Mamma. Lei sa». E viveva in questo abbandono, sicuro che Lei di­sponeva tutto».

Racconta il dott. F. che sua moglie, al termine di un Cenacolo a Roma, si offrì di portarlo all'aeroporto per potergli parlare e ascol­tarlo sul Gam. Il tempo per far salire i bambini in macchina e pagare il taxi giunto ormai a vuoto... e si incolonnarono verso l'aeroporto. Ma non essendo pratica di quella zona, girò tre volte attorno alla Pi­ramide, a piazzale Ostiense, e quando giunsero finalmente, l'aereo era già partito. Mortificata la signora si scusò, anche perché sapeva che l'indomani Don Carlo aveva un Cenacolo a Venezia. Ma egli sereno rispose: « Non si preoccupi, vuol dire che la Mamma vuole così. Lei sa... ». E continuò a parlare dell'evangelizzazione a Roma, della dif­fusione del Regno di Dio... Raggiunse Venezia passando la notte in treno in uno scompartimento di 2a classe avendo rifiutato il biglietto di 1a. E si portò al Cenacolo senza aver potuto riposare. Gli era ripo­so il suo abbandono totale alla Mamma Celeste.



La veste della Madonna

La Madonna si occupava di lui dandogli continui piccoli segni della sua tenerezza materna come si rileva da questo episodio, uno tra i molti. Un giorno una persona sconosciuta viene a cercarlo al n. 9 a Valdocco.

- È lei Don Carlo De Ambrogio? - sì.

- La Madonna le manda questa veste per i Cenacoli che dovrà ani­mare in tutta Italia (era da poco sorto il Gam).

Don Carlo ringraziò e salì in camera con il pacco. Volle provare quella veste nuova: gli andava perfettamente, senza che nessuno mai gli avesse preso le misure. E di quella persona non seppe più nulla.



Avvolgiti attorno una coperta

Un'altra volta la Madonna gli diede un segno della sua presenza di mamma. Si venne a sapere solo dopo il suo ritorno a Casa che sof­friva di reni in una maniera piuttosto acuta (la conferma emersa risa­le agli ultimi due anni) ma era un male che egli sapeva nascondere e offrire in silenzio per le anime. Ci si domanda come abbia potuto af­frontare lo stesso i continui viaggi, le fatiche dei Cenacoli, i disagi con­tinui, con così poco riposo e nessuna cura medica.

A volte lo si vedeva spossato, con gli occhi lucidi di febbre. Ma interrogato, rispondeva sempre con il suo sorriso: « Tutto bene, tutto bene! » Ed era sempre pronto a ripartire per un Cenacolo, dicendo: « La Mamma mi ha rinnovato le forze. Mi ha dato una freschezza... ». Non stupisce allora se a una fede e a un abbandono così totale e in­condizionato, il Cielo talvolta rispondesse anche in maniera straordi­naria, come in questa circostanza.

Un giorno di febbraio del 1979, fu preso da una colica acuta di reni, che questa volta non riuscì a nascondere, e Don Bruno dovette chiamare il medico, il prof. M., che nutriva per Don Carlo una gran­de venerazione. Nella notte precedente però, mentre era preso da for­ti dolori e non voleva disturbare, sentì chiara la voce della Mamma Celeste (una voce distinta, non interiore) che gli diceva: « Figlio mio, avvolgiti attorno una coperta come facevi da bambino».

Don Carlo lo fece e si sentì sollevato. Si ricordò che veramente quand'era piccolo, in casi analoghi, la mamma gli avvolgeva una co­perta ai fianchi. Dopo qualche giorno, lo raccontò a poche persone più vicine, con una tale semplicità e naturalezza da lasciar capire co­me vivesse abitualmente immerso nel soprannaturale, tanto che lo straordinario era per lui ordinario.

Non era mai però alla ricerca del sensazionale, di ciò che usciva dal normale tessuto di fede della sua quotidianità, come la Mamma a Nazaret, ed era piuttosto schivo di fronte a segni straordinari e messaggi.

Quando però, confrontando con la Parola di Dio e con la pruden­za insegnata da Gesù, constatava l'autenticità della cosa, allora acco­glieva il dono dall'Alto con la semplicità del bimbo. Aveva adottato come norma il principio di Paolo: «Non spegnete lo Spirito, non di-

sprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono » (1 Ts 5,19-21).



Incontrò Teresa Musco

Gli capitò un giorno di incontrare un'anima mistica di Caserta, Teresa Musco, di cui è aperta la causa di beatificazione. L'aveva con­dotto da Roma un suo confratello salesiano nel '75, il primo sabato del mese di febbraio. Don Carlo si schermì più volte, ma questi, es­sendo direttore spirituale di quell'anima, lo pregò con insistenza di ac­compagnarlo a farle visita. Conoscendo Don Carlo diverse lingue, com­preso l'ebraico e l'aramaico, gli sarebbe stato di aiuto nell'individua­re quale lingua Teresa parlasse quando diceva di comunicare con la Madonna.

Era una giovane donna, dotata di particolari carismi, chiamata so­prattutto ad offrire la sua vita perché Gesù rivivesse in lei la sua Pas­sione per la salvezza delle anime.

Don Carlo rimase colpito dalla semplicità di questa persona: uno sguardo luminoso, un sorriso trasparente, una povertà assoluta (vive­va in una soffitta). Le rivolse alcune domande e Teresa rispondeva da parte della Madonna in aramaico (la lingua di Nazaret ai tempi di Gesù) e poi traduceva. Don Carlo rimase colpito da alcune espressio­ni di aramaico puro, del quale si conosce molto poco, perché sono an­dati perduti molti codici.

Ecco alcune domande rivolte:

- Come desidera essere chiamata la Madonna? - Immà, Mamma.

- Come si chiama l'Angelo custode della Madonna?

- La Madonna sorride, perché è la Regina degli Angeli.

Aggiunse che egli aveva un Angelo custode "mariano" perché era na­to nella festa dell'Annunciazione.

Gli diede altre indicazioni su avvenimenti che si compirono in se­guito e che egli comprese solo più tardi. Infine Don Carlo le chiese come si dovessero preparare i giovani all'imminente bufera.

Rispose: « Spiritualmente », cioè con la forza dello Spirito Santo che scaturiva dalla preghiera, dall'ascolto della Parola di Dio e dal­l'amore a Gesù Eucaristia e alla Madonna.

Don Carlo vedeva queste circostanze straordinarie in cui si veniva a trovare, senza mai cercarle, come segni e indicazioni che la Madon­na gli metteva sulla strada a volte intricata e spinosa della sua missione.



La Mamma ti vuole tanto bene

Don Carlo sottolineava che come per l'azione dello Spirito Santo diciamo "Abbà, Padre" a Dio, così sotto lo stesso impulso divino noi possiamo dire: "Immà, Mamma" alla Madonna.

Particolarmente per i giovani assetati di amore e di sicurezza que­sta era una scoperta entusiasmante e vitale.

Dice un giovane Gam, ora Sacerdote: « L'amore alla Mamma in Don Carlo era qualcosa di bello. Ha aiutato anche me ad approfon­dirlo. Amavo già la Madonna perché in famiglia si pregava il Rosa­rio, però Don Carlo mi ha aiutato veramente a comprendere come Ma­ria non era soltanto da venerare e basta, ma una vera Mamma, viva, presente, accanto a ciascuno di noi. È stata per me l'esperienza più bella sentirla come Mamma. Don Carlo me l'ha trasmessa, perché lui la sentiva così; non ne parlava soltanto, ma viveva di questo amore ». Scrive a Don Carlo una ragazza di Milano: « Sa che con questi Cenacoli si è acceso in me il desiderio vivo di ama­re? di amare in primo luogo la Madonna, con tutto il cuore! La Ma­donna è diventata lo scopo della mia vita. Le posso portare un'espe­rienza. Sono una ragazza di quindici anni; molti dicono che la mia età sia il fiore della vita. Ma ciò non è sempre vero. Infatti ho trascor­so alcuni periodi di crisi depressiva: non avevo più voglia di vivere, niente mi entusiasmava. Ora che ho riscoperto la fede in Maria, la mia vita ha uno scopo e di conseguenza si fa vivo in me il bisogno di essere di aiuto alla nostra società ».

« Quando Don Carlo fissando negli occhi diceva quelle semplici parole: "La Mamma ti ama", dava una carica tale per andare avanti molto tempo », ricorda una giovane Gam. E un'altra: « La frase che ripeteva spessissimo: "La Mamma ti vuole tanto bene", non era una frase fatta che ripeteva a tutti, no; ti faceva sentire così amata come se la Madonna fosse visibile in quel momento. Non era un modo di dire, ma trasmetteva in quel momento la certezza assoluta che vera­mente Maria ti era accanto e ti voleva bene».



La Madonna contava su di me

Non solo i giovani, ma anche gli adulti e gli anziani ricordano questa piccola infusione di amore mariano. Dice infatti il sig. F. che accom­pagnava la figlia ai Cenacoli: « Quando Don Carlo ci confessava ave­va delle parole semplici, ma meravigliose. Diceva: "Va', la Mamma ti vuole tanto bene". Ed era una grande consolazione per noi».

Un'insegnante, dopo qualche tempo che Don Carlo era tornato alla Casa del Padre, telefonò al Centro Gam per ricevere i fogli del Van­gelo festivo "Per me Cristo". Alla fine rivelò il movente di quella te­lefonata. Mentre si trovava in villeggiatura a Tor S. Lorenzo, aveva partecipato a un Cenacolo animato da Don Carlo. Le risuonava nel­l'anima quell'espressione che lei caratterizzava "piena di Spirito San­to": "La Mamma le vuole tanto bene". « Un brivido mi percorse tut­ta - disse - e capii in quel momento che la Madonna contava su di me per diffondere la Parola del Figlio suo e l'amore con cui io stes­sa mi sentivo avvolta ». E concludeva: « Pensando a quel momento mi commuovo ancora adesso ».

Un'anziana signora di un paesino di montagna che si era confes­sata un'unica volta da Don Carlo, custodiva gelosamente in cuore quel­le parole. Un giorno confidò, dopo molto tempo, a una persona ami­ca: « Sapesse che cosa mi ha detto Don Carlo, una cosa così bella che non ho mai sentito da nessuno: "La Mamma Celeste le vuole tanto bene". Ma l'ha detta proprio a me, capisce? Proprio a me! ». E da quel momento si notò uno scatto nella preghiera e nella vita di fede di quella persona. Nei lunghi periodi di solitudine vi ripensava e senti­va la presenza della Madonna.

Le testimonianze potrebbero continuare a catena, perché era un'e­spressione che colpiva tutti e che era molto attesa da chi già lo co­nosceva.



Potrò mai essere buono?

Un giorno, mentre si recava a celebrare in un Istituto di Torino, gli si affiancò un uomo già di una certa età, dal volto scavato e i ca­pelli arruffati. Non ebbe timore di presentarsi qual era: un ex carcera­to, dimesso proprio allora dalla casa circondariale di Torino. Si tro­vava come sperduto tra la folla, ma vedendo da lontano un prete dal volto innocente di fanciullo che non l'avrebbe sicuramente respinto né giudicato, si sentì spinto a fermarlo. E là, sotto il tunnel di corso Regina, chiese di confessarsi. Don Carlo lo portò in disparte e gli la­sciò sfogare la piena del cuore.

Incurante del via vai di persone, quell'uomo ripercorse tutta la sua vita, non più con esasperazione, ora che si sentiva amato, ma con il pentimento fino alle lacrime. Man mano che si liberava dal suo triste passato gli scendeva in cuore una grande pace e un grande desiderio di ricominciare. « Ma potrò mai essere di nuovo buono? ». Don Carlo gli parlò con dolcezza dell'amore del Padre, della tenerezza della Ma­dre di Gesù, presente come Mamma nella sua vita; era lei infatti che l'aveva fatto incontrare con un Sacerdote quel mattino. Quell'uomo rude, dalla tempra di acciaio, non riuscì a trattenere le lacrime: erano parole nuove, mai sentite prima, eppure tanto vere, che gli scendeva­no nell'anima, ridestandogli energie spirituali nascoste, finora asso­pite o soffocate dal male. Don Carlo gli tracciò l'assoluzione e notò quegli occhi prima torvi e opachi diventare limpidi e luminosi come quelli di un bambino, e il volto corrugato diventare sereno, come se la carezza invisibile della Mamma l'avesse spianato.

Glielo disse e vide quell'uomo allontanarsi felice con la certezza di non essere più solo nel suo difficile quotidiano: ora si sentiva av­volto, condotto, protetto dall'amore del Padre e della Mamma Cele­ste, reso così visibile in quel Sacerdote che per primo gli aveva sorriso.



Mi manda la Madonna a dirle...

Nel maggio 1974 stava elaborando ancora nella mente un opusco­letto per commentare la "Marialis Cultus" di Paolo VI sulla devozio­ne alla Madonna. Don Carlo appoggiava sempre - a viva voce e an­che attraverso la stampa - le parole del Papa e del Magistero. Stava pensando a questo piccolo progetto quella mattina del 10 maggio e aveva in tasca il documento con le sottolineature dei brani già scelti. Ma non l'aveva ancora comunicato a nessuno.

Usciva dalla Basilica di Maria Ausiliatrice dove aveva confessato, per portarsi sulla collina, nella zona di Cavoretto dove avrebbe con­cluso gli esercizi a una comunità di claustrali. Mentre attraversava la piazza gli venne incontro una giovane donna (veniva dalla Puglia ap-

positamente) che gli disse: - Lei è Don De Ambrogio? - Sì.

- Ho bisogno estremo di parlare con lei.

- Mi scusi, ma non posso proprio fermarmi. C'è già la macchina che mi attende e sono in ritardo.

La donna insistette e aggiunse:

- Mi manda la Madonna a dirle...

- Ah, questo poi no - interruppe Don Carlo - guardi che non ci credo mica, sa!

E lei tranquilla: - Sì, mi manda la Madonna, perché lei sta scrivendo un commento popolare sull'ultima lettera del Santo Padre sulla devozione alla Madonna...

Don Carlo pensò tra sé: « Come fa a sapere questo, se lo so solo io!»

Proseguì dicendo: - La Madonna le dice di fare in fretta a pubblicarlo. È tanto conten­ta di lei, ma la prega di fare in fretta.

Gli consegnò inoltre due volumetti che la Madonna gli consigliava di utilizzare nei commenti. Voleva aggiungere altre cose, ma Don Carlo la interruppe per giungere in tempo all'altro impegno.

Egli sapeva di essere uno strumento della Madonna per annuncia­re la Parola del Figlio suo e diffondere il Regno di Dio nelle anime. Si riteneva - come disse più volte - « un bimbo nelle mani della Mam­ma: Lei può fare di me come crede».



9 - LO SPIRITO DI VERITÀ VI GUIDERÀ (Gv16,13)

L'Immacolata e lo Spirito Santo


« Lo Spirito Santo scenderà su di te e la Potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (Lc 1,35) disse l'Angelo a Maria.

« La Madonna è legatissima allo Spirito Santo - diceva Don Car­lo -. Il suo essere "vestita di Sole", Madre di Dio, significa che è tutta pervasa dalla Luce di Dio: "Dio è Luce" dice infatti S. Giovan­ni (1 Gv 1,5).

Padre Kolbe lo esprimeva con un'equazione teologica perfetta di­cendo che il Verbo, la Parola, il Figlio di Dio incarnato si chiama Ge­sù Cristo; lo Spirito Santo "quasi" incarnato si chiama "Immacolata Concezione".

La Concezione è il frutto dell'Amore: Immacolata, senza macchia, vestita di Sole. Lo Spirito Santo è l'Immacolata Concezione increata, è la Persona Divina; la Madonna è l'Immacolata Concezione creata». E concludeva: «Allora si comprende perché la Madonna è strettissi­mamente legata allo Spirito Santo. La Madre di Gesù è coperta, av­volta nell`ombra" dello Spirito»; "affidata eternamente allo Spiri­to di Santità" dirà Giovanni Paolo II (Redemptoris Mater).

« Chi è lo Spirito Santo? » gli chiese un giorno un giovane. Don Carlo si illuminò a quella domanda, sembrava non aspettasse altro per effondere la piena del cuore nel parlare del "Grande Sconosciu­to", eppure « più intimo a noi che non noi a noi stessi ».

« È la Terza Persona della Santissima Trinità - rispose - l'amo­re del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre; il loro dono e bacio reciproco.

Lo Spirito Santo è anche l'Amore con cui Dio ama ciascuno di noi.



La perla anche nel fango

Al di là di ogni evidenza egli vedeva l'onnipotenza di questo Spiri­to pronto a trasformare in un istante "le tenebre in luce", ne sentiva il gemito in ogni anima e raccoglieva quelle poche scintille ancora ri­maste, sicuro che al soffio dello Spirito sarebbe divampato un incendio di luce e di amore.

«Dio è un alchimista stupendo - diceva - sa trarre la perla an­che dal fango».

È per questo che non perdeva mai la speranza anche nei casi dispe­rati, nelle situazioni impossibili o umanamente fallite, come dimostra questo episodio avvenuto a Torino.

Una sera, (era la vigilia dell'Immacolata) lungo uno dei corsi prin­cipali della città, lo fermò un uomo. Aveva il viso stravolto e la voce affannata. Gli chiese di confessarsi. Da una finestra accanto giunge­vano intanto i tocchi lugubri della marcia funebre suonata al piano­forte. L'uomo spiegò in breve la sua storia: era un artista del teatro che aveva fallito e voleva suicidarsi perché non riusciva più ad accet­tare una situazione di frustrazione dell'ideale e l'enorme crollo finan­ziario.

« Mi confessi, Padre, e poi andrò ad uccidermi. Domani vedrà sul giornale la notizia! ». Don Carlo cercò di dissuaderlo, di infondergli nuova fiducia e speranza. Poi lo confessò. Quell'uomo fece una Con­fessione meravigliosa. Ma nella notte, ripiombando nell'atroce soli­tudine, non seppe resistere alla tentazione del suicidio.

Don Carlo al mattino cercò subito il giornale e purtroppo si im­batté in quella dolorosa notizia.

« Ne provò grande sofferenza - sottolineano le Suore non veden­ti - ma commentando il fatto aggiunse: "Noi non sappiamo, non pos­siamo giudicare. Ogni anima è un mistero. La misericordia del Padre l'avrà raggiunto per quella Confessione e l'Immacolata nella sua fe­sta certamente avrà riportato a Casa questo figlio smarrito" ».



In continuo stato di missione

« I disegni di Dio avanzano misteriosamente - ripeteva - e il filo conduttore è lo Spirito Santo. È Lui, Dio in azione, che conduce e lievita dall'interno la storia del mondo e la piccola storia di ogni uomo ».

Per questo era sempre « in stato di missione » come definiscono le Suore non vedenti di Torino la sua continua disponibilità all'azione di Dio negli avvenimenti, il suo incessante « cogliere ogni occasione per annunciare Gesù: poteva essere un giovane, una ragazza o una famiglia incontrati in tram o per la strada.

Egli non riusciva a trascurare nessuno, ma aveva per tutti quella Parola di Dio che illumina e sostiene.

Si lasciava continuamente condurre dallo Spirito di Verità, « il pri­mo evangelizzatore, colui che fa di ognuno di noi un testimone e un evangelizzatore secondo la Parola di Gesù: —Lo Spirito di Verità che procede dal Padre, mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete testimonianza perché siete con me sin dall'inizio" (Gv 15,26-27) ».



Eccomi

« Quando si bussava alla sua porta - racconta una persona - in­variabilmente rispondeva con l'espressione biblica a lui cara: "Ecco­mi". E si metteva a completa disposizione come se non avesse altro da fare ». Quell`eccomi era il tessuto abituale della sua vita. Lo at­testa, una tra le innumerevoli, la testimonianza del portinaio del n. 9 di Valdocco: «Lo chiamavo anche quindici o venti volte al giorno perché era richiesto da molte persone, Sacerdoti e in particolare Suo­re; venivano per parlargli o confessarsi. Immancabilmente interrom­peva il lavoro e scendeva. Era appena risalito e di nuovo dovevo chia­marlo. Eppure mai che si rifiutasse o si lamentasse. Aveva la stanza al secondo piano e io a volte gli dicevo: "Ma le sue gambe, Don Car­lo, la reggono ancora?". Rispondeva con il suo solito sorriso sincero e buono. Non mi sapevo spiegare dove trovasse tanta energia ».

« Era così pronto quando lo si chiamava tramite il citofono per le Confessioni - afferma una Suora della portineria di fronte - che io credo non lo sarebbe stato di più per un Cardinale o un'altra auto­rità di prestigio ».

E una giovane Gam: « Io consideravo Don Carlo una persona "im­portante", molto al di sopra di tutti quelli che conoscevo, invece lui quand'era con noi giovani, si comportava con molta umiltà, non tra­scurava nessuno, aveva un sorriso per tutti, tanto che sembrava che niente per lui fosse più importante che lo stare lì con noi».

Era il fluire dell'Amore nell'attimo presente al quale non metteva sbarramenti di alcun genere.



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Sesso: Femminile
21/09/2009 21:30

10 - MITE E UMILE DI CUORE

Un santino in punta di piedi


Maria fu la Vergine dell'umile e silenzioso nascondimento. Don Carlo sulla sua scia fu definito da un giornale cattolico: « Un santino in punta di piedi ». Nel suo atteggiamento, nel suo modo di parlare, nel suo stesso incèdere era così discreto da sembrare quasi scu­sarsi della sua presenza. E sempre ringraziava della presenza degli al­tri. Incarnava ciò che diceva: « L'umiltà è la facoltà, la virtù forse ac­quistata faticosamente di non porsi mai al centro degli avvenimenti e degli interessi ». E commentava un pensiero del Cardinal Journet: "L'umiltà è già adorazione", cioè è rispetto per l'Infinito che abita in noi.

« L'umiltà fu la caratteristica che più mi colpì in lui fin dal primo incontro - dice il dott. G. - Possedeva delle capacità immense, enor­mi e in più aveva una ricchezza interiore traboccante di Parola di Dio, di Gesù stesso. Era un modello di santità. Eppure non faceva pesare niente di tutto questo; non faceva neppure apparire questa sua supe­riorità. Ricordo quando lo scorgevo di lontano attraversare la piazza Maria Ausiliatrice nel primo pomeriggio d'estate, col sole cocente, si­lenzioso, nessuno lo vedeva; entrava nel portone n. 9, saliva le scale, si immergeva nel suo lavoro... Un'umiltà immensa ».



Lasciava a Dio la difesa dei suoi diritti

Un giorno giunse all'aeroporto che il volo era già al completo e in più vi era una lunga lista di attesa. A Roma lo attendevano per un Cenacolo Gam con i militari. Don Carlo, come al solito, non si lasciò prendere da ansia o agitazione, ma si abbandonò alla Mamma. II dott. G. che lo accompagnava, chiese a un signore se poteva gentilmente cedere il posto al Sacerdote, prendendo l'aereo successivo. Questi era rappresentante di una grande ditta. Considerato il caso urgente e con­quistato dall'umile atteggiamento di quel prete sconosciuto, acconsentì. Il cambio fu subito effettuato allo sportello e Don Carlo passò alla sala d'imbarco. Ma quando fu il momento di salire sull'aereo, un altro signore giunto all'improvviso gli passò davanti e consegnò la car­ta d'imbarco dicendo di essere lui De Ambrogio. Don Carlo senza ri­battere nulla tornò indietro. Il rappresentante visto che il suo gesto di generosità era andato a vuoto dopo aver ritardato i suoi impegni, si adirò con i responsabili dello scalo. Don Carlo non ebbe alcuna pa­rola di rammarico o di condanna per chi aveva osato un simile gesto di sopraffazione.

L'aereo ritardò un po', ma decollò ugualmente; ulteriori indagini sarebbero state effettuate allo scalo di Roma. Don Carlo si mise in disparte silenzioso e attese pazientemente il volo successivo. Come sempre lasciò a Dio la difesa dei suoi diritti.

Cinque anni dopo la sua morte, un addetto al servizio accettazio­ne dell'aeroporto, chiese come mai non si vedeva più quel Sacerdote umile, discreto, dal sorriso luminoso. Milioni di passeggeri erano pas­sati da quell'aeroporto, ma gli era rimasta impressa quell'umile figu­ra di Sacerdote.



Come avesse ricevuto un complimento

«Un giorno lo accompagnai nel suo istituto come parecchie altre volte - ricorda un giovane Gam -. Scesi dalla macchina e fatti alcu­ni passi nella piazza sotto il sole cocente, una persona ben nota lo apo­strofò con molta ironia: « Oh, guarda qua, è arrivato "Ave Mamma" ». Io mi sentii ribollire dentro e avrei voluto ribattere per le rime. Ma Don Carlo rispose con un sorriso: "Ah, grazie!", come se avesse ri­cevuto un complimento sincero.

In molte altre occasioni ho potuto constatare il suo atteggiamento umanamente inconcepibile di fronte a chi lo umiliava e derideva. Sor­rideva, ringraziava e con quel suo "grazie" chiudeva ogni discorso, lasciando a volte confuso chi lo affrontava con aggressività. Spesso mi chiedevo fino a che punto arrivasse la sua sofferenza per queste incomprensioni ».

Da dove gli veniva l'atteggiamento di agnello nonostante la sua natura sensibile e pronta? Dal guardare continuamente a Gesù « mite e umile di cuore ».



Voleva baciarmi le mani

« Era tremendamente umile - attesta il portinaio del n. 9 di Val­docco -. Per le commissioni che gli facevo voleva baciarmi le mani. Ogni volta che passava dalla portineria mi sorrideva e spesso mi trac­ciava un segno di benedizione. Ringraziava sempre, per ogni più pic­cola cosa. Sentivo in lui un amore e una bontà che non ho ricevuto mai da nessun altro.

Il lavoro che facevo per lui non mi pesava, non lo sentivo neppure anche se si prolungava fino ad ora tarda. Era come se qualcosa mi spingesse a collaborare. Non sentivo stanchezza. Con tutti Don Carlo era umile e buono. Spesso le persone che venivano a cercarlo si mette­vano in ginocchio davanti a lui e lui faceva di tutto per farle alzare dicendo: "Si alzi, io non sono niente", ma quelle non si muovevano finché non le aveva benedette».

« La sua umiltà ci incantava - afferma un suo confratello coa­diutore salesiano -. Don Carlo tanto colto, mai faceva ostentazione di sé. Si intratteneva con persone povere, anziane; non dava mai im­pressione di fretta, le trattava con la massima dolcezza: era più che manifesto che in loro vedeva il volto del Signore. Sorprendeva il ve­derlo sempre pronto, sempre disponibile. In sessant'anni di perma­nenza in questa casa non ho mai trovato una persona così».



L'umiltà dei Santi

« Alla fine di un Cenacolo Gam - ricorda una persona - i nume­rosi Sacerdoti presenti lo investirono in sacrestia di domande, obie­zioni, critiche anche. Discutevano animatamente tra loro. Io guarda­vo Don Carlo e dall'intervenire rispondendo per le rime a quei toni aggressivi e poco rispettosi, mi trattenne il suo volto di pace che con­servava ancora il sorriso e rifletteva veramente il volto di Gesù, mite Agnello immolato, che aveva appena ricevuto nella Celebrazione Eu­caristica.

Rispondeva all'uno e all'altro con calma e mitezza, per nulla offe­so, cercando di calmare e rasserenare gli animi. Dopo aver ascoltato pazientemente tutti, disse: "La Mamma Celeste penserà Lei..., l'O­pera è sua". Altre volte lo vidi attaccato e criticato per la stampa, lo stile di animazione dei Cenacoli..., ma lui manteneva sempre un at­teggiamento umile e sereno. Mi sembrava di vedere Gesù caricato del­la croce, che camminava sobbarcandosi anche il peso di quelle incom­prensioni. Ho avvicinato molti Sacerdoti e religiosi, ma in Don Carlo ho visto l'umiltà dei Santi».

«Uno dei ricordi più distinti che conservo nel mio cuore - dice un giovane Gam - è la sua grande umiltà e la capacità di perdonare. Eccone un esempio significativo.

Avevamo preparato un incontro di preghiera in Cenacolo Gam in un paese del Cadore dove stava per arrivare il Papa. Tutte le strade erano tappezzate di locandine. All'ora stabilita in comune accordo con il Parroco, iniziò il Cenacolo con Don Carlo e Don Bruno e la chiesa non poteva contenere più persone di quelle che c'erano già. Tutti era­no affascinati e coinvolti dalle parole di Don Carlo quando, ad un certo momento, intervenne il Parroco avvisando Don Bruno che biso­gnava interrompere. Subito Don Carlo, scusandosi con i presenti, an­nunciava una S. Messa celebrata da un Vescovo di passaggio con un gruppo di Sacerdoti. Egli intanto rientrava in sacrestia in tutta mitez­za e serenità.

Tutti, credo, (senz'altro io per primo) ci saremmo un po' risentiti, ma non Don Carlo che pazientemente attese la fine della S. Messa par­ticolarmente lunga nell'occasione, e con la stessa gioia e disponibilità iniziale riprendeva il Cenacolo per le pochissime persone rimaste. Quan­ta umiltà nel sottostare alle esigenze di quella situazione e quanta ca­pacità di perdono ha dimostrato. Interrotto, sballottato da un angolo all'altro della sacrestia, non solo non si è ribellato ma ha saputo capi­re e perdonare».

« Un'altra volta trovandosi di passaggio con Don Bruno presso una parrocchia tenuta da religiosi in un paese della Toscana, vi entrarono per parlare del Gam e proporre eventualmente un Cenacolo. Furono assaliti da una tempesta di critiche e cacciati in malo modo. Don Car­lo ne soffrì molto, ma si limitò a dire: « Ci hanno trattato come due cani randagi, ma anche Gesù fu trattato molte volte così. Lottare e soffrire per il Vangelo è una grazia, dice S. Paolo».



Parlava di Gesù e spariva

« L'umiltà - spiega Don Carlo - è il non sottolineare se stessi.

E questa dimenticanza di sé si può definire anche "castità" essenzia­le. L'umiltà è la verginità dell'anima».

La signorina G., presente a molti Cenacoli, attesta: «Quando le persone calamitate dalla Grazia, che fluiva dal Cielo ininterrottamen­te nei Cenacoli - e lo si constatava anche dalle numerosissime Con­fessioni - affascinate anche dalla sua spiritualità, cercavano alla fine di avvicinarlo per esprimergli gratitudine, egli ringraziava, sorrideva e scompariva dalla porta di servizio».

Questo suo ritirarsi nell'ombra impressionava anche i giovani stessi. « Quand'era il momento più esplosivo della gioia, in un clima di festa al termine del Cenacolo - esprime una giovane Gam - Don Carlo era il primo a scomparire, proprio per farci capire che il protagonista non era lui, ma Gesù e la Mamma Celeste. Lui usciva dalla sacrestia e non lo si trovava più. Eppure tutti rimanevano contenti e continua­vano ad esprimere la gioia cantando e battendo le mani. Chi fosse en­trato in quel momento si sarebbe forse chiesto il motivo di tutto questo, perché in un certo senso mancava il protagonista. Ma noi sapevamo, perché Don Carlo ci aveva insegnato a vedere... l'invisibile ».

Ricorda il suo direttore degli anni di Pordenone: « Don Carlo era un confratello esemplare sotto ogni punto di vista. Non sottolineava mai se stesso o quello che faceva. Anche incontrandolo dopo diversi anni, quando era richiesto in molte parti d'Italia per corsi di esercizi spirituali, ecc. riferiva i suoi impegni senza darsi la minima importan­za. Colpiva la semplicità e il candore con cui raccontava le cose sue come fossero cose di altri ».

« In tante occasioni avrebbe potuto mettersi in vista, atteggiarsi..., ne aveva tutte le qualità - dice una giovane Gam - ma non l'ha mai fatto ».

E un giovane: « Don Carlo aveva una preparazione tale da poter aspirare a ricoprire cariche importanti ed essere considerato sia in cam­po religioso che sociale. Ma ha preferito farsi piccolo e umile per es­sere vicino a noi giovani e a quelli come noi, perché potessimo cono­scere la Via, sapere la Verità, vedere la Luce».

Incarnava veramente la Parola e l'atteggiamento di Gesù: "Io so­no in mezzo a voi come uno che serve" (Lc 22,27).

« Non è facile parlare di Don Carlo - dice un altro giovane Gam - perché veniva tra noi, parlava di Gesù e spariva ».



Gli consegnò anche una busta

« In un Cenacolo in Liguria con grande partecipazione di popolo - ricorda un giovane Gam adesso Sacerdote - iniziavano le Confes­sioni. Di fronte a Don Carlo una lunga fila attendeva. Però essendo l'ora stabilita della Messa, il Parroco non volle affatto protrarre l'o­rario e strappò a forza Don Carlo portandolo in sacrestia. Noi giova­ni lo seguimmo e potemmo vedere il suo silenzio fatto di mitezza e di abbandono. Senza una parola vestì i paramenti e celebrò la S. Mes­sa, facendo l'omelia con la sua solita gioia di sempre. Tornato in sa­crestia salutò cortesemente il Parroco consegnandogli anche una piccola busta di offerta. Non un commento e neppure un accenno a ciò che era successo.

Dopo qualche giorno raccontò di questo bel Cenacolo ai giovani e ai collaboratori, ma questo fatto passò sempre sotto silenzio. Ancor oggi ripensando a quest'esperienza mi chiedo fino a che punto Don Carlo fosse abituato al rinnegamento di sé».



Sotto il livello degli altri

« Ciò che mi colpì molto all'inizio - dice un giovane Gam - è la semplicità con cui anche nei Cenacoli spiegava concetti molto pro­fondi e difficili. Erano argomenti del tutto nuovi per noi che non ave­vamo fatto studi di teologia, eppure riusciva a portarli al nostro livello, rendendoli comprensibili e facendoceli gustare. Alla fine ci si accor­geva di aver assimilato quello o quell'altro concetto di fede e questo era per noi motivo di crescita spirituale e di incitamento a proseguire nell'evangelizzazione per dare agli altri ciò che noi avevamo ricevuto ».

« Era molto umile e semplice nel parlare di Dio - esprime una vec­chietta -. Non avrei mai voluto che finisse la predica e la Messa cele­brata da lui».

Solo l'umiltà sa abbassarsi al livello di chi ci sta dinanzi, anzi - ripeteva spesso - « per annunciare il Vangelo occorre mettersi sotto il livello degli altri, come Gesù ».



Io sono a suo servizio

« Dio vuole che mendichiamo sempre dagli altri - diceva ancora.

Esige da noi che la nostra umiltà prenda la forma di un mendicante in tutte le situazioni della vita, anche quando il nostro amore viene respinto. Vuole che si sia lì con la nostra presenza, che si faccia del bene senza farsi accorgere, che si rimanga lì come mendicanti ».

Don Carlo assumeva sempre questo atteggiamento.

« Quando ancora mi trovavo nella vita apostolica - dice una clau­strale - a volte capitava che giungevo all'istituto dove stava confes­sando quando ormai era già sceso in portineria e stava uscendo. Nonostante i suoi molteplici impegni tornava subito indietro e poiché mi scusavo del ritardo, diceva: "No, no, non deve chiedere scusa: io sono a suo servizio". Colpiva questa gratuità del dono, questo atteg­giamento del servo. Tutto questo dilatava l'anima e si usciva raggianti ».



Non dire "padre"

Don Carlo viveva sempre nelle profondità dell'essere e dell'amare perché faceva continuamente spazio a Dio e agli altri vivendo l'umiltà fin nelle sue più delicate sfumature.

Non voleva, ad esempio, essere chiamato "padre" per un'atten­zione delicata alle parole di Gesù: «Non chiamate nessuno padre sul­la terra, perché uno solo è il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 23,9).

« Un giorno salutandolo - racconta una Suora - gli dissi: "Gra­zie, padre". Una bambina lì presente interruppe: - Non dire "pa­dre", ma "Don Carlo"! I bambini lo comprendevano al volo».



Giù, baci terra

« Umiltà - diceva - significa sopportare l'oscurità di questo mon­do e trasformarla pazientemente in luce, soprattutto l'oscurità del no­stro mondo interiore, del nostro io ».

«Un giorno che ero ancorata ai miei diritti e punti di vista - ri­corda una Maestra delle novizie - con i quali giustificavo qualche ri­sentimento verso una Sorella - con tono del tutto insolito mi riprese seriamente e mi ingiunse di inginocchiarmi a baciar terra, dicendomi che potevo andarmene a casa se non sapevo superare queste difficoltà dovute all'amor proprio e all'orgoglio. Mi stupì molto questo suo at­teggiamento perché era invariabilmente di una dolcezza straordinaria, ma l'efficace effetto che operò su di me mi portò a pensare che egli fosse in quel momento ispirato dallo Spirito Santo. E da quella volta prima di andare da lui pregavo il dolce Ospite che gli suggerisse quel­lo che la Mamma Celeste si attendeva da me».

« Mi ha aiutata a controllare il mio carattere esuberante e orgo­glioso, senza mai dirmi parole mortificanti - dice una claustrale -. Quando nel colloquio uscivo con un'impulsività o un giudizio poco umile e caritatevole, mi diceva con dolcezza: "Giù, baci terra", op­pure faceva un sorriso significativo, o uno sguardo, dal quale io capi­vo la necessità di assumere un atteggiamento umile che non era dav­vero naturale in me».



Sarebbero una mollezza

L'umiltà si esprimeva in lui anche con la povertà e il distacco dalle cose. Per lui tutto andava bene, tutto era sempre anche troppo. So­prattutto accoglieva ogni cosa come un dono.

Un giorno, una piccola Comunità di Consacrate lo vide arrivare d'inverno in bicicletta con la sola veste. Andarono subito a compera­re un cappotto che accettò come una delicatezza della Mamma Celeste.

Accettava però solo il necessario, non il superfluo e le ricercatezze. Una volta infatti altre Suore gli regalarono un paio di pantofole calde e morbide, rivestite all'interno con peli di agnello. Don Carlo ringraziò, ma rifiutò con gentilezza motivando: «Sarebbero una mollezza ».

« Lo vedevamo sempre con la stessa veste, ordinata, ma ormai un po' logora - attesta il cognato di Torino -. Solo una volta lo ve­demmo con una bella veste nuova: quando dovette andare a Roma come traduttore di latino al Capitolo Generale».



Mamma, guarda che scarpe ha lo zio!

Un giorno, dovendo passare per Vicenza con alcune persone, die­de appuntamento ai parenti nella Basilica di Monte Berico. Venne la sorella Lucia con i due bambini. Don Carlo celebrò con viva gioia e trasporto davanti a quell'immagine della Madonna dal manto aperto che gli richiamava tanti ricordi della sua fanciullezza. Il nipotino più grande gli serviva Messa e ricorda ancora adesso che dall'emozione rovesciò il vino. Il più piccolo, che non perdeva una mossa dello zio all'altare, a un tratto toccò il braccio della mamma indicandolo men­tre faceva proprio in quel momento la genuflessione:

- Mamma, mamma, guarda che scarpe ha lo zio! - Che scarpe ha?

- Con i buchi. E ci ha messo dentro una cartolina per ripararli. La sorella constatò che le cose stavano veramente così e alla fine della Messa invitò il fratello a passare al paese per comprargliene un paio di nuove.

Don Carlo si schermì: « No, no, sono buone queste! ». Fece una breve visita al paese per far contenta Lucia (andava così raramente a casa e quelle poche volte vi si fermava solo qualche ora di sfuggita). Ma non volle saperne di scarpe nuove. E proseguì con quelle bucate per Milano dov'era atteso per una conferenza importante.

La sorella ricorda chiaramente che qualche tempo prima la mam­ma gliene aveva fatto dono di un bel paio di nuove. Ma egli le aveva subito regalate. Amava essere povero con Gesù povero.



Povertà, Sorella, povertà

« Donava sempre tutto » commenta la sorella Lucia. Anche la so­rella Renata sottolinea la sua generosità senza limiti. Le rare volte che andava a farle visita a Torino gli regalava sempre un vassoietto di dolci. Ed egli li regalava subito, talvolta allo stesso tranviere per i suoi bambini.

Una Suora dell'Istituto "Figlie di S. Giuseppe" di Torino - dove per alcuni anni Don Carlo andava a confessare - ricorda di averlo visto portarsi là, in collina, sempre in bicicletta, con qualsiasi tempo, anche d'inverno.

Un giorno una Suora gli disse: «Don Carlo, prenda almeno il tram! ». E lui: « Povertà, Sorella, povertà ».



11 - CHI RIMANE NELL'AMORE RIMANE IN DIO (1 Gv 4,16)

In ognuno è presente Gesù


« L'umiltà - afferma Don Carlo - sfocia necessariamente nella carità, come il fiume sfocia nel mare».

Una notte, mentre assisteva il papà all'ospedale, sentì il lamento di un altro malato vicino. Don Carlo gli si accostò amorevolmente e comprese che in quelle condizioni non avrebbe potuto riposare. L'in­fermiere notturno, dovendo occuparsi di molti malati, rimandò quel servizio al mattino. Don Carlo allora con delicatezza materna se ne occupò lui: lo lavò, gli indossò indumenti puliti e gli rifece il letto con lenzuola fresche. Lo trattò come fosse suo padre.

Quell'uomo che non aveva nessuno si commosse fino alle lacrime e non finiva di ringraziare per la bontà e la degnazione di quel "prete buono".

« L'amore vero - diceva sempre - non si vergogna di nessun ab­bassamento. Non dice: "La mia dignità, il mio prestigio me lo proibi­scono", no, guarda solo al bene degli altri. Ogni persona è qualcosa di stupendo. In ognuno è presente Gesù: —In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più picco­li, l'avete fatto a me" (Mt 25,40) ».



Una caramella e un sorriso

« Un giorno passando vide degli operai che scaricavano un camion - dice un giovane Gam adesso Sacerdote -. Don Carlo si fermò, li salutò uno ad uno per nome regalando a tutti una caramella. E si con­gedò sorridendo. Lo vidi più volte compiere questo piccolo gesto di attenzione con varie persone ».

Ci fu un anziano signore di un paesino di montagna che conservò per anni come un prezioso ricordo una caramella ricevuta da Don Car­lo. L'aveva incontrato mentre lavorava nel campo. Don Carlo gli ri­volse qualche parola di saluto e di interessamento e poi trasse di tasca quel semplicissimo dono e glielo porse con il suo sorriso. Quell'uomo dopo anni lo mostrava con commozione e diceva: «Me l'ha data un santo!».

Per chi ama, nulla è troppo piccolo o trascurabile. Don Carlo vi­veva costantemente nell'amore e lo irradiava.

«Aveva finezze veramente uniche - attesta una Suora - che invita­vano alla fiducia, all'apertura ».

« Sorrideva sempre - dice un giovane Gam ora Sacerdote - di un sorriso che veniva dall'anima. Alla fine dei Cenacoli cercavo a volte di avvicinarlo e notavo che anche se era intento a parlare seriamente con qualche persona, appena vedeva un giovane, subito si illumina­va. Io penso che i Santi abbiano sempre motivi di sofferenza, però Don Carlo si presentava sempre con un sorriso splendido. È la carat­teristica che più ricordo di lui e che mi aiuta a imitarlo nel dimenticar­mi quando per qualche sofferenza mi è difficile sorridere».

« Il sorriso è un dono di carità - spiega Don Carlo -. È uno dei doni più meravigliosi che Dio abbia fatto all'uomo, perché è manife­stazione di vita profonda. Gli animali non sorridono; solo l'uomo lo può».

«Il suo sorriso aveva qualcosa di magnetico - dice un altro gio­vane Gam - non ci si stancava mai di guardarlo».



Dietro quel sorriso...

« Per gli altri Don Carlo era solo sorriso - dice un altro giovane che lo accompagnò in molti Cenacoli -. Quando si addormentava in viaggio allora notavo sul suo volto i segni di una grande stanchezza, ma non appena si svegliava, si atteggiava subito al sorriso. Da questo e da altre circostanze dolorose compresi come dovesse costargli sfor­zo il sorridere costantemente. Ricordo il giorno in cui lasciò Valdocco e venne al Centro Gam di Via S. Giuseppe Cottolengo, 26. Lo acco­gliemmo in pochi intimi, facendogli un po' di festa. Don Carlo sorri­se, un sorriso di cielo, ma straziante, in cui traspariva la sofferenza di Gesù stesso».

« In quella stessa occasione - ricorda un'altra persona - durante la Celebrazione Eucaristica, disse: "Ecco, adesso sono tutto per voi, tutto per il Gam". Ci commosse profondamente questa eroica dimen­ticanza di sé fatta con tanta serenità. Al termine della Messa gli offrimmo un mazzo di rose rosse e lui subito le donò a una persona lì presente che piangeva».

« Attraverso il sorriso di Don Carlo, un sorriso splendido e trasfi­gurato ho capito veramente la gioia del Paradiso » dice un giovane Gam.



Lo raggiunse e lo abbracciò

« L'uomo ha più bisogno di attenzione e di rispetto che non addi­rittura di pane - diceva - perché porta in sé il sentimento della pro­pria importanza, del proprio valore, della propria dignità suprema. Avverte, anche se confusamente, che è Figlio di Dio; sente di essere qualcuno di infinitamente prezioso ».

Don Carlo lo teneva presente sempre, anche con i più emarginati e disprezzati.

Un giorno, mentre scendeva le scale di un istituto, vide che la por­tinaia s'impazientì con un povero venuto a chiedere l'elemosina e lo cacciò in malo modo. Don Carlo non disse nulla, attese che il povero uscisse, poi affrettò il passo, lo raggiunse e lo abbracciò nel mezzo della piazza. Quel gesto significò per quell'uomo umiliato molto più di una ricca somma.



So che li ricorda ancora

« Non so come potesse chiamarci per nome in mezzo a tutte le per­sone che conosceva » - dice una signora -. Eppure, appena ci vede­va, ci salutava per nome ».

E una giovane Gam: « Alla fine di un Cenacolo, il primo a cui par­tecipai, venne tra noi per salutarci; si trattenne solo pochi minuti, ci diede la mano e chiese tutti i nostri nomi che ricordò sempre. So che li ricorda ancora dal Cielo ».

« Il nome - spiegava Don Carlo - è il vocabolo più gradito. Sen­tirsi chiamare per nome piace subito e dà gioia ».



Un amore che intuiva

«Aveva sempre gli occhi aperti sugli altri, soprattutto sui giovani - dice una giovane Gam -. Coglieva ogni piccola cosa e sapeva sempre come rincuorare. Ricordo che alla fine di una giornata stupenda di preghiera a conclusione dei primi Campi-missione Gam a Taglia­cozzo, tutti eravamo tristi perché le missioni estive erano finite e ognuno doveva tornare nella propria città o regione. Don Carlo si avvicinò a noi e con un sorriso di cielo ci disse: "Coraggio, avanti! Vedrete che presto faremo un incontro di preghiera a Firenze, a metà strada, per tutti!". Bastò questo per partire con tanta gioia e tanta voglia di evangelizzare. Don Carlo conosceva a fondo i giovani e comprendeva le loro debolezze».

« Una sera mi sentivo triste e solo, con una gran voglia di piangere - ricorda un altro giovane Gam -. Ero solo in una stanza à piano terra di una Casa religiosa e Don Carlo si trovava al secondo piano. Dopo un po', non so come, scese e vedendomi in lacrime si interessò amorevolmente di me. Scoppiai in un pianto dirotto ed egli allora mi prese delicatamente per mano e mi portò all'aperto. Era ormai buio e la strada deserta. Mentre camminavo gli dissi che non mi capivo, non sapevo spiegare il motivo di quell'angoscia. Allora mi invitò a in­ginocchiarmi lì sull'asfalto e mi fece un piccolo esorcismo, benedicen­domi. Subito ogni ombra si dileguò e ritornai sereno».



Rimandi ciò che ha intenzione di fare

« Quando riuscivo a trovarlo andavo a confessarmi da lui - atte­sta una signora di Ivrea -. Una volta, al termine della Confessione, rimase qualche istante in silenzio a occhi chiusi e senza che gli manife­stassi nulla, mi disse: "Quello che ha intenzione di fare, lo rimandi". Niente più. La mia intenzione era di partire per Aosta per andare da mio figlio. Ripensando alle parole di Don Carlo rimandai la parten­za. Fui colta infatti da grave malore e se fossi stata in viaggio avreb­bero dovuto fermare il treno e farmi ricoverare all'ospedale più vici­no. Invece mio figlio fu avvertito con urgenza di portarsi subito da me ».

Una Suora che assisteva la mamma molto grave, alla sera aveva il terrore di trascorrere la notte all'ospedale, tanto più che si erano verificate delle scosse sismiche allarmanti. Don Carlo le diede la pos­sibilità di telefonargli ogni sera alle 19. Qualunque cosa stesse facen­do, qualsiasi colloquio, interrompeva e si portava al telefono: la incoraggiava con qualche Parola di Gesù, assicurandole la presenza della Mamma Celeste. La Suora trovava così la forza di rimanere a veglia­re la mamma.

« Si vede bene solo col cuore - ripeteva sempre, riportando un'e­spressione di Antoine di Saint-Exupery nel suo libro: "Il piccolo prin­cipe" -. Si vede bene solo col cuore, cioè con l'amore». E commen­tava: « Quando Gesù dice a Tommaso: `Metti la tua mano nel mio costato -, nel mio Cuore, è perché si vede e si opera bene solo col Cuore di Dio».



Grazie, perché esiste

«Si accorgeva di ogni piccolo servizio che gli veniva offerto, rin­graziava per ogni minima attenzione - attesta una claustrale. Si ve­deva per questa sua gratitudine e delicatezza che era stato formato al­la scuola della Mamma Celeste».

« Ripeteva sempre un grazie di cuore a chiunque lo avvicinava, lo salutava, lo... criticava - dice un giovane Gam -. Ringraziava an­che solo per la semplice presenza».

« Ma io non ho fatto proprio niente, perché mi ringrazia? » gli dis­se una volta una persona. E lui: «Grazie, perché esiste».

Alla fine di un Cenacolo Gam in S. Marco a Venezia, il patriarca Luciani, che aveva seguito il Cenacolo, si congratulò con lui e lo invi­tò in Vescovado a prendere il caffé intrattenendosi a lungo. Don Car­lo non finiva di raccontare quella finezza ricevuta.

« Dite sempre grazie - sottolineava - perché è più quello che ri­ceviamo di quello che doniamo. La riconoscenza è un dono bellissimo di carità».



Non era una santità che scostava

Un confratello coadiutore vissuto accanto a lui per vent'anni a To­rino scrive: « La bontà di Don Carlo era illimitata; tanti confratelli e altre persone ricorrevano a lui per una poesia, una lettera, un com­ponimento, la correzione di bozze... Per tutti immancabilmente si pre­stava; ogni richiesta era soddisfatta in breve tempo e accompagnata da un sorriso che conquistava. Colpiva la sua continua disponibilità. Era amico di tutti. Aveva un alone di santità, ma non era una santità che scostava e intimoriva, no, non si aveva mai paura di avvicinarlo, di disturbarlo: era alla portata di tutti e accoglieva sempre con il sorriso ».

E il suo direttore di Pordenone: « Era molto cordiale, buono, gen­tile sempre, con tutti; tollerante e paziente in ogni circostanza. Era amico di tutti, sia dei confratelli che dei giovani; ne guadagnava la stima, l'affetto, la simpatia con quella sua bontà e benevolenza, an­che per il suo carattere sereno, ottimista e per quella sua apertura cor­diale verso tutti, senza riserve ».

« Aveva un tratto tutto particolare di dolcezza, di bontà, di finez­za - attesta un Parroco - che non erano diplomazia, ma carità evan­gelica ».

« L'invidia, la ricerca di sé, l'orgoglio erano totalmente alieni dal­la sua struttura, vorrei dire psichica, prima che spirituale - afferma ancora il suo direttore -. Era tanto semplice e buono, sempre dispo­nibile e molto intelligente nell'afferrare il nocciolo di ogni situazione e necessità di lavoro di qualsiasi tipo: improvvisava, risolveva tutto con la sua calma e serenità e passava ad altri doveri senza cercare l'ap­plauso e l'affermazione di sé».



Un'improvvisata di gioia

Faceva continuamente esperienza di quanto afferma il discepolo prediletto:

«Dio è Amore, chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio in lui» (1 Giovanni 4,16).

«Nella misura in cui siamo cristiani - diceva - dobbiamo pro­curare agli altri la gioia di sentirsi amati».

« La sua gioia era quella di donare, donare sempre - afferma una Suora inferma da lui visitata - lasciare un sorriso di comprensione, di bontà, un parola d'incoraggiamento e di fiducia».

Un giorno, dopo aver animato per un'intera mattinata la prima parte della Giornata-Cenacolo di Formula 1 ad Imperia, nel tempo del pranzo si recò all'ospedale sanatoriale di Cipressa-Aregai di S. Lo­renzo per la visita a questa Suora ammalata.

Fu per lei un'improvvisata di gioia, un dono inatteso. Le parlò di Gesù, si rese disponibile per la Confessione e le lasciò una gioia di cielo. Il suo pranzo? Un bicchier d'acqua chiesto alla Suora. Erano le 14: rimaneva giusto il tempo per tornare e continuare il Cenacolo con i giovani.



In tempo per dare gli ultimi tocchi

Una Suora aggravatasi venne dimessa dall'ospedale: non c'era più niente da fare. Cosciente del suo stato e prevedendo prossima la fine, pregò di avvisare Don Carlo. Lo cercammo con urgenza ma si seppe che era partito per Milano e non si sapeva come rintracciarlo. Una sera, verso le 23, Don Carlo telefonò che era in viaggio di ritorno da Bari e pregò di avvisare l'inferma di stare tranquilla che sarebbe giun­to in tempo: la Mamma Celeste ci avrebbe pensato. Con grande sor­presa e conforto di tutti Don Carlo giunse davvero in tempo per dare gli ultimi tocchi alla preparazione di quell'anima all'incontro con lo Sposo divino. Chi l'aveva avvisato? Nessuno lo seppe spiegare.

Interrogato, si limitò a dire: «Le avevo promesso che sarei stato presente in quell'istante».

Avvenne lo stesso per un'altra Suora ammalata grave, Suor Gia­cinta dell'Istituto Cottolengo di Torino. La consorella infermiera che l'assisteva, invitava sempre Don Carlo a farle visita, ma essendo mol­to impegnato non riusciva mai ad andare. Le mandava a dire di non andarsene in Paradiso prima che egli arrivasse e di stare certa che la Madonna l'avrebbe fatto giungere in tempo. Intanto la Suora era or­mai andata in coma ed egli era fuori città. Finalmente l'infermiera riuscì a trovarlo e lo pregò di far presto, che rimanevano ormai poche ore. Sciolti gli impegni più urgenti, Don Carlo andò. Da più giorni Sr. Gia­cinta non riprendeva più conoscenza. Appena Don Carlo la chiamò per nome, aprì gli occhi e sorrise. Poi si assopì nuovamente. C'erano i parenti nella stanza; egli le si sedette accanto e, curvatosi, le sussur­rava all'orecchio parole di Gesù sul Cielo, le parlava della gioia che l'attendeva e dell'amore della Mamma Celeste che era venuta a pren­derla. Dopo due ore Sr. Giacinta era già a Casa.

La sorella chiese poi a Don Carlo che cosa le avesse suggerito al­l'orecchio e come facesse Sr. Giacinta a intenderlo parlando così som­messamente. Sorrise e rispose: «Penso che la Mamma lì presente le abbia trasmesso ogni parola e sono certo che Sr. Giacinta ha compre­so tutto. Ciò che le ho detto rimane un segreto per quell'anima».



L'emorragia cessò

« La carità - soggiungeva - ci porta fuori dalle strettezze del no­stro io e realizza tutto, perché è efficace come la Parola di Dio». Una persona attesta: « Don Carlo aveva una carità straordinaria. Poiché aveva notato la mia timidezza, era lui a chiamarmi e a salutare per primo. Mi diceva: "La Mamma le vuole tanto bene". Non so dire cosa provavo nell'anima a queste parole; qualcosa di divino mi inva­deva. Un giorno in guardaroba mi fu consegnata una sua maglia per­ché vi aggiustassi il colletto. Raccolsi quel ritaglio in un sacchettino, pensando che apparteneva ad un santo, lo deposi in un cassetto e lo dimenticai. Un anno dopo, nella primavera del '79, alcuni mesi prima che Don Carlo mancasse, fui presa da malessere e da un'emorragia che durava ormai da parecchi giorni. Non volevo sottopormi ad alcu­na visita medica e un giorno lo dissi a Don Carlo che comprese subito e rispose: "Non abbia timore, si affidi alla Mamma. Vedrà che non avrà bisogno di medico".

Intanto la situazione peggiorava e il giorno di Pasqua mi sentii pro­prio male. Rimasi a letto tre giorni e alzandomi riprese l'emorragia. Un giorno mentre cercavo qualcosa nel cassetto scorsi il sacchettino con il famoso colletto.

Sentii chiara un'ispirazione: "Mettilo addosso". Appena l'ebbi ac­costato avvertii un fremito in tutta la persona; subito cominciai a sen­tirmi meglio e l'emorragia cessò.

Sono passati ormai dieci anni e sono sempre stata bene ».

Se gli si faceva notare ciò che avveniva in modo anche straordina­rio, come in questo caso, non si stupiva affatto, ascoltava come se la cosa non riguardasse minimamente la sua persona e immancabil­mente riferiva tutto alla Madonna: « Dica grazie alla Mamma. È Lei che ha fatto tutto ».



Sarà un fiorellino della Madonna

Un altro fatto straordinario depongono i coniugi B. di P. (Vene­zia) per la loro secondogenita M.G.

« La nostra bambina - racconta la mamma - doveva morire pri­ma ancora di nascere. Già dai primi mesi iniziarono serie complica­zioni e i medici negavano ogni speranza di poterla salvare. Le due sorelle di mio marito, claustrali di un monastero dove andava Don Car­lo, gli presentarono il caso chiedendogli preghiere. Don Carlo assicu­rò: "Dite di aver fiducia e di affidarsi alla Madonna, che tutto andrà bene: la bambina nascerà; sarà piccola e gracile ma nascerà".

Con tanta fede volli portare a termine questa maternità, anche se per diversi mesi dovetti stare a letto sempre e solo sul fianco destro, e comunicai la mia decisione all'équipe medica.

Al settimo mese i medici la giudicavano già morta e volevano pro­vocarne la nascita. Non successe nulla di nuovo e dicevano: "È un mistero!".

Intanto Don Carlo mi mandava sempre a dire: "Coraggio e fede, che senz'altro la creatura nascerà".

Qualche tempo prima avevo visto in sogno la Madonna che mi sor­rise e mi disse: "Nascerà una bambina; sarà piccola, ma nascerà e vi­vrà". Infatti è nata mercoledì 29 marzo 1978, qualche giorno dopo la festa dell'Annunciazione.

Tre giorni prima, e cioè domenica 26, giorno di Pasqua, sentii un grande desiderio di scendere a Messa e fare la S. Comunione. Con gran­de stupore di tutti, il professore me lo permise. Più tardi, inspiegabil­mente, i medici risentirono il battito del cuoricino e tentarono l'ope­razione.

Intanto Sr. T. riferì la notizia a Don Carlo, che si trovava di pas­saggio al monastero. Dopo un po' Don Carlo stesso la chiamò per ci­tofono e le disse: "In questo momento la cognata ha bisogno di pre­ghiera. Le suggerisco questo: vada nella sua cella, si stenda a terra e preghi il Rosario; lo stesso farò anch'io".

La bambina nacque, così piccola che la portarono d'urgenza al­l'ospedale di P. e la tennero parecchio tempo in incubatrice. Era mol­to gracile e accusava insufficienza respiratoria. Dopo varie difficoltà e peripezie riuscimmo ad averla a casa e la portammo da Don Carlo al monastero. La prese in braccio, la benedisse e aggiunse: "Questo è un fiorellino della Madonna. Da grande sarà consacrata a Dio". Ci disse anche che per i traumi subiti sarebbe cresciuta lentamente e si sarebbe aperta a poco a poco, però avrebbe raggiunto la normalità.

"Dopo quella benedizione - sottolinea il papà - la bambina ha cominciato a migliorare sensibilmente, in maniera prodigiosa, con sor­presa dei medici stessi".

Tutto si è verificato come Don Carlo aveva previsto e adesso, a più di dieci anni di età, la bambina sta bene di salute, è forte e robusta e acquista sempre più scioltezza anche nell'esprimersi.

Continuiamo tuttora a ricordare con viva gratitudine Don Carlo, teniamo in casa il quadro con la sua fotografia e continuiamo a pre­garlo di vegliare sulla nostra M.G. e su tutta la nostra famiglia ».

Con estrema semplicità era sempre presente là dove c'era qualche sofferenza da confortare o qualche occasione per donare.



Doppia tariffa taxi

Un pomeriggio dovendo recarsi per un impegno urgente appena fuori Torino, chiese la gentilezza a una giovane del Centro Gam di chiamare un taxi. Data la lunga attesa al telefono, la giovane pensò che fosse stata interrotta la linea e chiamò un altro centralino di servi­zio. In breve tempo giunsero contemporaneamente i due taxi e gli au­tisti cominciarono a litigare tra loro. Don Carlo con la sua calma se­rena li rappacificò. Chiese ad uno dei due quale fosse la spesa del tra­gitto, l'arrotondò con una buona mancia, com'era solito fare, e salì con il secondo. Così tutti e due rimasero soddisfatti e stupiti di tanta larghezza di cuore.

Un'altra volta capitò un piccolo incidente in viaggio per un Cena­colo. Il giovane che l'accompagnava volle fargli la cortesia di chiu­dergli lo sportello dell'auto e lo fece con tutta l'energia possibile per assicurarsi che fosse ben serrato. Nel frattempo però anche Don Car­lo dall'interno faceva la stessa manovra, per cui un dito rimase impri­gionato nella chiusura della portiera. Fu necessario azionare la mani­glia con la chiave per riaprire.

Il giovane e il benzinaio lì presente pensavano che il dito si fosse tranciato o si fosse spezzato l'osso, ma Don Carlo, con il suo imper­turbabile sorriso, disse: « Grazie, non è niente, niente... ». E volle su­bito riprendere il viaggio. Strada facendo notò la pena e il disagio di quel giovane. Allora con il gesto della mano a lui familiare, lo chiamò per nome, dicendo: « Avanti con gioia! ».



La pedagogia di Dio

« Era commovente la sua bontà con i bambini subnormali del no­stro istituto - afferma la direttrice di un'istituzione per bambini han­dicappati -. Una volta da Novara doveva recarsi a Milano per prele­vare le medaglie Gam da offrire in dono alle universitarie in un Cena­colo nel pomeriggio. Poiché nessuno poteva accompagnarlo, si rivol­se a noi e subito gli fu mandato un autista. Al ritorno si fermò a pran­zo da noi e si intrattenne a lungo con i bambini. Parlò loro di Gesù con tanto slancio come se fossero bambini dotati di intelligenza nor­male. "La Parola di Dio - ci diceva - oltrepassa le categorie menta­li e penetra nelle anime per la potenza dello Spirito Santo". Infatti seguendo il suo consiglio facevamo ogni giorno un piccolo Cenacolo Gam, spiegavamo loro le parabole di Gesù e con nostra sorpresa e stu­pore di tutta l'équipe psico-pedagogica sorprendevamo i bambini che abitualmente non dicevano una parola, a leggere in chiesa da soli sui libriccini Gam brani del Vangelo. Avvicinandoci, notavamo che il li­bretto era capovolto: ripetevano esattamente a memoria.

Così pure si organizzavano spontaneamente a fare i Piccoli Cena­coli con il Rosario e i canti Gam e com'erano felici di far loro! Qualcuno dei più irrequieti calmava la sua aggressività ascoltando le musicassette Gam e accompagnando contemporaneamente i canti alla batteria. Passava ore e ore così, mentre prima si scaricava sui com­pagni ed erano "lai e guai" continui.

Quel giorno Don Carlo volle regalare le medaglie prima ai bambi­ni, anche se poi non ne avrebbe avuto a sufficienza per le universita­rie. Spiegò: "La Mamma predilige questi piccoli che soffrono". E in­trattenendosi con loro si lasciava - cosa del tutto insolita per la sua riservatezza così delicata - abbracciare e baciare, dissumulando l'i­nevitabile ripugnanza per le tracce di saliva miste a bava, che gli la­sciavano sulle guance e sulle mani».

Aveva detto: « La carità ci porta a rispettare i deboli, i piccoli, per­ché la grandezza di Dio splende in loro. È una grandezza avvolta di mistero. Gesù ha delle parole stupende: "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli perché vi dico che i loro Angeli nel Cielo vedono sempre il volto del Padre mio" (Mt 18,10) ».



Non mandava mai via nessuno

« Venivano tante persone a chiedergli aiuto finanziario - raccon­ta il portinaio del n. 9 di Valdocco -. Don Carlo non mandava mai via nessuno a mani vuote. A volte erano veramente povere, altre vol­te, soprattutto trattandosi di immigrati ancora giovani, di cui cono­scevo bene la posizione, gli dicevo: "Ma, Don Carlo, non hanno mica bisogno di aiuto questi, potrebbero andare a lavorare!". E lui: "No, no, S., continuiamo sempre a fare il bene. A tutti".

E andava anche in casa a portare aiuti. Nelle feste di Natale non dimenticava nessuno: andava personalmente a bussare alle porte di queste famiglie povere e consegnava denaro e altri doni ».

« Noi della portineria - dice una Suora - avevamo la possibilità di andare in cucina a prendere qualcosa da mangiare per i poveri, ma non potevamo dar loro dei soldi. Quando Don Carlo s'imbatteva in qualcuno di essi entrando o uscendo, si fermava a salutarli e li riman­dava sempre con qualche dono in denaro.

Un giorno venne un tipo piuttosto sospetto a chiedere soldi e la Suora anziana si impaurì e non sapeva come fare a cavarsela. Allora si rivolse a Don Carlo che era in parlatorio con una persona. Le diede subito un po' di denaro per quell'uomo che se ne andò contento».



L'avvolse di particolare attenzione

« Aveva un rispetto profondo per ogni singola persona - afferma una claustrale -. Diceva sempre: "Ogni anima è un mistero. Dio non si ripete mai: ogni persona è per Lui come l'unica al mondo" ».

Con quest'ottica accostava tutti, anche i più emarginati.

« Don Carlo aveva sempre la capacità di mettere a proprio agio quanti avvicinava - sottolinea una giovane Gam, ora religiosa nel Mo­vimento - e non solo non svalutava mai nessuno, ma faceva risaltare delle buone qualità anche nelle persone meno dotate, così che tutte avevano il massimo rispetto le une per le altre. Nel nostro gruppo in­fatti c'era una ragazza che fino allora noi avevamo trattato un po' come uno zimbello, deridendola con tanta superficialità e spensiera­tezza. Don Carlo se ne accorse e poco per volta ci portò a trattare quel­l'amica con vero rispetto e delicatezza. E questo non attraverso ac­cenni particolari al caso e tanto meno con rimproveri, ma con la Parola di Gesù e col suo stesso comportamento, cioè trattando G. con grande rispetto e mettendola al centro di particolari attenzioni. Face­va davvero pensare a Gesù nel trattare i suoi ».



Attraverso il suo amore passava Gesù

« Mi colpiva molto il fatto che Don Carlo trovasse in tutte le per­sone qualcosa di buono, un punto su cui far leva per incoraggiarle - dice un giovane Gam -. Ricordo un particolare episodio avvenuto nel '79. Eravamo alla Verna per un tempo intenso di preghiera e di Cenacolo Gam. Tra noi c'era un giovane particolarmente vivace e ir­requieto che ogni tanto ne combinava qualcuna delle sue. In un mo­mento in cui tutti accennavano a impazientirsi per l'ultima sua brava­ta, Don Carlo trovò il modo di fare un piccolo elogio, un'attenzione particolare a quel giovane chiamandolo "riccioli d'oro". Tutti sorri­sero e ogni disagio dileguò.

Era solo una piccola sfumatura, però tanto indicativa per espri­mere comprensione nell'accettare e amare ognuno così com'era. Tan­ti giovani si risollevavano e riprendevano fiducia e coraggio per que­sto suo atteggiamento di amore attraverso il quale passava Gesù.

E fu anche la mia stessa esperienza. Infatti lo incontrai che avevo già i miei diciott'anni con alle spalle ormai una bagaglio di esperien­ze. Lo conobbi per caso, perché alcuni collaboratori Gam mi invita­rono a un Cenacolo animato da lui. Più per cortesia che per altro ac­cettai di parteciparvi. E fu l'inizio di tutto. Al momento della Confes­sione, quando i giovani Gam dall'altare invitavano con la Parola di Dio a fare questa esperienza di perdono e di gioia, mi trovai un po' titubante, imbarazzato: non mi confessavo da tanti anni e mi riusciva difficile riprendere, non sapevo come dire...

Alla fine mi alzai e mi trovai nella fila che attendeva di confessarsi da Don Carlo. Quando fu il mio turno avevo addosso una paura... E invece con lui diventò tutto semplice e nella pace. Mi ha ridato quella gioia che da tanto non sentivo più. Disse parole semplicissime, ma in un modo tale da darmi quello che attendevo in quel momento per ri­prendere quota.

Entrai a far parte del Movimento e in seguito ebbi modo di avvici­narlo ed ascoltarlo con frequenza nei Cenacoli. E’ stato veramente un dono della Mamma Celeste: mi ha trasmesso con la Parola di Dio quella spinta, quell'incoraggiamento, quella forza per continuare nel Gam, nella fede. A volte non c'era bisogno neppure che parlasse, bastava vederlo e si riprendeva slancio ».



Lasciava tanto spazio a tutti

« La sua attenzione rispettosa agli altri giungeva a sfumature co­me questa - ricorda un giovane Gam -. Accompagnavo spesso Don Carlo ai Cenacoli e all'inizio noi giovani facevamo da seconda guida nella preparazione alla Confessione. In un Cenacolo per la prima vol­ta Don Carlo mi invitò a leggere. L'organo con cui dovevo accompa­gnare i canti distava parecchio dall'unico microfono di quella grande chiesa. Eppure al termine di ogni riflessione sui Comandamenti at­tendeva pazientemente che mi spostassi per leggere al microfono quelle poche righe. Anche se la chiesa era affollatissima, tutto si svolgeva nella semplicità e nella calma.

Avrebbe potuto inglobare lui anche quella parte, ma voleva dare ai giovani la gioia di animare. Era sua abitudine non assorbire mai il compito di altri, anzi dava sempre tanto spazio a ognuno, soprat­tutto ai giovani. Era attento e rispettoso anche verso le preferenze e i gusti degli altri. Se capiva che si prediligeva un canto, lo teneva presente.



Una delicatezza della Mamma

Una volta, terminato il Cenacolo (era l'ultimo di quattro animati in quel giorno) imboccammo l'autostrada di ritorno. Intuendo che avrei avuto bisogno di rifocillarmi un po', ad un certo punto disse: "Alla prossima area di servizio ci fermeremo e tu vedrai, potrai mangiare il tuo piatto di lasagne al forno (sapeva che mi piacevano molto). Ap­pena entrai nel self-service il cameriere ci venne incontro come se ci aspettasse e disse: "C'è ancora una porzione di lasagne al forno, se lo desiderate". Rimasi di stucco e Don Carlo sorrise dicendo: "Hai visto le delicatezze della Mamma? Arriva ai particolari" ».



Allora mi devo preparare

Con i malati poi aveva delle attenzioni uniche perché sottolineava come nel Vangelo emergeva la predilezione di Gesù per loro e come fosse urgente portar loro l'annuncio dell'amore del Padre in un'ora in cui è così facile piombare nello sconforto e nell'abbandono.

« Per chi soffre - diceva - la sua sofferenza è sempre ecceziona­le; la carità deve perciò prepararci ad accogliere continuamente lo stesso dolore e non dire all'altro che fa troppo la vittima, che si rende noio­so, che ci secca con le sue eterne lamentele ».

Più volte, quando poteva, faceva visita a persone malate e si offri­va a vegliare di notte dei confratelli gravemente malati.

Un giorno uno di questi gli chiese la verità sul suo stato di salute. Don Carlo gli si sedette accanto e cercò di dilazionare la risposta at­tendendo l'ultimo referto medico. Ma il Sacerdote insisteva. Allora gli suggerì di aprire il Vangelo di S. Giovanni per ricevere da Gesù stesso la risposta. Aperto il Vangelino l'occhio cadde proprio sulla frase di Gesù: «Io vado al Padre» (Gv 16,10). Il Sacerdote comprese, posò il Vangelo. Qualche lacrima rigò il suo volto e dopo qualche istante di silenzio mormorò: «Allora mi devo preparare... ». Don Carlo gli rimase vicino parlandogli della gioia del Cielo che l'attendeva. Qual­che tempo dopo quel Sacerdote si spense sereno, con il vivo desiderio di tornare a Casa.



Chi ha riempito la chiesa?

« Per i malati aveva un'attenzione e un amore squisito e delicatis­simo com'era il suo animo stesso - afferma il dottor C. -. Nel pe­riodo in cui la mia mamma, affetta da tumore, soffriva molto, un gior­no, dopo un Cenacolo gremito di giovani e di fanciulli, passò a farle visita. Le disse: "Mamma M., chi ha riempito quella chiesa immensa di giovani, di fanciulli, di adulti? Con tutte quelle Confessioni? Ecco, sono queste sofferenze nascoste che fanno avanzare il Regno di Dio nelle anime, come dice S. Paolo: Completo in me ciò che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo Corpo che è la Chiesa. Ma pre­sto il Signore asciugherà ogni lacrima e darà una gioia infinita". Comunicava così tanta luce e forza ».



All'istante il dolore cessò

« Una volta - racconta il dr. F. - andammo col pulmino a pren­dere Don Carlo all'aeroporto. Seduto dietro, il nostro bambino più piccolo piangeva per un'otite che gli provocava forti dolori all'orec­chio. Don Carlo, strada facendo, parlava dei giovani Gam, dei Cena­coli, dei nuovi progetti di evangelizzazione come se fosse insensibile al lamento del bambino. Noi eravamo molto stupiti di questo suo at­teggiamento, tanto da pensare che si lasciasse talmente prendere dal­l'entusiasmo della Parola di Dio, da dimenticare i problemi del mon­do che lo circondava. Invece ad un certo punto si è girato tracciando un segno di croce sulla fronte del piccolo. All'istante il dolore cessò e il bambino non accusò più alcun disturbo all'orecchio anche nei giorni seguenti ».



Zizzania trasformata in grano

« Don Carlo aveva una capacità immensa di perdono, di accoglienza di ogni persona così come si presentava, anche se aggressiva e soste­nuta nei suoi confronti - dice un giovane Gam -. Con la sua mitez­za smontava e trasformava.

Un giorno partimmo insieme da Torino per animare un Cenacolo a Potenza. Fu un viaggio pieno di disagi e di peripezie. Giungemmo stanchi e sfiniti. Per di più, il Parroco che ci aveva invitati si scusava dicendo che non era più possibile fare il Cenacolo.

Compresi che qualcuno aveva seminato zizzania e la mia indigna­zione raggiunse il colmo; mi trattenne dall'esplodere l'atteggiamento umile e sereno di Don Carlo. Non avanzò le sue giuste ragioni, dopo aver fatto un lungo viaggio inutile, non fece lunghi discorsi in difesa del Gam, no, disse semplicemente col suo solito sorriso: "Vedrà... Lasci fare alla Madonna e vedrà...".

Disarmato da tanta umiltà e fiducia il Sacerdote lasciò fare. La chiesa si riempì di tante persone che neppure a Natale e a Pasqua vi avevano messo piede e tutti si accostarono alla Confessione e all'Eu­caristia. In tutta quell'assemblea vi era una gioia indescrivibile per la Parola di Dio, la preghiera, il canto. Si sentiva la presenza della Ma­donna che aveva chiamato tutte quelle anime per riportarle a Gesù.

Al termine del Cenacolo, appena i Sacerdoti sfilarono in sacrestia, il Parroco abbracciò commosso Don Carlo e non finiva di ringraziar­lo e di chiedergli perdono per la diffidenza con cui l'aveva accolto.

Don Carlo, per tutta risposta, sorrise dicendo: "Ringrazi la Ma­donna, è Lei che ha fatto tutto" ».



Una benedizione per chi l'aveva offeso

« In tanti anni che l'ho conosciuto - attesta il dottor G. - posso dire di non averlo mai visto prendere le difese di se stesso e dei suoi diritti quando erano calpestati. E quando gli si faceva notare l'evidenza dei fatti di qualche persona che faceva del male nei suoi confronti, rispondeva: "Lasciamo... ci penserà la Mamma; l'Opera è sua e ci pen­serà Lei". Interveniva solo quando c'era da difendere il Regno di Dio nelle anime, soprattutto quando si trattava dei giovani».

« Un giorno - racconta una Suora - passando in macchina gli fecero notare una persona che gli aveva seminato intorno calunnie e offese. Don Carlo subito tracciò una benedizione in direzione di quel­la persona. E così faceva ogni volta che incontrava di passaggio qual­cuno che l'aveva fatto soffrire».



La mancia al portinaio che... non aveva aperto

« Ricordo una notte piena di peripezie - racconta un giovane Gam -. Partiti da Torino avevamo fatto un Cenacolo a Reggio Calabria, poi, preso il traghetto, ci eravamo portati a Messina e quindi a Paler­mo. Per un insieme di cose si era fatto molto tardi e l'indomani ci at­tendeva una giornata intera di Cenacolo "Formula 1" con i giovani.

Io ero giovane e mi affidavo a Don Carlo e tutti ci si affidava alla Mamma Celeste. Ci fu telefonicamente suggerito di recarci presso un istituto religioso.

Per citofono una Suora ci indicò che al tal convitto il custode ci attendeva. Ci portammo in quella località, ma, data l'ora tarda, nes­suno ci apriva. Finalmente un Sacerdote si svegliò e scese ad aprirci. Del custode neppure l'ombra. Riposammo quelle poche ore e al mat­tino scendendo incontrammo in portineria proprio il custode. Appe­na lo vide, Don Carlo gli andò incontro dicendo: "Grazie, grazie per ieri sera!". E gli diede una buona mancia.

Lo guardai ammiccando un sorriso. Egli salutò cordialmente e uscimmo per il Cenacolo.

Faceva sempre così: trovava per tutti delle ragioni per scusare le loro manchevolezze o per non badarci addirittura. E diceva: "Date sempre all'altro un avvocato difensore" ».



Dava sempre un colpo d'ala

« Dava sempre quel colpo d'ala che sollevava - sottolinea una Suo­ra -. Un giorno mi disse: "Ma cos'ha fatto perché la Mamma Cele­ste le voglia così bene?!"».

E un'altra, che soffriva per il suo temperamento piuttosto impul­sivo, racconta: « Un giorno, andando a confessarmi, gli dissi: "Ma, Don Carlo, perché il Signore mi ha dato un carattere così scorbuti­co?". E lui sorridendo: "Perché il Signore vuole nascondere agli oc­chi umani le meraviglie che compie nel suo cuore"».



Un salto dalla moto per incontrare Dio

E là dove Don Carlo passava fioriva davvero la gioia, anche nelle situazioni più impensate e drammatiche, come attesta questo episo­dio riportato dal dottor F.

«Guidava la macchina mia moglie mentre si accompagnava Don Carlo a un Cenacolo e si scontrò con un giovane in moto che rotolò, fece una capriola di diversi metri e si alzò perfettamente illeso. Intan­to si attendeva la polizia e nel frattempo il giovane tutto tremante si avvicinò a Don Carlo che gli parlò tanto amorevolmente dell'Amore del Padre e della Mamma Celeste per lui. Il giovane allora confidò che proprio quel giorno aveva sentito un'insistente ispirazione di an­darsi a confessare e aveva quasi deciso di andare. Ma aveva allonta­nato poi quel pensiero fissando un appuntamento con una ragazza; vi si stava appunto recando quando avvenne l'incidente.

Don Carlo lo invitò al Cenacolo e subito quel giovane accolse la proposta e si accostò con grande gioia alla Confessione. Rimanemmo tutti profondamente colpiti dell'accaduto: quel volo dalla moto ave­va segnato per lui, nei piani provvidenziali del Padre, un trampolino di lancio per il suo incontro con Dio, tramite Don Carlo ».



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21/09/2009 21:32

12 - BEATI I CUORI PURI

Luminosità, limpidezza, soavità


« La purezza è amore - diceva - è la capacità di amare e di do­narsi a Dio e ai fratelli. Allora si riflette in noi la luce di Gesù ». «Mi hanno colpito tre aspetti di lui - dice una Madre Priora -: la luminosità, la limpidezza, la soavità. L'accostarlo o anche solo ve­derlo rischiarava, dilatava l'anima, l'avvolgeva di calore, di luce, la innalzava al bello, al vero...

Dalla sua persona traspariva Gesù Agnello immolato e glorioso co­me è presentato nell'Apocalisse. Quante volte richiamava a questo li­bro escatologico per parlare dell'Agnello glorioso in bianche vesti, di lino puro, splendente; e della Sposa dell'Agnello che scende dal Cielo già pronta... Così, in candide vesti, anche noi dovevamo attendere il ritorno del Signore.

Da lui si diffondeva una gioia tranquilla, pacata e soave; non quelle gioie che disturbano, ma una gioia serena, unita a una grande soavità che avvolgeva tutto l'essere e lo portava al Paradiso.

Ho avuto proprio quest'impressione e non solo io. Ci si dimenti­cava per qualche tempo di essere su questa terra e ci si sentiva tra­sportati in Dio».



Un fascio di luce lo investì

« Aveva una trasparenza che emanava luce - attesta una claustrale che lo avvicinò spesso negli ultimi due anni di vita -; esprimeva una delicatezza, una purezza veramente angelica. Si trascinava dietro il cor­po, ma il suo corpo era ormai tutto angelico. Ringrazio il Signore del dono di averlo conosciuto ».

« In un Cenacolo di Formula 1 a Milano (un'intera giornata nel giugno 1977) - racconta un giovane adesso Sacerdote Gam - Don Carlo ci commentava tutto il Vangelo di S. Giovanni a volo d'uccel­lo, soffermandosi sui nuclei essenziali di ogni capitolo. Giunto al ca­pitolo 18 e 19 della Passione, ho avuto l'impressione che un fascio di luce lo investisse e illuminasse il suo volto per la durata di alcuni minuti. Mi voltai per vedere da dove potesse arrivare quella luce, ma constatai che non era di origine naturale. Meravigliato mi interrogavo se non fosse veramente una luce soprannaturale e sentii una Suora che comunicava alla sua vicina la sua identica meraviglia dicendo: "È un santo" ».



Una gioventù tutta nuova

Intravedeva una gioventù tutta nuova, attratta dal candore dell'Im­macolata. E ne riscontrava qua e là le primizie.

Racconta lui stesso: « Mentre mi trovavo a Milano (maggio 1975) e parlavo ai giovani, gruppi familiari, ecc., mi hanno invitato all'ulti­mo momento in un istituto tecnico professionale. Nel teatro erano riu­niti circa cinquecento giovanotti dai quindici ai diciannove anni.

Ho iniziato con il capitolo 12 dell'Apocalisse che presenta la Don­na vestita di Sole, Madre di Dio, Immacolata, purissima... Dopo ven­ticinque minuti ho sospeso. Tutta quella massa di giovani è scattata: "Ancora, ancora!". E allora ho continuato per un'ora e alla fine so­no scoppiati in applausi! Dopo un brevissimo intervallo, invece di an­dare a giocare sono tornati ancora. Non mi era mai successo. Anche gli insegnanti erano strabiliati. Ho notato una cosa inaudita: 1) la no­stalgia che sentono i giovani della purezza, dell'immacolatezza della Madonna. È incredibile. Hanno una nostalgia di Cielo, di aria che scen­de dai ghiacciai celesti, di qualcosa di nuovo, di limpido, perché sono nauseati dal mondo in cui vivono, nauseati talmente che non reagi­scono più. 2) Un desiderio immenso di amore e di amore materno, perché dappertutto vedono il catechismo dell'odio che Satana va dif­fondendo.

Si sente che la Madonna sta entrando in una maniera meraviglio­sa. Se ne sente la presenza e se ne vedono gli effetti in tutti questi gio­vani così attenti.

In questi due giorni qui a Milano e dintorni ho parlato a cinque­mila o seimila giovani circa tra ragazzi e ragazze. E ho visto che mera­viglie opera il parlare dell'immacolatezza di Maria: rimanevano incan­tati. Una cosa strana: quei giovanotti aprivano gli occhi, rimanevano commossi e in qualche momento avevano gli occhi lucidi. Cosa si sta­va svegliando dentro il loro cuore?

Gli insegnanti erano tutti stupiti: giovani che di solito sono contestatari, irrequieti, svogliati, sarebbero stati sempre lì ad ascoltare. Mi diceva un insegnante: "Non ho mai sentito i giovani applaudire, mai. Questa è la prima volta. Ma cosa è successo?".

"È quello che mi domando anch'io: cosa succede?" risposi. Certamente è venuta la Mamma, è scesa Lei e li ha conquistati mi­steriosamente.

La Donna vestita di Sole sta conquistando, perché è la sua ora. Il profumo della rosa bianca attira la gioventù. È vero. Ne ho avuto la documentazione netta».

E ai giovani Gam lancerà l'ideale stupendo di essere trasparenza luminosa dell'Immacolata, con il cuore puro come il suo, traboccante di amore per Gesù e per la sua Parola.



Per seguire Gesù

Era totalmente dimentico di sé, concentrato solo nella sua consa­crazione e missione. « Chi è chiamato a seguire Gesù - diceva - non appartiene più al piccolo regno di quaggiù, appartiene al grande Re­gno di Dio. Deve rinunciare al matrimonio e alla famiglia; deve aver libero il cuore; la persona non può essere legata da vincoli umani. Quando Dio mette la mano su un uomo, lo vuole esclusivamente suo e ogni altra esigenza deve cedere il passo.

Gesù mette le anime allo sbaraglio: chi vuole seguirlo dev'essere come Lui; e Lui è essenzialmente solo. Il discepolo deve condividere con Gesù la solitudine del cuore ».

Erano motivazioni di fondo che lo sostenevano giorno per giorno "nella traversata del deserto, nell'esodo", com'egli amava chiamare la vita di quaggiù.

Ed erano motivazioni forti che partecipava anche ai suoi fratelli nel Sacerdozio e alle anime consacrate, aiutando a superare i momen­ti di prova.

Quanti lo hanno conosciuto da vicino sono concordi nell'afferma­re che ha aiutato molte vocazioni sacerdotali e religiose in difficoltà, dando loro ossigeno e slancio per proseguire e "tornare al primo amo­re" (cf Ap 2,5).



Ritrovarono se stessi in Dio

Anche a chi era chiamato a una "solitudine condivisa" nel Sacramento del Matrimonio prospettava un cuore puro, fondato sulla ca­stità coniugale. «L'amore - diceva - è fragile come un fiore: basta poco a sciuparlo. Il vero amore è sempre rispettoso».

Due giovani sposi stavano ormai per dividersi perché non riusci­vano più a comunicare tra loro e i litigi erano diventati all'ordine del giorno. Un giorno parteciparono a un Cenacolo Gam e avvertirono che qualcosa era cambiato dentro di loro. Avvicinarono Don Carlo e gli presentarono la loro situazione disastrata. Egli li incoraggiò ad abbandonarsi con fiducia alla Mamma e, col suo aiuto, a mettere al centro Gesù pregando insieme il Rosario con la Parola di Dio, viven­do i Comandamenti e il Vangelo.

Passato qualche tempo, il pregare insieme così li aveva aiutati a guardarsi con occhi nuovi, ad amarsi come nei primi tempi e ancora di più.

Scoprirono con stupore che ritrovando Dio avevano ritrovato an­che se stessi.



Guardarsi con amore in Dio

« Don Carlo voleva che il nostro rapporto con gli altri fosse così: un caricarsi a vicenda di Dio, un guardarsi con amore, fermandosi non davanti alla carne, ma allo splendore dell'anima - dice una Madre Abbadessa -. Credo che in noi lui vedesse solo l'anima. E ci voleva limpide così. Ed era possibile amarlo molto senza alcun attaccamento umano, proprio per questa pienezza di Dio che comunicava incessan­temente e per la sua luminosità interiore e limpidezza. "Sia un giglio - mi diceva - una magnolia che è un fiore delicatissimo: appena si tocca si annerisce. Sia tutta di Gesù, come la Mamma Celeste, vergi­nalissima" ».

Focalizzava in Lei, la Vergine-Madre, ogni desiderio di dono, di amore materno di tutte le migliaia di anime consacrate che avvicina­va, perché come Lei fossero totalmente dedite alla

Persona e all'ope­ra di Gesù.

« Maria è tanto più Madre, quanto più Vergine - diceva -. Co­me Lei, ogni anima consacrata a Dio diviene madre, di una maternità spirituale che genera le anime alla vita eterna».



Il loro contenuto è Dio

In Don Carlo l'amore aveva davvero unificato tutto e reso traspa­rente a Dio.

«Era più del cielo che della terra - attesta una claustrale -. Mi sembrava di vedere in lui un Angelo».

«Nei dieci anni che l'ho conosciuto - afferma un'altra persona - è sempre stato per me come un Angelo visibile del Signore che mi trasmetteva la volontà del Padre, come a Maria l'Angelo dell'Annun­ciazione ». Un giorno mi chiese: "Conosce il nome del suo Angelo?". Risposi di no. E lui: "Si chiama Agape, amore. Anche lei sia tutto un dono di amore a Dio e ai fratelli". Da quel giorno entrai in più intima familiarità con il mio Angelo Custode, chiamandolo per nome ».

« Saremo come gli Angeli di Dio in cielo » (Mt 22,30) dice Gesù di coloro che vivono unicamente per Dio, con cuore verginale. « Co­me gli Angeli, i vergini hanno un unico contenuto: Dio solo » spiega Don Carlo. E lui aveva raggiunto una trasparenza veramente angeli­ca. Ne è prova non solo la testimonianza di quanti l'hanno avvicinato o solo visto all'altare, ma anche il suo intenso. amore per gli Angeli.

Dice infatti il dottore angelico S. Tommaso: « Quanto più lo spiri­to si libera dai legami della carne e dei sensi, tanto più esso sarà aper­to alle ispirazioni degli Angeli ».

« Mettendo insieme le nostre esperienze spirituali, il senso di pace, di nostalgia, di purezza, di amore che noi conosciamo, avremo uno scialbo lineamento dell'Angelo, che gli assomiglia come la sua ombra ».



Qualche Angelo distratto

« La presenza degli Angeli - afferma con sicurezza - è insosti­tuibile. Sono messaggeri: portano cioè le Parole di Dio agli uomini. Quando Dio è lì, ci sono anche loro ».

Era così convinto di questo che, dopo l'invocazione allo Spirito Santo e alla Madonna, prima di iniziare a spiegare il Vangelo, avvol­geva con lo sguardo tutti i presenti per salutarne gli Angeli Custodi e chiedere il loro aiuto perché tutte quelle anime potessero accogliere con fede e amore la Parola di Dio. Il richiamo a questa celestiale pre­senza gli era così familiare che un giorno raccontò con molta sempli­cità un piccolo episodio.

In una grande chiesa gremita di centinaia di fanciulli, nel corso del Cenacolo, due bimbetti dei primi banchi continuavano a disturbare distraendo gli altri. A nulla serviva qualche attimo di sospensione, né la flessione di voce o gli sguardi di attenzione.

« Allora - racconta Don Carlo - mi rivolsi agli Angeli di quei bimbi e dissi al microfono: "Eh, c'è qualche Angelo Custode che si è distratto e non s'accorge che il bimbo a lui affidato non è attento". Di colpo quei fanciulli si ricomposero e continuarono per tutto il re­sto del Cenacolo con un'attenzione sorprendente partecipando alla pre­ghiera, al canto, con una gioia... ».

E concluse sorridendo: « Non avevo mai pensato che anche gli An­geli potessero distrarsi ».



Vi accompagno io

Don Carlo sentiva tutta la forza degli Angeli anche nella sua mis­sione evangelizzatrice e rimaneva sereno in ogni difficoltà e rischio. Un pomeriggio animava un Cenacolo Gam per le Suore nella Ba­silica dei Santi Apostoli a Roma. Era stato distribuito il libriccino della Novena del Natale. Al termine del Cenacolo le strade presso la Basili­ca erano invase da cortei di estremisti, extraparlamentari e femmini­ste. Urla, slogan, bestemmie... C'era da aver paura a mettersi in stra­da, soprattutto per religiose in divisa. È Don Carlo stesso che raccon­ta: « Uscendo, ho detto a tutte quelle Suore: "Non abbiate paura, nes­suno vi toccherà". Nessuna è stata molestata. Tre Suore Missionarie Francescane del S. Cuore avevano il pulmino proprio al di là del cor­teo, in piazza Venezia, tutta invasa da quella massa di dimostranti. Già stavano per tirare le bottiglie molotow e poco dopo infatti hanno incendiato qua e là...

Un giovane distinto, sembrava un giovane prete, si avvicina alle tre Suore e dice: "Sorelle, non abbiate paura, vi accompagno io". Le ha precedute e son passate in mezzo a tutta quella marea di gente in subbuglio. Nessuno le guardava, come se neppure le vedessero. La folla si divideva aprendo il passaggio.

Tre Suore! Le avrebbero linciate. E invece non è successo niente. Quando poi sono salite sul pulmino, volevano ringraziare quel giova­ne, ma non lo videro più.

"Io ti difenderò nell'ora della prova che sta per abbattersi nel mon­do intero" dice Gesù nell'Apocalisse (3,10). Non c'è da aver paura. È l'ora in cui Satana scatena tutta la sua potenza infernale, ma è an­che l'ora degli Angeli che sono inviati sulla terra a migliaia e migliaia agli ordini della Condottiera, la Donna vestita di Sole, la Regina degli Angeli, per realizzare il piano del Padre: "Michele e i suoi Angeli com­battevano contro il drago..." (Ap 12,7)».



Lei, io e i nostri due Angeli

Una rigida mattina di fine gennaio (1966) era andato a confessare a trenta chilometri da Torino. Al ritorno si era alzata una nebbia fit­tissima che impediva la visibilità e l'autista che l'accompagnava era molto preoccupato e perplesso. Don Carlo lo incoraggiò dicendo: « Non abbia paura... Guardi, siamo in quattro: lei, io e i nostri due Angeli Custodi ». Si misero in strada e tutto andò bene in un primo tempo. Ma ad un certo punto l'autista frenò improvvisamente, appena in tem­po per non rotolar giù dalla scarpata.

Cercavano con ogni sforzo di rimettere in strada la macchina ri­masta in bilico, ma senza riuscirci. Dopo un po' si fermò un'auto: vi era un giovane con la mamma che li aiutò. E poterono ripartire. Con la sua macchina li precedeva adagio per guidarli. Dopo poco però si fermò per invitare quel signore troppo teso ed emozionato per stare al volante, a salire a fianco di sua madre: avrebbe guidato lei. Lui salì con Don Carlo e precedeva, filando sicuro in mezzo a quella nebbia sempre più densa. Lo accompagnò fino all'Ausiliatrice. Gli Angeli ave­vano difeso e protetto.



Lo precipitò dalle scale

Insieme alla presenza celestiale degli Angeli egli faceva esperien­za, a volte in maniera sensibile, della lotta contro i demoni, come del resto Gesù e tutti i Santi.

«Nessuno è più esposto alla tentazione del mistico o del santo - aveva scritto -. Nessuno fu mai così perseguitato da Satana come Ge­sù, il Santo per eccellenza. Gesù fu il più tormentato dalla prova, dal­le tentazioni. Dopo di lui, Maria. E dopo di loro, noi».

Del resto la Parola di Dio dei Libri sapienziali è esplicita: «Figlio, hai deciso nel tuo cuore di servire Dio? Preparati alla prova».

Le insidie del maligno su di lui si scagliavano a volte anche in ma­niera sensibile. Una volta, mentre scendeva una lunga scala, gli sem­brò di ricevere un violento spintone sulla schiena che lo mandò a ruz­zoloni per i gradini. Al fondo della scala si alzò riassettandosi la veste e chi era accorso preoccupato poté constatare con stupore l'assoluta incolumità. Altre volte, soprattutto in prossimità di qualche Cenaco­lo Gam, di qualche nuova pubblicazione sulla Parola di Dio o di qual­cosa di nuovo che doveva nascere nel Movimento, avvertiva delle stan­chezze improvvise e dei malesseri inspiegabili. Ne fece cenno con qual­che persona, per incoraggiarla nelle sue stesse difficoltà. E subito ag­giunse: « Ma la Mamma mi rinnova le energie, mi rende fresco ».



Ci distruggerebbe, se potesse

« Il demonio ce l'ha a morte - diceva col suo solito sorriso - se potesse ci distruggerebbe. Ma non può ».

Un'altra volta, terminato un grande Cenacolo con l'afflusso di mol­ti giovani e popolo di Dio, gli si avvicinò una persona per dirgli di stare in guardia, perché il demonio si sarebbe vendicato per tutte quelle anime a lui strappate. Don Carlo rispose con il suo abituale abbando­no al Padre e alla Mamma Celeste. Era sicuro - e l'aveva sperimen­tato più volte - che, nonostante i ripetuti tentativi di Satana, non gli sarebbe capitato nulla all'infuori della volontà del Padre e che la Ma­donna l'avrebbe difeso col suo potente intervento, anche in forma straordinaria, se necessario, com'era già avvenuto.

Percorsa gran parte dell'Italia settentrionale, era ormai in Torino, quando, all'incrocio di Via Cigna, chi guidava non si arrestò in tem­po al semaforo rosso, e l'urto contro un'auto in corsa fu inevitabile. La macchina subì gravi danni, ma Don Carlo, l'autista e l'altra per­sona che erano con lui, rimasero illesi. Don Carlo per di più era da­vanti e ricevette addosso i vetri frantumati, ma non riscontrò neppure un graffio.

Mentre i due autisti discutevano, egli salutò sereno con il gesto della mano, prese la sua cartella e s'incamminò verso il Centro Gam di Via S. G. Cottolengo, 26. Trovatovi un suo stretto collaboratore gli rac­contò con entusiasmo del Cenacolo, gli partecipò alcune pubblicazioni in preparazione e solo alla fine lo mise a parte dell'incidente. Que­sto dice il dominio di sé che possedeva e il distacco dagli avvenimenti in cui si trovava implicato.



È accecato dalla Parola di Dio

« Non dobbiamo stupirci - diceva ancora - di essere continua­mente attaccati da Satana, di dover continuamente lottare: il Regno di Dio confina direttamente con il Regno di Satana, non c'è zona neu­tra in mezzo. Perciò: "Vita hominis, militia est" (la vita dell'uomo sulla terra è una battaglia). Non dobbiamo sgomentarci: abbiamo una Condottiera fortissima, che è anche la nostra dolcissima Mamma».

« Nel rispondere a una mia difficoltà che gli esposi per chiedergli consiglio - attesta una Madre Priora - mi citò le parole di Gesù del­la preghiera sacerdotale: "Padre, non ti chiedo di toglierli dal mon­do, ma di difenderli dal maligno" (Gv 17,15). Queste sue ultime pa­role mi sono sempre presenti perché sperimento come la liberazione dal maligno sia una necessità di tutti i giorni ».

« La Parola di Dio è luce - spiegava - e il demonio che è tene­bra, non la può vedere; ne rimane accecato e sconfitto ». E diceva ai giovani: «Quando voi diffondete la Parola di Dio mettete qua e là delle mine che fanno saltare in aria Satana e tutti i demoni. Anche solo un volantino che entra in una famiglia è una luce di Parola di Dio che si accende e il demonio deve andarsene».



Gli si avventò contro

Più di qualche volta sperimentò in maniera tangibile la potenza della Madonna contro il demonio.

Un giorno, mentre si trovava in un istituto religioso a predicare, lo venne a cercare una giovane signora. Appena lo vide gli disse che alcune persone l'avevano mandata da lui per esporre la gravità del suo caso. Gli disse che a volte le succedevano fenomeni strani, soprattut­to a contatto con il sacro. Don Carlo la confortò suggerendole di affi­darsi alla Madonna e di pregare il Rosario, arma potentissima contro il demonio. Appena pronunciate queste parole la donna divenne im­provvisamente furiosa, si dimenava tutta e tentò di scagliarsi contro Don Carlo, senza però poterlo toccare.

« A pochi centimetri di distanza - spiegò poi a pochi intimi - cer­cava di graffiarmi, ma si vedeva che un'altra forza la tratteneva. Se la Mamma non mi avesse difeso, mi avrebbe distrutto, tanta era la furia con cui mi si avventò contro ».

Poi si ricompose e tutta umiliata gli chiese perdono dicendo: « Ec­co, vede, cosa mi succede! ». Don Carlo riprese con dolcezza a con­fortarla e a parlarle dell'amore della Mamma Celeste per lei e della potenza del Rosario. Appena detto questo, di nuovo la stessa scena di prima, senza poterlo minimamente toccare. Appena questa tornò in sé, Don Carlo si congedò rapidamente, perché - confidò poi - « il cuore mi saltava fuori dallo spavento. Ho toccato con mano come il demonio odia la Madonna e come non può far niente dove Lei agi­sce. È la Madre di Dio e Dio è tutto in Lei. E perciò è potentissima ».



Subito l'atmosfera fu trasformata

« Il demonio è furibondo - diceva citando le parole dell'Apoca­lisse (12,12) - perché sa che gli resta poco tempo ormai». A volte vedeva la sua azione nella resistenza che incontrava nelle anime e nel­l'ostilità immotivata.

Una sera, in una casa religiosa dove abitualmente andava a spie­gare il Vangelo, trovò la Comunità non più nella solita accoglienza aperta e benevola, ma in un atteggiamento di chiusura e di reazione.

« Un nemico ha fatto questo » spiega Gesù nella parabola della ziz­zania. Don Carlo comprese che era azione di Satana e mentalmente si mise in preghiera. Subito l'atmosfera fu trasformata e si stabilì una corrente di comunicabilità e di ascolto.

«Per spezzare la spirale di Satana che attanaglia noi e il mondo - diceva - occorre perdere se stessi, dare la propria vita, offrirsi al Padre in sacrificio come Gesù e in Gesù, attraverso il Cuore Immaco­lato della Mamma Celeste».



13 - IL PADRE VI AMA (Gv 16,27)

Mentre svuotavo il pozzo nero


Alla radice della sua vita di amore a Dio e alle anime c'era una fede profonda e salda radicata sulla Parola di Dio che si esprimeva in un totale abbandono al Padre. L'amore al Padre era il vertice di tutto in lui, un amore filiale, tenerissimo; un'adorazione profonda; un'adesione piena e incondizionata alla sua volontà, riconosciuta e ac­colta sempre come volontà di amore. Come Gesù egli poteva dire: « Io faccio sempre ciò che a Lui piace» (Gv 8,29).

« Insegnava a trasformare tutto in amore a Dio, al Padre - ricor­da una claustrale -. Una volta passò mentre stavo svuotando il poz­zo nero per concimare il campo. Si fermò e con tanta soavità e fervo­re mi disse: «Offra a Gesù, al Padre quest'umile servizio, perché alle sue Sorelle e a tutte le anime giunga il buon odore di Cristo ».



Lui penserà a me

«Il Padre sa... », ripeteva nelle difficoltà. «Perfino i capelli del vostro capo sono contati » (Mt 10, 30), assicura Gesù, cioè nulla sfug­ge allo sguardo di amore del Padre. Dobbiamo perciò rimanere tran­quilli e abbandonati in Lui.

Un Superiore un giorno gli fece presente le precarietà e le insicu­rezze a cui sarebbe andato incontro in futuro fuori dalla Congrega­zione; egli indicando il Crocifisso appeso alla parete disse: « Quando sono entrato sono venuto solo per seguire Lui. Lui penserà a me, sempre ».

Un confratello coadiutore vissuto con lui diversi anni, riferendosi alle sofferenze e ai contrasti sofferti per seguire la sua missione, sot­tolinea: « (...) Anche allora mai perse la calma, sempre col suo con­sueto sorriso sulle labbra. Era sicuro e convinto che tutto fosse voluto dalla Madonna e quindi non lo turbavano questi interventi. Cammi­nava serenamente, sempre attento al suo materno suggerimento».



Sì, va bene qui

«Mi fece impressione - ricorda un Sacerdote della diocesi di A. - quando lo accompagnammo a vedere una casa offerta come Cen­tro Gam. Entrando nel Santuario, adiacente alla casa, si inginocchiò qualche istante davanti all'altare che è sormontato dall'immagine della Madonna. Poi, prima ancora di vedere se la casa fosse adatta e fun­zionale, disse: "Sì, va bene qui". Era l'uomo della fede».



Entrammo dalla finestra

Un giovane Gam che lo accompagnò spesso, racconta: « Ricordo una notte dopo un grande Cenacolo nel duomo di Caltanissetta. Era­vamo alcuni giovani con Don Carlo e Don Bruno e dovevamo recarci a Palermo per un Cenacolo il giorno dopo. Era ormai sera tardi e pro­prio nel tratto più buio della superstrada il pulmino si bloccò.

Gli dissi: "Don Carlo, non si riesce a ripartire". Si era un po' ap­pisolato e senza nessun lamento rispose con un sorriso e scese. Prese Don Bruno per un braccio, dicendo: "Andiamo..." e si incammina­rono a piedi. Li raggiunse la polizia che diede poi un passaggio a tut­ti. Ci rintracciò anche l'A.C.I. e persino i pompieri avvertiti anche loro. Fu una notte di avventure.

Per di più eravamo a digiuno. Ci era stato impossibile avvertire telefonicamente dell'imprevisto l'istituto che ci avrebbe ospitato, per cui a una certa ora tutti andarono a riposare.

Arrivati all'istituto a notte inoltrata, dovemmo, dopo vari tentati­vi, entrare da una finestra, perché ormai nessuno ci sentiva più. La pace e la serenità di Don Carlo metteva in tutti noi non solo la calma, ma anche la gioia, sicuri che la Mamma Celeste era con noi. Mentre si facevano i vari tentativi per entrare, Don Carlo, indicando nel buio una statua al centro del giardino, disse: "Guardate c'è anche l'Imma­colata". Il giorno dopo fu lui il primo a sorridere accorgendosi che era invece S. Francesco col lupo.

Trascinati dalla sua fede si era pronti a tutto. In quell'occasione e in molte altre ho notato la sua grandezza, perché scompariva nella semplicità.

Era semplicissimo e questa sua semplicità ci trasmetteva tanta forza, perché si capiva che non era ingenuità, ma una semplicità forte, di Dio, non di uomo. È difficile infatti essere semplici ».



L'aereo decollò tranquillamente

Una volta giunse all'aeroporto con un forte ritardo perché l'ave­vano trattenuto. Chi lo accompagnava lo consigliava di tornare indietro. Ma Don Carlo, sereno, disse: « Vedrà che la Mamma ci pensa ». L'aereo stava ormai già per decollare. Ma un imprevisto tecnico lo trattenne. Arrivarono i tecnici e cominciarono a fare alcuni controlli: sembrava tutto a posto. Arrivò intanto anche Don Carlo e l'aereo de­collò tranquillamente.

Leggeva questi piccoli segni come un incoraggiamento a continua­re sulla via intrapresa di abbandono totale.



Tutto bene!

« Don Carlo sapeva sorridere anche nelle difficoltà - attesta il dr. F. -. Ricordo di averlo accompagnato quando si recò per l'ultima volta dai Salesiani e dal Rettor Maggiore. Lo attesi fuori. E lo vidi tornare che sorrideva come sempre. Gli chiesi con discrezione: "Don Carlo, è andato tutto bene?". "Tutto bene" mi rispose. Mi colpì pro­fondamente questo abbandono, questa quiete, questa fiducia nella Ma­donna anche in quel momento di grande sofferenza, mentre doveva lasciare la Congregazione dov'era vissuto più di quarant'anni ».

Era sostenuto dalla forza granitica di questa Parola di Dio: « Tut­to concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28). Collimava in pieno con la certezza di S. Teresina: « Come nella na­tura le stagioni sono regolate in modo da far sbocciare nel giorno sta­bilito la più umile pratolina, così tutto risponde al bene di ogni anima ». Don Carlo ne era certissimo e rimaneva sereno anche nella bufera.



Andiamo per difendere i giovani

« Ricordo una volta che fu chiamato a Roma in casa generalizia - racconta un suo intimo collaboratore laico; - lo accompagnam­mo alla stazione. Accettò la cuccetta di seconda classe. Viaggiava pre­feribilmente di notte per guadagnar tempo.

Lo salutammo e lui come sempre cercava di sorridere. Dopo un po' tornai indietro a portargli una bottiglia d'acqua. Lo trovai seduto sulla sponda della cuccetta, tutto rannicchiato e triste. Mi si strinse il cuore a vederlo così. Dalla talare aperta si notava un golf nero così liso che si vedeva anche la maglia di sotto. (Era sempre vestito dimes­samente: la sua veste pulita, ordinata, ma povera. Lo vedemmo siste­mato un po' bene quando la Mamma Celeste gli fece incontrare la ca­rità di alcune claustrali che lo ospitavano e si prendevano cura della sua biancheria).

Appena mi scorse, subito sorrise e mi fece tanta festa. Mi disse: «Andiamo per difendere i giovani... Avanti, A.! ».

Qualche altra volta gli facevamo notare i rischi e le forti reazioni che avrebbe sollevato con qualche presa di posizione. E lui deciso: "Bi­sogna farlo. Noi dobbiamo guardare alle anime. E dobbiamo essere pronti a perdere tutto. Sempre". E andava avanti, fino in fondo, da solo.

Guardava a Dio solo e alla strada che la Mamma gli faceva fare. La forza interiore che lo sosteneva non era umana».



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21/09/2009 21:33

14 - NASCE IL G.A.M. - GIOVENTÙ ARDENTE MARIANA

Sarò tutto a disposizione della Madonna


Ai primi di novembre, mostrando a una persona l'agendina colma d'impegni per tutto il '74: in corsi di esercizi, ritiri, corsi biblici ecc., disse: « Il prossimo anno poi sarò tutto a disposizione della Madon­na ». « In che modo? » gli fu chiesto. « Lo sa la Mamma. È Lei che guida tutto ».

Nel maggio del '75 infatti nasceva il Gam. E da allora Don Carlo sarà in modo tutto particolare a totale disposizione della Condottie­ra, percorrendo più volte tutta l'Italia per annunciare la Parola di Dio nei Cenacoli Gam, suscitando un'alta marea di gioia nelle masse gio­vanili e in tutto il popolo di Dio che vi partecipava numerosissimo.



In quella notte di veglia

Tutto ebbe inizio la notte del 24 maggio, festa di Maria Ausiliatri­ce, in una veglia di preghiera condotta da Don Carlo. Vi parteciparo­no alcune migliaia di giovani di varie parti d'Italia.

Un complesso giovanile accompagnava i canti che gli stessi giova­ni avevano composto con tanto impegno e amore.

Su un ampio palco nel cortile dietro la Basilica di Maria Ausilia­trice, dominava alta, la bianca statua dell'Immacolata, segno sensibi­le della particolare presenza della Mamma Celeste. Tutti quei giovani erano del tutto incuranti della pioggia che scendeva ora sottile, ora più intensa. Eppure nessuno si mosse; alcuni rifiutarono persino la pos­sibilità di ripararsi sotto qualche ombrello.

Sfilarono in quei cuori giovanili tutti i quindici misteri del Rosa­rio, meditati e cantati ad ogni Ave Maria. Erano in maggioranza gio­vani che con la preghiera del Rosario non avevano certo molta dime­stichezza, ma quella sera ripresero in mano la corona con grande fede ed entusiasmo.

Don Carlo scandiva i vari momenti con dei brevi flash di Parola di Dio. Erano dei tocchi di luce che penetravano in tutte quelle anime giovanili. Un clima di cielo. La gioia raggiunse il culmine nella Liturgia Penitenziale e nella Celebrazione Eucaristica. Una tirata di gioia dalle 23 alle 7 del mattino.



Cosa ti è successo stanotte?

« Che cos'era successo in quella notte di veglia? - commenta Don Carlo -. Non sappiamo. I giovani erano tutti trasfigurati.

Una mamma al mattino trova il suo ragazzo di 17 anni; ero presente quando gli diceva: "Ma come sei bello, cosa ti è successo stanotte?". E lo accarezzava.

Un'altra, una ragazza di 18 anni, dice: "Esattamente un anno fa, avevo deciso di togliermi la vita; vi avevo tentato, sono stata salvata nella camera di rianimazione, in extremis. Oggi sarei disposta a dare la vita per il Signore. Son cambiata completamente".

La Confessione è stata una folgorazione; allora ho capito subito la riscoperta della Confessione; ho capito la riscoperta della Parola di Dio; ho capito che c'era qualche cosa che fermentava nella gioven­tù... ». Questo è stato il primo Cenacolo.



Il professore segnò sul libretto: trenta e lode

R., la giovane che con una resistenza di acciaio aveva animato i canti al microfono tutta la notte, il giorno dopo aveva un esame di medicina. « Ci penserà la Mamma Celeste » aveva detto. E decise di rimanere. Si presentò all'università senza aver avuto neppure il tem­po di riposare, ma si sentiva in forma. Alla fine il professore vergò sul suo libretto un trenta e lode.

Sarà solo l'inizio di un cammino di fede e di abbandono che i gio­vani Gam sulla scia della Donna Tutta-fede percorreranno, guidati dal­l'esempio e dalla parola di Don Carlo. Come lui crederanno sul serio alla Parola di Gesù: « Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù» (Lc 12,31).

E si lanceranno alla conquista del Regno di Dio nelle anime con la preghiera e l'evangelizzazione.

Tredici anni dopo (dicembre 1988), in una cattedrale della costa calabra, dopo una notte di preghiera animata da giovani Gam, s'in­contreranno per la strada ragazzi e ragazze incamminati direttamente a scuola. È visibile in tutti quei volti la gioia e la trasparenza dell'anima.

Uno di essi, G., quinta liceo classico, dirà poi: «Avevo compito in classe d'italiano. Non mi è mai capitato di fare un compito così bello, con tanta facilità ».

Tutto come dopo quella notte della prima veglia.



Chi sono questi giovani?

Ma chi sono questi giovani? Che cosa cercano e cosa trovano nel Movimento Gam? Lasciamo la parola a Don Carlo stesso: «Il G.A.M. è un movimento giovanile di ispirazione eucaristica, mariana, eccle­siale. Intende con i Cenacoli far presa diretta sui giovani e fargli ama­re il Rosario, la Parola di Dio, la Confessione, l'Eucaristia, il Papa e la Chiesa. Riscopre la Confessione come esperienza di gioia e 1’Eu­caristia come esperienza di cielo e di risurrezione. Moltissime migliaia di giovani italiani vi aderiscono. Vuole riportare Dio nelle famiglie, nelle scuole, nelle comunità e nella società. Ha un sogno: costruire la civiltà dell'amore e preparare la primavera della Chiesa. Lancia i gio­vani nell 'Evangelizzazione ».

È una definizione che rispecchia in sintesi i grandi amori di Don Carlo: il suo amore alla Parola di Dio, a Gesù Eucaristia, alla Ma­donna; l'indefessa ricerca del Regno di Dio e della gloria del Padre; la filiale fedeltà alla Chiesa e al Papa; la fiducia nei giovani e i grandi ideali di evangelizzazione maturati per lunghi anni nella luce dello Spi­rito Santo e sotto la guida di Maria, "Stella dell'evangelizzazione" (E. N. n. 82).

Tutta la sua vita fu una preparazione a questa missione specifica nella Chiesa e nel mondo: il Gam. Egli stesso lo disse un giorno: « La Mamma in tutti questi anni mi ha preparato per questo. Ha condotto tutto in vista del Gam ».



Giovani a migliaia si preparano

« Da dove viene il nome GIOVENTÙ ARDENTE MARIANA? Dalla Mamma Celeste stessa - risponde Don Carlo -. L'aggettivo ARDEN­TE e l'altro aggettivo MARIANA qualificano la gioventù: arde del fuo­co dello Spirito Santo e della Parola di Gesù; è tutta mariana, cioè della Mamma Celeste, e perciò si consacra al Cuore Immacolato di Maria ».



Ragion d'essere

«Nello sbandamento di tantissimi giovani, affascinati da ideolo­gie malsane - spiega ancora Don Carlo - vuol essere come una roc­caforte di resistenza alla pressione satanica e una coraggiosa afferma­zione della propria fede attraverso i cosiddetti Cenacoli. Gli apparte­nenti (giovani e ragazze "inviati dalla Madonna e scelti da Lei") si impegnano al Rosario quotidiano, a una forte vita Eucaristica, a un amore entusiasta per il Vangelo e a un grande attaccamento e fedeltà al Papa e alla Chiesa a lui unita ».



Obiettivi

Ne delinea brevemente gli obiettivi: « Il Gam vuol dare ai giovani il pieno significato degli avvenimenti che sono chiamati a vivere e vuole lanciarli nel più splendente ideale che li possa affascinare: il REGNO DI DIO.

Il Gam vuol portare i giovani alla consacrazione al Cuore Imma­colato di Maria e ai tre grandi amori: l'Eucaristia, la Madonna, la Chie­sa e il Papa. Con il Rosario in mano, arma di salvezza, si preparano a combattere il nemico Satana: si preparano alle "dure battaglie che li attendono". "È un cammino che devono fare". È tutta opera della Madonna: i giovani li sceglie e li chiama Lei ».



Il Gam è tutta opera della Madonna

Era talmente convinto che il Gam era tutta opera della Madonna che non si preoccupava di organizzare, ma stava piuttosto attento ai segni che Lei gli mandava attraverso circostanze e persone e si muo­veva prontamente. Sorprendeva l'immediatezza con cui rispondeva a questi cenni della Condottiera: non vedeva ostacoli, non calcolava né ragionava. Attendeva e pregava per avere luce, ma una volta indivi­duata la volontà di Dio, si buttava con sicurezza piena e abbandono totale, con una gioia indicibile, pur sotto la croce.

Sotto la croce trovava sempre Colei che gli addolciva ogni pena e gli rendeva possibile ogni salto nel buio.

Di salti nel buio Don Carlo ne fece tanti, superando spesso l'in­comprensione, l'abbandono, la derisione anche e una sempre più stretta solitudine che si creava attorno a lui dopo l'inizio di quell'opera che, essendo più del cielo che della terra, più divina che umana, arrischia­va di non essere capita dai più.

« Lo stile di Dio è sempre così umile e discreto - scrisse un autore - che può anche passare inosservato o venire rifiutato dagli uomini, come avvenne a Betlemme, a Nazaret, a Gerusalemme... ». E il Car­dinal Newmann: « Nulla di grande si può fare senza sofferenza, senza umiliazioni ».

A Don Carlo bastava sapere che la Mamma Celeste voleva che il suo Movimento andasse avanti. E si sarebbe buttato anche nel fuoco. Conosceva bene quel passo di Isaia dove il Signore assicura: «Il mio progetto resta valido, io compirò ogni mia volontà. Così ho par­lato e così avverrà; l'ho progettato, così farò» (Is 46, 10-11).

E ancora una volta si abbandonava.



Un arabesco di amore

Dopo quella prima veglia del 24 maggio, i Cenacoli Gam andava­no via via moltiplicandosi. Ne parla Don Carlo stesso: «Il secondo Cenacolo fu richiesto da un gruppo di giovani che erano venuti dal Veneto. Li aveva talmente colpiti quella notte di veglia, che chiesero di fare un Cenacolo simile, ma di giorno, a Vicenza nel Santuario del­la Madonna di Monte Berico. Era l' 11 giugno. Abbiamo fatto quel Cenacolo come "Pentecoste dei giovani", mettendo l'accento sullo Spi­rito Santo (...).

Il 24 agosto abbiamo fatto un Cenacolo come festa del Padre che è nei Cieli. Senza saperlo si faceva questa trafila: la Madonna il 24 maggio, lo Spirito Santo l'11 giugno, il 24 luglio l'Eucaristia e il 24 agosto il Padre che è nei Cieli».

« È stato bellissimo - commenta Don Carlo -. Il gruppo dei gio­vani di Torino ha interpretato splendidamente le Parole di Gesù nella parabola del figlio prodigo - che è la nostra storia - e l'ha immesso nel rito della Penitenza comunitaria. È stata una cosa indimenticabile.

Poi i Cenacoli si sono moltiplicati: Verona, Milano, Trento, Ve­nezia, Genova ecc... Al di là di queste poche righe di cronaca si può intravedere l'opera meravigliosa della Madonna nelle anime dei suoi giovani. È un arabesco di amore».



Ne ho bisogno per ricaricarmi

I Cenacoli intanto si moltiplicavano in tutta Italia e Don Carlo era instancabile nel portarsi là « dove la Mamma lo chiamava ». « È Lei che ci fa strada - diceva -. Lei ci precede e noi non abbiamo che da seguirla ».

« Il Cenacolo Gam - dirà - è un incontro di preghiera con la Pa­rola di Dio. Richiama subito al pensiero l'Ultima Cena di Gesù, l'Eu­caristia, la Risurrezione, l'istituzione della Confessione, la prima Chiesa attorno a Maria, Madre di Gesù, la discesa dello Spirito Santo e la gioia, la grande gioia di essere "creature nuove", figli del Padre Celeste ».

Comprende tre momenti:

1) Catechesi pregata (dopo l'invocazione allo Spirito Santo, si prega la Parola di Dio attraverso il Cuore Immacolato di Maria, intercalata all'Ave Maria e al canto).

2) Liturgia Penitenziale con l'esame di coscienza approfondito sui dieci Comandamenti.

3) Liturgia Eucaristia (quando è possibile).

Segue la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria e il giura­mento o la promessa di fedeltà al Papa, promettendo inoltre amore al proprio Vescovo e ai propri Sacerdoti uniti al Papa. Si svolge in un clima di gioia e di festa: è un piccolo "preludio di Cielo".

I giovani ne escono carichi di gioia e di slancio, come esprime que­sta lettera: « Sono una delle tante giovani Gam che le scrivono per rin­graziarla; io lo faccio perché essere una giovane Gam è una cosa meravigliosa. Domenica sono venuta per il grande Cenacolo Gam e ne sono rimasta entusiasta e ricaricata di nuova voglia di vivere. Sa­rebbe molto bello se tutti i giovani potessero conoscere il Gam. Ho seguito quasi tutti i Cenacoli a Torino e, poco per volta, mi sono con­vinta che essere Gam vuol dire:

- avere una grande gioia interiore ed esteriore;

- essere vicini a Gesù e alla Mamma Celeste; - riscoprire com'è bello pregare insieme;

- e soprattutto rinascere interiormente dopo la Confessione.

Il Cenacolo Gam è per me quasi una necessità; una volta al mese ne ho bisogno per ricaricarmi ».



Un Movimento provvidenziale

Molti parroci erano entusiasti perché vedevano un rifiorire di gio­vani e dell'intera parrocchia. Stralciamo da una lettera di un Sacerdo­te a Don Carlo: « Vi scrivo per sentirmi in comunione intima e profonda con tutti voi che fate parte del Gam. Colgo l'occasione per dirvi di essere entusiasti di appartenere a questo Movimento che considero provvidenziale per il momento storico che sta attraversando la Chiesa e il mondo. Io vi confesso che ho ricevuto un grande beneficio anche solo dalla lettura degli opuscoli che sono stati pubblicati dal Gam: so­no veri gioielli, scritti con fede, sotto la guida materna di Maria San­tissima» (Don P.G.).

Prima di ogni pubblicazione o iniziativa di evangelizzazione Don Carlo invitava alla preghiera e ricordava: « Cinque minuti di adora­zione a Gesù Eucaristia o, dovunque ci troviamo, alle Tre Persone di­vine che abitano in noi, fanno aumentare del cento per uno il frutto di tutta la stampa Gam che circola e di ogni altra attività evangeliz­zatrice ».

Dirà il Papa Giovanni Paolo II: «Una pausa di vera adorazione ha maggior valore e frutto spirituale della più intensa attività, fosse pure la stessa attività apostolica».

Don Carlo condusse i giovani alla gioia dell'adorazione eucaristi­ca. Alle claustrali diceva: « Voi siete le centrali elettriche nascoste che alimentano di luce la città. Con la preghiera si possono raggiungere le anime di tutto il mondo ».



Fratello e discepolo fedele

C'era anche qualche Sacerdote che lo affiancava nei grandi Cena­coli e lo aiutava per le Confessioni. In particolare uno gli fu quasi sem­pre a fianco nei principali Cenacoli: Don Bruno Busulini, che gli diverrà fratello inseparabile fino alla morte, discepolo fedele e custode amo­roso del Gam dopo il suo ritorno al Padre.

Si erano incontrati da Chierici nello studentato teologico di Mon­teortone, appena passata la bufera della guerra. Si rivedranno molti anni dopo a Torino. In quell'occasione Don Carlo gli comunicò con entusiasmo la sua felice esperienza di predicare solo Parola di Dio, spiegando, nei ritiri e corsi di esercizi spirituali, tutto un Vangelo. Don Bruno ne fu contagiato e se ne tornò carico di libri che Don Carlo gli aveva regalato o suggerito. Ma non aggiunse altre spiegazioni. So­prattutto non poté dargli una esemplificazione concreta sul nuovo ti­po di predicazione.

L'occasione venne nel 1975 quando Don Bruno partecipò a un corso di esercizi, predicato da Don Carlo a un gruppo di Sacerdoti salesiani sull'Apocalisse. Tutto allora risultò chiaro. Don Bruno comprese e ne fu entusiasta. Decise di fare anche lui così. Tanto più che gli si pre­sentò subito l'occasione per un corso di esercizi che doveva predicare a Bari. Don Carlo lo incoraggiò consegnandogli una serie di cassette sul Vangelo di S. Giovanni da lui commentato. Don Bruno si preparò su quelle, ripetendo poi i commenti ascoltati. Ne ottenne un intenso ascolto e una viva partecipazione.

Quel corso di esercizi sul quarto Vangelo fu qualcosa di decisivo per lui.



Conta pure su di me

Quando Don Carlo nel maggio del '75 passò a Padova per parlare del Gam a un ristretto gruppo di confratelli, annunciando anche il pri­mo Cenacolo per la notte dell'Ausiliatrice, Don Bruno si dichiarò su­bito entusiasta: « Conta pure su di me; aderisco pienamente a questo Movimento ».

Da allora affiancherà sempre Don Carlo, condividendo gioie, fa­tiche e incerti di una nuova strada che la Mamma Celeste indicava passo passo nel buio luminoso della fede.



Una rete di piccoli Cenacoli

Oltre ai grandi Cenacoli, si estendeva sempre più una rete di pic­coli Cenacoli un po' ovunque in cui i giovani si radunavano a pregare la Parola di Dio con il Rosario. Don Carlo lanciava questi piccoli Ce­nacoli come dei "piccoli fuochi accesi nella notte", che ardono del fuoco dello Spirito Santo, con Maria.

« Bastano anche due o tre giovani meravigliosi - diceva - per fa­re un piccolo Cenacolo Gam: "Dove sono due o tre riuniti nel mio Nome, in mezzo ci sono Io" dice Gesù (Mt 18,20) ». E soggiungeva: «Occorre fare tanti Piccoli Cenacoli nei Centri mariani, per quanto è possibile. In queste oasi si prega con la Mamma Celeste meditando il S. Rosario con la Parola di Dio.

Lo Spirito Santo sarà sempre presente in questi Cenacoli in modo Pentecostale.

I Sacerdoti e le Religiose saranno di sostegno ai piccoli Cenacoli e li guideranno, per annunciare insieme ai giovani il Regno di Dio a tutte le anime».

« I piccoli Cenacoli - sottolineava - sono la Parola di Dio che diventa preghiera, diventa Eucaristia, diventa devozione alla Madon­na, amore filialissimo, diventa ricarica spirituale... Sono piccoli rifu­gi di preghiera, di Parola di Dio.

Dai Cenacoli, usciranno le anime più sfolgoranti e felici».



Il Gam è del Papa

« Tu sei Pietro e noi giovani ti amiamo!» gridano i giovani Gam di oggi, come quelli dell'inizio, non appena riescono a intravedere la bianca figura del Papa nei suoi viaggi apostolici in Italia e all'estero. E quando gli sono vicini gli attestano la loro fedeltà fino alla morte, dichiarandosi pronti a dare la vita per lui. Che significato ha tutto que­sto per loro? Essere Gam vuol dire automaticamente amare il Papa e la Chiesa. Niente di nuovo, perché questo è parte essenziale della fede cattolica e per Don Carlo anche dell'eredità dei suoi primi anni di formazione. Ma è nuovo il modo in cui i giovani lo riscoprono. L'a­more al Papa e alla Chiesa infatti è uno dei "tre amori bianchi" lan­ciati da Don Carlo tra i giovani Gam.

Lui per primo aveva un amore intenso e autentico, fondato sul Van­gelo, per il Vicario di Cristo, al quale Gesù disse: « Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non pre­varranno mai contro di essa » (Mt 16,18). Nutriva una fedeltà a tutta prova che si faceva ascolto e attenzione al Magistero, affiancandolo, sostenendolo e difendendolo anche, con coraggio, affrontando il ri­schio dell'impopolarità.

"Una congiura di silenzio" e "Paolo VI salva la persona umana" sono due titoli significativi tra vari articoli da lui pubblicati in difesa del Papa Paolo VI allora attaccato da critiche massicce per la "professione di fede" da lui enunciata e la "Dichiarazione sull'etica sessuale".

Nelle pubblicazioni Gam riportava sempre le parole del Papa e nei momenti più salienti o di maggior sofferenza per la Chiesa lanciava un volantino adatto che i giovani distribuivano dappertutto. « Il Gam è del Papa » amava ripetere. E i giovani gli facevano eco.



Un pacchetto Gam per il Papa

Era suo vivo e costante desiderio poter presentare il Gam al Papa, averne la sua benedizione e il suo incoraggiamento; fargli sentire che, nella desolante solitudine in cui a volte si trovava, poteva contare sui giovani che lo amavano come il "dolce Cristo in terra—, ne ascoltava­no la parola, gli giuravano fedeltà assoluta, pronti a difenderlo anche con la vita.

Più volte cercò di far giungere a sua Santità Paolo VI le pubblica­zioni Gam. Una volta il tentativo riuscì in maniera inaspettata. Al­l'aeroporto di Torino fu affidato un pacchetto contenente la serie dei 5 messalini Gam a una persona diretta a Roma che si era impegnata a consegnarlo a chi l'avrebbe fatto pervenire al Santo Padre. Non si sa per quali motivi invece il pacchetto fu abbandonato su una panchi­na nei pressi del Vaticano. Lo scorse la polizia che, dopo averlo esa­minato con gli appositi radar di controllo, lo consegnò a una Suora addetta a particolari mansioni in Vaticano. Il pacco giunse così in mano a Sua Santità Paolo VI.



Chi è il Fondatore?

Più tardi, nel '79, avrà la gioia di vedere un gruppo di giovani Gam accolti in udienza privata dal Papa Giovanni Paolo II che canterà con loro: "Ave Mamma", "T'ho incontrato", rimanendo particolarmente colpito da "Viene l'ora", un canto che parla di martirio e di Cielo. Come sempre Don Carlo rimarrà nell'ombra.

- Chi è il Fondatore di questo Movimento? chiese il Papa. - La Madonna, risposero in coro i giovani.

- La Madonna..., sì, sì, sorrise il Papa. Ma di chi si è servita la Madonna?

Solo allora i giovani accennarono a Don Carlo. Poi aggiunsero che con lui c'era anche Don Bruno. Il Papa allora raccomandò: « Portate loro la mia benedizione ». E regalò per loro due coroncine.

In seguito i giovani Gam affiancheranno il Papa nelle sue tappe di evangelizzazione, non solo nelle Parrocchie romane, ma anche nel­le varie città d'Italia, con il volantinaggio e i Cenacoli.



Quattromila giovani in S. Pietro

Il primo maggio 1976 fu un vero trionfo della Donna vestita di Sole: un Cenacolo stupendo nella Basilica di S. Pietro a Roma.

Così ne pubblicò la notizia l'Osservatore Romano della domeni­ca: « Nel pomeriggio di sabato, 1° maggio e 1° sabato del mese ma­riano, 4.000 giovani provenienti da tutte le regioni d'Italia, hanno sostato in San Pietro dalle ore 14 alle ore 18. Per quattro ore consecu­tive echeggiarono preghiere e canti per il Papa e per la Chiesa. Il folto gruppo di giovani hanno espresso così nel modo più devoto, compo­sto e commovente il proprio amore al Santo Padre Paolo VI.

Le quattro ore corrisposero esattamente ai quattro punti del pro­gramma con testi e canti: Rosario, Letture bibliche, Rito Penitenziale (con esame sulle Beatitudini) e Confessioni, Santa Messa e Comunio­ne. Dalle 17 alle 18 concelebrarono Don Carlo De Ambrogio con altri 48 Sacerdoti che si erano prestati per le Confessioni individuali e che durante la Messa si prestarono per distribuire Gesù Eucaristico. I nu­merosi canti facili e vibrati, sostenuti specialmente dai gruppi veneti e lombardi, furono eseguiti da tutta la massa in sintonia con lo squil­lo delle trombe.

Vivissima la commozione dei presenti, sino alle lacrime, davanti a questo spettacolo di giovani oranti e felici. Sembrava che un grande spiraglio di luce tagliasse e diradasse le tenebre del futuro » (O. R. della Domenica 16 maggio 1976).



Una festa del Papa indimenticabile

L'amore per il Papa e la Chiesa, lo inducevano a organizzare Ce­nacoli di preghiera a questo scopo, come nel giugno del '77 a Roma. Eccone la relazione che Don Carlo pubblicò per i giovani Gam: Roma: 29 giugno 1977. « Mercoledì 29 giugno era la festa del Papa:

I giovani Gam dalle ore 15,30 alle 17,30 tennero nella Basilica dei Santi XII Apostoli, a Roma, vicino a Piazza Venezia, un grande Cenacolo Gam di preghiera e di fedeltà al Papa Paolo VI. Fu un pieno sinfoni­co di preghiera, di gioia e di canti. La Basilica si riempì di anime gio­vanili e di religiose.

I giovani Gam giurarono obbedienza e fedeltà assoluta al Papa. Poi alle 18,30 si riversarono tutti in S. Pietro con il loro distintivo giallo inalberato sul cuore e si strinsero attorno al Papa che concelebrava con i cinque neo-cardinali. Quando alla fine i giovani Gam sventola­rono al Papa due striscioni con su scritto: « "Tu sei Pietro" e noi gio­vani ti amiamo e G.A.M. Gioventù Ardente Mariana», il Santo Padre sorrise (un sorriso che lo trasfigurò e che non dimenticheremo più) e benedisse a lungo, mentre i giovani lo applaudivano e cantavano: Ave, Mamma, tutta bella sei... Fu una catena di amore attorno al Pa­pa. Sulle scalinate di S. Pietro il canto dei giovani risuonò a lungo; e la marea di gente non si stancava di ascoltarli. Resterà indimentica­bile quella festa del Papa! ».

I giovani rimanevano contagiati da questo amore al Papa e alla Chiesa. Dice uno di loro diventato ora Sacerdote: «L'elemento forte che io sentivo in modo particolare alla fine dei Cenacoli era il giura­mento di fedeltà al Papa. Questo perché negli ambienti in cui mi tro­vavo, anche a scuola, si parlava moltissimo male dei preti, del Papa. Quindi, rinnovare il giuramento di fedeltà, sentire qualcuno che po­tesse parlare con amore del Papa, mi dava veramente tanta gioia e forza combattiva ».



Giovani evangelizzatori

Intanto la Condottiera delineava sempre più chiara la missione spe­cifica dei suoi giovani Gam: l'evangelizzazione, oltre alla preghiera sulla Parola di Dio e la vita sacramentale. Occorreva portare agli altri la luce ricevuta. "Contemplata tradere" dice S. Tommaso e l'Evan­gelii Nuntiandi afferma: «Ogni evangelizzato deve diventare a sua volta evangelizzatore ».

Le Parole di Gesù sono chiare e precise: «Evangelizzate ogni crea­tura» (Mc 16,15). « Voi siete la luce del mondo... non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio» (Mt 5,14.15).

La Madonna che aveva acceso questa luce, sapeva Lei quando e come metterla sul lucerniere, perché facesse luce nella sua Chiesa e nel mondo. E dopo due anni di soli Cenacoli di preghiera e testimo­nianza, inizierà a guidare i primi passi dei suoi giovani Gam anche nell'annuncio esplicito del Vangelo. Un annuncio fatto «con parre­sìa », cioè con coraggio e con gioia.

L'inizio avvenne nei Cenacoli Gam di Formula 1: duravano abi­tualmente un giorno. Erano Cenacoli indimenticabili di Cielo, in cui, oltre al commento sul Vangelo di S. Giovanni, di S. Luca, dell'Apo­calisse, dei Salmi, Don Carlo tracciò le linee - ispirandosi sempre al Vangelo - per preparare i giovani ad animare i Cenacoli in famiglia, coi fanciulli, i malati...

Si avvertiva una presenza tutta particolare della Mamma Celeste. E tutti quei giovani partivano trasformati e con un desiderio ardente di annunciare il Vangelo.

«Sta arrivando una gioventù splendida - diceva Don Carlo -; è il mondo nuovo di domani e vedrete che società preparano! I giova­ni prepareranno la civiltà dell'Amore e la primavera della Chiesa. Ci rimetteranno. E tanto! Ma ci riusciranno ».

«Mi ha colpito in Don Carlo - dice una giovane Gam dei primi tempi - il fatto che ha lanciato noi giovani all'annuncio del Vangelo con una fiducia immensa e unica. Anche avanzando poi negli anni, non se ne può più fare a meno. Magari arrivati a una certa età, può cambiare la forma, ma si continua a sentire dal di dentro l'urgenza di annunciare, di evangelizzare».

Lanciare i giovani nell'evangelizzazione: fu questa una delle intui­zioni più nuove e geniali di Don Carlo, nata dal suo straripante amo­re al Vangelo e ai giovani e da quell'ascolto dei segni dei tempi - quelli autentici, dono dello Spirito Santo - che caratterizzerà sempre la sua andatura spirituale così fresca e giovane.

« Lo vuole la Mamma - diceva con la sua solita semplicità -; è Lei che vuole inviare i suoi giovani, così come ha fatto Gesù con i disce­poli. Vuole preparare con loro il Regno del Figlio dell'uomo ». Si ri­faceva all'Evangelii Nuntiandi - che egli diceva la "magna charta" dell'evangelizzazione - che afferma: « Tutta la Chiesa è chiamata ad evangelizzare. I giovani ben formati nella fede devono diventare gli apostoli della gioventù».

E dodici anni dopo, nell'esortazione "Christifideles laici", il Pa­pa Giovanni Paolo II dirà: « I giovani non devono essere considerati semplicemente come l'oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa: sono di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo, soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione... » (n. 46).



Una semina a tappeto

I giovani, entusiasmati dall'ideale del Regno di Dio, iniziarono pri­ma con il volantinaggio a tappeto e poi con i piccoli Cenacoli nelle famiglie, nelle scuole, negli ospedali... Distribuivano in particolare il "Per me Cristo ", un foglio volante a servizio ecclesiale con la liturgia festiva della Parola - che viene gratuitamente spedito anche attual­mente in tutta Italia e all'estero nelle edizioni per adulti, per fanciulli e per bimbi della scuola materna -. « Il Per me Cristo - disse Don Carlo - fu un'invenzione meravigliosa della Madonna per diffonde­re il Vangelo in maniera capillare dappertutto ».

Il volantinaggio - che egli definisce « l'evangelizzazione specifica del Gam » - dava e continua a dare a tutti la possibilità di diffondere il Vangelo e di raggiungere anche i lontani, i non credenti, così come il seminatore della parabola « uscì a seminare », spargendo il seme senza discriminare i terreni: sulla roccia, tra le spine, sulla strada, sul terre­no buono... I giovani facevano proprio così, distribuivano i volantini - e continuano tuttora - nelle buche delle lettere, sui tergicristallo delle auto in sosta, ai passanti, tra le corsie degli ospedali, all'uscita delle chiese, delle scuole, delle fabbriche, nelle case circondariali ecc.

Don Carlo lanciava l'iniziativa; e l'inventiva dei giovani, guidati dalla Mamma Celeste, faceva il resto. Quando si ritrovavano con lui non finivano più,di raccontare le loro esperienze - così come faceva­no i discepoli attorno a Gesù dopo una missione -: una signorina rac­cogliendo da terra un volantino Gam bagnato di cui rimaneva visibile ancora l'indirizzo, scrive perché le venga spedito; un signore rimane colpito da quei commenti e ritorna in chiesa dopo molti anni; una gio­vane riprende a pregare; un parroco li richiede per la sua parrocchia ecc. Episodi a non finire in cui i giovani toccavano con mano che dav­vero « il Vangelo è la potenza stessa di Dio » (Rm 1,16).



Uno schiaffo e una conquista

Una giovane Gam di Roma che deponeva il "Per me Cristo" nelle buche delle lettere del suo condominio, si sentì investire dalle furie di un signore che non ne voleva sapere "di quella roba" e le mollò addi­rittura uno schiaffo in viso. La ragazza non disse nulla e scoppiò in pianto. Qualche giorno dopo, quel signore suonò alla sua porta. Non sapeva come fare a scusarsi e la pregò di portargli sempre quel volan­tino che non aveva mai letto prima, ma che adesso aveva scoperto co­me un piccolo tesoro.



Non avrei mai pensato a nulla di simile

E un giovane racconta la sua conversione dovuta proprio a uno di questi volantini. «lo posso dire di aver conosciuto Don Carlo in due momenti distinti: come se l'avessi incontrato due volte per la pri­ma volta. La prima volta è stato tramite il Per me Cristo, questo vo­lantino che ormai è diffuso in tutta Italia. Mi fu dato - ricordo il giorno e l'ora - il 13 agosto del '78, alle tredici circa, in Piazza S. Pietro da un giovane. Mi fu consegnato dopo anni che non mettevo più piede in chiesa. Conducevo una vita ecco, detto proprio chiaro chiaro, di dissolutezza massima.

Mi colpì il commento di Don Carlo al brano di Vangelo in cui Pie­tro cammina sulle acque. Preso dalla paura, affonda e Gesù lo pren­de per la mano e gli dice: "Uomo di poca fede, perché hai dubita­to?". Il commento di Don Carlo era questo: finché Pietro guardava Gesù, camminava sulle acque del mare, che rappresentavano un po' le vicissitudini della vita; come Pietro staccò gli occhi da Gesù, co­minciò ad affondare. E quelle parole di commento erano il concen­trato, il riassunto della mia esistenza.

Fin quando, da piccolo, guardavo a Gesù e pregavo, tutto bene. Come ho smesso, tutta la vita cominciò ad andare a rotoli. Misi quel foglietto in tasca e poi rimase dimenticato così.

Sopra vi avevo annotato un numero telefonico datomi da uno di quei giovani Gam. Dopo un mese salta fuori dal cassetto questo vo­lantino, telefono a questo numero e vado al Centro Gam. La domeni­ca successiva, mi presentano Don Carlo. E lì l'ho conosciuto di persona. Quando lo si vedeva, la prima cosa che colpiva erano quei due occhi che ti penetravano nell'anima. Ricordo ancora la frase che mi dis­se. Chiamandomi per nome, mi guardò proprio fisso negli occhi e mi disse: "Ah! P., che occhi stupendi hai; la Mamma ti vuole tanto be­ne!". Una frase semplice, ma che ha inciso in me. Da allora è cam­biato tutto nella mia vita.

E mi sorprendevo io stesso - io che avevo decisamente abbando­nato la vita di preghiera, della Chiesa, e non potevo soffrire i preti - di rimanere in chiesa tre, quattro ore di seguito ad ascoltarlo nei Cenacoli, o tutta la notte nelle veglie, uscendone fresco e riposato, fe­lice e sereno. Non avrei mai pensato a nulla di simile ».



Riportare Dio nelle famiglie

Nella sua passione per il Regno di Dio, Don Carlo diceva: « I gio­vani sentono fortemente il futuro di Dio, sono proiettati al futuro: intendono costruire la civiltà dell'Amore e vogliono assolutamente rin­novare il mondo. C'è in loro una forza misteriosa: è lo Spirito Santo che guida i tempi nuovi. La gioventù è la punta avanzata della socie­tà, è la più sensibile al vento nuovo che soffia. Attraverso i giovani si arriva a rinnovare la società che attualmente è in sfacelo, perché sono in crisi i tre protagonisti principali di essa. In crisi è la donna e quindi la famiglia è dissacrata; in crisi è l'insegnante e quindi la scuola è scombinata; in crisi è il prete e il religioso e quindi ecco le sofferenze della Chiesa.

La famiglia è a terra, perché non prega più insieme. Da quando è entrata la televisione, non c'è più tempo per pregare. E’ un problema fondamentale: bisogna riportare la famiglia a pregare. Come? Con la stessa tecnica che ha usato la Madonna e che ha adoperato Gesù. «Maria entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta» (Lc 1,40). Gesù entrava nelle case dei peccatori: « Zaccheo, scendi, oggi bisogna che entri in casa tua. Oggi in questa casa è entrata la salvezza» (Lc 19,1-10). Lo accusavano di entrare nelle case dei peccatori e dei pubblicani.

Anche i primi cristiani entravano nelle case. È la « Chiesa dome­stica »; è qui che bisogna arrivare con i Cenacoli in famiglia. Sono i giovani e i bambini che portano a pregare. Pregano il Rosario con la Parola di Dio. È uno stile nuovo che usano i giovani: ad ogni Ave Maria si medita qualcosa del Vangelo e poi segue il canto. Attraverso il Rosario, si adora la Parola di Dio per mezzo del Cuore Immacolato di Maria. Il Rosario con la Parola di Dio è la catechesi più stupenda, perché è adorazione di questa Parola, che diventa preghiera. Tutto que­sto, attraverso l'azione materna di Maria che è la Madre, attorno alla quale si riuniva a pregare la prima Comunità cristiana nel Cenacolo (Atti 1,14) ».



Mi sono sentito un mostro

Racconta ancora un episodio capitato a Genova, un'esperienza che egli definisce "un frammento di Cielo: come opera la Grazia nelle anime".

« A sentire le preghiere e il canto delle bambine - racconta un pa­pà - mi sono sentito un mostro. Quando le mie bambine Bucaneve sono uscite dalla chiesa, dopo un Cenacolo Gam per fanciulli, non ho più avuto il coraggio di guardarle in faccia; per tutto il giorno so­no rimasto agitato. Alle 18 sono andato in chiesa dal Padre S. e mi sono confessato: erano sette anni che vivevo lontano da Dio. Ora so­no tanto, tanto felice».

« La primavera della Chiesa - conclude Don Carlo - avverrà at­traverso due canali: le famiglie, e lì protagonista è il bambino, e poi la gioventù, e lì protagonisti sono gli adolescenti. Sono le due età del­l'uomo più disponibili, più aperte alla Grazia, ad accogliere la voce di Dio. Bisogna caricarli di Parola di Dio. La Parola di Dio è un con­tinuo germinare, è una primavera continua, è un dilatarsi di novità: ecco il Cielo ».



In decollo verticale

Don Carlo era un vulcano in continua eruzione per la Parola di Dio: preparava sempre nuovi dépliants e opuscoletti, escogitava sem­pre nuove iniziative: i Cenacoli dei primi venerdì e primi sabati del mese per rilanciare la devozione al Cuore Eucaristico-Sacerdotale di Gesù e al Cuore Immacolato e Addolorato di Maria; i Cenacoli dei Bucaneve (così si chiamavano i fanciulli dai 5 agli 11 anni); i Cenacoli della Via Crucis in Quaresima, ecc.

I giovani erano continuamente ricaricati e rilanciati, perché « il giovane parte subito in decollo verticale - sottolineava Don Carlo - ma brucia subito tutto. Occorre ricaricarlo continuamente».

In questo senso egli definisce il Gam « una stazione di servizio, dove ognuno si ricarica, prende la benzina che gli occorre e poi parte. Quindi il nostro compito non è fare scuola guida ai ragazzi... A noi interessa dar loro la Parola di Dio e la Vita divina della Grazia. Poi partono loro stessi e partono forte! ».



L'azione di Dio è clandestina

I Cenacoli continuavano a moltiplicarsi in tutta Italia: Genova, To­rino, Milano, Rovigo, Bologna, Roma, Napoli, Pompei, Messina, Pa­lermo... Don Carlo era sempre disponibile ai minimi cenni della Con­dottiera. E non misurava distanze e sacrifici. Era un « eccomi » inces­sante. Spesso qualche Sacerdote gli chiedeva come mai non facesse co­noscere in maniera più estesa il Movimento. Don Carlo motivava: « Ho capito che la Madonna non vuole assolutamente pubblicità. L'azione del Signore è molto più clandestina di quanto noi possiamo immagi­nare; è sotterranea, perché Lui è "il Dio nascosto" come dice il pro­feta Isaia (45,15). Le opere di Dio maturano nel nascondimento ».

Rifuggiva sempre da tutto ciò che poteva essere spettacolare. An­nunciava il Vangelo e scompariva.

Ma il "profumo di Cristo" che irradiava non passava inosservato né alla gente né ai pastori. Dice infatti di lui S.E. il Cardinal Salvato­re Pappalardo di Palermo: « Non ho avuto con Don Carlo rapporti personali frequenti o intensi, ma nelle due o tre volte che venne a far­mi visita quando veniva qui a Palermo, ebbi modo di accorgermi di quanta carica avesse: umana, sacerdotale e particolarmente mariana. Ha alimentato questa fiamma di devozione alla Madonna nel cuore dei cristiani. E ha saputo sempre abbinare al culto la dottrina, la cate­chesi, la teologia, in modo che il culto fosse alimentato dalla dottrina della fede ».



L'ora della Donna vestita di Sole

Il 1° maggio 1978 a Roma in S. Giovanni in Laterano fu qualcosa di indimenticabile. Il Gam era stato invitato a collaborare dall' 1 al 3 maggio per l'arrivo della Madonna di Fatima pellegrina di pace in venti nazioni di tre continenti. Al Cenacolo conclusivo si riversò una tale folla che non fu più sufficiente la Basilica ad accoglierla, né bastò il grande palco preparato per l'emergenza in piazza, di fronte alla Basi­lica. La gente continuava ad affluire a fiumi. Allora S.E. il Cardinal Poletti, Vicario del S. Padre per la città di Roma, invitò Don Carlo a salire sul loggione e da lì animare il Cenacolo. Tutta quella marea di gente pregava e cantava "Ave Mamma". Quindi ripetè la formula di consacrazione al Cuore Eucaristico-Sacerdotale di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria, con un crescendo impressionante al `giuro ob­bedienza e fedeltà assoluta al Papa... ".

« Credo di non avere mai capito bene come in quel momento la gioia del Paradiso, la luce, le cose meravigliose che Dio ha preparato - ricorda A.M., una giovane Gam -. Mi sentivo felice e Don Carlo ai miei occhi emanava una gioia diversa dal solito. Sembrava che ve­desse ciò che stava spiegando ».

Tutti furono colpiti da quell'afflusso inaspettato di partecipazio­ne. I giornali parlarono di un milione e mezzo di persone. Chi aveva convocato tutta quella marea di gente? « La Madonna - rispose Don Carlo spiegando -: È l'ora della Donna vestita di Sole. È Lei che pre­cede e prepara il Regno del Figlio dell'uomo. Come il Battista ha pre­corso la prima venuta di Gesù e viene chiamato "il testimone della luce" (Gv 1, 8), così Maria adesso precorre e prepara la seconda venu­ta del Figlio dell'uomo, la più splendida, in cui dominante sarà la Pa­rola di Gesù, la nuova evangelizzazione.

Gesù nell'Apocalisse è chiamato "la Stella del mattino". Maria - la Mamma, che con il suo Cuore Immacolato conservava e medita­va ogni Parola - è l'aurora che lo precede e prepara le folle alla sua seconda venuta. È la "Testimone della Luce" che è Gesù ».

Sarà una constatazione questa che continueranno a fare i giovani Gam nei Cenacoli e nelle missioni: la Mamma Celeste mobilita tutti e riempie le chiese, le contrade e le piazze. E avvengono veri miracoli di conversione: persone che da molti anni sono lontani da Dio e da ogni pratica religiosa si riaccostano al Sacramento della Riconcilia­zione e piangono di gioia.

« È Lei che porta a Gesù - sottolineava Don Carlo -: A GESÙ PER MARIA. È questo il motto del Gam ».



Il Sacramento della gioia

«L'annuncio del Vangelo - diceva Don Carlo - è in vista della nostra gioia. Ma non ci può essere gioia senza il perdono dei peccati e la conversione. Ecco perché nel suo primo annuncio, dopo aver det­to: "II Regno di Dio è vicino", Gesù aggiungeva subito: —Convertite­vi e credete al Vangelo—. La Parola di Dio porta a cambiar vita».

Don Carlo aveva dato nel Cenacolo Gam un posto privilegiato al Sacramento della Riconciliazione.

Monsignor Agostino Vigolungo del Seminario Vescovile di Alba - Sacerdote d'intensa spiritualità e carica umana, che comprese e ap­poggiò il pensiero e l'azione apostolica di Don Carlo - ebbe a dire: « In un momento particolare della Chiesa in cui, oltre alla contesta­zione della devozione alla Madonna, era in atto anche la contestazio­ne e il decadimento della Confessione, è stata davvero un'ispirazione e un'intuizione dall'Alto la sua, di richiamare e riportare forte questi due fondamenti della vita cristiana».

Tuffava i giovani, e tutto il popolo di Dio, nell'esperienza del per­dono del Padre commentando soprattutto la parabola del figlio pro­digo, che egli definiva « la nostra storia ». E quando i giovani erano in Grazia diventavano più aperti e recettivi alla Parola di Dio; il clima spirituale raggiungeva un'alta incandescenza di gioia. « Dopo l'esame di coscienza sulla Parola di Dio - diceva Don Carlo - l'accusa di­venta chiara, precisa. Si presentano al Sacerdote senza paura e quan­do si presentano è avvenuta ormai la conversione.

Anche i fanciulli, con l'esame di coscienza così preparato, si con­fessano bene. A noi Sacerdoti - sottolineava - dopo l'accusa non rimane altro che dare l'assoluzione; anche senza soffermarsi a fare esor­tazioni, perché ne hanno già ricevute molte nel Cenacolo di prepara­zione. Soprattutto è importante congedarli festosamente, sottolineare il motivo della gioia, che è del confessore, come del giovane. Il giova­ne deve uscire dalla Confessione carico di gioia. Ecco la riscoperta del Sacramento della Riconciliazione: non un Sacramento di tortura, ma di gioia. È il mistero pasquale che si rinnova: morte e risurrezione. "Questo mio figlio era morto ed è risuscitato... Facciamo festa" dice il padre del figlio prodigo (Lc 15,32) ».



Piangevo di gioia

« La cosa che m'ha colpito di più in lui è stata questa - dice G., un giovane Gam -: durante la Confessione non diceva molte parole, anzi pochissime, ma quelle poche parole e il sorriso del volto così lu­minoso davano una carica fortissima. Quando uno tornava dalla Con­fessione era veramente pieno di gioia. Per me questa è stata l'espe­rienza più bella. ».

« Nel mio primo Cenacolo a Recoaro - ricorda S., una giovane Gam - ricordo particolarmente il momento della Confessione così breve e incisiva, tutta nuova e che Don Carlo concluse con poche pa­role, apposta per me, guardandomi negli occhi. Ricordo bene che pian­gevo di gioia quando ritornai al mio posto ripetendo dentro di me le parole che mi aveva detto ».

«Le Suore dicevano che uscendo dalla Confessione si sentivano come in Paradiso », attesta Sr. A.

E un'altra: « È pensiero unanime che quando lo si avvicinava al Confessionale si ricevevano delle luci tutte particolari, una forza per continuare con più amore, più fervore e per affrontare qualsiasi diffi­coltà ».

Alcune dicevano che avvertivano anche un senso di benessere fisi­co, oltre che spirituale.

« Incoraggiava sempre - sottolinea una sua penitente -. Dava un colpo d'ala all'anima, facendole sentire quanto era amata dal Padre, da Gesù, dalla Mamma Celeste. Ci si staccava dal confessionale con una gioia celestiale e una forte ricarica di unione con Dio, con i Tre ». Invitava le anime portate allo scrupolo a combattere il ripiegamento su se stesse, credendo all'onnipotenza del perdono divino, all'amore del Padre e affidandosi alla Mamma Celeste. Un giorno una persona gli chiese: « Don Carlo, un atto di amore a Gesù può far ricuperare qualche anno perduto della propria vita? ». Rispose con dolcezza: « Non qualche anno. Tutta una vita ».



Fu per me un raggio di sole

Padre R. L., missionario della Consolata, racconta: «Ebbi la for­tuna di conoscere un po' Don Carlo De Ambrogio. Fu per caso. Era il 1° maggio 1976. Prima di ripartire, dopo gli Esercizi spirituali, andai a S. Pietro a Roma.

Ero seduto, quando improvvisamente fui attirato da un gruppo nu­meroso di giovani che si diressero all'altare maggiore. Sistemarono un microfono ed iniziarono a pregare il Rosario alternato alla Parola di Dio e al canto, accompagnato dall'organo, dalla chitarra e anche dal suono delle trombe.

Ma la cosa che maggiormente mi colpì furono le Confessioni. Una lunga fila di giovani passava davanti ad un esile sacerdote che con volto sorridente, dopo l'accusa, li assolveva. La cosa mi incuriosì. Mi alzai e andai anch'io. Mi guardò e con dolcezza mi disse: —La Madonna le vuole tanto bene". Fu per me un raggio di sole che ancor oggi ri­cordo con tanta gioia. Quelle parole si rivelarono veramente una pro­fezia. Conobbi infatti il Gam e con molti giovani feci le mie più belle esperienze sacerdotali. Come dimenticare quelle Confessioni di gio­vani e adulti in lacrime? Sulle piazze, negli ospedali, nelle officine du­rante le missioni estive?

Di questo, grazie a Maria che nel suo figlio diletto Don Carlo ha manifestato la sua onnipotenza supplice. E poi i prodigi che Dio ha operato e continua ad operare nel Gam li vedremo in Cielo, esaltando e glorificando Dio insieme con Don Carlo».



Un principio originale di Don Carlo

« Un fatto molto significativo, che ho notato in Don Carlo e che ha portato anche nella mia vita missionaria una convinzione - atte­sta Padre E., Passionista - è la dolce spinta o pressione convincente di far accostare alla Santa Riconciliazione i giovani fin dal principio della predicazione. Ho notato sempre più con esperienza immediata che i giovani confessati capiscono meglio le altre verità... Questo si­stema l'ho sperimentato nelle Missioni: invitare al più presto alla Con­fessione! E Confessione frequente. È un principio originale direi di Don Carlo, perché noto generalmente nei conferenzieri e predicatori un dilazionare questo Sacramento, che invece aprirebbe la mente ad accogliere con più serenità le altre verità.

Ho pure notato che Don Carlo ha lasciato un'impronta incancel­labile in quanti hanno avuto un contatto con lui, sia che facessero parte del Gam o ne fossero estranei.

E per me stesso? Un grande beneficio... Seguire il Gam secondo le mie possibilità di Missionario, partecipare quando posso ai Cena­coli, riviverne lo spirito attraverso la stampa Gam, fare io stesso un po' di volantinaggio e distribuire durante la Missione questa stampa, è una ricchezza, una grande gioia e una vera benedizione della Madon­na.

Quando devo fare le conferenze ai giovani invoco Don Carlo che mi dia il suo spirito e la sua luce interiore. E ne sento il benefico in­flusso. Sento nel Gam un movimento umile, nascosto, sincero e ar­dente di devozione a Maria! Io stesso ne trovo un grande beneficio e mi sento del Gam! Non è tutto questo un fluire dell'acqua sorgiva di Don Carlo? ».



Estate di fuoco

L'estate '78 fu un'esplosione di Cenacoli Gam di Formula 1 in tutta Italia. Una vera costellazione di città: Torino, Bologna, Firenze, Avez­zano, Brescia, Napoli, Visciano, Roma, Verona, Treviso, Milano, Ber­gamo, Alassio, Viareggio, Palermo, Catania, Reggio Calabria, Taran­to, Pescara, Rimini. L'ultima città fu Trieste dove, presso il Tempio nazionale del Cuore Immacolato di Maria al Monte Grisa, partecipa­rono al Cenacolo Gam di Formula 1 di un'intera giornata, oltre un migliaio di giovani provenienti da più parti d'Italia.

Con due soli giovani, per aiutare nel canto e nell'animazione, Don Carlo e Don Bruno si divisero nelle varie città, spesso viaggiando di notte per arrivare in tempo al luogo fissato. Fu un'estate di fuoco. Centinaia e migliaia di giovani tornarono dai Cenacoli carichi di Pa­rola di Dio e di gioia.

« Il Gam - diceva Don Carlo - non è essenzialmente un'istitu­zione. Ci vuole un minimo di istituzione, però questo Movimento è soprattutto uno spirito, un fermento che pervade tutto, perché è es­senzialmente Parola di Dio. Quindi non è correlativo ad altre istitu­zioni, ma trascendente; fermenta e pervade tutte le istituzioni. È una cosa nuova che sta creando l'Immacolata. È l'enzima di Dio, l'enzima Parola di Dio. E la Parola di Dio è efficace, rinnova, rivitalizza tutto ».



L'importante è seminare

Non misurava mai la riuscita di questi Cenacoli dal numero dei partecipanti e meno ancora dalle adesioni al Movimento. Il suo scopo non era aggregare, ma evangelizzare, lievitare tutto con la Parola di Dio. Al resto ci avrebbe pensato il Signore e «la Fondatrice e Regina del Gam », come lui amava chiamarla.

A tutti questi Cenacoli infatti partecipavano spesso anche Sacer­doti, religiose di varie Congregazioni, giovani e laici di altri Movimenti e Associazioni, che poi portavano quanto avevano ricevuto là dove il Signore li chiamava a operare. «L'importante - diceva - è semi­nare nel campo di Dio, che è la Chiesa ».



Sabra del Vangelo

Poi la Madonna sceglieva - come anche tuttora - un nucleo di giovani che si sentivano chiamati a impegnare la loro vita e il loro tempo libero eclusivamente nel Gam, a diventare animatori di altri giovani, a dedicarsi all'evangelizzazione. A questi "Sabra Gam" del Vangelo, Don Carlo riservava tempi particolari di formazione.

Diceva loro: « Ogni Sabra deve agire ed evangelizzare come se lo sviluppo della Chiesa dipendesse dal suo comportamento personale ». E ancora: « L'apostolato evangelizzante dei Sabra non consiste nel­l'esporre grandi idee, ma nel dare alla gente, soprattutto ai giovani, il gusto di Gesù Cristo, di Dio e del futuro di Dio. Si tratta soprattut­to di "essere": se tu vivi di luce, diventerai luminoso. Gesù diceva: « Credete nella luce e diventerete figli della luce » (Gv 12,36). Gesù ha troppa gente che si interessa di lui e lo strumentalizza. Gesù vuole Sa­bra che vivano di lui».



Una Chiesa in movimento

«Alla luce della testimonianza di Don Carlo e dei giovani - an­che nei vari contatti - scrive Don L. C., un parroco di M. - credo di non sbagliare se oso affermare che il G.A.M. non è un Movimento della Chiesa, ma una Chiesa in Movimento, che porta a tutti la luce e la gioia del Cristo Risorto attraverso la Parola di Dio, il Sacramento della gioia pasquale, l'amore a Gesù, a Maria e al Papa.

Per questo voglio lodare e ringraziare il Signore, insieme alla Mam­ma Celeste, per aver dato alla Chiesa e al mondo la grandiosa figura di Don Carlo che - per aver donato la vita come Gesù - è rimasto vivo e presente nei cuori e nelle menti dei giovani Gam e di quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo.

Don Carlo è stato certamente uno dei più grandi doni dello Spirito Santo alla Chiesa del Concilio Vaticano II ».



Nascono le piccole Comunità Cenacolo Gam

Il giovedì santo del '79, mentre ultimava le correzioni del libricci­no per la notte del Sabato Santo, Don Carlo confidò: « La veglia a Rapallo sarà qualcosa di indimenticabile, un nuovo inizio. Nasceran­no le piccole Comunità Cenacolo ».

- Ma come saranno queste piccole Comunità-Cenacolo? Come sono impostate, cosa si prefiggono?

Don Carlo sorrise e rispose brevemente: « Non lo so. Lo sa la Mam­ma. Ci guiderà Lei anche in questo. È Lei che lo vuole ».

« Rimasi di stucco - afferma la persona lì presente -. A tre giorni dalla Veglia, in cui avrebbe comunicato questa nuova iniziativa, Don Carlo non sapeva ancora delinearne i particolari.

Più tardi compresi che era sempre quello il suo modo di muoversi nella fede: prima il salto nel buio, nel vuoto, e poi la luce, la strada per camminare.

Dopo qualche giorno ne parlerà in maniera più precisa e dettaglia­ta, delineando la fisionomia spirituale e apostolica delle Comunità­-Cenacolo sia dei giovani che dei fanciulli: inviati a due a due - come Gesù inviava i discepoli (cf Lc 10,1) - per pregare insieme la Parola di Dio attraverso il Cuore Immacolato di Maria e per evangelizzare.

« Comincia un tessuto di vita nuova - sottolineava Don Carlo - si fa nuovo il tessuto della Chiesa, privilegiando le chiese domestiche. Sarà una cosa stupenda; vedrete come partiranno i giovani e anche i fanciulli! ». E puntualizzava: «All'inizio sarà come un preannuncio di primavera: pochi fili d'erba, quel primo fiore qua e là... Poi di nuovo la neve, la bufera... Ma dopo, sappiate attendere, e vedrete che esplo­sione di primavera! ».



Giovani Gam in missione

Nell'estate '79 per la prima volta furono lanciate le missioni dei giovani Gam. « I giovani sono i più generosi - diceva - non razio­nalizzano, non calcolano. Sanno credere e abbandonarsi e partono agli ordini della Condottiera: vogliono essere protagonisti dell'annuncio del Vangelo ».

Tredici anni dopo, il Papa Giovanni Paolo II dirà alla gioventù che la nuova evangelizzazione del duemila è affidata ai giovani, con Maria.

Alla missione Don Carlo fece precedere tre giorni di preparazio­ne, ispirandosi al capitolo 10 di S. Luca che riporta l'invio in missio­ne dei discepoli. Comunicò ai giovani la passione del Vangelo, quel « guai a me se non evangelizzo » di S. Paolo che si fa urgenza di anda­re - come Gesù - incontro ai lontani, in cerca della pecorella smarrita.

« La gente non viene più in chiesa - diceva -; bisogna che noi andiamo da loro ». E insegnò loro ad andare casa per casa, salutan­do: "Pace a questa casa, con Maria", lasciando una Parola di Gesù, pregando l'Ave Maria e invitando a consacrare tutta la famiglia al Cuo­re Immacolato della Mamma Celeste. « Si tratta di snidare Satana dalle famiglie - diceva -; dove arriva la luce della Parola di Dio, il demo­nio che è tenebra, rimane accecato e deve andarsene. La Mamma de­ve diventare la Regina di ogni famiglia ».



Il segreto della missione

Una giovane Gam che partecipò a quelle prime missioni commen­ta: « Il fatto di aver pensato che l'evangelizzazione potesse essere por­tata avanti dai giovani è stato un grandissimo atto di fiducia che Don Carlo ha fatto in noi giovani. E penso sia stato da loro ricambiato in pieno, da quello che vediamo oggi... ».

Nella preparazione Don Carlo indicò ancora come animare i Ce­nacoli in chiesa, sulle piazze, nei condomini, negli ospedali ecc. «Alla base di tutto - sottolineava - perché la missione riesca, occorre tanta preghiera; quindi preminenza dei momenti di preghiera personale e comunitaria sulla Parola di Dio. E un grande amore a Gesù Eucaristia e alla Mamma Celeste. È Lei la Condottiera. Lei vi gui­derà in tutto, passo passo ».

Partirono per la prima missione nella Marsica con una gioia e una carica di entusiasmo straordinari, un gruppo di soli ragazzi dai 15 ai 18 anni (l'attività di evangelizzazione nel Gam impegnerà sempre ra­gazzi e ragazze separatamente). Erano così sicuri della presenza della Mamma, da non vedere ostacoli né sacrifici. Furono ospitati in una casa senza vetri né imposte: dormivano nei sacchi a pelo e mangiava­no panini... Qualche porta anche si chiudeva in faccia. Ma Gesù li stracolmava di gioia e la Mamma riempiva le chiese e le piazze ad ogni Cenacolo.



E il "resto" arrivò in sovrappiù

Un giovane, P., racconta ancora di quella prima missione: «Ri­cordo che era un'impresa umanamente pazzesca il fatto di andare noi giovani inesperti in giro per la Marsica, soprattutto in quelle prime missioni. Don Carlo aveva la capacità di lanciarti e ti dava quella si­curezza interiore che, secondo me, era la cosa più importante per cui partivi senza pensarci. Non facevi nessun calcolo umano, non badavi a cosa avresti fatto, cosa avresti detto, cosa avresti trovato. Ci diceva sempre: "Fidatevi della Mamma, pensate prima di tutto al Regno di Dio e il resto vi sarà dato in sovrappiù". Si girava nelle parrocchie per preparare le Missioni e c'era tanto di quel lavoro da fare che qual­che volta ci siamo trovati verso l'ora di pranzo senza aver preso il ne­cessario. Ci siamo ricordati allora delle parole del Vangelo ripetuteci da Don Carlo: "Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giusti­zia e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù" (Mt 6,33).

Non so che pranzo avremmo potuto improvvisare: forse qualche pagnottella, ma niente di più. E allora tutti abbiamo deciso: "Beh, Don Carlo ha detto così, facciamo così, fidandoci delle parole di Gesù".

E ricordo che verso le 17 siamo arrivati all'ultima parrocchia della diocesi e il parroco ci ha detto: "Ah! meno male che siete arrivati voi, perché aspettavo a pranzo degli ospiti che non sono venuti". C'era la tavola imbandita per cinque o sei persone. E quindi, finito il lavo­ro, abbiamo trovato più del necessario!».



Una certezza da spostare le montagne

« E poi anche un altro episodio. Don Carlo diceva: "Non vi preoc­cupate; non temete". Ci ripeteva sempre: nella Bibbia 365 volte c'è l'espressione "Non temete" (una per ogni giorno dell'anno): non ab­biate paura. Andate. "I capelli del vostro capo sono contati". Ripor­tava sempre queste frasi di Gesù che ti entravano dentro e ti penetravano. La forza di Don Carlo è proprio quella di essere riuscito a scolpire nel cuore dei giovani la Parola di Gesù; anche con i canti.

Riguardo al fatto che i capelli del capo sono tutti contati, ecco l'altro episodio.

Si andava verso Cassino sull'autostrada. Avevo una carriola tutta sgangherata: una Simca 1000, stracolma fra il materiale, i bagagli, il "Per me Cristo" e tutto... Avevo addirittura una valigetta sotto i pie­di, e più di 100 non potevo fare. A un certo punto sull'autostrada mi trovo un pulmino davanti, che andava ancora meno veloce di me.

Guardo bene nel retrovisore, metto la freccia e comincio il sorpas­so. Improvvisamente da dietro, sul retrovisore vedo arrivare dietro di me un bolide, forse una Ferrari, una Maserati, ricordo una macchina rossa, bassa. Mentre sono in sorpasso, chiuso fra la macchina rossa che mi tallonava e il pulmino alla mia destra, scoppia - letteralmente un colpo netto - un pneumatico anteriore di destra. Sento il volante che mi sfugge e la macchina che va contro il pulmino.

In quell'attimo non so cos'abbia pensato. Avremmo dovuto es­sere morti tutti e cinque. C'ero io, c'era P., F., G... Insomma, con­clusione: immaginate di vedere un film, tagliate la pellicola, buttatene via un pezzo e ricucitela più avanti. Noi ci siamo ritrovati, sulla corsia di emergenza, con la macchina ferma, la prima marcia innestata, il motore spento, il freno a mano tirato. Del pulmino e della macchina rossa neanche l'ombra; non avevamo neanche un graffio. Mi sono gi­rato verso P. e ho chiesto: "Ma, P., ma che è successo?" Ero bianco, cadaverico dalla paura. P. mi guarda e mi risponde: "Non lo so". Io tremante ho detto: "Senti, guida tu, perché io non so più niente".

Sono sicuro che gli Angeli Custodi han preso proprio la macchina di peso e l'han tolta dal pericolo, perché eravamo ormai tutti e cinque morti. Non c'era speranza, assolutamente. Io ricordo solo la macchi­na che va contro il pulmino e poi... buio. Poi ci siamo ritrovati così, a guardarci in faccia e a chiedere: "Che è successo?".

Don Carlo ci dava questa certezza, questa fiducia nella Parola di Dio e nella Mamma Celeste, da superare tutto».



Alle prese con la fornaia

In una delle prime missioni in Ciociaria, passando di casa in casa per annunciare il Vangelo e consacrare le famiglie al Cuore Immaco­lato di Maria, i giovani s'imbatterono in una signora che cominciò a inveire e a imprecare. Era stata provata da una disgrazia e non voleva assolutamente ascoltare e tanto meno pregare. I giovani, cacciati in malo modo, uscirono senza reagire, ricordandosi delle parole di Gesù commentate da Don Carlo: «...Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori... » (Mt 5,44). Non era una vera e propria perse­cuzione, ma era sempre una porta che si chiudeva in faccia. E prega­rono per lei. Uno di essi, G., appese di nascosto una coroncina del Rosario al muretto. Proseguirono fino a sera percorrendo strade e viot­toli del paese per raggiungere ogni famiglia. Era quasi buio e, presi dal loro lavoro missionario, avevano dimenticato di acquistare qual­cosa per la cena. Ormai i negozi erano chiusi. Una signora indicò loro la casa della fornaia: forse aveva ancora qualche pagnotta.

Vi si recarono tutti insieme e quale non fu la loro sorpresa nel con­statare che era la stessa signora che al mattino li aveva cacciati. Ma adesso era cambiata: li accolse in lacrime chiedendo perdono ed era così pentita che voleva chiedere perdono anche pubblicamente in chiesa al Cenacolo. Li fece entrare e li colmò di doni: pane, companatico e pizza... Così ancora una volta i giovani toccarono con mano la verità di quelle parole: « Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giu­stizia e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù» (Mt 6,33).

« I giovani hanno bisogno di vivere in un clima di gioia e di entu­siasmo - diceva Don Carlo -. E dove i ragazzi attizzano il loro en­tusiasmo? Alla vita divina della Grazia. Un giovane che non viva in Grazia di Dio è triste e scontento. "Chi vive nell'entusiasmo, vive nel­l'aurora dell'eternità" ». Era questo il segreto per ottenere tutto dai giovani.

« La Mamma se li pulisce (nella Confessione) - commentava - e poi li lancia».



Gli Angeli dell'assalto

A quella prima missione di ragazzi, seguì quella delle ragazze (di varie parti d'Italia) non meno carica di episodi e circostanze in cui si toccava con mano la presenza particolare della Mamma Celeste e l'ef­ficacia della Parola di Dio annunciata con semplicità e gioia.

Da quell'estate '79, le missioni dei giovani Gam si moltiplicheran­no in tutta Italia, dietro richiesta dei parroci e di alcuni Vescovi. De­dicheranno a questo le vacanze estive (nei Campi-missione Gam), il sabato e la domenica e gli altri giorni festivi durante l'anno, perché il Vangelo giunga, come chiese Gesù, «fino ai confini della terra» (Atti, 1,8).

In genere sono adolescenti dai 13 ai 18 anni, perché « sono i più generosi » - afferma Don Carlo - ma anche i fanciulli compiono le piccole missioni di un giorno, strappando preghiere e lacrime di com­mozione.

« Questi fanciulli sono gli Angeli dell'assalto, gli annunciatori » di­ceva Don Carlo.

Ai giovani diede un nome nuovo "Sabra Gam", perché - motiva lui stesso - «la parola "sabra" è il nome di una pianta del deserto del Neghev, resistente a tutte le intemperie, e, per traslato, è il nome di una gioventù nuova, rotta a tutti i sacrifici, decisa a creare la civiltà dell'amore.

Il vocabolo SABRA si può anagrammare così: Sempre Adorare Be­nedire Ringraziare Annunciare: ecco la missione dei giovani del Gam che, carichi di Spirito Santo, si impegnano all'evangelizzazione. Sa­bra: nome nuovo per una missione nuova».



Cinque pani e due pesci

Dei discepoli è detto nel Vangelo di Marco: «Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con lo­ro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano » (Mc 16,20).

Qualcosa di simile si può forse dire per tutti questi giovani che, agli ordini della Condottiera, partono per annunciare il Vangelo. E i prodigi più grandi sono la risposta in massa della gente e le numero­sissime conversioni che avvengono.

Davvero il Signore si serve di «cinque pani e due pesci» offerti da un ragazzo per sfamare di Parola di Dio le folle che attendono (cf Gv 6,9. 11). I giovani fanno così esperienza della loro vocazione cri­stiana che è per sua natura una chiamata alla testimonianza e all'an­nuncio. Così infatti aveva profetizzato Isaia: « Tutti i tuoi figli saran­no discepoli del Signore» (54,13).

E così si esprime il Concilio: « L'apostolato dei laici è partecipa­zione alla stessa missione di salvezza della Chiesa, e a questo aposto­lato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del Battesimo e della Confermazione » (Lumen Gentium, 33).

«La Parola di Dio - commentava Don Carlo - li rende forti, toglie loro il rispetto umano e li rende g
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21/09/2009 21:38

15 - PROFETA DEI TEMPI NUOVI

Profeta della speranza


Ci fu chi definì Don Carlo un "profeta dei tempi nuovi". E non a torto. Fu infatti il testimone della speranza che illumina il presente con la luce del futuro.

«Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» interroga il Signore (Isaia 43,19).

Don Carlo sapeva accorgersi dell'azione spesso sotterranea di Dio nel preparare «cieli nuovi e terra nuova» nei quali «Dio sarà tutto in tutti ». Affondava lo sguardo, la mente e il cuore nel futuro di Dio, impegnando tutte le forze per realizzare il piano escatologico del Padre.

S.E. il Cardinal Corrado Ursi che ritiene "un dono l'averlo cono­sciuto e averlo incardinato nella sua diocesi", dice di lui: «Fu il pro­feta della speranza ». E afferma: « Sento di amare veramente il Gam da lui iniziato, anche perché c'è un motivo di ordine universale... Penso infatti che verso il 20001a parte che avranno i giovani sarà preponde­rante nella Chiesa, come anche nella società. Credo che Dio, appunto per rinnovare il mondo, darà la voce ai fanciulli, come ha detto il Si­gnore che i fanciulli sono quelli che hanno in mano il segreto del Re­gno di Dio. Siccome ho visto quale portento opera il Gam - ho avuto infatti delle esperienze magnifiche di questi giovani, sia fanciulli che giovani - ecco perché io sono molto entusiasta di questo Movimento.

Ebbi la fortuna di conoscere Don Carlo: la sua cultura portento­sa, una cultura che pochi hanno scoperto; poi una spiritualità straor­dinaria: ma specialmente una carica di gioia veramente poderosa. Ho avuto modo di comprendere questo fenomeno del Gam e quando in­contro questi ragazzi - ne ho incontrati parecchi - li vedo proprio trasfigurati nella loro fede, nella loro bontà, quindi anche nel loro canto...

Vedrete che cose meravigliose opererà la Madonna per il rinnova­mento del mondo ».



La nuova era e i giovani

«L'evangelizzazione - diceva Don Carlo - è la missione della gioventù che prepara la nuova era che verrà, un'era stupenda. Le te­nebre stanno calando, però la luce rimarrà sempre nei pochi, nel pic­colo resto che preparerà questa fioritura, questa primavera meravigliosa della Chiesa. Tocca ai giovani preparare la civiltà dell'Amore, questo mondo nuovo in cui «saranno tutti istruiti da Dio» (Gv 6,45). Sarà un'epoca di una fioritura meravigliosa d'amore; sarà una splendida Pentecoste, quale mai è stata immaginata. Dopo la bufera, sarà la Pen­tecoste nuova. E in S. Pietro a Roma si farà la consacrazione del mondo allo Spirito Santo. Sarà un incendio di amore.

Saranno i giovani a preparare la massa dei cristiani che verranno dopo, la grande massa dei cristiani del Regno del Figlio dell'uomo. E sarà una cosa mai vista. Vi sarà il dominio della Parola di Dio e alla fine dei tempi, quando la storia chiuderà e comincerà la grande eternità per sempre, Gesù consegnerà il suo Regno al Padre. Sarà al­lora il Regno di Dio e tutto l'universo sarà trasfigurato».



Un giorno di meno per arrivare a Casa

Scrive Don P., un Sacerdote che lo incontrò più volte: « Il cuore di Don Carlo era grande e immenso ed il suo respiro profetico andava al di là del tempo presente, con il desiderio di costruire la Primavera della Chiesa post-conciliare.

Don Carlo sapeva fare innamorare i giovani del Vangelo e sapeva parlare con grande forza di persuasione del Paradiso e della vita eterna. Quando parlava della vita eterna, le sue parole nella loro semplici­tà si imprimevano nel cuore con grande forza di convinzione, al pun­to quasi da far vedere e toccare quelle realtà invisibili e misteriose che venivano desiderate ed amate. "Oggi è un giorno di meno per arriva­re a Casa": era la sua notizia principale del giorno ».



Dopo la purificazione della Chiesa

Alle Comunità religiose diceva: « Vedrete, dopo la purificazione della Chiesa, che fioritura di vocazioni! Vocazioni fiorenti, giovanis­sime, splendenti, dei fiori verginalissimi. Le susciterà lo Spirito Santo. Intanto coltivate l'umiltà e la carità, per attirarne tante. Preparate la comunità ad accoglierle amando tanto la Parola di Dio. Conservare la Parola come il Cuore Immacolato di Maria, è un segreto per attirare le vocazioni, perché saranno giovani in cui il Ce­nacolo è determinante: la Parola di Dio sarà il respiro di quelle anime e la vita trinitaria in loro sarà meravigliosa ».

Sottolineava sempre l'azione dell'Immacolata nel preparare i tem­pi nuovi. « È Lei che attira lo Spirito Santo sul mondo - diceva -. E come ha preceduto Gesù nella sua prima venuta, così ora lo precede e ne prepara la seconda, il Regno del Figlio dell'uomo sulla terra che coinciderà con un ardente amore eucaristico. È l'ora della Donna ve­stita di Sole ».

E riportava il pensiero di S. Luigi M. Grignion De Montfort, un apostolo degli ultimi tempi: « Se Gesù verrà una seconda volta sulla terra, come è certo, per regnarvi, non sceglierà altra strada che la di­vina Maria... » (Trattato n. 50).

E ancora: « Quando le anime respireranno Maria come i corpi l'a­ria? In quel tempo accadranno cose meravigliose sulla terra dove lo Spirito Santo, trovando la sua cara Sposa riprodotta nelle anime, ope­rerà meraviglie di grazia » (Tr. n. 217).

Queste "meraviglie di grazia" Don Carlo le intravedeva già e di­ceva che il trionfo del Cuore Immacolato di Maria era già in atto, per tutto questo risveglio di fede, di Parola di Dio, d'amore eucaristico e mariano.

«Tante realtà di cui oggi ci sono i primi segni, Don Carlo come profeta le aveva già dette a suo tempo - attesta il Signor S., papà di una giovane Gam -. È il tempo della Donna vestita di Sole. Anche oggi nelle apparizioni di cui si parla, in Jugoslavia, dappertutto, la Madonna è vista sotto quel segno. La Madonna della Pace poi è l'im­magine della Madonna che Don Carlo diffondeva. Tutto quello che lui aveva detto inizia già a realizzarsi. Sta nascendo infatti una gio­ventù nuova, meravigliosa, la gioventù della Mamma Celeste. Non tutti lo avvertono, come diceva Don Carlo: « Fa più chiasso un albero che cade, che una foresta che cresce ».

Mi entusiasmava tanto, perché aveva un dono tutto particolare nel­l'aprirci alla speranza».

Don M., parroco di A. e promotore di Radio-Maria, attesta che

alcuni anni prima del suo ritorno al Padre, Don Carlo gli disse che la Madonna sarebbe apparsa in Jugoslavia.



Guardava al traguardo: il Cielo

Era sempre così ottimista, irradiando fiducia e gioia, perché guar­dava sempre al traguardo finale, al Cielo.

Fu l'apostolo del Cielo. Le realtà future, soprattutto il Paradiso, erano una nota dominante del suo annuncio. « Il Cielo - diceva - è l'anelito ascensionale di ogni uomo. Ecco il cielo: contemplare la Gloria di Gesù. La Gloria è la divinità, la bellezza, l'amore. Dio è Amo­re, Dio è musica, Dio è gioia, è perfezione, luce, verità... Dio è tutto. È una realtà che ci invaderà l'anima e ci trasformerà: saremo lievitati da Dio. Adesso non possiamo capire; ci supera enormemente.

Non ne abbiamo ancora esperienza, ma fra poco, chi prima, chi dopo, tutti ci andremo. Quella è la Casa. Noi ora siamo in transito; siamo come in una sala d'imbarco all'aeroporto, in attua di salire sul­l'aereo. Tutto è pronto; l'unica cosa che ci è nascosta è l'ora in cui si sbarca. E a che serve allora tutto il resto? Uno lotta per costruire tutto quaggiù, e poi? È una domanda che ci martella dentro. E poi? La Parola di Dio nell'Apocalisse ci spalanca una balconata meravi­gliosa sull'infinito. Ci fa intravedere quello che saremo ». —Al vinci­tore - dice Gesù - darò di prender posto accanto a me sul mio trono, come io dopo la mia vittoria ho preso posto accanto al Padre mio sul suo trono" (Ap 3,21).

« La morte - diceva ancora - non è altro che una porta che si spalanca sull'eternità; un salto tra le braccia del Padre. È un tornare a Casa: «Padre, io vengo a te» pregava Gesù (Gv 17,11)».

«Don Carlo ci ha tolto la paura della morte - commenta la Si­gnora A.M. -. Tutti abbiamo paura della morte, ma quando si in­contra Gesù, attraverso l'annuncio di Don Carlo, questa paura svanisce e prende posto la gioia della nuova nascita, cioè la gioia del Paradiso ».

Dice C., una giovane Gam: « Don Carlo ci ha parlato del Paradi­so, ma descrivendolo proprio come se noi in quel momento lo vedes­simo. Ci faceva veramente vivere il Cielo in anteprima. Tante volte ricorreva all'esempio del traguardo, cioè diceva: come i ciclisti nella corsa hanno il punto morto che riescono a superare guardando lo stri-

scione di arrivo, così è per noi guardando al traguardo finale del Pa­radiso.

Se fosse mancata questa certezza che lui infondeva, penso che non avremmo avuto quella generosità di impegnarci a lavorare per il Re­gno di Dio ».



16 - PADRE, L'ORA È VENUTA (G, 17,1)

Viveva di attesa


Don Carlo non solo parlava del Cielo, ma viveva dell'attesa del Cielo. E si capiva che la sua vita era tutta illuminata da questa realtà, quando diceva: « La nostra vita - come quella di Gesù - è una para­bola racchiusa in queste parole: "Io sono uscito dal Padre e son venu­to nel mondo; adesso lascio il mondo e vado al Padre" (Gv 16,28) ».

« Si intuiva che aveva nostalgia del Cielo - affermano le Suore non vedenti di Torino -; sembrava immerso già nel Paradiso. Atten­deva solo che il filo si spezzasse ». E mancava ormai poco.

Don Carlo sembrava avvertirlo chiaramente e intensificava sia i Cenacoli che il lavoro di stampa. Gli premeva anche di completare i Salmi. Ne aveva già preparati alcuni volumetti in stile Gam per la pre­ghiera dei giovani e del popolo di Dio, «chiamato ad essere - come lui sottolineava - un popolo liturgico, che canta le lodi al Signore». « Vedrete i giovani, come ameranno i Salmi - diceva -. I Salmi so­no tutta Parola di Dio, sono la preghiera di

Gesù e della Chiesa ».

Era felice quando poteva proseguire nel comporne le musiche e i commenti. Diceva con la gioia innocente di un fanciullo: « Quando in passato volevo comporre qualche canto, non usciva niente, non mi veniva proprio! Adesso invece per i Salmi nascono delle musiche così belle... Si vede che è proprio la Mamma a fare. È dono suo ».

Quando, di ritorno dai Cenacoli, lo si invitava a riposare un po', rispondeva sempre: « Dobbiamo lavorare per il Regno di Dio, perché presto si va a Casa ». Queste allusioni alla Casa del Padre diventava­no così frequenti che, anche se parlava al plurale (sfumatura di umil­tà che usava abitualmente per nascondersi e non parlare di sé), si intuiva ormai che lo riguardavano da vicino.



Quanti Natali ancora?

L'ultimo Natale, mentre si trovava con un gruppo ristretto di ani­matori e animatrici, disse: « Quanti Natali passeremo ancora quaggiù? Dieci, uno, nessuno? ». L'allusione era chiara tanto che qualcuno scoppiò in lacrime.

Più chiara ancora divenne qualche tempo dopo, quando una per­sona lo interrogò espressamente: « Don Carlo, lei continua a dire che andrà presto a Casa, ma quando pensa che sarà quel "presto"? ». Stac­cò la mano dalla ringhiera, fermandosi sul primo gradino, e con il suo gesto abituale della mano rispose: «Prestissimo!». Aveva un lampo di gioia negli occhi come di chi attende qualcosa di bello.

Lo stesso giorno un'altra persona gli disse: « Se va a Casa, Don Car­lo, si ricordi di noi ». E lui: « Sì, mi ricorderò di voi... Di tutti mi ri­corderò».

Era il 2 novembre del '79. Cinque giorni dopo tornava davvero alla Casa del Padre. E partiva mentre era sulla breccia.

Ma che cosa lo induceva a presentire l'imminente partenza? Certamente la voce dello Spirito che lo chiamava interiormente mor­morando come a S. Ignazio: « Vieni al Padre». E c'è, a questo riguar­do, una stupenda Parola di Dio in Isaia, più volte da lui commentata: «I primi fatti, ecco, sono avvenuti e i nuovi io preannunzio,

prima che spuntino, ve li faccio sentire» (Isaia 42,9). « I primi fatti, ecco, sono avvenuti... » (Isaia 42,9).

Tutto ormai era avviato: i giovani Gam con il loro compito speci­fico di preghiera e di evangelizzazione; i laici e le famiglie a sostegno dei giovani; la stampa Gam in tutta Italia e anche all'estero; le prime vocazioni sacerdotali dei giovani Gam e il primo nucleo di Consacra­te nel Movimento e per il Movimento. Verso la fine del '78 questa pri­ma Comunità delle "Figlie della Madre di Gesù" (così denominata da Don Carlo stesso ispirandosi al Vangelo di S. Giovanni) si era sta­bilita nella diocesi di Alba, presso il Santuario "Madre della Divina Grazia" del Todocco.

Di ritorno dai Cenacoli Don Carlo vi sostava sempre volentieri, sia perché vi trovava un clima di accoglienza e di preghiera, come Ge­sù a Betania, sia per animare la Comunità con la Parola di Dio for­mandola alla spiritualità specifica e all'evangelizzazione.

« È la Madonna che vi ha volute - diceva -. È Lei la Fondatrice delle F.M.G., come del G.A.M. ». Ne delineava il compito specifico nella Chiesa: l'adorazione eucaristica e l'evangelizzazione a tempo pieno con l'animazione dei giovani Gam, con la stampa e le spedizioni di volantini e opuscoletti del Movimento.

Diceva loro: « Voi siete il sostegno spirituale del Gam, la centrale elettrica da cui parte l'energia per sostenere l'evangelizzazione dei gio­vani e di noi Sacerdoti. Ogni evangelizzazione infatti parte da Gesù Eucaristia e porta a Gesù Eucaristia».

Altre volte, scendendo a benedire le macchine della piccola tipo­grafia, amava ripetere: « Da qui partono fiumi di luce in tutta Italia, fiumi di Parola di Dio. Voi fornite i giovani delle armi di luce per la battaglia del Regno di Dio ». E ancora: « Caricatevi di Parola di Dio e di un amore eucaristico incandescente per lanciare poi i giovani al­l'evangelizzazione e sostenerli nella prova ».

Aveva consegnato loro come regola di vita il Vangelo, in partico­lare il Vangelo di S. Giovanni. « Noi abbiamo il pensiero di Cristo », diceva come l'apostolo Paolo. E guidava a illuminare e a risolvere tutto con la Parola di Gesù.

Quindici giorni prima di andare a Casa, con totale distacco conse­gnò la Comunità alla Chiesa nella persona di Sua Eccellenza Mons. Fausto Vallainc, Vescovo di Alba, che tre mesi dopo darà l'approva­zione ecclesiastica costituendo quel primo nucleo in Pia Unione.

Nel Seminario Vescovile della stessa diocesi i primi Chierici Gam di Teologia si preparavano al Sacerdozio per seguire le orme di Don Carlo tra i giovani evangelizzatori. Sarebbero stati a tempo pieno per i Cenacoli e le missioni Gam in Italia e all'estero. Nella fede egli ne intravedeva un gran numero che la Madonna avrebbe suscitato nel Mo­vimento, per la Chiesa e il mondo.

Erano solo umili inizi, pochi germogli qua e là, ma egli non chie­deva altro che fare la volontà del Padre e portare a compimento la sua opera, poter dire alla fine della vita come Gesù: «Ho compiuto l'opera che tu mi avevi dato da fare» (Gv 17,4).

Commentava: « Se alla fine della vita anche noi potessimo dire di essere sempre stati un sì al Padre, un sì ai fratelli, un sì a Gesù Eucari­stico, un sì alla Mamma Celeste, allora potremo ripetere come Gesù: "Padre, ti ho glorificato sulla terra... " (Gv 17,4) ».



Svettava nel cielo di Dio

Questo camminare nella solitudine e nel "perdere tutto", special­mente negli ultimi anni, fu un duro calvario che solo pochi conosce­vano e intuivano, perché nascosto sotto un eroico sorriso. Una volta tra i più intimi si lasciò sfuggire l'espressione: «Si ha l'impressione di essere come cani randagi, bastonati ». Però subito aggiunse: « Ma che importa?! Tanto... a noi interessa il Regno di Dio. Poi a Casa sa­rà tutto diverso ».

« La sofferenza ci viene offerta - aveva scritto - perché come l'arbusto sotto il morso delle forbici ci possiamo raddrizzare verso il Cielo e portare fiori e frutti».

Ormai la sua vita carica di fiori e frutti svettava nel Cielo di Dio: in lui la primavera della Chiesa, così spesso annunciata, era già in atto. E tutti lo avvertivano.

Dell'ultimo Cenacolo a Lido dei Pini (Tor S. Lorenzo) una giova­ne Gam annota: « Me lo ricordo molto luminoso quel giorno ». Prima del Cenacolo con tutto il popolo di Dio (che terminò alle 18) vi fu un'ora di adorazione con i giovani: un clima di preghiera e di amore a Gesù Eucaristia incandescente.

Il dott. F. commenta: « L'ultimo Cenacolo, domenica 4 novembre del '79, fu veramente indimenticabile. Don Carlo era carico di entu­siasmo come non mai. Nella Liturgia Penitenziale si era confessato da un vecchio prete esule dalla Polonia che concelebrava con lui (era solito farlo ad ogni Cenacolo quando era presente qualche Sacerdote; prima di iniziare a confessare si confessava lui: un gesto che impres­sionava e commuoveva).

Il vecchio prete si era pure confessato da lui e sprizzava gioia da tutte le parti. Erano radiosi tutti e due. Questa gioia si era diffusa an­che in noi tutti. Era impressionante la gioia di Don Carlo. Non l'ave­vamo mai visto così negli ultimi tempi ».



Completerà Lei tutto

Nel commentare la Parola di Dio aveva delle intuizioni tutte parti­colari, il suo amore eucaristico era aumentato a dismisura (aveva ulti­itiamente pubblicato anche due volumetti per l'adorazione eucaristi­ca: `Eucaristia, mio amore" e `Eucaristia, Pasqua dell'universo' );

e si sentiva in lui una particolare presenza della Madonna.

Ci fu anche chi glielo fece notare e Don Carlo confidò a questa persona che la Mamma Celeste gli aveva fatto sapere (non disse co­me) che l'approssimarsi del suo ritorno al Padre sarebbe stato prece­duto da tre segni: un'intensità sempre crescente di amore eucaristico (...), l'inizio delle prime vocazioni sacerdotali nel Gam, e una parti­colare presenza della Mamma per chi lo avvicinava.

« I segni si sono ormai compiuti - concluse con estrema semplici­tà - e l'ora è vicinissima». E aggiunse: « La Mamma mi fa solo ini­ziare, poi completerà Lei tutto».



Come agnello immolato

Quest'attesa del Cielo che lo induceva a intensificare l'annuncio del Regno di Dio, era sì per lui motivo di gioia, l'unica vera gioia che potesse sanare tante ferite nascoste, ma era anche certamente motivo di doloroso distacco e immolazione. Era come un agnello che offriva la sua vita per i giovani, per tutto il Gam, per il Papa e la Chiesa, per recuperare i Sacerdoti e le anime consacrate che avevano abbandona­to e tradito, per... la persona che più l'aveva fatto soffrire.

Un amore spinto fino all'eroismo, come quello di Gesù. Sembrava insaziabile nel dono della sua vita; pareva volersi cari­care di tutto, per portare tutto su di sé ed espiare in sofferenza vica­ria. Faceva davvero pensare al Servo Sofferente del deutero-Isaia: Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori. Egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori. Dopo il suo intimo tormento vedrà la Luce e si sazierà della sua conoscenza» (Is 53,4.11.12).

Aveva scritto: « Di tutte le forze latenti che salvano il mondo, la sofferenza, unita alla croce, è la più potente».

Tuttavia, pur essendo crocifisso interiormente, era nello stesso tem­po in una gioia profonda, perché "presso la croce" aveva incontrato la Madre di Gesù, la Mamma, che gli addolciva ogni pena.



L'ultimo tratto di parabola

« La morte non è per Gesù l'epilogo sconvolgente della sua vita, ma una parte integrante della sua missione ». Così aveva scritto e così era veramente per lui.

« Non posso tacere l'ultima esortazione udita dal quel "santo" che viveva già di Cielo e che - ne sono convinta - doveva presagire l'im­minente incontro - attesta Suor A. del Monastero domenicano di Al­ba. Era il pomeriggio del l ° novembre 1979. Di passaggio dopo uno dei suoi estenuanti giri di evangelizzazione, durante il quale come al solito aveva anche lavorato a ritmo serrato a varie bozze da conse­gnare alla tipografia, mi lasciò con queste parole: "Sia gioiosa: ogni istante ci avvicina a Casa. Anche adesso si tocchi il polso: sente che batte; e lei deve pensare: ogni battito mi avvicina... Deve pensare molto a quello che ci aspetta...".

Sei giorni dopo, il suo polso, accelerato dai suoi immensi desideri e dal fuoco della sua carità, aveva già finito il conto alla rovescia: Don Carlo col suo grande cuore non aveva più bisogno di pensare a ciò che ci attende, perché lo possedeva ormai nell'eterna novità del Pa­radiso ».

Il pomeriggio del 2 novembre era a Torino. Alla sera partì per Pa­lermo dove, il giorno dopo, animò un Cenacolo Gam di Formula 1: un'intera giornata per i giovani, dalle 8,30 alle 16. Animò pure alla sera un Cenacolo per il popolo di Dio nella cattedrale di Acireale e partì per Roma, dove la domenica animò un'ora di adorazione euca­ristica con i giovani e il Cenacolo per il popolo di Dio a Lido dei Pini. La sera stessa partì per S. Giacomo di Veglia dove la carità di quel Monastero Cistercense aveva mitigato tante amarezze degli ultimi suoi due anni di vita. Vi tornava sempre con tanta gioia.

Lunedì 5 nel pomeriggio ripartiva per Torino, facendo una punta­ta improvvisa a Milano dai Padri Cistercensi di Chiaravalle. Lunedì sera alle 21 rientrava a Torino. In soli quattro giorni aveva ripercorso a volo d'uccello tutta intera l'Italia, quasi per gettarvi gli ultimi semi fecondi di Parola di Dio e per avvolgerla di preghiera, di amore, di benedizione.

Martedì sera andava insieme a Don Bruno - appena tornato an­che lui dall'animazione di Cenacoli in Sicilia - a celebrare l'ultima S. Messa appena fuori Torino dai più intimi collaboratori. E al matti­no di mercoledì 7 novembre, alle ore 8 e 20, Don Carlo tornava im­provvisamente alla Casa del Padre.

Questo, in breve, il tratteggio dell'ultima settimana, l'ultimo, in­- tenso tratto di parabola che si chiudeva sulla terra, per continuare in Cielo, al di là dei limiti di spazio e di tempo, che Don Carlo avvertiva in maniera spesso pungente, soprattutto negli ultimi tempi.



Una veste per il Cielo

Lo Spirito Santo aveva ormai dilatato la sua anima in una pienez­za tale che non poteva più essere contenuta sulla terra: doveva neces­sariamente sfociare nell'oceano infinito del Paradiso.

Se n'erano accorte anche le monache cistercensi in quell'ultimo 5 novembre. C'era già la macchina ad attenderlo per raggiungere l'ae­roporto di Venezia. Eppure Don Carlo sembrava non riuscisse a par­tire da quella che lui stesso chiamava familiarmente "la Casa della Mamma".

Continuava a ringraziare con una gioia straordinaria. Non sapeva come esternare la sua gratitudine.

Alla Madre Abbadessa diceva: « Vedrà in Paradiso: riceverà la stes­sa ricompensa dell'apostolo ».

« Non potrò dimenticare quel volto sfolgorante che emanava luce - ricorda la Suora incaricata degli ospiti -. Ero incantata a guar­darlo. La Madre gli aveva fatto trovare in camera sua una bella veste nuova per la sua festa onomastica. L'aveva indossata. E pareva un Angelo. Era già pronto per il giorno del Signore. E non ci fu bisogno che lo toccassero dopo la sua morte.

Ringrazio il Signore del dono di averlo conosciuto. Finché vivo, non potrò dimenticarlo. Mi ha lasciato una testimonianza tale di Dio e del Paradiso, da suscitare in me un grande desiderio del Cielo. E sono sicura che quando andrò di là mi verrà incontro ».



Prima del decollo verticale

La signorina P. e la zia che l'accompagnarono all'aeroporto, no­tarono che da dietro (in macchina aveva voluto occupare il sedile posteriore) continuava a benedire. Diede alcuni suggerimenti per l'evan­gelizzazione, soprattutto per l'ormai prossima novena dell'Immaco­lata, per la quale aveva preparato con grande entusiasmo un nuovo volumetto: "L'Immacolata e i giovani" e il programma di evangeliz­zazione per i giovani Gam: Operazione "Svegliare l'aurora".

Dopo averlo lasciato all'entrata, trascorsi alcuni istanti, tornaro­no nuovamente indietro per un ultimo saluto, quasi avvertendo un pre­sentimento insolito. Lo videro dal vetro della sala d'imbarco. Gli bus­sarono al vetro, ma non se ne accorse. Lo videro poi avviarsi lenta­mente all'aereo, mettendosi ultimo in coda per salire. Fu l'ultimo de­collo sulla terra prima del grande decollo verticale, due giorni dopo. Ecco, io vengo

Lunedì cinque, alle ore 21, Don Carlo rientrava a Torino, nel Cen­tro Gam di allora, in Via Cottolengo, 26. Il giorno dopo rientrò an­che Don Bruno da Caltanissetta.

« Passando a fargli correggere la bozza della locandina per il Ce­nacolo di Genova che si sarebbe tenuto presso la Basilica di N.S. delle Vigne, in occasione del passaggio della Madonna di Fatima - rac­conta il dott. G. - gli raccomandai, anche da parte di A., di non ve­nire a celebrare da noi - come spesso faceva - perché, sia lui che Don Bruno, erano stanchi e bisognosi di riposo.

Don Carlo rispose: "No; il demonio non vorrebbe che io venissi a celebrare lì". Mi colpì la sua risposta decisa.

Alle 19 arrivò puntualmente e iniziò la concelebrazione preceduta dal Salmo 39.

Nel frattempo all'esterno alcuni gatti, mai sentiti prima, miagola­vano in modo rabbioso, disturbando l'ascolto della Parola introdut­tiva alla Celebrazione Eucaristica, come si può sentire dalla regi­strazione.

Non fu a caso la scelta del Salmo 39, ma ogni particolare era gui­dato dal Padre, "il dolcissimo Abbà Celeste" - come amava chia­marlo Don Carlo - che "conta persino i capelli del capo", cioè le minime sfumature.

«Alcuni giovani che sapevano suonare la chitarra - racconta J., una giovane Gam - avevano fatto ritardo. Don Carlo propose il Salmo 25: "Amo la tua casa" che egli prediligeva, dopo il Salmo 130. Mi scusai dicendo che non lo sapevo suonare. Allora egli mi chiese di sceglierne uno facile da accompagnare con la chitarra. Suggerii il Salmo 39. E Don Carlo ne fu felice».

Lo commentò in maniera splendida. Non poteva esserci Salmo più bello e più adatto per quell'ultima ora.

Quell' `Ecco, io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà" era la sin­tesi di tutta la sua vita: un sì continuo di amore e di obbedienza al Padre, compiendo la sua opera, l'evangelizzazione. E come Gesù en­trando nel mondo l'aveva detto attraverso la voce e il Cuore della Mam­ma, unito al suo sì verginale, così Don Carlo con lei iniziava il suo cammino in quel lontano 25 marzo 1921, festa dell'Annunciazione. Ora, sempre attraverso il Cuore Immacolato di Colei che l'aveva gui­dato e sostenuto in un amore e una fedeltà incrollabili, offriva il suo ultimo sì al Padre.

Si avverte in quelle ultime parole di commento al Salmo, un senso profondo di umiltà e gratitudine.



L'ultimo testamento

Nessuno comprese che quello era il testamento spirituale, gli ulti­mi tocchi per incoraggiare i suoi più intimi collaboratori fin dall'ini­zio - che egli considerava sempre come strumenti scelti dalla Madonna per quest'opera e dei quali accoglieva le indicazioni come altrettanti segni della volontà del Padre - a proseguire il cammino.

Riascoltando la registrazione si possono intravedere frasi velate che tradiscono la consapevolezza dell'ultima ora.

« Il salmista loda Dio perché si sente rinnovato, strappato da tutti i pericoli, come saremo noi e come siamo. Andiamo avanti tranquilli, perché c'è una Mamma che ci protegge in una maniera... ».

Dopo aver parlato con entusiasmo degli ultimi Cenacoli e dell'e­vangelizzazione dei giovani, conclude con il versetto del Salmo così appropriato a lui:

«Non ho tenuto nascosta la tua grazia e la tua fedeltà alla grande assemblea».

« Non ho tenuto per me la tua grazia, la tua Parola. L'ho detta, l'ho proclamata, l'ho annunciata! ». Di nuovo il discorso scivola sui Sabra Gam, parte viva del suo cuore innestato in quello di Maria: « È una missione bellissima questa dei Sabra, degli annunciatori. È la pri­ma volta nella storia - in duemila anni di storia, nella Chiesa - che i giovani evangelizzano così ».

E conclude con l'ultimo versetto del Salmo: « Mio Dio, non tarda­re! ». « Vieni presto. Maranathà; Vieni presto, Signore Gesù! Vedete com'è bello! ».

Un accenno ancora più chiaro: « E allora, mettete l'intenzione che dob­biamo andare avanti». Elenca poi una serie di pubblicazioni già con­segnate alle stampe.

E da ultimo affida a Don Bruno la missione di continuare: « 1 Sa­bra a Don Bruno che adesso farà il seminatore, effonderà (la Parola di Dio)... Paolo direbbe: Vi ho mandato Timoteo, che è equilibrato e quante cose ha fatto... ».

Don Carlo si era così spogliato realmente di tutto, anche delle co­se a lui più care e più sante.



Avanti per il Regno di Dio

« Dopo la S. Messa - prosegue il dr. G. - voleva rientrare subito al Centro Gam. Ma lo pregammo di rimanere a cena. Avremmo pre­so un boccone veloce, magari in silenzio. "No, no, dobbiamo parla­re", rispose Don Carlo.

Notai da piccole sfumature che era insolitamente impaziente di rien­trare. Alla luce di molti particolari accostati insieme, posso dire con tutta tranquillità che Don Carlo sentiva, sapeva che stava per tornare a Casa.

Terminata la cena, siamo saliti in macchina (mi misi al volante) e ricordo che, pur trattenendosi, Don Carlo aveva una gioia come di chi sente qualcosa di bello in arrivo.

Dato che aveva parlato dei Sabra e dei nuovi programmi di evan­gelizzazione, a breve scadenza, per dargli gioia, gli dissi: "Don Car­lo, vado subito a telefonare per quello che lei ha detto prima". Nor­malmente, a proposte come queste, rispondeva con entusiasmo. Inve­ce quella sera, mi guardò un po' sorpreso, come se pensasse che ave­vo perso l'ultima occasione di accompagnarlo. Alla luce del giorno dopo, ho avuto questa netta sensazione.

J. prese il mio posto al volante e con Don Bruno e il dr. A. lo ac­compagnò in Via Cottolengo ».

J. ricorda che un forte vento alzava in mulinelli le foglie nei viali di Corso Regina. Don Carlo in macchina si univa con gioia al canto di alcuni ritornelli di Salmi, in particolare del Salmo 16: « Custodisci­mi, Signor, sotto l'ali del tuo amor, tu mi ami, o Creator, dolce Pa­dre e Salvator».

Il dr. A. a un certo punto gli chiese come fare e come rispondere ad alcune critiche sul Gam. Rispose sereno: « Noi lavoriamo per una buona morte. Quindi anche se ci criticano, anche se tutto dovesse crol­lare, la Parola di Dio annunciata rimane e porterà frutto a suo tem­po. Andiamo avanti per il Regno di Dio! ».



Se c'è da battersi per il Papa, ci batteremo

L'indomani mattina Don Carlo era di una gioia eccezionale. Do­po colazione mandò G. a prendere il giornale per verificare alcune cri­tiche pesanti sul conto del Papa. Aggiunse: « Se c'è da battersi per il Papa, ci batteremo! Dobbiamo pubblicare un volantino "Alt!" in sua difesa ».

Intanto passeggiava con Don Bruno su e giú per il corridoio stret­to e lungo, parlando dei Sabra e dell'evangelizzazione. A un certo pun­to, arrivato al fondo del corridoio, proprio sotto il piccolo quadro della Madonna del Gam, cadde supino battendo la nuca sul pavimento. Don Bruno gli si inginocchiò accanto sollevando il capo sulle sue ginocchia e implorando ripetutamente: « Don Carlo! Mamma... ». La Mamma Celeste era lì certamente, accanto ai suoi due figli pre­diletti per introdurre l'uno nella Casa del Padre e per sostenere l'altro che rimaneva solo a continuare la strada.

Non ci fu bisogno di chiudergli gli occhi, né la bocca: le braccia allungate vicino alla persona; non una piega alla veste. Sembrava già preparato da una mano invisibile in quella sua compostezza angelica, abituale in lui.

Don Bruno non poteva credere che fosse mancato davvero e in quel modo, anche perché più volte gli aveva confidato che avrebbe chiuso la sua vita con la testimonianza del martirio: un grande dono che gli avrebbe fatto la Mamma.

Solo più tardi avrebbe compreso che qualche martirio incruento è talvolta più doloroso ed eroico dello spargimento di sangue. Non a caso, chinato su di lui, poté avvertire un lieve gorgoglìo sul petto; forse per la fuoriuscita del sangue dal cuore?

«La Madonna gli aveva chiesto il sacrificio della vita», commen­tò Don Stefano Gobbi che lo conobbe tra i primi iscritti al Movimen­to Sacerdotale Mariano e gli portò sempre grande stima e ammirazione. Povero tra i poveri Don Carlo era partito senza un gemito né un lamento: se n'era an­dato nel silenzio, così com'era vissuto.

Erano le 8,20, l'ora in cui si inizia il lavoro della giornata. Andava ad iniziare la sua giornata eterna. O meglio, a continuarla, poiché egli stesso diceva sempre: « Di là continueremo quello che abbiamo inizia­to quaggiù; lavoreremo per il Regno di Dio ancor più intensamente ».

Inutili furono i tentativi di rianimazione al Martini Nuovo di To­rino. Fu accolto nella Piccola Casa della Divina Provvidenza e ospi­tato nella cappella mortuaria delle Suore defunte del Cottolengo: po­vero tra i poveri.

Vent'anni prima aveva detto alla Suora incaricata delle Sorelle de­funte: « Quando andrò a Casa avrò bisogno di lei: mi porteranno lì ». E indicò quella Cappella. Nessuno sapeva di questa piccola profezia, neppure i suoi più intimi collaboratori.

Uscendo dal Martini quel 7 novembre il dr. G. incontrò in Corso Regina Margherita, ad una fermata del tram, proprio il rev.do Don Luigi Borsarelli, allora Superiore Generale del Cottolengo. Fu un se­gno che davvero la Madonna voleva Don Carlo là dove aveva tante volte predicato e confessato. Con il Santo della Provvidenza era in una certa sintonia per la fede e l'abbandono filiale al Padre. Tutti e due - anche se in modo e misura diversa - avevano toccato con ma­no l'aiuto straordinario dall'Alto: l'uno per soccorrere materialmen­te e spiritualmente i poveri in un tempo di miseria e di fame, l'altro per spezzare il pane della Parola di Dio nella società dei consumi, nel­la quale si compiva la profezia di Amos (cf 8,11).



Quando arriverà, sarò già "a Casa"

La Suora addetta alla Cappella mortuaria si trovava nel Veneto ormai da quindici giorni per assistere la mamma gravemente malata. La stessa racconta che la notte dal 5 al 6 verso l'una o le due, vide una grande luce (non sa se in sogno o in realtà) e Don Carlo tutto ve­stito di bianco, « bellissimo, luminoso come un Angelo ». Si svolse que­sto dialogo:

- Sr. ..., torni alla Piccola Casa, che quando sarò morto dovrò esse­re messo nella Cappella delle Suore.

- Ma, Don Carlo, come faccio a dire al papà che vengo via adesso che la mamma sta per morire?

- Dirà che deve proprio tornare, per una cosa urgente. - Devo prendere presto il treno?

- Quando arriverà a Torino, io sarò già " a Casa". Mi porteranno all'ospedale, ma sarò già morto.

La Suora fece come le aveva indicato Don Carlo e partì il 7 matti­na presto. «Sentivo nel cuore - afferma - che avrebbe pensato lui a mia mamma ».

Giunse a Torino verso le 16,30 - 17. Fu subito informata della morte di Don Carlo dal rev.do Don Savantaia, vice-Superiore e suo confes­sore. Rispose: « Lo so già ». Il Superiore ne rimase stupito. La Suora gli disse che gli avrebbe spiegato tutto in Confessione. E così fece. Campane a festa

Quando tutto fu pronto, con il consenso di S.E. il Cardinal Balle­strero in quei giorni a Roma, nel primo pomeriggio dell'8, Don Carlo fu trasportato dal Martini al Cottolengo. Iniziò allora un continuo pel­legrinaggio attorno a quel Sacerdote che tanto aveva parlato del Cielo e ora finalmente lo possedeva. Molti staccavano furtivamente un fio­re dalla bara, altri appoggiavano qualche oggetto alla sua persona. Tutti sentivano che egli era vivo più che mai e ripeteva ancora: «Avanti con gioia per il Regno di Dio! ». Soprattutto lo sentivano i suoi giova­ni Gam giunti da ogni parte d'Italia, raccolti attorno a lui, giorno e notte, in un Cenacolo continuo di preghiera e di canti Gam.

Il funerale si svolse venerdì 9 novembre alle 15,30 nella grande chie­sa del Cottolengo. Fu un vero trionfo. La S. Messa fu preceduta da un Cenacolo Gam con partecipazione quasi totale anche al Sacramen­to della Riconciliazione. Una fitta schiera di Sacerdoti concelebrava. Al termine della Messa vi fu un attimo di sospensione: il Celebrante non riusciva a trovare il rituale delle esequie. Allora i giovani intona­rono il Magnificat. Non vi poteva essere commiato più bello che il "gra­zie" di Maria ai Tre, per le meraviglie compiute in quel suo figlio pre­diletto.

Mentre una fila interminabile lo accompagnava, le campane del Cottolengo suonavano a festa e facevano pensare a quelle campane del Cielo di cui egli parlava sempre, che avrebbero fatto « le capriole dalla gioia per la nostra entrata "a Casa" ».



Partecipò la sua gioia

Come sulla terra donava sempre agli altri ciò che aveva, così in quei giorni Don Carlo partecipò anche qualcosa della sua gioia cele­stiale. Diverse persone lo attestano.

«Alla notizia della sua morte, giuntami mentre mi trovavo al Ca­pitolo Generale - racconta una Madre - mi sentii invasa da una gioia grandissima, non per la morte, ma per "qualcuno" che era già nella gloria. Pensai: "Finalmente Don Carlo ha abbracciato il Padre, dopo aver tanto parlato con vivo trasporto di quest'incontro finale" ».

1 giovani Gam rimasti a vegliare tutta la notte dall'8 al 9, si senti­rono sempre accompagnati da serenità e gioia. Fu una veglia di pre­ghiera e di festa.

Al piccolo cimitero di S. Gillio, a pochi chilometri da Torino, do­ve la salma è stata tumulata e dove riposa attualmente, i giovani con­tinuarono a cantare canti Gam come fanno sempre alla conclusione di un Cenacolo. Una pioggia sottile era segno di benedizione.

Sulla pietra del loculo non una foto né una scritta, ma solo l'im­magine della "Madonna del Gam" (così è tuttora per rispettare il suo desiderio di nascondimento, il suo voler rimanere "milite ignoto"). Fino all'ultimo volle scomparire dietro a Colei che "aveva fatto tut­to" nella sua vita e nella sua Opera.



Papà, siamo sempre insieme

Sotto il loculo di Don Carlo si nota subito la foto di un fanciullo: Marco di dieci anni, morto qualche mese prima. Il papà di questo bam­bino, a distanza di dieci anni, testimonia: « Il mese di luglio del '79 venne a mancare Marco. Da quel momento son vissuto sempre nella disperazione, pensando come potesse il nostro bambino fare senza di noi che mai l'avevamo lasciato un istante solo. Era l'unica preoccu­pazione che mi ossessionava continuamente. E questo succedeva co­stantemente ogni giorno, fino ad arrivare a quella notte di ottobre in cui sognai Don Carlo. Avvenne così. Una notte in sogno - come mi succedeva spesso - mi apparve Marco e io gli dissi: "Marco, ma co­me fai senza di noi..., ti sembra di poterti difendere, non ti manca niente?" Ebbene, si gira a guardarmi con un sorriso, un sorriso così, sereno che lui aveva sempre in ogni occasione, e mi dice: "Papà, non ti devi preoccupare, non devi avere nessuna paura, nessun timore, per­ché pensa... sono due o tre giorni che è arrivato un signore, che non mi lascia più un istante, è sempre continuamente vicino a me, mi se­gue dappertutto... Siamo sempre insieme, andiamo molto d'accordo e mi fa tanta, tanta compagnia". Mentre mi diceva queste parole mi si formava l'immagine delle sue stesse parole. Cioè, mentre mi descri­veva com'era questo signore, io vedevo una persona sui 50-60 anni, forse mi sembrava più sui 50 che sui 60, dal sorriso simpatico, un sor­riso sereno, allegro, pieno di entusiasmo. Si guardavano proprio con affetto. Il giorno dopo ero più tranquillo, sereno, però non riuscivo a spiegarmi chi poteva essere questo "signore", perché non assomi­gliava né a mio padre, né a nessuna persona che io avevo conosciuto. Però per la tranquillità, la sicurezza e la pace che egli dava a Marco, non poteva essere che una persona che gli voleva tanto bene. Ne par­lai in casa con mia moglie, con tutti. Non si riuscì a trovare una spie­gazione di questa persona.

Poi preso da preoccupazioni non pensai più a quel sogno, finché a novembre incontrai due giovani Gam al Camposanto. Ci trovava­mo spesso là a pregare insieme, a parlare, loro di Don Carlo e io di Marco. Mi furono di tanto aiuto in certi momenti di disperazione.

Un giorno dopo Natale, uno dei due mi disse: "Devo farle un bel regalo che le farà senz'altro piacere". E mi diede la pagellina-ricordo con la foto di Don Carlo. Appena vista, sobbalzai perché ero sicuro di aver visto quella persona nel momento stesso in cui Marco me ne parlava, tranquillizzandomi perché era in ottima compagnia. Fu così che conobbi questo Sacerdote in quel sogno fatto a ottobre, un mese prima che lui venisse a mancare. Per questo fatto Don Carlo è una persona a noi cara, come è caro Marco ».



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21/09/2009 21:41

17 - DON CARLO CONTINUA

Tornerò tra voi


« Io non vi lascerò orfani, io tornerò tra voi » (Gv 14,18). Questa promessa di Gesù è diventata realtà viva anche per Don Carlo. «Se egli tornasse - ma è sempre in mezzo a noi -... » puntualizza un set­timanale cattolico. Sì, Don Carlo è sempre in mezzo a noi: continua la sua missione evangelizzatrice con la forza divina dello Spirito San­to e con la sua bontà semplice e gioiosa che dona la sua delicata atten­zione a tutti e a tutto. E molti ne hanno fatto esperienza.

« Per me Don Carlo è una realtà viva, presente - attesta una Suo­ra -. Ho tanta nostalgia della sua presenza luminosa e della sua pa­rola intrisa di Parola di Dio, ma lo sento vicino. Quando sono in dif­ficoltà lo invoco e mi sembra di sentire un po' la sua voce che mi dice di guardare avanti, al futuro di Dio che ci attende.

Avevo avuto un momento un po' difficile e non riuscivo ad affron­tare la Confessione. In quel periodo continuavo a sognare Don Car­lo. Questa sua particolare presenza mi ha condotto alla decisione di riprendere ad accostarmi al Sacramento del perdono ».



Lo sento presente

« Ringrazio i Tre e la Mamma per avermelo fatto incontrare - scri­ve una Superiora -. Per me Don Carlo non è scomparso; è presente, lo sento. Sono certa che con la Mamma continua a starmi accanto ».

E una Madre Priora: « Lo sento vicino come se fosse il mio Ange­lo Custode. Leggo ogni giorno una sua parola trascritta sull'agenda ed è sempre una luce nuova. Lo ricordo in particolare ogni 7 del mese e ogni mercoledì (data e giorno del suo ritorno a Casa) ».

Il signor F., parente di Don Carlo, che da bambino l'ebbe come assi­stente al Collegio "Don Bosco" di Pordenone, afferma: « Don Carlo continua a influire nella mia vita con una forza inte­riore che non so spiegare, ma che mi spinge a fare cose che da solo non avrei mai fatto, a prendere decisioni che sono anche contrarie al­ la mia volontà, ma che sono volontà di Dio. Lo sento sempre presente dentro di me ».



Parla in me Don Carlo

Don M., parroco di A., che l'ha avvicinato e ascoltato più volte, attesta: «Tutte le volte che accosto la Parola di Dio per la Parrocchia, per Radio-Maria - adesso poi ho una comunità di Maria da guidare, ci sono i vari gruppi di preghiera, persone che arrivano, telefonate... - io posso dire che in quel momento in me parla un'altra persona, non sono io a parlare. Se fossi io, dovrei prepararmi come facevo pri­ma per fare qualunque tipo di intervento, anche breve. Invece adesso sento che, come mi accosto alla Parola di Dio per predicarla - e par­lo spessissimo anche fuori parrocchia - io parlo e non parlo, perché parla in me Don Carlo. Certo, allo Spirito Santo e alla Madonna, ma anche a te, Don Carlo, che mi hai insegnato questo accostamento spi­rituale alla Parola di Dio, devo tutto. Ti ringrazio di cuore, Don Car­lo, anche perché come seconda realtà tu mi hai donato l'amore alla Mamma ».



Verremo presto a prenderla

Qualche mese dopo la sua morte, una claustrale confidò a una con­sorella un sogno che l'aveva colpita profondamente. Vide Don Carlo che le disse: « Suor M. F., si prepari che verremo presto a prenderla ». Quella sua consorella rispose: « Non si sa mai... Lei si prepari davve­ro. Se poi non fosse, darà tanta gloria a Dio la sua disposizione inte­riore a lasciare tutto ».

La Suora dispose tutto in ordine, distaccandosi da tante piccole cose e preparando l'anima all'incontro con lo Sposo divino. Era an­cora abbastanza giovane e non era malata.

Trascorso appena un mese dal sogno, una sera fu colpita da im­provviso malore. Ebbe subito la percezione chiara che era giunta la sua ora e chiese ripetutamente perdono a tutta la Comunità accorsa attorno a lei. Fece appena in tempo a ricevere l'ultima assoluzione e raggiunse la Casa del Padre. Appena seppero del sogno le Sorelle si ricordarono che Don Carlo aveva assicurato: «Quando sarò a Casa verrò a prendervi con la Mamma una ad una».



In questo momento non so pregare

« Mi trovavo in un momento particolare di prova e di sofferenza - attesta la signora E. -. Una sera mentre recitavo le mie preghiere, uscì da un libro la pagellina-ricordo con la foto di Don Carlo. Ero tanto avvilita e gli parlai: « Don Carlo, ti prego, tu ci hai fatto cono­scere la Mamma, ce l'hai fatta tanto amare... Tu che sei vicino a Lei, prega tu per me, intercedi tu per me, perché io non so..., in questo momento non so pregare».

E certo Don Carlo assieme alla Mamma ha pregato per me, per­ché quella grazia l'ho ricevuta. Don Carlo ci ha guidati a una fede co­sì viva in Gesù e nella Mamma, che non possiamo cancellarla dalla nostra anima ».



Gli potevo chiedere tutto

«Ho chiesto una grazia a Don Carlo il giorno del suo funerale - racconta la signora G. - quando stava lì nella bara. Mio padre sof­friva tantissimo a causa di polipi al naso che gli impedivano di respi­rare. Siccome soffriva anche di cuore, non era possibile affrontare l'o­perazione chirurgica.

Quel giorno, sapevo di essere davanti a una persona che era già in Paradiso - lui poi l'aveva descritto così bene il Paradiso -. Ero sicura che vi si trovava e ho pensato: lui è arrivato, io gli posso chie­dere qualsiasi cosa, perché sono sicura che la ottengo. E allora gli ho chiesto: "Don Carlo, ti prego, aiuta mio padre. Liberalo dai polipi, fallo respirare". Proprio gliel'ho chiesto con tutto il cuore. Mio pa­dre subito, il giorno dopo, si è liberato dal polipo; gli si è staccato. Il fatto si è ripetuto nuovamente a distanza di 3 anni e poi ancora. Non si è più dovuto operare. Ogni volta questo polipo si stacca da solo. Questo lo devo a Don Carlo».



I medici non sapevano spiegare

«Mio marito e io abbiamo avuto modo di conoscere Don Carlo - afferma la signora A.C. di Bergamo -. Ne siamo molto contenti e riconoscenti. Io penso di aver ricevuto da lui una grazia l'anno scor­so. Ero ricoverata in Svizzera per un intervento abbastanza serio e dopo dieci giorni ho avuto dei problemi inspiegabili con emorragia interna e febbre altissima. Pensavano di dovermi rioperare. Quando venne a trovarmi il dr. G., mi portò un piccolo indumento di Don Carlo che appoggiai subito alla parte malata. Dopo qualche giorno la febbre scomparve e mi sentii veramente bene. Non ci fu più bisogno di inter­vento. Anche i medici si stupirono nel constatare come potesse essersi risolto in così breve tempo, un fatto che essi non sapevano spiegare e tanto meno risolvere.

Sono veramente riconoscente a Don Carlo e alla Mamma Celeste ».



Mi fece segno di non temere

Una Suora domenicana scrive questa testimonianza: « Don Carlo è sempre vivo e veglia su chi si raccomanda a lui con la preghiera. Quel giorno, come per molti oggi, anche per me fu necessaria una radio­grafia per qualche disturbo che mi faceva dubitare di un male serio. In seguito agli esami risultarono evidenti e visibili i sintomi di quel male che si temeva. L'intervento chirurgico doveva essere urgente.

Nel mio animo si scatenò una lotta, facilmente comprensibile: paura per quel brutto male che falcia oggi innumerevoli vite, e il desiderio di lavorare ancora per il Regno di Cristo.

La lotta interna durò poco perché dissi a me stessa: "Don Carlo sa che io seguo le sue direttive per la diffusione del Regno di Cristo. Don Carlo, tu sei venuto anche qui in questa lontana terra meridiona­le, hai acceso una fiamma, hai animato questa gioventù entusiasta e forte. Vedi un po' cosa puoi fare per me, affidami alla Madonna; parla di me alla Mamma del Cielo e dille che ispiri come risolvere questa faccenda".

Sentivo che Don Carlo dal Cielo non poteva ignorare la mia situa­zione. Egli non aveva avuto paura di percorrere l'Italia dal Nord al Sud; non aveva calcolato le distanze e ora, in Cielo, le distanze non esistevano più. Ebbene, dopo questa intima, accorata preghiera, an­dai a riposare. Don Carlo mi apparve in sogno o in realtà, non lo so: so soltanto che la sua immagine è rimasta impressa, netta e precisa, nella mia mente. Don Carlo mi guardò e alla mia domanda rispose con un gesto della mano, come per dirmi: "Non temere, non ti preoc­cupare!". Ricordo benissimo che egli era seduto su una poltrona, die­tro ad una scrivania, sulla quale stava un registro aperto. Mi guardò negli occhi e ripeté il gesto della mano.

Mi svegliai e con stupore mi trovai in uno stato d'animo diverso: di coraggio e fiducia. E quale non fu la mia meraviglia quando, rag­giungendo Torino qualche giorno dopo, riconobbi nell'ufficio accet­tazione della clinica delle Suore, lo stesso ambiente che avevo visto nel sogno. (Da notare che io non ero mai stata in quella clinica delle Suore Domenicane di Torino). Non solo, ma venni poi a sapere che proprio in quella poltrona, qualche volta, si era seduto anche Don Car­lo. Ormai ero certa che Don Carlo mi aveva risposto.

Dopo il grave intervento - nonostante l'esame istologico positi­vo, che confermava trattarsi di tumore maligno - tutto si normaliz­zò e potei riprendere l'intensa attività. Tuttora, dopo ormai più di cin­que anni, continuo a godere buona salute dedicandomi anche - co­me promisi a Don Carlo - all'animazione spirituale dei giovani Gam ».



Ci guardava... ci guidava ancora

« Nel Cenacolo di Trigesima della morte di Don Carlo a S. Gio­vanni in Laterano - racconta D., una giovane Gam - tutti eravamo tristi perché era il primo grande Cenacolo in cui Don Carlo non c'era. Mentre pregavamo, mi girai e vidi Don Carlo in piedi accanto all'al­tare che guardava i giovani e sorrideva. Dopo pochi minuti non vidi più niente, ma mi rimase tanta gioia nel cuore e la certezza che lui dal Cielo ci guardava, ci guidava ancora nel lavorare per la Mamma Celeste.

Ringrazierò sempre la Mamma di avermi scelta per il suo esercito di giovani pronti a sconfiggere il Dragone, e di avermi fatto la grazia di passare alcuni anni della mia vita vicino ad un Santo come Don Carlo ».

Anche altri giovani ebbero l'impressione di vederlo più volte pre­sente nei Cenacoli, a volte al posto di Don Bruno che stava animan­do, altre volte al suo fianco o dal lato apposto dell'altare: piccoli se­gni della stupenda e vitale realtà del Corpo Mistico.

Un parroco di un paese in provincia di Treviso si risentì con la per­sona che gli aveva dato la notizia della morte di Don Carlo, perché pensava a una falsa informazione. Ebbe la netta percezione di veder­lo presente a Thiene tutto il tempo del Cenacolo animato da Don Bru­no. Gli fu mostrata la foto dell'uno e dell'altro, ma lui insisté di aver visto Don Carlo. « Lo conosco bene - insisté -; solo qualche mese fa era stato in parrocchia da me a fare un Cenacolo. Avevamo poi parlato insieme in canonica e salutandomi mi aveva abbracciato. A Thiene era proprio lui... Eppure pazzo non sono... ». A dieci anni di distanza confermerà il fatto.



Il segno più grande: i giovani Gam

« Normalmente si cercano nei Santi miracoli e guarigioni - affer­ma una persona che gli fu particolarmente vicina - ma in Don Carlo il segno e il miracolo più grande è questa gioventù da lui lanciata al­l'evangelizzazione. Non si spiega, se non con un intervento straordi­nario della grazia, come due o tre giovani riescano a smuovere la massa della gente - per lo più persone non praticanti - e a riempire le chiese.

Una volta le chiese si riempivano così solo nelle grandi solennità e per l'arrivo di qualche grande predicatore. In un Cenacolo Gam, i predicatori chi sono? Degli adolescenti, in maggioranza dai 13 ai 18 anni, e a volte dei fanciulli. La gente ascolta incantata con gli occhi lucidi e i Parroci e gli altri Sacerdoti alla fine hanno il cuore in festa perché essi, che han confessato, hanno visto cadere nella rete di Dio molte anime lontane che non si accostavano ai Sacramenti da tanti anni.

Sono queste stesse persone che, al colmo della felicità, vanno a rac­contarlo ai giovani. E la gioia si moltiplica.

Don Carlo paragonava questo fatto alla moltiplicazione dei pani (cf Gv 6,1-13). Come per sfamare quella folla Gesù utilizzò i cinque pani e due pesci di quel ragazzo condotto dall'apostolo Andrea, così utilizza tutto ciò che con gioiosa generosità questi giovani gli offro­no: il loro tempo, le loro esuberanti energie, la loro freschezza, so­prattutto la loro fede che non razionalizza e il loro amore che non calcola.

A guardarli così indifesi e sprovveduti - davvero solo "cinque pani e due pesci" - qualcuno potrebbe dire come l'apostolo Andrea: —Ma che cos'è questo per tanta gente?" (Gv 6,9). Eppure Gesù opera me­raviglie proprio con questi piccoli strumenti. Ancora una volta Dio sceglie "le cose che non sono, per ridurre al nulla quelle che sono" in un mondo autosufficiente e sicuro di sé.

Il Papa Giovanni Paolo II puntualizza stupendamente come i piccoli «ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono asso­lutamente gratuito di Dio » (Christifideles laici, n. 47).

"È tutta opera della Madonna" afferma Don Carlo. E lui ne è stato e continua ad essere lo strumento di mediazione. Ecco il miracolo, il segno più grande di Don Carlo ».



Don Carlo nei giovani

Quando Don Carlo era ancora nella bara, furono mandati ad ani­mare un Cenacolo a Genova - ormai già da tempo fissato - due gio­vani Gam. Il Monsignore che attendeva Don Carlo restò alquanto per­plesso vedendosi arrivare due ragazzi. Tuttavia lasciò fare.

E quale non fu la sua meraviglia, quando constatò gli stessi effetti di partecipazione alla preghiera sulla Parola di Dio e ai Sacramenti. Lo comunicò subito a Torino. I giovani ripetevano i commenti più volte ascoltati da Don Carlo. E la Mamma Celeste attirava lo Spirito Santo.

Qualche mese dopo nella Cattedrale di Albenga, al termine del Ce­nacolo, una Suora dell'Istituto "Faà di Bruno" che conosceva bene Don Carlo, abbracciò i giovani e piangendo di commozione disse che ascoltando loro le sembrava di risentire lui.

Don Carlo continuava nei suoi giovani Gam. E continua tuttora mentre percorrono le strade volantinando per raggiungere con un'e­vangelizzazione capillare soprattutto i lontani, o passano di casa in casa, di corsia in corsia negli ospedali, nei padiglioni degli ospizi, ne­gli istituti... ovunque si apra una possibilità di annunciare la Parola di Dio.



Portano la vera libertà

Particolarmente commovente e incisiva l'evangelizzazione con ce­nacoli e missioni Gam nelle case circondariali. Ultimamente i giovani hanno effettuato delle missioni al carcere minorile di Palermo, al Su­percarcere di Trani e a quello delle Vallette di Torino. In quest'ultimo i giovani (i ragazzi nei reparti maschili e le ragazze in quelli femminili) portarono la bianca statua della Madonna di Fatima nelle singole sezioni - cella per cella - annunciando la Parola di Gesù e facendo Cenacoli per un'intera settimana. I Sacerdoti del Gam confessarono di continuo ogni pomeriggio. Gli interni, in maggioranza giovani, pian­gevano di commozione, strappavano i manifesti e la stampa porno­grafica e appendevano nella loro cella il poster della Madonna. Vi fu anche chi, sposato da diversi anni civilmente, volle regolarizzare il ma­trimonio sposandosi in chiesa. "Sono avvenute delle autentiche con­versioni", commentò il rev.do P. Ruggero o.f.m., cappellano delle carceri da 45 anni.

La missione si concluse con la concelebrazione dell'Arcivescovo di Torino, Sua Eccellenza Mons. Giovanni Saldarini, che conferì an­che le Cresime a un gruppo di giovani.

Una giovane interna disse: "Come mi ha reso libera la Confes­sione di ieri!". E una signora: "Ho iniziato a leggere il Vangelo di San Giovanni che mi è stato regalato con i commenti di Don Carlo De Ambrogio. Lo trovo tanto bello e penetrante". Le testimonianze potrebbero continuare numerose e toccanti. Gruppi di giovani e uo­mini delle varie sezioni, da allora si riunirono per pregare insieme il Rosario.



Un anno per il Signore

Per dare una forte spinta all'evangelizzazione e per impegnare i giovani in questo compito specifico, Don Carlo aveva lanciato una pro­posta che i giovani hanno accolto con entusiasmo e generosità: "Un anno per il Signore".

Alcuni di essi, infatti, per dedicarsi a tempo pieno a questa mis­sione e alla preghiera, lasciano le loro famiglie e consacrano un anno o più al Signore, sotto la guida della Mamma Celeste. Vivono in Comunità-Cenacolo e si dedicano all'animazione di Cenacoli e mis­sioni in varie parti d'Italia.

È un'esperienza unica: oltre a dare, ricevono moltissimo maturando profondamente nella fede e negli autentici valori della vita. Termina­to il periodo, tornano - se lo desiderano - alle loro case, ai loro im­pegni di lavoro e di studio, continuando ad essere testimoni ed evan­gelizzatori nel loro ambiente. È una possibilità aperta a tutti i giovani (ragazzi e ragazze) che desiderano offrire la loro disponibilità al Signore per il Vangelo.

« Sta arrivando una gioventù tutta nuova - diceva Don Carlo - che, agli ordini della Condottiera, la Donna vestita di Sole, cambierà il mondo ».



I suoi scritti parlano

Sua Eccellenza Monsignor Giuseppe Fenocchio, Vescovo Ausilia­re di Albenga, scrive di lui: « Purtroppo non ho avuto il bene di in­contri né personali né epistolari con Don Carlo. Lo avevo invitato a Pontremoli, sia per i Sacerdoti, sia per i giovani; ma non gli era stato possibile accettare.

La mia conoscenza è quella che ho attinto dai suoi scritti, che mi sono stati rivelazione di un'anima sacerdotale di alta e rara spirituali­tà, afferrata dall'amore alla Madonna, a cui ha guardato come al punto di orientamento di tutta la sua vita e come al grande motivo di fiducia e di serenità che traspaiono costantemente dalle sue pagine.

Profonda cultura biblica e teologica, unite alla vivacità dello stile e alla capacità di presentarne le ricchezze con singolare semplicità e chiarezza, mi appaiono pure i pregi delle sue pubblicazioni.

Da quando conosco il movimento da lui promosso, l'ho sempre visto come un bellissimo strumento di cui oggi lo Spirito Santo sta ser­vendosi per il rinnovamento della vita cristiana e per la santificazione delle anime. Prego affinché esso abbia a diffondersi sempre più e a sviluppare in sempre più ampi orizzonti il bene che sta compiendo, specialmente tra i giovani».



Come se l'avessimo sempre conosciuto

Molti altri che non l'hanno conosciuto di persona lo scoprono nei suoi scritti e nelle sue registrazioni così penetranti e profonde, ricche di Spirito Santo.

« Pare che parli all'anima - dice la signora G. -. A volte ascol­tandolo mi vengono i brividi; sembra una voce più dal cielo che dalla terra ».

« Ma questa non è la voce di un uomo, ma di un Angelo » dissero i tecnici della sala di registrazione mentre inserivano la presentazione alla musicassetta Gam n. 11.

« Ogni volta che ascolto le sue cassette - dice G., un giovane del­l'Argentina - scopro sempre un nuovo messaggio della Parola di Dio. Mi ha aiutato così a conoscere Gesù e mi dà tanta forza per farlo co­noscere, per evangelizzare ».

I giovani Gam vibrano per lui anche se molti non l'hanno cono­sciuto. « Per noi è come se l'avessimo sempre conosciuto - dicono - anzi, non ci ha mai lasciati, lo sentiamo...

In tutti gli incontri Gam egli è presente ed è per questo che da tutti si sente il bisogno di concludere con il canto "Don Carlo, sorridi", cantato con una partecipazione sentita, tale che si piange e si ride di gioia.

È il grazie tributato dai giovani a Don Carlo il quale è presente ancora, con la Mamma Celeste e lo Spirito Santo, nelle giornate di Formula 1, nei campi-missione, nelle missioni e durante i Cenacoli e i volantinaggi. Egli è sempre lì pronto ad aiutare i giovani contro gli assalti di Satana e a guidarli nella conquista delle anime per il trionfo del Regno di Dio.

Nelle lettere ci salutiamo con lo stesso suo saluto: "nell'Amore dei Tre con la Mamma Celeste". E aggiungiamo: "E Don Carlo". La sua presenza, anche se non è visibile, è reale, vera. Don Carlo è sempre con noi, fa parte di noi, è nei nostri cuori. Ed è per questo che lo preghiamo...

Egli continua ancora a sorriderci dal Cielo e continua a dirci con il suo luminoso sorriso: "Avanti con coraggio per il Regno di Dio! I vostri nomi sono scritti nel Cielo"».



PREGHIERA

Abbà, Padre, l'ora è venuta, glorifica il tuo figlio pre­diletto Don Carlo, perché tuo figlio glorifichi te.

Egli ti ha glorificato sulla terra; ha compiuto l'opera che tu gli avevi dato da fare: l'annuncio della Parola di Dio "nell'ora della Donna vestita di Sole", per preparare con i giovani il Regno del Figlio dell'uomo, la civiltà del­l'amore e la primavera della Chiesa.

Aiutaci a vivere come lui il Vangelo con la semplicità dei piccoli, a diventare testimoni della Luce, seminatori della Parola di Dio, per far nostro nella gioia il suo "nel­l'Amore di Dio, Padre, Figlio, Spirito Santo, con la Mam­ma Celeste". Amen.



Imprimatur

Alba, 26 marzo 1989 - Pasqua di Risurrezione



Per favori ottenuti, invio di testimonianze e richiesta di biografia, rivolgersi a:

Responsabile del Movimento GAM Centro Gam - Casella Postale - 12051 ALBA (CN)



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