QUESTO FORUM E' CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO... A LUI OGNI ONORE E GLORIA NEI SECOLI DEI SECOLI, AMEN!
 
Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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IL CELIBATO FORZOSO

Ultimo Aggiornamento: 01/09/2009 07:49
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01/09/2009 07:48

XVII CAPITOLO DEL LIBRO:

"MA IL VANGELO NON DICE COSI'":

 

Fascicoli dal n° 258 al n° 263

 

IL CELIBATO FORZOSO

 

A cura di frà Tommaso Maria di Gesù dei frati minori rinnovati

Via alla Falconara n° 83 - 90100 Palermo  - Tel. 0916730658

 

Non cattolico. Per sommi capi ti presenterò le molteplici e importanti obiezioni che i non cattolici, basandosi sui testi scritturistici, muovono contro l'ingiusto celibato ecclesiastico “la cui legge, legata al ministero ecclesiastico, è attualmente e fermamente in vigore" (Paolo VI "Sacerdota1is caelibatus" (2))

- E' da tener presente che tale imposizione non è uguale in tutto il mondo.

- Intanto leggendo l'A.T. troviamo nel Levitico (2,13) che il sommo sacerdote era sposato, come anche i profeti (Is. 8,3).

- E Pietro non era anch'egli sposato? (Mt 8,14).

- La moglie di S. Pietro era ancora in vita quando S. Paolo scriveva: “Non abbiamo noi il diritto di condurre attorno con noi una moglie sorella in fede, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa (Pietro)”?

- I ministri della Chiesa primitiva erano sposati ( 1 Tm 3,2-5).

- Durante i primi mille anni di cristianesimo i preti e i vescovi potevano sposarsi. Infatti:

1. Tertulliano ricevette il sacerdozio quando già era sposato (3). Dedica due suoi scritti alla moglie (anno 200 circa).

2. Il Concilio di Micea (325) respinse la proposta di interdire il matrimonio dei preti (4), e il papa che regnava in quel tempo, Silvestro I (314), ordinò che ogni prete avesse la propria moglie (5).

3.   S. Atanasio (296-373) scrisse: “Ci sono monaci che sono padri di famiglia. Ancora voi potete vedere dei vescovi ammogliati con figli, e dei monaci che non si danno alcun pensiero della loro posterità" (6).

4. S. Gregorio Nazianzeno (330-389), patriarca di Costantinopoli era figlio di un vescovo (7).

5. S. Patrizio (circa 372-483), l'apostolo dell'Irlanda era figlio di un diacono scozzese. Suo nonno era prete. (8).

6. Nel 911 i Veneziani elessero come loro vescovo Orciano, il quale andò ad abitare il palazzo vescovile con la moglie e i figli (9).

7. Si può anche consultare un libro di mons. Veggian, nel quale sono riportate numerose iscrizioni tombali di preti e di vescovi dei primi seicento anni del cristianesimo, da cui risulta che erano sposati e con figli, (10).

8. Fu il Papa Gregorio VII (1073-1085) che, decretò che i sacerdoti non dovessero sposarsi.

9. Paolo VI con l'Enciclica “Sacerdotalis caelibatus" (24.6.1967) ha riconfermato tale imposizione, ma la reazione che ne è seguita è talmente imponente da far prevedere qualche addolcimento di tali posizioni. E' stata molto forte la reazione dell'episcopato olandese che in un documento afferma doversi trovare una via d'uscita alla situazione attuale, tanto per il benessere personale di numerosi preti che per l'avvenire del sacerdozio nella Chiesa (11).

10. Anche in Italia la situazione è preoccupante: diminuzioni di seminaristi, circa 4000 richieste di sacerdoti per ottenere le nozze legittime, oltre 6000 preti hanno abbandonato il loro ministero senza dispensa pontificia (12).

11. Dopo tutte queste ragioni contro il celibato forzoso, mi si potrebbe obiettare: ma S. Paolo stesso non ha forse consigliato il celibato?

 Si è vero, ma egli sconsigliava il matrimonio a tutti perchè credeva che la fine del mondo fosse imminente. Si trattava, quindi, di circostanze eccezionali.

- Osservando un pò la realtà storica non sembra che lo stato celibe possa servire a potenziare lo sforzo intellettuale e creativo, né che i celibi si distinguano dai coniugati per particolare spiritualità, anzi il ministro sposato è in grado di esercitare una più efficace cura d'anime.

Queste mie affermazioni trovano conferma in quanto ha scritto Mons. Ancel, vescovo ausiliare di Lione (1): "Sappiamo che vi sono dei preti sposati di grande valore spirituale. Ne ho visti in Oriente e ci tengo a rendere loro testimonianza. Non si tratta quindi di criticare i preti sposati".

Ho finito, ti ripeto però, che mi sono limitato molto nelle obiezioni per non essere prolisso. Da te mi aspetto risposte chiare e precise data l'importanza dell'argomento.

 

NOTE. 1 Mons. Ancel: vedi "Docum Cath.", 16 aprile 1967, col. 729; 2. Enc. “Sacerdotalis Caelibatus”; 3. A. Texeront, Manuale di patrologia, Torino, Ed. Lice, 1922, p. 180;              4. Socrate, Hist. eccl., I, 11; 5. B. Platina, Hist. delle vite dei Sommi Pontefici, Venezia, 1612, p. 61; 6. Epist. Ad Dracontium; cit. da Lea, Storia dei celibato ecclesiastico, p. 58; 7. Texeron; op. cit., p. 180; 8. Enc. Britannica, XVII, p. 383; 9. Cit. da: C. Cappelletti (prete veneziano), Storia della Repubblica di Venezia, I, p. 226; 10. T. Veggian, Il celibato ecclesiastico, p. 64; 11. La Stampa, 13 febbr. 1969; 12. Sac. Adolfo Percelsi, La Stampa, 1 febbr. 1969.

 

Cattolico. Si, hai ragione: l'argomento del celibato ecclesiastico è molto importante ed io mi sforzerò di essere chiaro e preciso e farò ricorso, come di solito, alla ragione, alla storia e, soprattutto, alla Parola di Dio.

Noterai, forse, che le mie risposte non saranno sempre strettamente legate e ordinate secondo l'elenco delle tue obiezioni, ma in ultimo spero che potrai constatare che avrò risposto a tutto e anche abbondantemente.

Vorrei anzitutto farti ben presente che per quanto riguarda gli uomini e le donne dell'Antica Legge, lo stato di celibato o di verginità li metteva, generalmente, in stato di inferiorità di fronte ai coniugati. L’uomo e la donna non sposati paiono non aver posto nella storia della salvezza, anche se c'è stata qualche eccezione voluta da Dio (vedi Ger 16,2).

Principio ispiratore del celibato ecclesiastico è l'idea di purezza e di continenza. Gesù la presenta come esercizio di virtù superiore (Mt 19,12) e S. Paolo la prende come uno dei principi direttivi che devono essere tenuti presenti nella scelta di un vescovo, sacerdote o diacono. Secondo l'Apostolo, il ministro del santuario deve essere “marito di una sola moglie" (Tt 1,5-6), espressione che bisogna intendere nel senso di un interdetto portato su coloro che sono passati a nozze due o più volte prima di accedere agli Ordini sacri, e non già quasi un obbligo fatto dall'Apostolo di avere una sposa.

Questa seconda interpretazione sarebbe del resto in opposizione con quanto scrive altrove lo stesso Apostolo (1 Cor 7,7; 32-34), quando formula l'augurio di vedere gli altri come se stesso (cioè non sposato: 1 Cor 7,7), ovvero quando spiega le disposizioni favorevoli, perchè un'anima si dia al servizio del Signore (1 Cor 7, 32-34).

Il precetto è quindi restrittivo, non ingiuntivo; esclude il bigamo dagli Ordini, non impone il matrimonio come condizione per accedere al sacerdozio.

Virtualmente raccomandato dalla Scrittura, il celibato non vi appare però come obbligatorio e tale libertà di scelta è stata la norma seguita nei primi secoli della Chiesa, nonostante l'alta considerazione in cui era tenuta la continenza. Prima infatti che il cenobitismo ne avesse fatto una istituzione, l'aristocrazia del clero cattolico aveva avuto a cuore di praticarla, come fanno fede numerose testimonianze di scrittori cristiani fra i quali Tertulliano (De exhort. castit. 13: PL 2,930), Clemente Alessandrino (Stromata, III, 13: PG 8,1189), Origene (In Lev. homi, 6; PG 12,473), Eusebio (Demonstr. Evang., 19: PG 22,81), Sinesio di Tolemaide (Epist., 105: PG 66,1485), S. Cirillo di Gerusalemme (Cateches., 12,25: PG 33,757), S. Girolamo (Adv. Vigilanti 2: PL 23,341), S. Epifanio (Adv. haeres, 48,9; 59,4: PG 41,869, 1024).

Da questi testi, difficilmente si può mostrare la traccia di una legge sul celibato di origine apostolica, come alcuni hanno sostenuto e ancora qualcuno sostiene.

Altre testimonianze non meno esplicite mostrano che il diritto di vivere in matrimonio era riconosciuto al clero. E' con il sec. IV che la disciplina del celibato tende a prendere forme fisse nella legislazione conciliare, ma nel regolarla la Chiesa Orientale si separa dall'Occidente.

In Oriente la Chiesa concedeva a coloro che non sentivano vocazione per il celibato di usare dei loro diritti coniugali. In questo senso si pronunziarono i Concili di Ancira (314), Nicea (325), Gangra (350 circa).

Una legge generale sulla continenza non esisteva neppure verso la metà del V sec. quando solo in alcune regioni, come in Macedonia, nella Tessaglia e nell'Ellade, cominciava a introdursi (Hist. Eccl., V, 22: PG 67,637).

La consuetudine lentamente assumeva forza di legge generale e la Chiesa Greca nella maniera di regolarla s'ispirava alle Costituzioni Apostoliche (1, 6, 17, Funk. Paderbon, 1905, pp. 339-41) ed ai Canoni Apostolici (cf can. 6, in Mansi, 1,51), le cui prescrizioni in materia non erano affatto rigide: proibizione del matrimonio dopo l'ordinazione, ma liceità dell'uso del matrimonio per chi fosse già sposato prima dell'ordinazione.

Sotto l'influsso della legislazione di Giustiniano (Novella VI, I) queste stesse misure furono alquanto ristrette e codificate più tardi nel Concilio Trullano (692), che è l'ultima parola dell'Oriente in materia di celibato ecclesiastico, tuttora in vigore. Essa si compendia per i vescovi nell'obbligo della continenza assoluta, con separazione dalla sposa tenuta a ritirarsi in un monastero per i coniugati prima dell'episcopato. Ai sacerdoti, diaconi e suddiaconi, interdizione del matrimonio dopo l'ordinazione; per i già sposati invece conservazione dei loro diritti coniugali sulla sposa, che non è lecito ripudiare, sotto pena di deposizione (can. 6,12-13, 48, in Mansi, XI, 944-48, 965).

In Occidente la prima legge in materia è il can. 33 del Concilio di Elvira (Granada), verso il 300, che obbligava gli ordinati in sacris alla continenza assoluta sotto pena di deposizione (Mansi, II, 11).

Nel Concilio Romano dei 386 papa Stricio promulgava una legge analoga con l'intenzione di farla prevalere in tutta la Chiesa latina.

Più tardi Innocenzo I faceva nota questa decisione a Vittricio di Rouen ed Esuperio di Tolosa.

L’Africa, la Spagna e le Gallie si orientano verso la via tracciata dai papi, come fanno fede i canoni di vari Concili: Cartagine (401), Toledo (390, 400), Torino (401).

Non mancarono delle resistenze e i dottori della Chiesa più influenti (S. Ambrogio, S. Agostino, S. Girolamo) dovettero concorrere con la loro influenza in sostegno della tesi papale e controbattere gli errori.

Le regole date dai Papi e dai Concili in Occidente continuarono a reggere la disciplina del celibato sino al sec. XII, anche se, in periodi di crisi, ne andò eclissata la pratica.

L'opera indefessa di S. Bonifacio, e più tardi la vita comune, come pure la legislazione di Carlomagno contribuirono ad una restaurazione del celibato, purtroppo di non lunga durata: la decadenza dell'Impero trascinava con sè la caduta della disciplina ecclesiastica, e per tutto il sec. X sino alla seconda metà del sec. XI, nonostante voci isolate di protesta, il male andò dilagando...

S. Pier Damiani, uno dei paladini della rinascita del celibato ecclesiastico, assecondò energicamente l'opera dei papi riformatori della seconda metà del sec. XI, che proporzionando al male i rimedi ricondussero il clero al senso della primitiva disciplina. Soprattutto il fermo atteggiamento di S. Gregorio VII assicurò all'azione del papato un successo durevole con la lotta contro le investiture laiche, radice del male.

Il Papa, pur non dichiarando ancora nullo il matrimonio dei preti, praticamente lo considerava come tale. Il Concilio Lateranense adunato da Callisto II (1123), fece l'ultimo passo (can. 21), confermato dal Lateranense II (1139), can. 7, e più tardi da Alessandro III nel 1180, che estendeva la legge dell'invalidità del matrimonio anche ai suddiaconi (Decret. capp. 1-2, X, IV, 6). Da allora gli Ordini maggiori hanno costituito nella Chiesa latina impedimento dirimente il matrimonio.

L'atteggiamento dei papi provocava tra i nemici del celibato una serie di trattati e libelli (1060-80), per i quali si fece ricorso anche alle falsificazioni. Noto soprattutto il rescritto De continentia, attribuito al vescovo S. Ulrico di Augusta (m. nel 973) già ai tempi del Concilio Romano del 1079, in realtà scritto verso il 1060, a quanto sembra, da Ulrico, vescovo di Imola. Attacchi contro il celibato non sono mancati neppure in seguito.

Con l'avvento del protestantesimo, Lutero dichiarava nullo il voto di castità dei religiosi e dei sacerdoti. Di fronte alla scissura protestante, alcuni cattolici erano d'opinione che, per il ritorno dell'unità, la Chiesa avrebbe potuto derogare alla legge sul celibato e questa disposizione rimase anche dopo che il Concilio di Trento condannò l'errore luterano, definendo l'invalidità del matrimonio contratto dai religiosi di voti solenni e dai chierici con gli Ordini maggiori (sess. XXIV, can. 9).

Gli imperatori Ferdinando I e Massimiliano II domandarono alla S. Sede una dispensa dalla legge per i paesi germanici e Pio IV pensò seriamente di accordarla. Ma con la morte del Papa e l'avvento di Pio V il progetto fu definitivamente abbandonato e le leggi tridentine furono imposte a tutta la Chiesa.

In tempi a noi più vicini sono noti i tentativi in campo laico contro il celibato fatti dalla Rivoluzione francese, poi dai “Vecchi Cattolici", e nel dopoguerra dal gruppo di preti sposati che hanno costituito la Chiesa Nazionale Cecoslovacca (1920). Recentemente i neomodernisti germanici nel loro programma disciplinare (Der Katholizismus der Zukunft, pubblicato anonimo a Lipsia nel 1940), hanno inserito il celibato come facoltativo.

La condotta della Chiesa di fronte a questi episodi è stata ferma e perentoria.

 

Con decreto della S. Congregazione dei Sacramenti (27 dic. 1930) ogni candidato al sacerdozio è tenuto con giuramento ad attestare per iscritto che si astringe agli obblighi del celibato ecclesiastico con piena consapevolezza.

Le ottime ragioni degli sforzi dei Papi perchè il celibato si affermasse non sono quelle male intraviste dal Montesquien, quando affermava che "altrimenti la loro potenza non sarebbe mai salita così in alto e non sarebbe mai stata duratura se ogni prete avesse avuto a cuore una famiglia" (Riflessioni e pensieri inediti, Torino, 1943), ma quelle addotte dall'Apostolo Paolo.

Il sacerdote è costituito per gli uomini in ciò che si riferisce a Dio, al fine di offrire doni e sacrifici e solo il celibato permette il perfetto e totale compimento di tali doveri. Dovendo proseguire l'opera del Redentore il ministro sacro ha bisogno di libertà da preoccupazioni d'indole familiare...

L’individuo nel sacerdote deve scomparire di fronte ai bisogni materiali e spirituali di tutta la famiglia umana, altrimenti rischia di diventare un professionista qualsiasi.  Il ministero sacerdotale, e in particolare la direzione delle coscienze, esige illimitata fiducia verso chi l'esercita e questa difficilmente l'ottiene il sacerdote che vive in compagnia di una donna che partecipa delle sue confidenze.

Le obiezioni contro il celibato non provengono tanto dalla nobiltà dei suo programma, quanto dalla supposta impossibilità del suo esercizio.

La castità, si dice, è impossibile e la pretesa di dominare l'istinto, è pura ipocrisia. Questo errore la Chiesa l'ha condannato nel Concilio di Trento (sess. XXIV can. 9). La custodia della castità è affare della Grazia e la Chiesa non ha mai preteso che la natura possa trionfare dei suoi istinti abbandonata alle sole sue forze.

Se, per casi particolari, abitudini inveterate e tare ereditarie assegnano alla virtù compiti quasi sovrumani, si tratta di esseri anormali, per i quali il sacerdozio non è indicato. La tesi poi che vuol presentare la castità come nociva alle esigenze dell'igiene e causa di nevrastenia è stata nettamente esclusa da fisiologi eminenti, che hanno dimostrato la perfetta compatibilità dell'astinenza di soddisfazioni sessuali con le leggi fisiologiche e morali. Dove si da il caso di nevrosi questo effetto è prodotto solamente in tipi dall'istinto genesiaco anormale. La libellistica comune ama insistere sul fatto: la vita privata dei prete non è e non è stata mai casta e in disordini nascosti egli cerca ciò che pubblicamente gli è interdetto. Ma gli scandali presenti e passati non costituiscono il passato né il presente della Chiesa. La prospettiva di insieme è molto più luminosa e al di là delle zone d'ombra essa può mostrare la sua realtà formata da santi ed eroi.

Oltre al celibato ecclesiastico esiste nella Chiesa, ed è sempre esistito, il celibato scelto dai laici liberamente e direttamente "per il regno dei cieli” (Mt 19,12), cioè per il motivo superiore dell'amore verso Dio e dell'apostolato.

Questa pubblica professione di vita perfetta e generosamente votata agli interessi di Dio, diventò così frequente nelle varie Chiese, che coloro che la praticavano cominciarono a comparire in mezzo alla società come una classe a parte.

La storia, poi, ha dimostrato con un'evidenza di giorno in giorno maggiore l'aiuto molteplice e efficace, che i laici celibi possono recare alla Chiesa e alle anime mediante l'esempio vivente e il contatto immediato di una vita perfettamente consacrata alla santificazione, attuandola nei casi in cui la vita religiosa canonica è impossibile o poco adatta, esercitando l'apostolato in molteplici maniere e compiendo funzioni che il luogo, il tempo, le circostanze proibiscono o rendono impraticabili ai sacerdoti e ai religiosi.

Oggi la Chiesa ha superato tutte le difficoltà e si è mossa a riconoscere - (oltre i singoli) - gli Istituti secolari dei laici.

 

Finora mi sono attenuto alle vicende storiche del celibato seguendo quasi esclusivamente quanto riferisce in merito la Enciclopedia Cattolica. Ora voglio scendere a maggiori e più profonde considerazioni seguendo un autore emerito, Jean Galot S.I. della Pontificia Università Gregoriana.

Lo seguo e cerco di ragionare con lui per tutto ciò che mi sembra logico e giusto e che, in definitiva, corrisponde alle mie profonde convinzioni sul celibato ecclesiastico.

Io ho avuto la straordinaria grazia di arrivare alla fede all'età di circa 36 anni, mentre ero prigioniero di guerra nel Kenia, detenuto degli Inglesi. Questa mia conversione, in verità molto profonda e totale, non mi impedisce, a tanti anni di distanza, di continuare a pregare, notte e giorno, per la mia più completa e definitiva conversione.

Vivendo la vita cristiana con un certo serio impegno ci si accorge che ci sono molte lacune e imperfezioni, ci si sente ancora peccatori e, quindi viene spontaneo e urgente pregare per una più completa e definitiva conversione.

La mia prima conversione avvenne - se non ricordo male - tra il 1944-45.

Le mie idee erano queste: poichè nel mondo ero stato un grande peccatore, mi sembrava logico escludermi dal pensiero del sacerdozio e pensavo, in una maniera molto bella, poetica e spirituale, di formarmi una santa famiglia.

L’occasione della guerra mi diede l'opportunità di lasciare libera la fidanzata e, quindi, al momento della conversione ero libero da impegni matrimoniali, per cui mi proponevo - al rientro in patria - di sposare una brava ragazza cristiana e vivere santamente il matrimonio. A questo matrimonio santo pensavo intensamente nelle mie preghiere, notte e giorno, e provavo una grande gioia interiore. Credo che siano cosi trascorsi circa 4-5 mesi, dopo di che sentii una voce interiore, chiara e precisa: "Per quello che ti ho dato, mi devi dare di più: non mi basta che tu sia un buon padre di famiglia".

A questa voce io rispondevo sempre: “Signore, Tu sai quanto ti ho offeso, se mi

fosse possibile abbandonerei l'idea del matrimonio e mi preparerei per il sacerdozio, ma io sacerdote non posso diventarci. Un uomo come me non può essere sacerdote".

La "voce" suddetta, sempre la stessa, ha insistito per diversi mesi, sino a costringermi a fare una novena perchè lo Spirito Santo mi illuminasse con una risposta precisa. Stavo in preghiera, durante la novena, per 1-2 ore e per tutti i nove giorni non mi venne in mente neppure una sola volta il matrimonio al quale pensavo continuamente nella maniera come ho detto. Aggiungo che durante la preghiera della novena, in una maniera tutta particolare, nella mia mente, mi vedevo dinanzi a folle alle quali dicevo sempre le stesse cose: "Se avete la fede avete tutto, se non avete fede non avete nulla e non siete nulla". Alla fine della novena dissi: “Signore, secondo queste cose che mi mostri, io dovrei essere sacerdote, ma io sacerdote non mi sento proprio di diventarlo, mi sento troppo indegno".

Non sapendo e non volendo decidere da solo, mi sentii ispirato a rivolgermi al Cappellano del campo, certo padre Wahan, armeno, al quale raccontai l'episodio della novena. P. Wahan, che conosceva tutta la mia vita, mi disse: “Ma non vedi che il Signore ti chiama al sacerdozio?". Ed io: "Sì, lo capisco, ma ti sembra giusto che io diventi sacerdote?". E lui: "C'è stata gente peggiore di te... e si è fatta anche santa".

Queste parole del Cappellano mi misero con le spalle al muro ed accettai l'idea del sacerdozio come una esplicita volontà di Dio.

 

Ho voluto raccontare questo episodio della mia vita per dimostrare che la chiamata al celibato ecclesiastico fu per me una chiara comunicazione che mi venne dall'Alto. Ho oltre 41 anni di sacerdozio e potrei dire molte cose per dimostrare la necessità del celibato per chi si consacra totalmente e veramente al servizio di Dio e dei fratelli per il regno dei cieli. Lo mie osservazioni potrebbero avere poco peso e perciò preferisco ragionare con la mente di persone più illuminate e competenti, come lo scrittore J. Galot, di cui sopra.

Ho già detto che la dottrina del celibato non si trova nella prospettiva ideologica dell'Antico Testamento. L’uomo e la donna non sposati paiono non aver posto nella storia della salvezza, anche se qualche eccezione vi fu. Nella Nuova Alleanza il principio dell'Antica non è più valido perchè il celibato è un dono di Dio come il matrimonio ed è un dono più perfetto, come si può leggere in Mt 19,12 e in 1 Cor 7,7. Il celibato si può considerare uno stato normale di vita cristiana.

Gesù invita al celibato chi desidera consacrarsi esclusivamente al regno dei cieli. E perciò morire celibi non è una disgrazia, bensì un trionfo ed un onore, come ci dice San Giovanni nell'Apocalisse: "Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l'Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l'Agnello" (14,4).

- Diciamo pure che ci sono santi sposati e santi non sposati.

- Diciamo ancora che è vero che nel N.T. non c'è un ordine tassativo che imponga il celibato, per cui i primi vescovi e sacerdoti furono scelti anche tra gli sposati - ebrei e non - per la garanzia della fede e della probità, ma è anche vero che il desiderio di Gesù, ribadito da S. Paolo, è fin troppo chiaro. Infatti molti hanno aderito spontaneamente al desiderio del Divin Maestro: la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, ha accolto il desiderio di Cristo e di tante anime ed ha codificato il celibato. Quando noi parliamo di Chiesa, non si può prescindere da Gesù e dallo Spirito Santo: "... lo sarò con voi sino alla fine del mondo" (Mt 28,20); “... la Chiesa è colonna e sostegno della verità" (1 Tm 3,14-15); "...chi ascolta voi ascolta me..." (Lc 10, 16); Gesù prega per gli Apostoli e "per quelli che per la loro parola crederanno in me"; "... Padre, consacrali nella verità..." (Gv 17,17); "... lo Spirito Santo vi guiderà alla verità tutta intera..." (Gv 16,12-15; vedi anche 14,16; 15,26); “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi..." (Gv 20,21).

Io, personalmente, stimo una gran cosa che Gesù non ha voluto dare un ordine tassativo: Egli voleva convincerci che “non tutti possono capire" ma solo quelli ai quali è dato di capire in quanto lo fanno esclusivamente per il regno dei cieli, ossia a maggior gloria di Dio e per il bene delle anime.

- Basterà riflettere sulla natura del sacerdozio per convincersi della convenienza della codificazione del celibato da parte della Chiesa Occidentale.

La contestazione oggi muove molto spesso piuttosto dalla passione e dallo spirito del mondo. Certamente non dalla fede, né dalla grazia di Dio e neppure da, ragioni di carattere spirituale...

- Pur sapendo che la malvagità e il peccato del sacerdote non toccano l'efficacia salvifica del suo ministero, tuttavia, tutti sappiamo quante persone restano scandalizzate per la cattiveria di alcuni sacerdoti... E sappiamo pure che i nemici della Chiesa speculano proprio su queste carenze e debolezze sacerdotali..., le quali, principalmente, si notano in sacerdoti che lottano per essere autorizzati alle nozze... regolarmente...

Ho spesso inteso dire, e da persone molto serie, che il sacerdote che reclama le nozze... è segno che ha già qualche donna... Ed è anche vero che chi reclama contro il celibato è semplicemente perchè, non avendo coltivato la propria vocazione, logicamente e naturalmente, si è messo in grado di perderla in parte o del tutto. Ed, è una scusa troppo palese per chi dice che quando fu ordinato non si rendeva ben conto dell'impegno serio che prendeva; è, ripeto, semplicemente perchè, a poco a poco, si è fatto trascinare o dall'eresia dell'azione o, più facilmente, dal contatto troppo frequente e poco controllato con donne...

E' ben chiaro per tutti quelli di buona volontà che il celibato del sacerdote è per il regno dei cieli; è per amore di Gesù Cristo, a vantaggio dell'intera umanità. Il celibato, quando è vissuto con slancio apostolico e con fede te rende il cuore dell'uomo libero in modo singolare" (Decreto del Conc. Vat. II Perfectae Caritatis, 12). E tale libertà se è disponibilità per Dio è anche disponibilità per gli uomini (cf Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri, P.O. 16). Molti non comprendono che questo darsi agli altri scaturisce dal darsi a Dio, e viceversa.

Una protestante ascoltava con grande interesse le prediche di S. Francesco di Sales, tanto che un giorno cominciò a frequentarlo personalmente per togliersi altri dubbi e, se convinta, diventare poi cattolica. I suoi incontri col santo erano molto frequenti e si protraevano per ore intere. Un giorno la donna disse al santo: “Lei mi ha convinto su tutto, mi resta ancora uno scoglio da superare: mi dica perchè i sacerdoti non si devono sposare?". Ed il santo: “Figlia mia, come avrei potuto ascoltarti per tanto tempo e per lunghe ore se avessi avuto famiglia ?".

La protestante gli rispose: “Padre, da oggi in poi io sono cattolica". E si convertì completamente.

La vocazione alla paternità spirituale non è meno esigente ed esclusiva di quella alla paternità fisica. Esige fedeltà che è frutto di amore. Non si tratta di svalutare la sessualità, ma di oltrepassarla in una forma superiore di comunicazione della vita, nell'orizzonte della grazia. I sacerdoti col loro celibato "dánno testimonianza della futura risurrezione" (Decreto sulla formazione sacerdotale, O.T. 10, Vat. II). Essi diventano segno vivente di quel mondo futuro... nel quale i figli della Risurrezione non si uniscono in matrimonio... (Decr. sul ministero e la vita dei Presbiteri, P.O., 16).

Sarà bene tener sott’occhi i seguenti passi del N.T. ai quali si è già fatto e si continuerà a fare riferimento sull'argomento del celibato:

1. Mt 19,8-12: "... Rispose loro Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così”. Perciò io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra, commette adulterio". Gli dissero i discepoli: “Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”. il Egli rispose loro: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso” Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca".

 

2. Mt 19,16-22: " Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: “Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?” Egli rispose: “Perchè mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. Ed egli chiese: “Quali?”. Gesù rispose: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso”. Il giovane gli disse: “Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?” . Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, vai, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Udito questo, il giovane se ne andò triste: poichè aveva molte ricchezze".

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01/09/2009 07:49

3. Mt 19,27-29: "Allora Pietro prendendo la parola disse: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa dunque ne otterremo?”. E Gesù disse loro: In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'Uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele”. “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”.

 

4. Mc 10,28-30: “Pietro allora disse: “Ecco... (come in Mt 19,2 7-29). (come in Mt eccetto “insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna”.

 

5. Lc 18,28-30: “Pietro allora disse: ... (quasi identico a Mt e a Mc.).

 

6. Ap 14,4: “Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l'Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l'Agnello".

 

7. 1 Cor 7,7-9.32-34: " ... Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere...". “Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso .....”.

 

- Questi testi sono troppo chiari. La Chiesa ha sempre insegnato che il celibato piuttosto che essere il risultato dello sforzo dell'uomo è il risultato della docilità dell'uomo alla grazia di Dio.

- Certo un celibato inteso e vissuto come un peso da sopportare, inteso nel senso fisico e negativo, diminuisce la personalità.

- Ma qui parliamo di un celibato sacerdotale, scelto liberamente e inteso come segno e condizione di un amore indiviso e totale a Cristo e alla Chiesa. Questo celibato è perfettivo della personalità, meglio ancora del matrimonio.

- Possiamo ben dire che la crisi dei sacerdoti che abbandonano o vogliono abbandonare il celibato è una crisi di vocazione o, meglio, è una crisi di amore. Il loro cuore è diventato infedele: perciò diventa infedele anche la carne.

- Col Concilio di Trento, che tentava già da tempo la Riforma della Chiesa, si istituirono i seminari e il clero fu reclutato esclusivamente tra i celibi, sempre con scelta libera e volontaria, secondo le indicazioni evangeliche.

- Una ininterrotta serie di testi, sia letterari sia giuridici, ci informa della costante disciplina della Chiesa latina, la quale ha sempre esigito da tutti i sacri ministri una perfetta continenza: i coniugi non dovranno più usare del matrimonio dopo l'ordinazione; i celibi non dovranno sposarsi.

- Quando si parla di legge del celibato non si usa la espressione esatta: si tratta propriamente della legge di continenza, che, per i non coniugati, diventa, evidentemente, legge del celibato.

Su questa legge di continenza siamo informati da testi espliciti fin dagli inizi del secolo IV Poichè essi la danno come norma tradizionale, e alcuni persino di origine apostolica, non si tratta certo di una innovazione allora introdotta.

 

Tutti i testi, più che dettare una norma, prescrivono sanzioni per i trasgressori.

- Così, per esempio, il Concilio Spagnolo di Elvira del 305, nel suo canone 33, mentre richiama a "vescovi, preti, diaconi e a tutti i chierici nel sacro ministero" la proibizione di usare del matrimonio, prescrive che i trasgressori “vengano espulsi dall'ordine clericale”.

-          Così vari Concili, di Spagna e di Africa, nonchè quello di Nicea (325, can. 3).

- I Concili, Lateranense I (1123), can. 21, e il Lateranense II (1139), can. 7, introducono una nuova sanzione per i violatori della continenza celibataria: la nullità del matrimonio contratto dai sacri ministri.

- Da notare che le ragioni addotte in questi documenti sono, per lo più, di ordine spirituale e soprannaturale: quelle stesse, sostanzialmente, riproposte dall'Enciclica di Paolo VI sul celibato, e cioè la somma convenienza che chi tratta cose sacre sia libero da ogni cosa profana. E' quanto esprimeva pure papa Ciricio in una lettera ad un vescovo spagnolo (385), al quale il papa fa osservare come fosse logico il matrimonio nell'Antico Testamento, perchè per esso dovevano provvedere alla continuazione del culto divino al quale erano destinati soltanto i discendenti di stirpe sacerdotale.

Ma anche questi sacerdoti dell'A. Testa- mento non usavano del matrimonio durante il periodo nel quale, secondo il loro turno, servivano nel Tempio.

Se dunque i sacerdoti dell'A.T. erano continenti per un breve tempo, perchè per un breve tempo trattavano le cose sacre, i sacerdoti del N.T. devono esserlo sempre perchè sempre trattano le cose sacre. E se tanto esigevano le cose sacre dell'A.T., che erano soltanto l'ombra delle cose sacre del N.T., quanto più lo esigono queste! .

Tanto era sentita dalla coscienza ecclesiale la stretta connessione fra continenza e sacrificio, che fra i teologi del secolo XII-XIII, fu avanzata l'idea che neppure il papa - che può dispensare i singoli casi - avesse l'autorità di cambiare la legge generale e comune.

La legge del celibato è rimasta a regolare la vita del Clero nella Chiesa latina, che vede nel celibato uno dei modi più manifesti e più efficaci della sua testimonianza d'amore a Cristo e di dedizione ai fratelli.

Il caso delle Vergini merita una considerazione particolare.

Verso il 150 Giustino, il filosofo martire, dà come una delle caratteristiche del Cristianesimo il fatto che "molti uomini e donne dell'età dai 50 ai 60 anni, istruiti fin dalla loro infanzia nell'insegnamento di Cristo, hanno conservata la verginità (Giustino, In Apologia, XV, 6 - Storia della Chiesa, Ediz. Ist. S. Gaetano, pp. 91-92, di Michel Le Monnier O.P. Ed. Ist. S. Gaetano).

 

Nel sec. IV, come reazione ad una certa "secolarizzazione" del Cristianesimo e come richiamo al destino dell'uomo, il culto della Verginità e del celibato conosce un grande sviluppo. A coloro che chiedono perchè tanti cristiani non si sposano, Ambrogio di Milano risponde che la vita è breve e che vale più, proclamare il ritorno di Cristo con l'essere vergini o celibi "per il regno dei cieli" anzichè sposarsi e generare figli. Questa casta solitudine si organizza poi nell'istituzione monastica, con la pratica anche di altri consigli evangelici: la povertà e l'obbedienza nella vita comune (ivi p. 149).

 

S. Gregorio Nazianzeno scrive a proposito della Verginità: “Non è poca cosa essere vergini: è essere annoverati fra gli angeli, fra nature semplici, anzi, oserei dire, con Cristo il quale, anche se ha voluto nascere per somigliare a noi, è però nato da una Vergine, ed ha così sanzionato la legge della Verginità per trascinarci con sè lontano da questa vita, per farci dare un taglio netto al mondo e, più ancora, per trasferirci fin d'ora da un mondo all'altro, dalla vita presente a quella futura" (Orazione 43,62, ivi p. 175).

 

Nel secolo III, tanto in Occidente quanto in Oriente, si nota l'affermarsi del celibato del clero e, contemporaneamente, della progressiva determinazione delle norme per la scelta e la formazione dei ministri, che si distinguono sempre più dai semplici fedeli.

Dell'obbligo dei celibato si parlerà la prima volta, verso il 360: inizierà così la disciplina caratteristica della Chiesa latina.

In Oriente si continua a proibire ai diaconi e ai sacerdoti le seconde nozze e il matrimonio dopo l'ordinazione, e un sacerdote sposato non può essere vescovo (Dalla Storia della Chiesa, Ed. I.S.G., Vicenza, p. 90).

- Già nella Chiesa apostolica la Verginità o la castità "per il regno dei cieli” (Mt 19,12) appariva uno stato di vita più confacente alla ricerca della perfezione. Le Vergini formavano un gruppo a parte nell'assemblea eucaristica (ivi, p. 148).

S. Gregorio di Nissa dice che “la Verginità rende l'anima come uno specchio, che riflette la purezza divina e le permette pertanto di farsi una con Dio. L'autentico amore per la castità non ha altro scopo che di rendere possibile all'anima la visione di Dio" (ivi, p. 175).

 

La contestazione del celibato

 

Diversamente dalla Chiesa cattolica, ben si può dire che non vi fu movimento eterodosso (= eretico) il quale non ponesse nel suo programma l'abolizione del celibato sacerdotale.

 

E' dunque fatto nuovo e preoccupante quello a cui assistiamo oggi: la contestazione da parte di certi ambienti cattolici.

Solo il clima cosi perturbato dei nostri giorni, indice di un illanguidimento della fede e delle considerazioni soprannaturali, può in qualche modo spiegare come mai taluni nell'interno della Chiesa, e persino da membri del clero e della gerarchia, si venga presentando il celibato come fosse, non già legge di libertà sacerdotale, ma problema di inciampo. Di qui la necessità da parte del Magistero di ribadire la fedeltà alla legge del celibato ecclesiastico, come ha fatto Paolo VI in molteplici documenti, dall'Enciclica del'24.6.967, Sacerdotalis caelibatus, alla lettera al Card. di Stato su tale argomento (2.2.1970), in consonanza con le precise direttive del Conc. Vat. Il che dice: "Questo Sacrosanto Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione" (P.O., 16).

 

In Oriente

 

La disciplina su questo punto fu diversa: e non è questo il solo punto in cui la differenza tra Oriente e Occidente dipende, per gran parte, da influsso di natura politica o extraecclesiale.

- Anche in Oriente vi sono Chiese - come quella Armena, Siriaca, Copta - che non ammettono preti sposati.

- Nella Chiesa Ortodossa la legge del celibato vige per i vescovi. Da diversi anni in qua - si può dire dalla rivoluzione del 1917 in poi - va crescendo nella Chiesa russa il movimento a favore del celibato sacerdotale.

- Anche là dove il sacerdozio viene conferito a individui sposati, mai si concede che il sacerdote rimasto vedovo, contragga nuove nozze. Anche nella Chiesa dell'Oriente, e persino nella Chiesa Ortodossa, è dunque, operante la convinzione dell'estrema convenienza del celibato con il sacerdozio.

 

Se questi sono i fatti, non sarebbe esatto mettere in causa la Chiesa Orientale come testimonianza contraria al celibato sacerdotale.

 

- Al riguardo l'Esarca di Sofia afferma: “La Chiesa latina non avrebbe nulla da guadagnare dall'ammissione al sacerdozio di uomini coniugati. Nella mia diocesi ci sono stati buoni preti sposati, ma dopo la loro morte in armonia con la volontà dei fedeli, non ne sono stati ordinati altri”.

- I vescovi della Conferenza d'Oriente confessano "... quanto sia arduo servire contemporaneamente Dio e la famiglia".

- Dialogo e rispetto delle persone si, ma chiara e ferma condivisione dell'atteggiamento dell'autorità ecclesiastica cattolica che si mostra riluttante a rinunciare a quella “gemma fulgente nel diadema della Chiesa, qual'è il celibato sacerdotale" (il Patriarca Beltriti).

- E Gandhi diceva: “E’ il celibato che conserva giovane la Chiesa latina".

- Premendo il tasto su una revisione della norma del celibato per i sacerdoti, non si corre il rischio, dopo tanto allarme per la sempre più crescente “secolarizzazione” del mondo cristiano, di arrivare alla secolarizzazione dello stesso sacerdote?" (Da Vita Pastorale, n. 11, Nov. 1989, p. 9, "Celibato e sacerdoti familiari", Sacerdote Dante Grossetti, 29010, Pianello (PC))”.

 

Lo stato di vita degli Apostoli

 

- Le indagini patristiche sono varie e contrastanti. Le affermazioni degli uni e degli altri non sono ben motivate. S. Girolamo, dal silenzio dei testi, ricava che, eccetto Pietro, tutti gli altri erano celibi. L’affermazione non è decisiva, ma non è senza valore.

Clemente d'Alessandria (+ prima del 215) attribuisce all'Apostolo Filippo le figlie di Filippo l'evangelista (= diacono) e pensa, a torto, che Paolo si rivolga alla "sua congiunta" (Fil 4,2-3).

- Eusebio ricorda le parole di Luca: "Giungemmo a Cesarea, ed entrammo nella casa dell'evangelista Filippo che era uno dei sette, sostammo presso di lui. Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia" (At 21,8-9). Qui è chiaro l'equivoco.

- Si possono segnalare analoghe confusioni per Giovanni e Giacomo. Giovanni il presbitero è stato identificato con Giovanni l'apostolo, e Giacomo, il “fratello" del Signore, con un apostolo.

- Viene così confermato che per nessun apostolo gli scritti patristici ci forniscono elementi validi d'informazione.

Non possiamo dunque che riferirci ai dati evangelici.

 

 

La rinuncia alla moglie e ai figli

 

Da nessuno dei racconti evangelici si ricava che, gli apostoli, compreso Pietro, avessero moglie e figli. Molto più positiva è invece l'indicazione implicita nell'abbandono totale richiesto da Gesù a coloro che chiamava a seguirlo: ciò comportava la rinuncia alla famiglia e al matrimonio (cf. Mt 19,16-21; Mt 19,27- 30)”. Pietro metto in evidenza la totalità dell'abbandono e quello che gli costa. E Gesù nel rispondergli lo sottolinea vigorosamente: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt 19,27-30).

L'enumerazione di tutto quello che si lascia costituisce una novità in rapporto alla tradizione ebraica, dove l'obbligo di seguire Jahwè si limitava all'obbedienza dei precetti della Legge.

- Il lasciare i figli, non implica che i genitori devono lasciare i figli, ma della rinuncia di avere figli propri, ossia di rinunciare al matrimonio. Tale rinuncia era particolarmente sentita dalla mentalità ebraica. In Lc 18,29 è citata anche la moglie. Lasciare la moglie è complementare al "lasciare figli”.

Gesù non ha mai chiesto a nessuno di abbandonare i propri figli e non ha mai invitato nessuno a separarsi dalla moglie per seguirlo. Egli stesso aveva proclamato: “Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non separi” (Mt 19,6).

- Gesù ha citato l'ideale del celibato volontario come un aiuto alla fedeltà del matrimonio. Dopo aver affermato che l'uomo non può ripudiare sua moglie, elogia "coloro che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli" (Mt 19-12). Quindi la chiamata a seguire Gesù totalmente, può essere rivolta solo a individui liberi da ogni legame matrimoniale.

 

Il caso di Pietro (Mc 1,20-30). Sorprende che la moglie di Pietro non appaia nel racconto. Se ne deve dedurre che Pietro era libero da ogni obbligo matrimoniale.

 

Il caso di Paolo (1 Cor 7,8-9). Alle persone che si sono orientate verso il celibato e vivono non sposate, e a quelle che sono state poste da Dio in una situazione di vedovanza, Paolo raccomanda di perseverare, se possibile, in questo stato. Non si può sostenere che secondo i precetti formulati dai rabbini, tutti gli uomini ebrei si sposassero verso i 20 anni.

“Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie e si trova diviso!" (cf 1 Cor 7,32-34). Paolo rimane però realista e dice: "Se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere".

Lo stato di vita degli Apostoli dopo la Pentecoste.                                   

In 1 Cor 9,5 Paolo scrive che gli altri apostoli, i fratelli del Signore e Cefa, conducono con loro “una donna sorella”. La CEI traduce "donna credente"; la Volgata “mulierem sororem". Per un certo numero di protestanti e alcuni cattolici, l'espressione significa "sposa cristiana". Essi ritengono che "donna” (guné) abbia normalmente il senso di sposa e che nella stessa lettera S. Paolo parla di "sorella” come "sorella nella fede". (1 Cor 7,15). Paolo nella stessa lettera parla della "donna non sposata" (1 Cor 7,34), per cui non si può attribuire necessariamente alla parola gunè, donna, il senso di sposa. Inoltre anche il termine “sorella” non ha necessariamente il senso di “sorella nella fede". Il termine è associato a donna, che viene trattata come una sorella. L'intenzione dell'espressione. sembra giustamente distinguere questa donna dalla sposa. Inoltre, il diritto rivendicato da Paolo è privilegio della sua qualità di apostolo e tende a mostrare che non è un rango inferiore in rapporto agli altri apostoli.

Da parte di Paolo, come spiegare che abbia potuto rivendicare il diritto di condurre la propria moglie, lui che, non essendo sposato, augura che tutti fossero come lui?

Gli apostoli avevano seguito Gesù proprio perchè erano "liberi", cioè non avevano né moglie né figli. Gesù aveva condiviso con i discepoli la condizione di "coloro che si sono resi eunuchi per il regno dei cieli!” (Mt 19,12).

Paolo non poteva dunque affermare che Cefa e gli altri apostoli fossero accompagnati dalla propria moglie. Il diritto di condurre con loro una "donna sorella" era una contropartita del loro impegno nel celibato. Queste “donne sorelle" servivano la comunità, i discepoli. Infatti, in Lc 8,1-3 leggiamo: "In seguito Egli (Gesù) se ne andava per le città e i villaggi predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C'erano con Lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni" (cf anche Mc 15,40-41 e Mt 27,55-56).

 

- Tertulliano confuta l'opinione secondo la quale Paolo farebbe allusione alle spose degli apostoli: “Non ne hanno" egli dice, e come l'Apostolo Paolo parla del suo “diritto di mangiare e bere" (1 Cor 9,4), cosi si tratta "semplicemente di donne che li servivano, come facevano quando accompagnavano il Signore" (Tertulliano, De Monogamia, 8,6 CC, 2,1,240). S. Girolamo, Clemente Alessandrino, Agostino, Pelagio, l'Ambrosiaster, Primasio, Teodoreto, ecc. pensavano la stessa cosa.

 

 

Riflessioni conclusive e riassuntive          

 

- Colui che ha proclamato l'indissolubilità del matrimonio non poteva "separare ciò che Dio ha congiunto". E' logica la conclusione: gli apostoli erano tutti senza famiglia.

- La novità costituita dal celibato consacrato, come Gesù lo ha voluto, non è stata sufficientemente apprezzata in tutte le sue implicanze come non è stato compreso il rispetto delle esigenze del matrimonio secondo tutta la sua estensione.

- Le parole di Gesù, nel loro contesto, così come sono state pronunciate (cf Mt 19,27- 29; Me 10,28-30; Lc 18,28-30), potevano significare soltanto la volontà di rinunciare ad avere moglie e figli, ossia la scelta del celibato volontario.

- L'immagine dell'eunuco volontario conferma che l'impegno è totale e definitivo in vista del regno dei cieli.

- Per la prima volta - con l'associare servizio del regno e rinuncia al matrimonio - appare il legame tra sacerdozio ministeriale e celibato.

- Non é quindi sufficiente considerare il celibato sacerdotale come una semplice legge disciplinare della Chiesa. La Chiesa ha promulgato la norma del celibato per mettere in pratica - sotto la spinta dello Spirito Santo - quello che era stato vissuto da Cristo e dai suoi apostoli fin dalle origini. Gesù non ha istituito una legislazione, ma ha fondato un ideale destinato a produrre i suoi frutti nel progressivo sviluppo della Chiesa. L'idea del celibato sacerdotale per il Regno dei Cieli non era limitato ai Dodici, ma occorreva del tempo perchè l'ideale si generalizzasse nella vita sacerdotale. Una legge esplicita e imposta dall'Alto avrebbe tolto al celibato sacerdotale il carattere di dono di grazia.

- Un'altra corrente, quella proveniente dal sacerdozio di uomini sposati, come era vissuto nella tradizione ebraica, si manifestò quasi contemporaneamente (cf 1 Tm 3,2; Tt 1,5-6), per cui, nei primi secoli, vi fu un certo numero di sacerdoti sposati. Tuttavia, l'ideale fondato nel Vangelo non cessò di crescere, come notava già Tertulliano alle soglie del sec. III.

 

Non cattolico. Hai detto tante cose, ma come il solito, non hai risposto a tutte le mie obiezioni.

 

Cattolico. Se tu rileggi quello che ho scritto finora, ti accorgerai che ho risposto a tutto e

anche abbondantemente. Comunque, rileggendo le tue obiezioni posso assicurarti che:

- La Chiesa tollera che vi siano altre chiese, pure cattoliche, che non osservano esattamente il celibato sacerdotale. Tale tolleranza è dovuta a ragioni storiche e di convenienza ben vagliate dal Magistero.

- Tertulliano, come ho già detto, alle soglie del 3° sec. notava che l'ideale del celibato fondato nel Vangelo non cessò di crescere. Non si sa bene se egli tra sacerdote. S. Girolamo ammette che egli fu sacerdote; né la notizia sembra smentita dal suo libro “Esortazione alla castità". Sì, scrive anche alla moglie (in due libri) esortandola a non risposarsi se fosse rimasta vedova. Tutto ciò non contrasta con quello che ho scritto.

- Di Silvestro I, papa e santo, non si hanno molte notizie. La storia ci dice che avrebbe promulgato decreti sulla consacrazione dei vescovi, sui processi e giudizi riguardanti i chierici, ecc. Dalle mie indagini non mi risulta che S. Silvestro abbia "ordinato" che ogni prete avesse la propria moglie, anzi lascerebbe presupporre il contrario, ma anche se ciò fosse avvenuto, il fatto potrebbe essere giudicato indifferentemente perchè non apporterebbe nessuna modifica a tutte le considerazioni fatte sul celibato sacerdotale.

- E' facile che il Concilio di Nicea (325) abbia respinto la proposta di interdire il matrimonio dei preti e che il papa Silvestro I abbia approvato ciò, ma non è meno vero che lo stesso Concilio di Nicea approvò la proibizione di usare del matrimonio a tutti i chierici in sacris, prescrivendo che i trasgressori “vengano espulsi dall’ordine clericale" (Can. 3).

- Che S. Atanasio dice che ci sono vescovi o monaci sposati; che S. Gregorio Nazianzeno fosse figlio di un vescovo; che S. Patrizio fosse figlio di un diacono e che i Veneziani abbiano avuto un vescovo sposato, queste sono tutte cose comprensibili e credibili per i tempi in cui avvennero. E germe del celibato posto da Cristo e ribadito da S. Paolo si è sviluppato nonostante tutte queste vicende da me già segnalate.

- Che poi S. Paolo sconsigliasse il matrimonio solo perchè credeva imminente la fine, non sembra vero leggendo i suoi scritti e le ragioni che adduce per il celibato. Tanto più che S. Paolo diceva ai Tessalonicesi “di non lasciarvi facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo" (2 Tes 2,1-3).

- Rileggendo le obiezioni mi pare di aver risposto a tutte e anche abbondantemente. Dalle mie risposte, ossia dalla realtà storica, dall'esperienza  e dai Sacri Testi si può ricavare che il sacerdote celibe può certamente molto di più e meglio dedicarsi al suo ministero. E si può anche dedurre che mons. Ancel, vescovo ausiliare di Lione, fa bene a non criticare i preti sposati, tra i quali se ne trovano anche di molto validi, però è bene anche tener presente che l'Esarca di Sofia, ha affermato che la Chiesa latina non avrebbe nulla da guadagnare dall'ammissione al sacerdozio di uomini

coniugati. Nella mia diocesi ci sono stati buoni preti sposati, ma dopo la loro morte, in armonia con la volontà dei fedeli, non ne sono stati ordinati altri".

Nella mia permanenza a Fabriano (1968-71), parlando un giorno con un avvocato, dei quale mi sfugge il nome, questi mi disse: “Fra Tommaso, le devo dire che io una volta mi ero convinto che forse sarebbe stato meglio che i sacerdoti fossero sposati. Ma durante l'ultima guerra io ero un capitano e combattevo sul fronte greco, lì ebbi l'occasione di osservare e di conoscere i sacerdoti sposati. Dal loro modo di agire e dal traffico nero che facevano per provvedere alla famiglia, capii che la Chiesa Romana fa molto bene ad opporsi al matrimonio dei sacerdoti".

 

Chiudo l'argomento ricordando alcuni pensieri dell'attuale papa, Giovanni Paolo II, il quale, parlando alla Congregazione per il Clero, ha detto che “il celibato è dono prezioso perla Chiesa". “Il celibato ecclesiastico costituisce, per la Chiesa, un tesoro da custodire con ogni cura e da proporre soprattutto oggi come segno di contraddizione per una società bisognosa di essere richiamata ai valori superiori e definitivi dell'esistenza". Perciò "Le difficoltà presenti non possono far rinunciare a tale prezioso dono". "Anche in altre epoche, aggiunge il Papa, ci sono stati dei momenti di difficoltà, poi superati. E quindi anche oggi occorre leggere le situazioni concrete con fede e umiltà senza privilegiare criteri di tipo antropologico, sociologico o psicologico, che mentre danno l'illusione di risolvere i problemi, in realtà finiscono per ampliarli a dismisura". "Ai giovani - continua il Papa - devono essere offerti alti ideali ed esempi concreti di austerità, coerenza, generosità e dedizione incondizionate". "Il sacerdozio è dono dall'Alto e non va considerato come una realtà puramente umana, quasi fosse espressione di una comunità che elegge democraticamente il suo pastore. I pastori, invece, vengono eletti deliberatamente dalla sovrana volontà di Dio". “E’ quanto mai urgente, in questa nostra epoca segnata da una diffusa, anche se talora non espressa, sete di valori, che i ministri dell'altare, avendo costantemente presente allo spirito la grandezza della loro vocazione, siano formati a svolgere con fedeltà e competenza il loro ministero pastorale e missionario" (Dall'Osservatore Romano, p. 5 del 23.10.93).

Il Signore vi dia pace.

   Fra Tommaso Maria di Gesù

(fine dell'argomento)

 

BIBLIOGRAFIA

 

1. Enciclopedia Cattolica. 

2. Dottrina della fede, F. Amerio, Ed. Ares, Milano.

3. Civiltà Cattolica, n. 3346, 18.11.1984

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