QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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San Leone Magno

Ultimo Aggiornamento: 05/09/2009 07:25
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04/09/2009 22:08

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 5 marzo 2008

 

 

 


San Leone Magno

Cari fratelli e sorelle,

proseguendo il nostro cammino tra i Padri della Chiesa, veri astri che brillano da lontano, nel nostro incontro di oggi ci accostiamo alla figura di un Papa, che nel 1754 fu proclamato da Benedetto XIV Dottore della Chiesa: si tratta di san Leone Magno. Come indica l’appellativo presto attribuitogli dalla tradizione, egli fu davvero uno dei più grandi Pontefici che abbiano onorato la Sede romana, contribuendo moltissimo a rafforzarne l’autorità e il prestigio. Primo Vescovo di Roma a portare il nome di Leone, adottato in seguito da altri dodici Sommi Pontefici, è anche il primo Papa di cui ci sia giunta la predicazione, da lui rivolta al popolo che gli si stringeva attorno durante le celebrazioni. E’ spontaneo pensare a lui anche nel contesto delle attuali udienze generali del mercoledì, appuntamenti che negli ultimi decenni sono divenuti per il Vescovo di Roma una forma consueta di incontro con i fedeli e con tanti visitatori provenienti da ogni parte del mondo.

Leone era originario della Tuscia. Divenne diacono della Chiesa di Roma intorno all’anno 430, e col tempo acquistò in essa una posizione di grande rilievo. Questo ruolo di spicco indusse nel 440 Galla Placidia, che in quel momento reggeva l’Impero d’Occidente, a inviarlo in Gallia per sanare una difficile situazione. Ma nell’estate di quell’anno il Papa Sisto III – il cui nome è legato ai magnifici mosaici di Santa Maria Maggiore – morì, e a succedergli fu eletto proprio Leone, che ne ricevette la notizia mentre stava appunto svolgendo la sua missione di pace in Gallia. Rientrato a Roma, il nuovo Papa fu consacrato il 29 settembre del 440. Iniziava così il suo pontificato, che durò oltre ventun anni, e che è stato senza dubbio uno dei più importanti nella storia della Chiesa. Alla sua morte, il 10 novembre del 461, il Papa fu sepolto presso la tomba di san Pietro. Le sue reliquie sono custodite anche oggi in uno degli altari della Basilica vaticana.

Quelli in cui visse Papa Leone erano tempi molto difficili: il ripetersi delle invasioni barbariche, il progressivo indebolirsi in Occidente dell’autorità imperiale e una lunga crisi sociale avevano imposto al Vescovo di Roma – come sarebbe accaduto con evidenza ancora maggiore un secolo e mezzo più tardi, durante il pontificato di Gregorio Magno – di assumere un ruolo rilevante anche nelle vicende civili e politiche. Ciò non mancò, ovviamente, di accrescere l’importanza e il prestigio della Sede romana. Celebre è rimasto soprattutto un episodio della vita di Leone. Esso risale al 452, quando il Papa a Mantova, insieme a una delegazione romana, incontrò Attila, capo degli Unni, e lo dissuase dal proseguire la guerra d’invasione con la quale già aveva devastato le regioni nordorientali dell’Italia. E così salvò il resto della Penisola. Questo importante avvenimento divenne presto memorabile, e rimane come un segno emblematico dell’azione di pace svolta dal Pontefice. Non altrettanto positivo fu purtroppo, tre anni dopo, l’esito di un’altra iniziativa papale, segno comunque di un coraggio che ancora ci stupisce: nella primavera del 455 Leone non riuscì infatti a impedire che i Vandali di Genserico, giunti alle porte di Roma, invadessero la città indifesa, che fu saccheggiata per due settimane. Tuttavia il gesto del Papa – che, inerme e circondato dal suo clero, andò incontro all’invasore per scongiurarlo di fermarsi – impedì almeno che Roma fosse incendiata e ottenne che dal terribile sacco fossero risparmiate le Basiliche di San Pietro, di San Paolo e di San Giovanni, nelle quali si rifugiò parte della popolazione terrorizzata.

Conosciamo bene l’azione di Papa Leone, grazie ai suoi bellissimi sermoni – ne sono conservati quasi cento in uno splendido e chiaro latino – e grazie alle sue lettere, circa centocinquanta. In questi testi il Pontefice appare in tutta la sua grandezza, rivolto al servizio della verità nella carità, attraverso un esercizio assiduo della parola, che lo mostra nello stesso tempo teologo e pastore. Leone Magno, costantemente sollecito dei suoi fedeli e del popolo di Roma, ma anche della comunione tra le diverse Chiese e delle loro necessità, fu sostenitore e promotore instancabile del primato romano, proponendosi come autentico erede dell’apostolo Pietro: di questo si mostrarono ben consapevoli i numerosi Vescovi, in gran parte orientali, riuniti nel Concilio di Calcedonia.

Tenutosi nell’anno 451, con i trecentocinquanta  Vescovi che vi parteciparono, questo Concilio fu la più importante assemblea fino ad allora celebrata nella storia della Chiesa. Calcedonia rappresenta il traguardo sicuro della cristologia dei tre Concili ecumenici precedenti: quello di Nicea del 325, quello di Costantinopoli del 381 e quello di Efeso del 431. Già nel VI secolo questi quattro Concili, che riassumono la fede della Chiesa antica, vennero infatti paragonati ai quattro Vangeli: è quanto afferma Gregorio Magno in una famosa lettera (I,24), in cui dichiara “di accogliere e venerare, come i quattro libri del santo Vangelo, i quattro Concili”, perché su di essi - spiega ancora Gregorio - “come su una pietra quadrata si leva la struttura della santa fede”. Il Concilio di Calcedonia – nel respingere l’eresia di Eutiche, che negava la vera natura umana del Figlio di Dio – affermò l’unione nella sua unica Persona, senza confusione e senza separazione, delle due nature umana e divina.

Questa fede in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo veniva affermata dal Papa in un importante testo dottrinale indirizzato al Vescovo di Costantinopoli, il cosiddetto Tomo a Flaviano, che, letto a Calcedonia, fu accolto dai Vescovi presenti con un’eloquente acclamazione, della quale è conservata notizia negli atti del Concilio: “Pietro ha parlato per bocca di Leone”, proruppero a una voce sola i Padri conciliari. Soprattutto da questo intervento, e da altri compiuti durante la controversia cristologica di quegli anni, risulta con evidenza come il Papa avvertisse con particolare urgenza le responsabilità del Successore di Pietro, il cui ruolo è unico nella Chiesa, perché “a un solo apostolo è affidato ciò che a tutti gli apostoli è comunicato”, come afferma Leone in uno dei suoi sermoni per la festa dei santi Pietro e Paolo (83,2). E queste responsabilità il Pontefice seppe esercitare, in Occidente come in Oriente, intervenendo in diverse circostanze con prudenza, fermezza e lucidità attraverso i suoi scritti e mediante i suoi legati. Mostrava in questo modo come l’esercizio del primato romano fosse necessario allora, come lo è oggi, per servire efficacemente la comunione, caratteristica dell’unica Chiesa di Cristo.

Consapevole del momento storico in cui viveva e del passaggio che stava avvenendo – in un periodo di profonda crisi – dalla Roma pagana a quella cristiana, Leone Magno seppe essere vicino al popolo e ai fedeli con l’azione pastorale e la predicazione. Animò la carità in una Roma provata dalle carestie, dall’afflusso dei profughi, dalle ingiustizie e dalla povertà. Contrastò le superstizioni pagane e l’azione dei gruppi manichei. Legò la liturgia alla vita quotidiana dei cristiani: per esempio, unendo la pratica del digiuno alla carità e all’elemosina soprattutto in occasione delle Quattro tempora, che segnano nel corso dell’anno il cambiamento delle stagioni. In particolare Leone Magno insegnò ai suoi fedeli – e ancora oggi le sue parole valgono per noi – che la liturgia cristiana non è il ricordo di avvenimenti passati, ma l’attualizzazione di realtà invisibili che agiscono nella vita di ognuno. E’ quanto egli sottolinea in un sermone (64,1-2) a proposito della Pasqua, da celebrare in ogni tempo dell’anno “non tanto come qualcosa di passato, quanto piuttosto come un evento del presente”. Tutto questo rientra in un progetto preciso, insiste il santo Pontefice: come infatti il Creatore ha animato con il soffio della vita razionale l’uomo plasmato dal fango della terra, così, dopo il peccato d’origine, ha inviato il suo Figlio nel mondo per restituire all’uomo la dignità perduta e distruggere il dominio del diavolo mediante la vita nuova della grazia.

È questo il mistero cristologico al quale san Leone Magno, con la sua lettera al Concilio di Calcedonia, ha dato un contributo efficace ed essenziale, confermando per tutti i tempi — tramite tale Concilio — quanto disse san Pietro a Cesarea di Filippo. Con Pietro e come Pietro confessò: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E perciò Dio e Uomo insieme, “non estraneo al genere umano, ma alieno dal peccato” (cfr Serm. 64). Nella forza di questa fede cristologica egli fu un grande portatore di pace e di amore. Ci mostra così la via: nella fede impariamo la carità. Impariamo quindi con san Leone Magno a credere in Cristo, vero Dio e  vero Uomo, e a realizzare questa fede ogni giorno nell'azione per la pace e nell'amore per il prossimo.

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Commento al Vangelo dell'Ascensione

S. Leone Magno

 

Dilettissimi, il Signore dopo aver compiuto tutto ciò che conveniva alla predicazione del Vangelo e ai misteri del Nuovo Testamento, quaranta giorni dopo la risurrezione, elevandosi al cielo sotto lo sguardo dei discepoli, pose termine alla sua presenza corporale per restare alla destra del Padre fino a quando si compiranno i tempi divinamente stabiliti per moltiplicare i figli della Chiesa: allora egli verrà per giudicare i vivi e i morti in quella stessa carne nella quale ascese. Quel che era visibile del nostro Redentore, passò sotto i segni sacramentali. E perché più eccellente e più forte fosse la fede, la dottrina prese il posto della visione con lo scopo che i cuori dei credenti, illuminati da suprema luce, ne seguissero l’autorità.

Tale fede fu accresciuta con l’ascensione del Signore e irrobustita col dono dello Spirito Santo. Per questo essi non temettero più le catene, le carceri, l’esilio, la fame, il fuoco, l’essere sbranati dalle fiere, né i supplizi raffinati dalla crudeltà dei persecutori. Per questa fede in ogni parte del mondo non solo uomini, ma anche donne, non solo fanciulletti inermi, ma anche tenere bambine, combatterono fino all’effusione del loro sangue.

Questa è la fede che ha messo in fuga i demoni, ha scacciato le malattie, ha risuscitato i morti. Persino i santi Apostoli che erano stati confermati da tanti miracoli e ammaestrati da frequenti discorsi, ma che avevano provato spavento per la atrocità della passione del Signore e non senza esitazione avevano accettato la verità della risurrezione di lui, dal momento dell’ascensione ricevettero sì gran profitto che si mutò per essi in gaudio quel che prima li aveva riempiti di timore. Erano protesi, infatti, con tutta la tensione contemplativa della mente verso la divinità di colui che sedeva alla destra del Padre. Non erano più trattenuti ora dall’oggetto della visione corporea per cui fosse meno possibile applicarsi con l’acume della mente in colui che discendendo non si era assentato dal Padre, né ascendendo si era allontanato dai discepoli.

Dilettissimi, il Figlio dell’uomo e Figlio di Dio si manifestò in maniera più elevata e più sacra quando entrò nella gloria del Padre in maestà. Allora incominciò a essere presente in modo ineffabile chi si era allontanato alquanto con l’umanità. Allora la fede con più consapevolezza, mediante i passi della mente, cominciò ad accostarsi al Figlio riconoscendolo uguale al Padre, e a fare a meno di esperimentare in Cristo la sostanza corporea, che è minore del Padre. Certamente, pur continuando a esistere la natura nel corpo glorificato, la fede dei credenti era stimolata a toccare, non con mano di carne, ma con intelligenza di spirito, l’Unigenito che è uguale al Genitore. Di qui si comprende perché a Maria Maddalena, che nell’accostarsi di corsa a lui per abbracciarlo rappresentava la Chiesa, il Signore disse: Non tenermi così, perché non ancora sono asceso al Padre (Gv 20, 17), intendendo dirle: Non voglio che tu ti avvicini a me con vicinanza corporale, né che mi riconosca con i sensi corporei. Ti trasporto a cose più sublimi, ti offro cose più grandi; quando sarò asceso al Padre, allora mi abbraccerai con più perfezione e verità, perché raggiungerai ciò che non tocchi, crederai ciò che non vedi. ...

Esultiamo con spirituale gaudio; rallegriamoci nel presentare a Dio un degno ringraziamento, solleviamo liberamente gli occhi della mente a quell’altezza nella quale Cristo si trova. I desideri terreni non aggravino più gli animi invitati all’alto: gli eletti alle cose eterne non si lascino preoccupare da ciò che perirà. Chi si è inoltrato nella via della verità, non si lasci trattenere da ingannevoli attrattive. I fedeli passino per queste realtà temporali nella consapevolezza di essere pellegrini in questa valle del mondo, ove, se sono forniti di alcune comodità, non devono con sfrenatezza abbracciarle, ma costantemente superarle.

Il beatissimo Pietro ci esorta a tale fervore religioso e in conformità alla carità che per le pecorelle di Cristo, affidate alle sue cure pastorali, concepì nella triplice professione di amore verso il Signore, istantemente ci prega: Carissimi, vi supplico, quali stranieri e pellegrini su questa terra, di astenervi dalle cupidigie carnali che fanno guerra all’anima (1 Pt 2, 11). ... Perciò facciamo resistenza, o dilettissimi, a questo male così pestilenziale; e seguiamo la carità senza di cui nessuna virtù si sostiene. Il nostro scopo è di poter anche noi salire a Cristo per quella via dell’amore, per la quale a noi egli è disceso.

(Dal Discorso 74, 2-5)

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05/09/2009 06:20

S. LEONE MAGNO

 

PRIMO DISCORSO

TENUTO NEL NATALE

DEL SIGNORE

 

I - Gioia universale per la immacolata nascita del Signore

Oggi, dilettissimi, è nato il nostro Salvatore: rallegriamoci! Non è bene che vi sia tristezza nel giorno in cui si nasce alla vita, che, avendo distrutto il timore della morte, ci presenta la gioiosa promessa dell'eternità. Nessuno è escluso dal prendere parte a questa gioia, perché il motivo del gaudio è unico e a tutti comune: il nostro Signore, distruttore del peccato e della morte, è venuto per liberare tutti, senza eccezione, non avendo trovato alcuno libero dal peccato.

Esulti il santo, perché si avvicina al premio. Gioisca il peccatore, perché è invitato al perdono. Si rianimi il pagano, perché è chiamato alla vita. Il Figlio di Dio, nella pienezza dei tempi che il disegno divino, profondo e imperscrutabile, aveva prefisso, ha assunto la natura del genere umano per riconciliarla al suo Creatore, affinché il diavolo, autore della morte, fosse sconfitto, mediante la morte con cui prima aveva vinto. In questo duello, combattuto per noi, principio supremo fu la giustizia nella più alta espressione. Il Signore onnipotente, infatti, non nella maestà che gli appartiene, ma nella umiltà nostra ha lottato contro il crudele nemico. Egli ha opposto al nemico la nostra stessa condizione, la nostra stessa natura, che in lui era bensì partecipe della nostra mortalità, ma esente da qualsiasi peccato.

E' estraneo da questa nascita quel che vale per tutti gli altri: "Nessuno è mondo da colpa, neppure il fanciullo che ha un sol giorno di vita". Nulla della concupiscenza della carne è stato trasmesso in questa singolare nascita; niente è derivato ad essa dalla legge del peccato. E' scelta una vergine regale, appartenente alla famiglia di David, che, destinata a portare in seno tale santa prole, concepisce il figlio, Uomo-Dio, prima con la mente che col corpo. E perché, ignara del consiglio superno, non si spaventi per una inaspettata gravidanza, apprende dal colloquio con l'angelo quel che lo Spirito Santo deve operare in lei. Ella non crede che sia offesa al pudore il diventare quanto prima genitrice di Dio. Colei a cui è promessa la fecondità per opera dell'Altissimo, come potrebbe dubitare del nuovo modo di concepire? La sua fede, già perfetta, è rafforzata con l'attestazione di un precedente miracolo: una insperata fecondità è data a Elisabetta, perché non si dubiti che darà figliolanza alla Vergine chi già ha concesso alla sterile di poter concepire.

II - La mirabile economia del mistero del Natale

Dunque il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che "era in principio presso Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale neppure una delle cose create è stata fatta", per liberare l'uomo dalla morte eterna si è fatto uomo. Egli si è abbassato ad assumere la nostra umile condizione senza diminuire la sua maestà. E' rimasto quel che era e ha preso ciò che non era, unendo la reale natura di servo a quella natura per la quale è uguale al Padre. Ha congiunto ambedue le nature in modo tate che la glorificazione non ha assorbito la natura inferiore, né l'assunzione ha sminuito la natura superiore. Perciò le proprietà dell'una e dell'altra natura sono rimaste integre, benché convergano in una unica persona. In questa maniera l'umiltà viene accolta dalla maestà, la debolezza dalla potenza, la mortalità dalla eternità. Per pagare il debito, proprio della nostra condizione, la natura inviolabile si è unita alla natura che è soggetta ai patimenti, il vero Dio si è congiunto in modo armonioso al vero uomo. Or questo era necessario alle nostre infermità, perché avvenisse che l'unico e identico Mediatore di Dio e degli uomini da una parte potesse morire e dall'altra potesse risorgere. Pertanto si deve affermare che a ragione il parto del Salvatore non corruppe in alcun modo la verginale integrità; anzi il dare alla luce la Verità fu la salvaguardia del suo pudore. Tale natività, dilettissimi, si addiceva a Cristo, "virtù di Dio e sapienza di Dio"; con essa egli è uguale a noi quanto all'umanità, è superiore a noi quanto alla divinità. Se non fosse vero Dio non porterebbe la salvezza, se non fosse vero uomo non ci sarebbe di esempio. Perciò dagli angeli esultanti si canta nella nascita del Signore: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli" e viene annunciata "la pace in terra agli uomini di buona volontà" . Essi, infatti, comprendono che la celeste Gerusalemme sta per essere formata da tutte le genti del mondo. Or quanto gli umili uomini devono rallegrarsi per quest'opera ineffabile della divina misericordia, se gli angeli eccelsi tanto ne godono?

III - La vita della nuova creatura

Pertanto, dilettissimi, rendiamo grazie a Dio Padre mediante il suo Figlio nello Spirito Santo, poiché la sua grande misericordia, con cui ci ha amato, ha avuto di noi pietà. "Quando ancora noi eravamo morti a causa dei nostri peccati, ci ha vivificati con Cristo" per essere in lui una nuova creatura e una nuova opera. Dunque spogliamoci del vecchio uomo e dei suoi atti . Ora che abbiamo ottenuto la partecipazione alla generazione di Cristo, rinunciamo alle opere della carne. Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della natura divina, non voler tornare con una vita indegna all'antica bassezza. Ricorda di quale capo e di quale corpo sei membro. Ripensa che, liberato dalla potestà delle tenebre, sei stato trasportato nella luce e nel regno di Dio. Per il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito santo: non scacciare da te con azioni cattive un sì nobile ospite e non ti sottomettere di nuovo alla schiavitù del diavolo, perché ti giudicherà secondo verità chi ti ha redento nella misericordia, egli che vive e regna col Padre e lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.

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05/09/2009 06:21

S. LEONE MAGNO

PRIMO DISCORSO TENUTO NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA

I - Cristo rivelato dalla stella

E' poco tempo che abbiamo celebrato il giorno nel quale la Vergine intemerata ha dato alla luce il Salvatore del genere umano. Ora, dilettissimi, la veneranda festività dell'Epifania ci fa prolungare le gioie, affinché tra i misteri, così vicini con solennità tra loro connesse, la nota di esultanza e il fervore della fede, non si affievoliscano. Rientra nel disegno di salvezza, rivolto a tutti gli uomini, il fatto che quel Pargoletto, Mediatore tra Dio e gli uomini, sia stato rivelato a tutto il mondo, quando ancora era nella ristretta cerchia di un minuscolo paesello. Infatti, nonostante che egli abbia eletta la gente d'Israele e tra tutti gli israeliti una sola famiglia da cui assumere la natura comune a tutti gli uomini, non ha voluto che la sua nascita rimanesse nascosta nell'ambito della materna abitazione. Colui che si è degnato nascere per tutti, ha voluto essere subito conosciuto da tutti.

Per questo ai tre Magi apparve in Oriente una stella di straordinaria luminosità, la quale, perché più fulgida e più bella delle altre stelle, facilmente attrasse la loro attenzione, mentre la rimiravano; così poterono rendersi conto che non avveniva a caso ciò che a loro sembrava tanto insolito. Infatti, colui che aveva dato il segno, diede a quelli che l'osservavano anche la grazia di comprenderlo. E poi fece ricercare ciò che aveva fatto comprendere e, ricercato, si fece trovare .

II - L'inganno di Erode e la fede dei Magi

I tre uomini assecondarono l'impulso della celeste illuminazione e mentre accompagnano con attenta contemplazione la scia di luce che li precede, sono guidati alla conoscenza della verità dallo splendore della grazia. Ed essi con buoni motivi pensano bene di ricercare nella città regale il luogo della nascita del Re, loro indicato. Ma chi aveva preso forma di servo ed era venuto non a giudicare ma a essere giudicato, scelse Betlemme per la nascita, Gerusalemme per la passione.

Intanto Erode, ascoltando che era nato il Re dei Giudei, temette di averlo come successore e macchinando la morte al portatore di salvezza, promise falsamente che gli avrebbe portato venerazione. Quanto sarebbe stato felice se avesse imitato la fede dei Magi e mutato in sincero culto ciò che architettava con intenzione fraudolenta! Oh cieca empietà e folle invidia che credi di rovesciare con il tuo furore il piano divino! Ma il Signore del mondo, che offre un regno eterno, non cerca un trono temporale. Perché tenti di rovesciare la serie degli avvenimenti, immutabilmente disposta, e cerchi di anticipare un delitto che commetteranno altri? La morte di Cristo non appartiene al tuo tempo. Bisogna che prima si dia principio al Vangelo; prima si deve predicare il regno di Dio, ridonare miracolosamente la salute e compiere molti altri prodigi. Perché vuoi far tuo il delitto che sarà opera di altri nel futuro? Tu non avrai altro risultato del tuo misfatto se non quello di caricarti con la tua intenzione di un tanto grande reato. Con tale macchinazione non fai un passo avanti; non combini nulla, perché egli, che è nato per spontanea volontà, per sua libera potestà morirà.

Dunque, i Magi realizzano il loro desiderio e sotto la guida della stella che li precede, giungono nel luogo ove è Gesù Cristo, il Signore bambino. Adorano il Verbo nella carne, la Sapienza nella infanzia, la Virtù nella debolezza e il Signore della maestà nella realtà dell'uomo. E perché manifestino il mistero che credono e comprendono, significano con i doni quello che credono con il cuore. Offrono l'incenso a Dio, la mirra all'uomo, l'oro al re, venerando consapevolmente l'unione della natura divina e di quella umana, perché Cristo, pure essendo nelle proprietà delle due nature, non era diviso nella potenza.

Ecco, i Magi tornano al loro paese; e Gesù per un avviso divino è trasportato in Egitto. E' adesso che la follia di Erode arde inutilmente fra i suoi disegni occulti; egli comanda che in Betlemme siano uccisi tutti i bambini. Con una sentenza generale va contro la tenera età, divenutagli sospetta, perché non conosce precisamente il bimbo che egli teme. Ma quei che l'empio re toglie dal mondo, Cristo trapianta nel cielo; e concede l'onore del martirio a coloro per i quali non ha ancora versato il suo sangue redentore.

III - Le virtù del cristiano

Pertanto, dilettissimi, elevate gli animi fedeli alla fulgida grazia della luce eterna e venerando i misteri, compiuti per la salvezza degli uomini, volgete la vostra assidua attenzione alle opere per voi fatte. Amate la casta purità, perché Cristo è il figlio della verginità. "Astenetevi dalle passioni della carne che lottano contro l'anima", come l'Apostolo stesso presente in mezzo a noi, ci esorta nella sua lettera. "Nella malizia fatevi bambini", perché il Signore della gloria si è abbassato alla infanzia dei mortali. Praticate l'umiltà che il Figlio di Dio si è degnato insegnare ai suoi discepoli. Rivestitevi della virtù della pazienza, al fine di poter essere padroni delle vostre anime; Egli che è la redenzione di tutti, è pure di tutti la fortezza. "Aspirate alle cose di lassù e non a quelle che sono sulla terra". Camminate costantemente per la via della verità e della vita. Non vi lasciate ostacolare da cose terrene, voi per cui sono preparate le cose celesti. Per Gesù Cristo, nostro Signore, il quale vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

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05/09/2009 06:22

S. LEONE MAGNO

DISCORSO DI SAN LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NEL GIORNO DELLA SUA CONSACRAZIONE

"Le mie labbra proclamino la lode del Signore": l'anima mia e il mio spirito, la carne e la lingua benedicano il suo santo nome. Infatti non è indice di modestia, ma di ingratitudine tacere i benefici divini, ed è cosa conveniente che si incominci a prestare la venerazione al consacrato pontefice innalzando un sacrificio di lode al Signore. Egli "nella nostra bassezza si ricordò di noi", e ci ha benedetti; "Lui solo ha operato cose meravigliose" per me, quando l'affetto della vostra santità mi ha tenuto a voi presente, mentre un viaggio, lungo e necessario, mi aveva portato lontano. Per questo rendo grazie al nostro Dio e sempre lo ringrazierò per quanto mi ha donato.

Nello stesso tempo esalto con i dovuti ringraziamenti la libera decisione del vostro favore, comprendendo chiaramente quanta riverenza, quanto amore e quanta fiducia mi offrono le vostre devote attenzioni, mentre io bramo con pastorale sollecitudine la salvezza delle anime vostre, che hanno dato di me un giudizio così sacrosanto, quando io non avevo nessun precedente merito.

Dunque, vi scongiuro per la misericordia del Signore, aiutate con le preghiere colui che avete richiesto con desiderio, affinché lo Spirito di grazia resti in me e le vostre decisioni non abbiano a barcollare. Conceda a noi tutti il bene della pace colui che dona a voi l'amore per la concordia. In ogni giorno della mia vita, servendo l'onnipotente Dio e accogliendo la vostra obbedienza, io possa supplicare con fiducia il Signore: "Padre santo, conserva nel tuo nome coloro che tu mi hai dato".

Mentre voi progredite di continuo nella via della salvezza, l'anima mia magnifichi il Signore e nel premio del futuro giudizio l'esercizio del mio sacerdozio appaia agli occhi del giusto giudice in modo che voi con le vostre opere buone siate il mio gaudio, voi siate la mia corona, che con la buona volontà avete reso una sincera testimonianza nella vita presente. Per Gesù Cristo, nostro Signore.

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05/09/2009 06:23

S. LEONE MAGNO

QUARTO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE

 

 

I - La comune dignità dei cristiani

Dilettissimi, mi rallegro per il religioso affetto della vostra devozione, e ringrazio Dio perché vedo in voi l'amore per l'unità cristiana. Come lo attesta lo stesso vostro accorrere qui, voi siete convinti che questo giorno è motivo di gioia per tutti e che l'annua festa del pastore deve essere celebrata con la venerazione di tutto il gregge. Infatti la Chiesa di Dio, secondo distinti gradi gerarchici, è ordinata in modo che attraverso i differenti membri sussista l'integro suo corpo. Quindi, come dice l'Apostolo, "tutti siete un solo uomo in Cristo Gesù"; né alcuno, benché sia un umilissimo membro, è diviso dalla funzione di un altro così da non appartenere per connessione al capo. Perciò nella unità della fede e del battesimo noi formiamo una indistinta società, dilettissimi, e abbiamo una generale dignità, secondo l'insegnamento di san Pietro apostolo, che dice: "E voi pure, come pietre vive, costruitevi in modo da formare una casa spirituale, un santo sacerdozio, per offrire dei sacrifici spirituali, graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo"; e un poco più avanti: "Voi però siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo tratto in salvo".

Infatti, tutti i rigenerati in Cristo sono trasformati in re dal segno della croce e consacrati sacerdoti dall'unzione dello Spirito santo. Perciò, salvo il servizio del nostro speciale ministero, tutti i cristiani, divenuti spirituali e sapienti, si riconoscono di stirpe regale e partecipi di un ufficio sacerdotale.

Che cosa è più regale di un animo sottomesso a Dio, dominatore del proprio corpo? Che cosa è tanto sacerdotale, quanto sacrificare al Signore una coscienza pura e offrire vittime immacolate sull'altare del cuore? Questo per grazia di Dio è diventato a tutti comune. Tuttavia è per voi cosa pia e ottima godere per il giorno della nostra esaltazione quasi come fosse a vostro onore, perché si celebri in tutto il corpo della Chiesa l'unico sacramento dell'episcopato che, con l'effusione dell'unguento consacrato, è scorso, bensì, più abbondantemente nelle parti più alte, ma è anche disceso non scarsamente nelle parti inferiori.

II - Il primato di Pietro

Pertanto, dilettissimi, avendo noi grande motivo di rallegrarci per questa nostra comune dignità, sarà per noi più vera ed eccellente causa di letizia se non vi fermerete a considerare la nostra umile persona. E', infatti, molto più utile e più conveniente innalzare lo sguardo della mente a contemplare la gloria del beatissimo Pietro e soprattutto celebrare questo giorno in ossequio a lui che è stato inondato dal fonte stesso di tutti i carismi con grazie abbondantissime, tanto che, avendo Pietro molto ricevuto da solo, nulla passa agli altri che non sia partecipazione a quanto è stato dato a lui.

Il Verbo, fatto carne, già abitava tra noi. Cristo già si dedicava totalmente alla redenzione del genere umano. Tutto era ben disposto dalla sua sapienza; nulla era arduo per la sua potestà. Gli elementi del mondo si piegavano soggetti, gli spiriti obbedivano, gli angeli servivano: in nessun modo poteva riuscire senza risultato il mistero della redenzione che era operato allo stesso tempo da Dio uno e trino.

Eppure di tutti gli uomini soltanto Pietro è scelto perché sia preposto all'economia divina, che chiama tutte le genti alla salvezza, e sia il capo di tutti gli Apostoli e di tutti i Padri della Chiesa.

E' vero, nel popolo di Dio molti sono i sacerdoti e molti i pastori, tuttavia Pietro a titolo proprio governa tutti quelli che in modo principale sono guidati da Cristo.

Dilettissimi, la divina bontà ha favorito questo uomo di una grande e mirabile partecipazione alla potenza divina. E se volle che gli altri principi della Chiesa avessero qualcosa in comune con lui, mai donò, senza far passare per Pietro, quello che ha elargito agli altri.

Il Signore interroga tutti gli apostoli che cosa pensino di lui gli uomini. E più suona simile la loro risposta e più appare evidente l'ambiguità della ignoranza umana. Ma quando si chiede quale sia il parere degli apostoli, nel confessare il Signore è primo colui che è il primo nella dignità apostolica. E appena disse: "Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente", Gesù gli rispose: "Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli". E voleva dire: precisamente per questo sei beato, cioè perché il Padre mio ti ha ammaestrato; non ti sei lasciato ingannare da congetture terrene, ma è stata l'ispirazione celeste a istruirti; non un uomo mi ha svelato a te, ma colui del quale io sono l'unigenito.

"E io dico a te": cioè, come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità, così io faccio nota a te la tua eccellenza.

"Perché tu sei Pietro": cioè come io sono pietra inviolabile, pietra di angolo che unisco i due in un solo popolo, così anche tu sei pietra, perché in forza della mia virtù acquisti stabilità e quelle prerogative che mi appartengono per potestà sono comuni tra me e te per comune partecipazione.

"E su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di lei": cioè, sopra questa pietra voglio costruire un tempio eterno e la grandezza della mia Chiesa, che deve essere trapiantata nel cielo, si eleverà con la fermezza di questa fede.

III - Poteri e grazie agli Apostoli attraverso san Pietro

Le porte dell'inferno non fermeranno questa confessione, né i lacci della morte la legheranno. Queste parole, infatti, sono parole di vita: come esaltano fino al regno celeste quelli che le ritengono, così fanno scendere nell'inferno quelli che le negano. Per questo è detto a san Pietro: "E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai legato sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli". Il diritto di questa potestà è stato trasmesso anche agli altri apostoli, però non senza ragione è attribuito a uno quel che si dice a tutti. Lo si afferma singolarmente di Pietro, perché l'esempio di Pietro è proposto a tutti i rettori della Chiesa. Resta, dunque, la prerogativa di Pietro, dovunque sia emessa sentenza in conformità alla giustizia di lui: non vi è troppa severità né troppa indulgenza dove nulla sarà sciolto e nulla legato se non ciò che avrà sciolto o legato san Pietro. Mentre era imminente la passione, che doveva scuotere la costanza degli apostoli, il Signore disse a Pietro: "Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto che gli foste consegnati, per vagliarvi come il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno: e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli, perché non cadiate in tentazione".

Il pericolo della prova e della paura era comune a tutti gli apostoli e tutti avevano ugualmente bisogno dell'aiuto della divina protezione, perché il diavolo voleva molestare e piegare tutti; però il Signore si prende cura speciale di Pietro e prega propriamente per la fede di Pietro, quasi che la condizione degli altri sarebbe più sicura, qualora la mente del capo non fosse sconfitta. Dunque, in Pietro è difesa la fortezza di tutti e l'aiuto della divina grazia è ordinato in modo che, donato a Pietro per mezzo di Cristo, è distribuito agli apostoli attraverso Pietro.

IV - Il buon Pastore

Perciò, dilettissimi, vedendo l'aiuto divino che ci è stato donato, giustamente e con ragione ci rallegriamo dei meriti e della dignità della nostra guida. Rendiamo pure grazie a Gesù Cristo, Signore, eterno re e nostro redentore, perché ha investito di tanti poteri colui che ha fatto capo di tutta la Chiesa, sicché se nei nostri tempi noi operiamo bene e governiamo a dovere, bisogna attribuirlo all'opera e al governo di colui al quale è detto: "E tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli", e al quale, dopo la sua risurrezione, il Signore, invitandolo con mistica allusione alla triplice professione di eterno amore, tre volte disse: "Pasci le mie pecore".

Certamente anche ora egli pascola e, qual pio pastore, esegue il comando del Signore dandoci forza con le sue esortazioni e non cessando di pregare per noi, affinché nessuna tentazione ci superi. Ma se estende, come è da credersi, questa cura amorosa dovunque e a tutto il popolo di Dio, quanto più si degnerà donare il suo aiuto a noi che siamo i suoi protetti e che abbiamo vicino a noi, nella sacra tomba, ove beato riposa, quello stesso corpo che qui presiedette?

Perciò, a sua gloria questo giorno natalizio del nostro servizio! A lui ascriviamo questa festa: infatti, solo per il suo patrocinio abbiamo meritato di essere suoi successori in questa sede.

Ci aiuti in tutto la grazia di Gesù Cristo, nostro Signore, il quale vive e regna con Dio Padre e lo Spirito santo nei secoli dei secoli. Amen.

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05/09/2009 07:25

TERZO DISCORSO DI S. LEONE NEL SUO GIORNO NATALIZIO, TENUTO NELL'ANNIVERSARIO DELLA SUA CONSACRAZIONE

 

1 - L'origine soprannaturale del sacerdozio cristiano

Ogni qualvolta la misericordia di Dio si degna rinnovarci il giorno della sua grazia, vi è giusto e ragionevole motivo di essere lieti, purché si riferisca a gloria di Dio l'origine dell'ufficio ricevuto. Io so che questo atteggiamento dell'animo, conveniente a tutti i sacerdoti, è necessario soprattutto a me, perché, guardando la mia pochezza e la grandezza dell'ufficio ricevuto, pure io debbo esclamare con la frase del profeta: «Signore, io ho udito il tuo annuncio e ho temuto; son preso dal timore per l'opera tua». Che c'è di più insolito e più terribile della fatica per chi è debole, della grandezza per chi è umile, della dignità per chi non la merita? Tuttavia non disperiamo, né veniamo meno, perché non presumiamo di noi stessi ma di colui che opera in noi. Per questo abbiamo cantato all'unisono il salmo di David, non per nostra esaltazione, ma per gloria di Cristo Signore.

Infatti è lui del quale con spirito profetico è stato scritto: «Tu sei sacerdote in eterno al modo di Melchisedec»: cioè non al modo di Aronne, il cui sacerdozio, propagandosi attraverso la generazione, appartiene a un ministero temporaneo, e di fatto è cessato insieme alla legge del Vecchio Testamento; ma al modo di Melchisedec in cui si significò prima la figura del pontefice eterno. E siccome non viene riferito da quali genitori sia nato, si comprende che in lui è mostrato quegli la cui generazione non può narrarsi. Così, pervenendo all'umana natura il mistero di questo divin sacerdozio, non si propaga per via della generazione, né viene eletto quel che la carne e il sangue ha formato. E' cessato il privilegio dei padri; è abolita la gerarchia delle famiglie: la Chiesa riceve come pastori quelli che lo Spirito santo ha preparato. In tal modo, nel popolo, adottato alla figliolanza divina, totalmente sacerdotale e regale, non ottengono l'unzione i privilegiati dall'origine terrena, ma fa nascere il sacerdozio il favore della grazia celeste.

II - Cristo in San Pietro

Dilettissimi, nel ministero che il nostro ufficio ci impone ci ritroviamo deboli e pigri, giacché, se abbiamo desiderio di fare qualcosa con devozione e prontezza, siamo ritardati dalla fragilità della nostra stessa condizione. Tuttavia, avendo a nostro favore l'ininterrotta propiziazione dell'onnipotente ed eterno sacerdote, il quale, simile a noi e uguale al Padre, ha abbassato la divinità fino alle cose umane, e ha innalzato l'umanità fino alle cose divine, degnamente e con pietà ci rallegriamo della sua glorificazione. Infatti, benché abbia delegato a molti pastori la cura delle sue pecore, egli non ha abbandonato la custodia del suo amato gregge. Da questo singolare ed eterno sostegno deriva anche la protezione della fortezza della Sede Apostolica, che certamente non resta inattiva rispetto alla sua missione. La stabilità della base, su cui s'innalza l'edificio della chiesa, non viene meno, comunque sia grande la mole del tempio che la sovrasta. Infatti la fortezza di quella fede, lodata nel principe degli apostoli, è perpetua: e come resta quel che Pietro ha creduto in Cristo, così persiste quello che Cristo ha istituito in Pietro. In realtà, avendo il Signore, come la pericope evangelica ha narrato, domandato ai discepoli chi essi lo credessero, tra tante diverse opinioni degli altri, e avendo san Pietro risposto: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente», il Signore disse: «Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché non la carne né il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te, che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno mai prevarranno contro di lei. E a te darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli».

III - San Pietro nei suoi successori

Resta dunque, la deliberazione della verità; e Pietro, perseverando in quella fermezza di pietra che ha ricevuto, non abbandona il governo della Chiesa, che una volta ha assunto. Egli è stato messo al sommo della gerarchia, sicché quando viene detto Pietra, quando lo si afferma fondamento, quando lo si costituisce portinaio del regno dei cieli e quando lo si istituisce arbitro che lega e scioglie con decisione valida anche nei cieli, noi possiamo comprendere quale unione egli abbia con Cristo attraverso i misteri contenuti nei suoi titoli.

Egli adesso compie con più perfezione e potenza quanto gli è stato commesso, ed esegue ogni parte del suo ufficio e della sua cura insieme a quegli e in quegli dal quale è stato glorificato. Se, dunque, qualcosa è da noi compiuta bene e rettamente giudicata, se si ottiene qualcosa dalla misericordia di Dio con le quotidiane suppliche, è opera e merito di colui del quale la potestà vive e l'autorità eccelle nella propria sede.

Dilettissimi, quella confessione che, ispirata da Dio Padre al cuore dell'apostolo, trascese tutte le incertezze delle opinioni umane e ricevette la stabilità della pietra, al fine di non essere scossa da nessun attacco, ha ottenuto questo felice risultato. Infatti, in tutta la Chiesa Pietro ogni giorno esclama: «Tu sei Cristo, Figlio di Dio vivente»; e ogni lingua, che confessa il Signore, viene ammaestrata dal magistero di questa voce. Questa fede vince il diavolo e spezza le catene che tengono stretti gli schiavi. Questa fede fa entrare nel cielo quelli che sono stati liberati: contro di essa le porte dell'inferno non possono vincere: è stata premunita divinamente con tanta fortezza che mai potrà corromperla l'eretica iniquità, né superarla la pagana perfidia. Soltanto così, dilettissimi, viene celebrata con intelligente venerazione la festività di oggi, sicché si veda e si onori nella mia umile persona colui nel quale persevera la sollecitudine di tutti i pastori e la cura delle pecore che gli sono state affidate, e la cui dignità non viene meno neppure nell'indegno successore. Per questo la presenza desiderata e degna di ogni onore, dei miei venerabili fratelli nell'episcopato, è più sacra e più devota se trasferiscono la venerazione verso questa sede, nella quale si sono degnati di venire, principalmente a colui che non solo conoscono essere il presule di questa sede, ma anche il primate di tutti i vescovi.

Quando, dunque, rivolgiamo le nostre esortazioni all'attenzione della vostra santità, pensate che vi parla colui del quale noi facciamo le veci: noi vi ammoniamo con l'affetto di lui e non altro vi predichiamo che la dottrina da lui insegnata. Vi scongiuro, che cinti i fianchi della vostra mente, conduciate una vita casta e sobria nel timore di Dio: la mente non acconsenta, dimentica del proprio dominio, alle concupiscenze della carne. Le gioie dei piaceri terreni sono brevi e caduche, e tentano di allontanare dal sentiero della vita quelli che sono chiamati all'eternità. L'uomo, religioso e fedele, brami le cose celesti, e, avido delle divine promesse, si innalzi all'amore del bene incorruttibile e alla speranza della vera luce.

Siate certi, dilettissimi, che la vostra fatica con cui resistete ai vizi e combattete i carnali desideri, è gradita e preziosa al cospetto di Dio e gioverà non solo a voi, ma anche a me presso la misericordia di Dio, perché il sollecito pastore si gloria del progresso che fa il gregge del Signore. Infatti come dice l'apostolo, «la nostra gioia, la nostra corona siete voi», se la vostra fede, predicata in tutto il mondo fin dai primordi del Vangelo, rimarrà nella carità e nella santità. E' vero, tutta la Chiesa, diffusa nel mondo intero, deve fiorire di tutte le virtù; ma tra gli altri popoli voi dovete eccellere per merito di devozione, perché siete fondati sul baluardo della pietra apostolica. Infatti, Gesù Cristo, nostro Signore, pur avendo redenti tutti, ammaestrò meglio di tutti san Pietro apostolo. Per lo stesso Cristo, nostro Signore. Amen.

 

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