E’ un consiglio che dò a tutti i miei amici appassionati di Ciccio: non portatemi con voi ai concerti di De Gregori. Con me ci si perde per le strade di campagna, di notte, o si rimane bloccati per contrattempi. Praticamente sono una sfiga per i miei compagni di viaggio!
Ma soprattutto con me pioverà, pioverà a dirotto. Qualche giorno prima qualcuno si lamentava nel forum per le cattive previsioni meteo di Foggia. Poi la sera è filato tutto per il verso giusto, non ha pioviuto e ho letto che la gente si è divertita, all’aperto. Ma io non c’ero!
Nonostante l’amico Maurizio Arena mi confermasse rosee aspettative per il 23 settembre a Messina, io ero già convinto del contrario: no, non è possibile che sarà sereno, pioverà, ne sono certo. Mi rovinerà anche questa. L’avevo già scritto l’altro giorno: in vita mia la pioggia mi ha rovinato di tutto; una sorta di nuvoletta fantozziana mi cerca dall’alto come un satellite quando sto per uscire di casa. Infatti, appena l’ha saputo si è messa in moto e puntualmente è arrivato il cambio di location.
Con gli amici di Ragusa (fra i quali un noto Salvo3) ci avviamo a Messina dove incontriamo Mauro Arena e signora, sua madre e il mitico padre chiamato dal sottoscritto Mr. Zimmy per via della sua leggendaria passione per Bob Dylan.
Quattro chiacchiere con Alex Valle, un saluto a Guido e poi, “sempre sotto la pioggia”, all’interno del Vittorio Emanuele, storico teatro sul lungomare messinese rimasto in piedi dopo il terremoto del 1908, il cui interno è stato completamente sventrato, ricostruito e ristrutturato. Un piccolo gioiello acustico con 1.000 poltroncine tutte raccolte sotto un grande soffitto dipinto dal grande Renato Guttuso nel 1985.
Vi risparmio l’avventura del viaggio di ritorno a Catania e a Ragusa (c’era presente il sottoscritto, quindi poteva capitare di tutto) sotto un nubifragio abbattutosi sulla A18, così violento ed abbondante da non farci vedere niente oltre il parabrezza. Alle tre del mattino, due ore dopo il nostro passaggio a 40 km. orari, su quelle strade si è abbattuta la nota frana che ha scollegato Catania e Messina per due giorni.
Adesso che siamo all’asciutto….. passiamo al concerto.
In perfetto orario, alle 21.30, entra Francesco fra gli applausi. In gran forma, con un abbigliamento che mi ricorda vagamente certi jazzisti che facevano la spola fra Cuba e la Florida suonando Porter e Miller o, che so, una figurina che fuma le Camel impressa sulle scatole di latta americane degli anni Quaranta.
Dopo l’inchino di benvenuto, un faro si adagia su di lui, ed è da solo. Si intravedono soltanto le linee della sua dinoccolata figura che alterna le due Gibson con l’armonica a bocca. E con questo piccolo quadretto si comincia la prima parte, tutta acustica.
“Questa è una canzona dedicata a una grande cantante, che molto tempo fa accompagnai in giro per l’Italia come chitarrista. La canzone si chiama Caterina.”
Poi Quattro Cani e Pezzi di vetro, suonate e cantate in modo magistrale, senza nessun accenno di svogliatezza, di noia, di fretta. Quel signore con il Borsalino in testa sa ancora suonare eccome, come una volta; sa ancora cantare eccome, come una volta. E, non me ne voglia, me lo sono goduto da buon Talebano eccome, come una volta.
Le due canzoni, che sembravano uscite direttamente dall’LP della RCA, sono state interpretate come ai tempi di Rimmel, con quell’arpeggio particolare di cui mi innamorai 35 anni fa e grazie al quale sono ancor oggi qui a parlare di colui che lo ha manovrato, quell’arpeggio. Anche Francesco sa bene che queste due perle, quegli accordi, quelle dita posizionate in un certo punto della testiera, sono il frutto di quel miracolo avvenuto quando lui era aveva intorno a vent’anni e le geniali molecole della sua fantasia giravano a mille sulla maccina da scrivere e sul pentagramma. Allora pensò che dovevano essere suonate così; col tempo si è divertito ad arrangiare, a rocckettare, stravolgere, a capovolgere; insomma, il giovanotto si è divertito. Con la maturità ha capito che il prodotto migliore è sempre quello costruito da giovani, quando a volte certe emozioni ti fanno produrre autentici capolavori. Puoi modificarli, arrangiarli diversamente, svuotar loro le tasche mettendoli a testa in giù, ma alla fine si torna sempre al passato.
”Quest’altra canzone parla di un ricco stregone, che era innamorato di una donna……..”
Mentre Francesco spiega, dalla sala arriva una voce “L’Angelo di Lyon”!
“Bravo!!! Il nostro amico ha vinto….. cinque minuti di silenzio!” la risposta di Francesco. Risata generale (tranne lui).
Arriva tutta la band. I loro volti, i loro strumenti, i loro movimenti mi sono ormai familiari; è un piacere rivedere questi ragazzi almeno una volta all’anno come quando si salutano i compagni di classe a settembre. Con questa straordinaria band che ormai da anni suona a memoria, che è ormai capace dl leggere gli spartiti pure dentro la testa del Capo, che è addirittura in condizioni di anticipare anche le sue bizzarre interruzioni, il concerto continua con Finestre rotte e poi, tutte d’un fiato, un’incantevole Atlantide, Viva l'italia, Compagni di viaggio, Caldo e Scuro, Vai In Africa Celestino e una soroprendente Capo d’Africa, con atmosfere, colori e arrangiamenti che sembrava di essere all’Avana.
“La leva calcistica della classe '68”. Ciccio arriva fino a “….un giocatore lo vedi dal coraggio,
dall'altruismo e dalla fantasia” e una piccolissima pausa. Non gli è stato più possibile proseguire perché viene anticipato dal solito signore in sala che si mette a cantare a squarciagola: “……..e chissà quanti ne hai visti, quanti ne vedrai……”.
A quel punto Francesco interrompe la canzone e dice “Eh, no! Legatelo! Lo chiedo, per favore, a chi gli è seduto vicino!” Altra risata, tranne noi che, conoscendo il Maestro, sapevamo che in quel momento stava per esplodere e che sarebbe sceso in sala prendendolo a calci sulle gengive.
Ma la serata non è nervosa, qualcosa rimane, e infatti arriva Rimmel e Festival con uno straordinario assolo di Bardi che mette i brividi addosso. Lucio si ripete durante l’esecuzione di Battere e levare, stavolta con intensi virtuosismi country al violino elettrico. Poi Titanic e Deriva che arrivano di colpo assieme, come un omaggio al Nostromo.
Poi Francesco si siede al pianoforte. E’ di buon umore, guarda la sala per cinque secondi e dice “mbè”? E si mette a ridere. E quindi ci racconta una storia che dà i brividi, che entra dentro le stanze, le brucia. Che dà torto e dà ragione, perchè nessuno la può fermare.
Ma che bel racconto, che concerto, che bello … come mi sto divertendo beato e seduto in seconda fila, senza muovermi da destra a sinistra come un dannato. Al contrario dello scorso anno a Sciacca, questa volta non ho voluto portare la fotocamera per godermi al meglio lo spettacolo, senza avere l’ansia del risultato, esposizioni, tempi di apertura, iso e diaframmi. Ho fatto il semplice spettatore, anche se devo ammettere che l’altra sera sarebbero venute fuori fotografie spettacolari perché chi ha progettato le luci di questo tour è stato davvero bravo: affascinanti, colori bellissimi che assieme alle musiche avvolgono i musicisti sul palco in un tutt’uno davvero magico. Complimenti al tecnico.
Dal buio si alza una lira: “Eccomi qua!”. Più il tempo passa e più questa grande canzone, anziché cantata è recitata, narrata in ogni riga, riferita agli ascoltatori, spiegata in ogni dettaglio. Ormai Francesco la mima in una maniera così teatrale che chiunque riuscirebbe a capire il significato del testo. Ogni volta lo vedo muoversi con una gestualità ancora più raffinata, più professionale. Più che cantante, sta diventando sempre di più attore e sembra essere proprio lui il protagonista della canzone. Accompagna le parole con mosse ed espressioni che ti proiettano dall’ultima fila dritto fino al camerino già vecchio, facendoti vedere tutto in home theater: il lavandino, lo specchio, il manifesto, il padre, la figlia.
Siamo incantati sulle note finali, si entra quasi nel mondo irreale di Francesco, la sua musica ci scardina dalle poltrone e ci solleva fino al soffitto dove è raffigurato il canto delle sirene dipinto del grande pittore siciliano. Quasi in catalessi, come tritoni volteggiamo attorno a quelle figure nel mare azzurro, sostenuti dalle note che il mito che sta otto metri più sotto, ci lancia continuamente.
Ma non sarà il canto delle sirene che ci addormenterà, noi lo conosciamo bene, l'abbiamo sentito già! Infatti veniamo bruscamente svegliati dalle squillanti chitarre di Giovenchi, che da dietro la curva ci preannuncia la volata country di un ciclista chiamato Pollastri. Ed è festa!
Appena lasciato quel briccone di Sante, Ciccio presenta la sua band, quindi si avvicina al microfono, si toglie il cappello mettendolo al petto, si inchina e dandoci la buonanotte ci confessa l’emozione particolare che prova ogni qualvolta mette piede in Sicilia. “Bravi, complimenti per questa vostra bella terra!”. E se ne va, ma non è vero.
Eh no, caro mio, esci. Esci, che qui ti reclamano a gran voce (non capirò mai il significato dei bis)
Al rientro, con al piano Arianti, esegue la Donna cannone come solo lui sa fare. Poi l’Agnello di Dio ed infine una Buonanotte fiorellino suonata come negli anni Settanta, in modo classico. Però siccome il Capo ha voglia di scherzare, manda in tilt la band quando deve riattaccare a cantare. Tutti i musicisti ridono per le sue birichinate, compreso il capobanda che, a detta di Ciccio, stupisce sempre di più.
Fra le bellissime note di questo immortale walzer, il Maestro getta il plettro ancora bollente davanti a sé e si allontana definitivamente dietro le quinte.
Ah, questo pubblico pagante, quante ne deve subire!
Tempo fa, Francesco storceva la bocca quando un applauso del pubblico sottolineava la passione per lui proprio al punto della famosa strofa. Oggi, forse perché è ormai consapevole di essere un monumento della canzone italiana, quell’applauso quasi lo pretende, e lo chiede con forza incitando la platea con le sue lunghe braccia, perché ha capito che non si può più trattenerlo, quell’applauso; non si possono tenere le mani ferme nè davanti a una bellissima canzone, né davanti a una leggenda del genere.
Quel pubblico pagante ha voglia di sottolinearlo sempre, con un applauso, il tuo nome che scintillerà. Per tanto tempo ancora.
Grazie ancora una volta, Francesco! E che Dio ti benedica.
Mimmo Rapisarda
[Modificato da mimmorapisarda 25/09/2009 18:04]