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PER DIFENDERE LA FEDE (San Roberto Bellarmino)

Ultimo Aggiornamento: 01/10/2009 17:38
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13/09/2009 10:43

LIBRO DI APOLOGETICA

Per difendere la propria fede

Stendardo da battaglia cristeroPresentazione, con parole del Santo Dottore della Chiesa:  Ho sempre giudicato essere sommamente necessario perseverare nella Chiesa, nella quale si trova la fede vera ed ortodossa, il vero culto di Dio, la vera remissione dei peccati, il vero pegno della salvezza ed eredità eterna. Penso però che sia necessario stare nella Chiesa in questo tempo soprattutto, nel quale un brulichìo di eresie e di sette va stendendo su tutta la terra una tenebra così densa e così tetra, che sembrano essere vicini quei tempi, di cui Gesù Cristo dice nel Vangelo "Quando verrà il Figliolo dell’uomo, credete voi che troverà fede sopra la terra?".
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01/10/2009 17:38

Chi era san Roberto Bellarmino?


SAN BELLARMINO

[…]Della politica romana che allora professava la supremazia papale più alteramente quant’era più minacciata, e pretendeva insegnare doveri ai re e diritto ai popoli, è rappresentante il gesuita Roberto Bellarmino da Montepulciano (1542-1621).

A ventidue anni egli saliva già i più celebri pulpiti: da san Francesco Borgia spedito all’università di Lovanio perché si opponesse all’eresia serpeggiante, vi fu consacrato sacerdote da quel Giansenio che doveva poi venire antesignano di famosissimo partito: combattè Bajo che deviava in punto alla Grazia, e continuò a predicare e istruire finchè per salute si restituì a Roma. Quivi servì da teologo e produsse le insigni Dispute delle controversie della Fede contro gli eretici di quel tempo.

In queste espone prima l’eresia, poi la dottrina della Chiesa coi sentimenti de’ teologi, rinfiancandoli non con argomentazioni, ma con testi della Scrittura, dei Padri, de’ concili e colla pratica; infine confuta gli avversi. Modello d’ordine, di precisione, di chiarezza, scevro dalle aridità scolastiche: se erra talvolta sul conto degli scrittori ecclesiastici non ancora passati al vaglio d’una critica severa, non di rado arditamente ripudia gli scritti apocrifi: appoggiato all’autorità dei dei teologi, non inveisce contro gli avversarj, ma li ribatte con chiara e precisa brevità senza formalismo di scuola: e Mosheim, uno de’ più accaniti campioni dell’eresia, pretende che “il candore e la buona fede di lui lo esposero a rimbrotti de’ teologi cattolici, perché ebbe cura di raccogliere le prove e le obiezioni degli avversarj e per lo più esporle fedelmente in tutta la loro forza”.

Ad attestarne il merito, basterebbe la quantità di quelli che lo confutarono(1); anzi si eressero cattedre a posta per ciò. Anche il suo catechismo non è lingua in cui non fosse tradotto.

Né gli eretici lasciavano quiete, o mostravano tolleranza.
Un inglese entrato in San Pietro di Roma, mentre il sacerdote stava per levar l’ostia consacrata, l’assalì per strappargliela di mano, e sparse per terra il calice; onde assalito dal popolo , fu battuto, poi consegnato all’Inquisizione; e confesso d’esser venuto con altri in Italia per combattere simili atti, fu condannato al braccio secolare che subì “con tanta fermezza che ha dato da ragionare assai” (2).

Un altro pubblicò “un avviso piacevole dato alla bella Italia da un giovane nobile francese”, sozzo di bestemmie contro il papa e il papato, e che ebbe confutazione dal Bellarmino.

La Riforma, mentre seminava l’Europa di sanguinose eppur feconde ruina, turbò gli animi, al dogma surrogando opinioni variabili quanto le teste: dubbj nell’intelletto e scrupoli nella coscienza nascevano dall’esser rotto l’equilibrio fra il sentimento dei diritti e quello dei doveri. Scassinata l’autorità divina, fu forza cercare nuovi fondamenti alle obbligazioni dei privati e delle nazioni: ma i liberali protestanti non giungevano che alla negazione, resistendo al potere in nome del diritto non del dovere, zelando un patriottismo inesperto,, che vede le piaghe, non la difficoltà del rimedio, e incita alla disobbedienza.

Essi tacciavano i Cattolici di legittimare la resistenza agli arbitrii; di voler che anche la Chiesa partecipasse al potere che essi concentravano tutto ne’ principi; di supporre qualcosa di superiore e anteriore ai patti sociali, la dove essi ponevano nelle leggi l’unica fonte dell’obbligazione; d’insegnare con san Tommaso che l’obbedienza ai re è subordinata all’obbedienza dovuta alla giustizia.

I teologi nostri sostenevano che la prerogativa del pontefice sovrasta alla politica, perché di diritto divino: se rispondeasi dover essere divino anche il diritto dei principi, altrimenti qual ne sarebbe il fondamento? Essi non esitavano a rispondere,- il popolo”, sancendo così la sovranità di questo. Secondo Bellarmino, la podestà civile deriva da Dio; e prescindendo dalle forme particolari di monarchia, aristocrazia e democrazia, fondasi sulla natura umana; e non essendo connessa a nessun uomo in particolare, appartiene all’intera società; questa non può esercitarla da se medesima, onde è tenuta trasferita in alcuno od alcuni, e dal consenso della moltitudine dipende il costituirsi un re o consoli o altri magistrati, con il diritto di cambiarli (3).

Nell’opera De summo pontifice capite totius militantis Ecclesiae, la supremazia papale vuole indipendente da qualsiasi giudizio; anima della società, di cui non è che corpo la potestà temporale(4). Però negli affari civili non deve maneggiarsi il papa, salvo ne’ paesi suoi vassalli; anzi è lecito resistergli se turbi lo stato, e impedire che sia obbedito. Deporre i re non può ad arbitrio qual che ne sia la cagione, eccetto i suoi vassalli; ben può mutarne il regno ad altri oove lo esiga la salute delle anime(5). Alla monarchia pura antepone il Bellarmino la temperata dall’aristocrazia; e se pur dice, che il papa può dell’ingiustizia far giustizia, convien ricordarsi che Hobbes attribuiva lo stesso diritto ai re(6).

La sua opera spiacque grandemente a Napoli e a Parigi; ma neppure gradì a Roma, anzi Sisto V la pose all’indice, ma contro il voto della Congregazione, sicchè ben tosto ne fu depennata.
Fra i tanti libelli usciti contro di lui, uno narrava come, straziato dai rimorsi, fossesi condotto alla sacra casa di Loreto a confessare sue colpe; ma uditene alcune, il penitenziere lo cacciò come irreparabilmente danato, sicchè cadde per terra, e fra orribili contorcimenti perì. Ciò stampatasi mentre egli viveva in umiltà laboriosa; ammirato per disinteresse e umiltà, in tutt’Europa volava il suo nome; un Tedesco venne apposta a Roma, con un notaro attese presso la casa dove Bellarmino abitava finchè questo uscisse, fece rogar atto d’averlo veduto, e di ciò glorioso tornò in patria; il papa lo creava cardinale quia ei non habet parem Ecclesia Dei quoad doctrinam; e morendo santamente, professò non solo la fede cattolica, ma quanto alla Grazia pensare come i Gesuiti.
Volemmo badarci sul Bellarmino perché in lui si personifica ciò che di più avanzato si rinfaccia alla santa sede, e perché quelle dottrine ebbero grande efficienza sulla sorte delle nazioni. […]

NOTE

(1)Contano fin ventidue confutazioni, tra cui l’Antibellarmino di Adamo Scherzer; un altro di Samuele Ueber; l’Antibellarmino contratto di Corrado Vorstio; l’Antibellarmino biblico di Giorgio Albrecht; il Collegio antibellarminiano di Amando Polano; le Disputazioni antibellarminiane di Lodovica Crell; il Bellarmino snervato di Guglielmo Amesio: e tacciamo altri fra cui le confutazioni di re Giacomo Stuart. Anche Duplessis-Mornay scrisse il “mistero d’iniquita o storia del papato; per quali progressi salì al colmo; che opposizione gli fece la gente dabbene di tempo in tempo; dove si difendono i diritti degl’imperatori, re e principi cristiani, contro le asserzioni de’ cardinali Bellarmino e Baronio” Saumer, 1611.
Un librajo forestiero da una ristampa delle Controversie avendo lucrato tredicimila scudi, volle regalarne quattromila al Bellarmino, che ricusò. Fu asserito che quell’opera non fosse sua, ma compilata dai Gesuiti d’accordo. Il padre Batoli, oltre l’Istoria della Compagnia di Gesù in Italia (Roma 1675), dettò pure la vita del Bellarmino col solito stile.

(2)Carteggio dell’ambasciador veneto, 29 luglio 1581.

(3)De laicis, lib. III e. 6: Certum est politicampotestatem a Deo esse…jus divinum nulli homini particolari dedit hane potestatem; ergo tenetum eam transferre in aliquem unum vel aliquos paucos…Pendet a consensu multitudinis constituere super se regem vel consules vel alios magistratos.

(4)Summus pontifex simpliciter et absolute est supra Ecclesiam universam et supra concilium generale, ita ut nullum in terris supra se judice agnoscat. De concilii auctorictate, cap. 17

(5)De romano pontifice, n. 29.

(6)Reges que imperent justa facere imperando quae valent injusta. De cive,112. L’opinione attribuita al Bellarmino si fonda principalmente sul De romano pontifice, lib. IV c. 5; ma l’ultimo punto suole traviarsi.



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