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Un racconto ambientato nella WWII

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2009 22:53
16/07/2009 09:56
 
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1
23 Giugno 1942
Pioveva a dirotto sulla costa sud-orientale dell’Inghilterra, una vecchia Rolls-Royce di colore nero viaggiava veloce sulla strada semiallagata per Londra, i fari erano stati coperti come prevedevano le norme per l’oscuramento, la luce che filtrava dalle piccole fenditure permetteva a malapena di vedere qualche metro oltre il cofano, ma Henry Dicrich guidava con scioltezza. Era un sessantenne basso e grassottello, i capelli erano radi, ma ancora nerissimi così come i baffi che spuntavano sotto un grosso naso aquilino; quella sera indossava un completo spigato marrone, sulla giacca era appuntata una spilla della RAF.
Giunse in Downing Street verso le otto e un quarto, mancavano ancora dieci minuti all’appuntamento con Churchill, non sapeva ancora per quale motivo l’avesse convocato, ma si doveva trattare di qualcosa di importante. Posteggiò l’auto, aprì l’ombrello e si avviò verso il n°10, alla porta un ufficiale gli chiese i documenti, ultimato il controllo fu accompagnato nell’ufficio del primo ministro, qui trovò ad attenderlo anche un uomo in uniforme che fumava lentamente un sigaro.
Il colonnello Maxwell aveva una decina d’anni in meno di Henry, che lo riconobbe grazie a ricci capelli color rame che spuntavano dal basco amaranto, erano stati compagni di stanza fin dall’accademia, erano ottimi amici allora come oggi; li dividevano trenta centimetri di altezza e altrettanti chili di peso.
“Buona sera Primo ministro, salve Charles”, disse con il suo inconfondibile accento tedesco, appoggiando il soprabito su una massiccia sedia posta di fronte alla scrivania piena di fogli e fascicoli, il suo sguardo cadde subito su una dettagliatissima carta del suo paese natale: la Germania.
“Benvenuto maggiore. Si accomodi, il colonnello stava giusto per iniziare ad espormi i suoi dati, tra poco capirà anche perché le è stato chiesto di venire qui. Prego…”
“Noi stiamo cercando di creare una bomba, così detta “atomica”, non ottenendo risultati; altrettanto sapevamo fosse la condizione di progresso raggiunta dagli scienziati del Reich, ma tre giorni fa un He-111 (bombardiere bimotore tedesco in grado di trasportare fino a 2ton di bombe) secondo fonti norvegesi, ha effettuato un lancio in mare, una specie di fungo di fumo, anche se debolmente, è stato avvistato dalla costa, che è ad oltre quattrocento chilometri di distanza. Tutto ciò non è stato confermato, perché non è più stato possibile avere contatti con il settore norvegese, sembrano spariti nel nulla. Pensiamo possano essere stati liquidati o che tutto ciò sia stata solo una farsa per farci pisciare nei calzoni. Ma da qui non possiamo saperlo. Il contatto supponeva una delle Ostfriesische inseln (isole frisone orientali) come probabile sito dei laboratori nazisti. Dobbiamo mandare qualcuno sul posto, ed è qui che entri in gioco tu”.
Non lo lasciò neanche continuare, “Caro amico, dimentichi gli anni che ho, sono passati i tempi in cui correvo. Ho lasciato l’unico amore della mia vità: il volo, perché mi sentivo stanco e tu credi che dieci anni dopo sia pronto per fare la spia?”
“Non pensavo esattamente a te, ma a tua figlia Elisabeth. Conosce bene il tedesco, grazie a te, e ha studiato letteratura tedesca a Berlino. Abbiamo bisogno di una persona fidata, che si possa introdurre e muovere con facilità in Germania. Non c’è tempo per addestrare nessuno. Lei è la nostra… è l’unica possibilità del regno unito!”
“Ma non ha neanche ventidue anni…” ribattè.
Intervenne il primo ministro: “Non le chiederemmo nulla di simile se non fosse strettamente necessario”.
Dopo aver riflettuto intensamente per qualche istante disse: “Va bene, per la mia patria darei la vita, ma non obbligherò mia figlia a fare altrettanto! Le parlerò, ma sarà lei e solo lei a decidere se accettare. Quanto tempo ho?”
“Il problema è che, se le informazioni fossero vere, non ne ha. Quarantotto ore le dovranno bastare, mi dispiace. Quando avrà accettato tornerete qui per i dettagli”, proseguì Churchill.
“Avrete una risposta al più presto, ora vado da lei”, indossato il soprabito uscì. Aveva smesso di piovere, il viaggio sarebbe stato meno faticoso.






















2
Erano le cinque e mezzo del pomeriggio, il cielo che fino a poco prima era pressoché limpido ora era carico di nuvoloni neri pronti a scaricare una marea d’acqua da lì a poco.
Cristine Dicrich era una ragazza di ventitre anni alta, longilinea, i capelli corvini che le giungevano a metà schiena sembravano dipinti nella loro lucentezza e nella perfezione dei boccoli, gli occhi verde smeraldo, ereditati dalla madre, trasmettevano a chi li incontrava determinazione e forza d’animo, che ne costituivano gli elementi caratteriali più salienti. Stava raccogliendo i panni stesi su un filo legato a due rigogliosi alberi, aveva quasi terminato quando, volgendo lo sguardo al cielo per saggiarne le intenzioni, scorse arrampicata a quattro o cinque metri d’altezza sua sorella Elisabeth che stava fumando una sigaretta di nascosto.
Erano molto diverse, lei aveva i capelli ritti come spaghetti, biondi, li aveva come al solito legati in un “cespuglietto” sulla parte superiore della nuca, aveva il taglio dell’occhio totalmente diverso dalla sorella, l’iride era azzurra, di giaccio, lei non era certo della stessa materia, era calda ed espansiva, fin troppo secondo Cristine, le sue labbra carnose, di un rosso vivo, avevano regalato attimi indimenticabili a molti ragazzi. Elisabeth aveva voluto imparare la lingua madre di suo padre e si era recata in Germania per studiare letteratura, lo scoppio della guerra l’aveva costretta ad un rapido rimpatrio e all’abbandono dell’università di Berlino.
“Vieni subito giù di lì! Ellis lo sai che nostra madre non vuole che fumi, buttala via!”, le gridò lanciandole una molletta.
“Come sei noiosa… Cosa ci sarà di male nel rilassarsi un poco?”, tirò una lunga boccata e poi scese agilmente dall’albero piombando di fronte a sua sorella che ancora guardava per aria.
“Dai ti do una mano a portare il cesto in casa” disse con un sorrisetto sbeffeggiatore mentre iniziavano a cadere le prime gocce di un temporale che si sarebbe protratto per alcune ore.

Erano le otto quando bussò alla porta di casa loro un giovane inglese, indossava una tuta da ginnastica blu e scarpe da tennis, i capelli castani, un po’ ribelli e lunghi, gli ricadevano sugli occhi scuri. Ellis uscì e si unì a lui sotto un grosso ombrello col quale raggiunsero la casa ove lui viveva da solo. La ragazza indossava una graziosa gonnellina a pieghe rossa e una maglia bianca dal collo alto, aveva con se una sacca da viaggio, non sarebbe tornata a casa a dormire quella notte.

Il signor Dicrich rientrò un ora più tardi. Inizialmente si arrabbiò scoprendo che la figlia minore non era a casa, ma poi ne fu felice. “Potrebbe essere la sua ultima notte qui, che se la goda…” pensò tra se. Avrebbe voluto raccontare il contenuto del colloquio a sua moglie per liberarsi dei pesi che gli gravavano addosso, ma ritenne più opportuno portare quel fardello da solo almeno fino a quando la giovane figlia non avesse accettato.








3
24 Giugno
Ellis tornò a casa per l’ora di colazione, in cucina vi era suo padre.
“Buon giorno, sembra non abbiate dormito molto. Cosa vi preoccupa? Ne sono responsabile?”, nonostante un po’ di arroganza provava rispetto per i suoi genitori.
“Della tua scappatella notturna parleremo un'altra volta…
Ieri sera sono stato convocato da Churchill in persona, c’era anche Charles, sai il mio amico… Andiamo avanti, cioè è difficile dirtelo, il primo ministro ha necessità di inviare una persona in Germania per verificare l’esistenza di un laboratorio, mi hanno chiesto di te, i dettagli ti verranno comunicati dopo che avrai accettato. Non vorrei mai che tu debba partire per un compito così rischioso, ma sembra di importanza elevata. Sei libera di scegliere, ma purtroppo il tempo concessoti è limitato… fino a domani sera”
“Mi farebbe piacere recarmi nuovamente nel tuo paese natale, mi piace molto, ma il modo non mi sembra il migliore, lasciami il tempo di riflettere”, si congedò e uscita di casa si arrampicò sull’amato albero, estrasse una sigaretta da un pacchetto ormai vuoto, la fumò lentamente o meglio consumò tra le sue dita.
Un ora e mezza dopo scese, trovò suo padre davanti ad una tazza di té, gli disse:”Accetto. Immagino che non potrò dire a nessuno dove vado”
“Si, deve rimanere tutto in questa casa”, rispose Henry, dopo essersi ripreso dalla tanto temuta scelta positiva.





4
Sul piccolo aeroporto “Von Zuf” nei pressi di Brema splendeva il sole.
Il lato sud della pista in terra battuta si addentrava in un rigoglioso bosco di latifoglie, mentre all’altro capo vi erano gli uffici, l’officina e cinque hangar.
Un rombo d’aereo scosse lentamente l’austero silenzio che regnava in quella tiepida mattina sull’aviosuperficie, si trattava di un Messerschmitt Bf-109 F-4, il velivolo da caccia tedesco di più recente produzione. Il guardiano e un paio di aviatori ne osservarono la discesa e l’atterraggio, quando terminò il rullaggio notarono sulla carlinga dipinti oltre sessanta coccarde britanniche e americane attestanti i velivoli abbattuti, e la scritta “Ellis” sul timone di coda; era tornato a casa Albert Guther, il Wittman della Luftwaffe, per il suo carniere di vittorie era secondo solo ad Hans Marseille.
Dal tettuccio usci un ragazzo con la divisa blu scuro della flotta aerea del Reich, al collo portava la croce di ferro di prima classe, sul volto sporco d’olio spiccavano due grandi occhi castani, dalla bustina inclinata su un lato spuntano alcuni ciuffi mori.
“Heil Hitler” pronunciarono tutti e quattro insieme stendendo il braccio.
“Buongiorno Leutnant (sottotenente)” disse il guardiano. Era un uomo rozzo, ma gentile, un ottimo meccanico, forse il migliore della regione. Gestiva Von Zuf già quando Guther si era librato per la prima volta in volo.
“Chiamami Albert come ai vecchi tempi, sono in licenza questa settimana e voglio essere me stesso, non l’ufficiale”
“Allora bentornato!, sono mesi che sei partito sono contento di averti qui. Questo è il gioiello con cui semini terrore nei cieli?”
“Si, è il miglior aereo che abbia mai pilotato, ed è mio… Il fuhrer me ne ha fatto dono come pegno per il mio operato”
“Pochi giorni dopo che sei partito è arrivata per te una lettera dall’Inghilterra, non sapevo dove mandartela quindi l’ho messa nella tua stanza, il profumo purtroppo sarà sparito, la puoi trovare nel primo cassetto della scrivania.”
“Grazie, ora scusami…”, si recò di corsa nella sua vecchia stanza, era tutto come lo aveva lasciato oltre quindici mesi prima. Alle pareti erano appesi poster di propaganda della Luftwaffe, di aerei e un paio ritraevano donne in abbigliamento e pose provocanti. La piccola scrivania di rovere era ricoperta da uno spesso strato di polvere, aprì il primo cassetto vi trovò una busta leggermente ingiallita, il timbro postale riportava: Herne Bay (U.K.) 03-Gen-41. Dopo aver tagliato la busta con un coltello ne estrasse la lettera, annusò i fogli assaporando il dolce profumo che emanavano ancora, la mente gli tornò all’estate del ’39, quando baciava la pelle della bionda che gli aveva stregato il cuore, ripensò al giorno un cui l’aveva abbracciata per l’ultima volta prima che ritornasse in Inghilterra.
Una lacrima gli attraversò la guancia facendo riaffiorare la rosea pelle dal leggero strato nero d’olio.
“Ciao Albert,
mi manchi tanto, ogni sera prima di addormentarmi guardo la foto fatta ai ruderi del castello, non dimenticherò mai quel tramonto di fuoco e neanche quello che ci ardeva dentro durante la notte. Spero che questa maledetta guerra non ti abbia ancora raggiunto e che non lo faccia mai! Voglio riabbracciarti, baciarti, sentire il tuo calore sulla mia pelle. Non vedo l’ora che questo inferno finisca, non riesco a sopportare la tua assenza.
Un grosso bacio,
Ellis”
Dalla tuta estrasse la foto a cui faceva riferimento Ellisabeth, lei era bellissima, indossava una vestito corto senza maniche con un ampia scollatura che lasciava intravedere il seno prosperoso, su cui si era addormentato dopo che ebbero fatto l’amore.
Era passato tanto tempo da allora, il ricordo era ancora vivo in lui. L’amava profondamente, era molto che non la vedeva, ma non aveva mai cercato un'altra ragazza.
Aprì il secondo cassetto ne estrasse una penna stilografica, carta da lettere e iniziò a scrivere:
“Von Zuf, 15 Aprile 1942
Carissima Ellis ho appena letto una tua lettera, è moltissimo che l’hai spedita, ma l’ho avuta solo ora.
Sono un ufficiale della Luftwaffe, dicono uno dei migliori, ho sempre paura quando sono lassù con il nemico che potrebbe prendermi alle spalle da un momento all’altro, ma pensando che devo rimanere vivo per rivederti trovo il coraggio di lottare. Ho scritto il tuo nome sulla coda del mio aereo, non che abbia paura di scordarlo.
Non avevo mai pensato che la mia passione per il volo mi potesse portare ad uccidere un altro che prova le stesse emozioni, ma indossa una divisa diversa!
Odio la guerra, ma il mio paese mi chiede di combattere, lo faccio non per il Fuhrer, ma per mia madre e mio padre, perché siano fieri di me. Per ripagarli della immensa possibilità che mi hanno dato: la libertà di volare come gli uccelli.
La cosa che mi fa più male è il dover dare la caccia ai tuoi connazionali, ma in fondo sei anche tu tedesca come me.
Tu sei il mio ultimo pensiero al tramonto e il primo all’alba, a volte penso che impazzirò se non ti rivedo al più presto!
Ti amo non dimenticarlo mai!!!
Albert
5
Durante il pranzo il Signor Dicrich informò il resto della famiglia del compito che spettava ad Elisabeth, sua moglie che era sempre contenuta e calma si lasciò prendere dalla collera contro il marito. La figlia minore la calmò dicendo che aveva deciso in maniera del tutto autonoma, che aveva deciso di smettere di giocare nel prato, era ora che si rendesse utile e se ciò che stava per fare poteva servire a tenere al sicuro le persone a lei più care l’avrebbe fatto ancora con maggiore determinazione.
Cristine rimase sconcertata da un così radicale cambio di posizione da parte della sua sorellina, ma era felice che fosse finalmente cresciuta.

Concluso il pasto le due sorelle si recarono nella loro stanza, Elisabeth si mise a preparare la valigia con l’aiuto della sorella, sapeva che non ne avrebbe avuto il tempo in seguito, che una volta ricevuto i dettagli dal primo ministro sarebbe dovuta partire.
“Cosa ne dici di questo vestito? E questa maglia?” disse come se stesse partendo per la più comune delle vacanze.
Cristine l’assecondò come nulla fosse, non voleva mettersi a piangere, mostrarsi debole di fronte al coraggio che sua sorella manifestava in quei momenti; “Io porterei quello blu che ti ha regalato la mamma il mese scorso,…”

Alle sette la giovane, in un elegante completo nero in coordinato con un paio di scarpe dal tacco alto, si trovava nell’ufficio al n°10 di Downing Street. Churchill fumando il suo sigaro disse:”Miss Dicrich la ringrazio per aver accettato questa avventura a scatola chiusa”
Ellis, che sopportava poco le gerarchie, espresse immediatamente la sua opinione: “Non mi interessano le sue retoriche premesse, voglio sapere cosa mi aspetta! La verità nuda e cruda”
Suo padre stava per apostrofarla, ma il primo ministro lo invitò a non farlo con una semplice espressione del volto.
Il colonnello Maxwell ponendo sul tavolo alcuni documenti falsi iniziò ad esporre:”Come vede manterrà il nome e il cognome diverrà Gherb. Giungerà in Germania durante la notte con un aereo che abbiamo sottratto in un incursione ai nazisti, a bordo vi sarà un pilota della RAF e due membri dell’equipaggio tedeschi, atterrerà all’aereoporto Nordey nei pressi di Norddeich, una piccola città nella bassa sassonia , nel raggio di meno di cinquanta chilometri vi sono tutte le West Friese Eilanden, quella in cui pensiamo sia sito il laboratorio nazista dista solo dieci chilometri.

















L’aereo ripartirà quasi subito, sarà sola.
Secondo i suoi documenti lei arriva da un paese della Germania del sud, ha ottenuto un passaggio da alcuni amici che si recavano in zona per portare medicinali.
Risiederà all’Hotel Fahrhaus, si guadagnerà il vitto e l’alloggio esibendosi la sera, per questo abbiamo già accordi con la proprietaria: Marie du Fell. La sua copertura le richiede molto, ma la protegge da molti problemi legati al suo arrivo improvviso. Lo scopo della sua missione è ottenere le maggiori informazioni possibili sul laboratorio, e se necessario dovrà penetrarvi, sempre che esista!
“L’esibirmi non è un problema, anzi potrebbe essere divertente”
“Qui c’è il suo equipaggiamento” disse Charles aprendo una piccola valigetta contenente una micro-trasmittente, una piccola pistola di fabbricazione tedesca e una macchina fotografica.
Elisabeth prese l’arma e se la infilò nella giarrettiera rosso fuoco dicendo: “Ho sempre desiderato un giocattolo come questo!”
Il maggiore rimase un attimo a fissarle le gambe, poi prosegui:”Se non ha nulla da chiedere l’accompagnerei all’aereo”
Scosse leggermente il capo, trasferì l’equipaggiamento nella sua valigia e poi lasciarono l’ufficio.










6
In quindici minuti raggiunsero l’aeroporto, sulla pista 4L stava già attendendo a motore acceso un piccolo velivolo grigio con una svastica nera dipinta sulla fiancata di destra. I membri dell’equipaggio scattarono sull’attenti appena intravidero il colonnello.
“Riposo! Questa è Miss Gherb, sapete già dove dovrete condurla.”
“Certo signore. Miss se vuole darmi il suo bagaglio…” disse uno mentre l’altro le porgeva la mano per aiutarla salire a bordo, Ellis rifiutando l’aiuto di entrambi prese posto all’interno. Si accomodò nella prima delle due file di sedili, accanto al finestrino; aveva già volato, ma questa volta si sentiva…, non sapeva neanche lei se si trattava di agitazione o eccitazione.
Poco dopo fu chiuso il portelo, il motore inizio a ruggire in modo assordante, mentre lentamente il velivolo acquistava velocità fino al decollo. Il viaggio duro alcune ore, che furono ricche di forti vibrazioni; la ragazza non credeva di soffrire di mal d’aereo, ma la sua condizione la costrinse a rivedere questo punto.
Nonostante la pista fosse scarsamente illuminata, per motivi di sicurezza, l’atterraggio fu rapido e preciso.
Ellis posò lentamente i suoi primi passi sul suolo tedesco, mentre una brezza leggera le muoveva i capelli e carezzava il viso quasi a darle il benvenuto.
Sopraggiunse un Opel Blitz grigio chiaro con una grande croce rossa su ciascun lato, ne scesero due soldati tedeschi con le insegne della sanità che si diedero subito da fare nel trasferire una decina di casse di legno dall’aeromobile al camion, senza curarsi dalla figura femminile che li osservava.
Ellis iniziò a camminare in direzione di quello che pareva essere l’edificio principale, era disposto su tre piani ognuno dei quali presentava qualche luce accesa, molto poche rispetto alla mole della struttura. Marie, era una donna sulla cinquantina minuta, ma energica, aveva i capelli corvini riuniti in una treccia che si posava sulla spalla sinistra, i piccoli occhi scuri guardavano il mondo attraverso un grosso paio di occhiali che poggiavano in modo non perfetto sul piccolo naso schiacciato; vide avvicinarsi dapprima un punto rosso che appariva ogni tanto, poi distinse la sagoma in abito scuro con una valigia, infine la poté guardare in tutta la sua bellezza, mentre questa gettava una sigaretta a terra e la spegneva sotto la scarpa con gesti sincronizzati e disinvolti.
“Lei deve essere Miss Gherb. Io sono Marie, lavorerà per me d’ora in poi”, disse con voce ferma, ma in qualche modo dolce.
“Si, mi chiamo Elisabeth. Sono lieta di potermi esibire nel suo rinomato locale”
“Visto che è tutto a posto possiamo andare all’Hotel. Le mostrerò la sua stanza, mi sembra stanca; di tutto il resto potremo discutere domani mattina”
Annui col capo e la seguì all’interno del grosso edificio, era pieno di slogan inneggianti al Reich e al suo Fuhrer, doveva essere stato ridipinto di recente, l’odore di vernice era ancora forte. All’uscita vi era un Unteroffizier (sergente) della Feldgendarmerie, l’appartenenza alle forze di polizia era ben segnalata dalla gorgiera metallica oltre che dal distintivo posto sulla manica sinistra della divisa, uguale a quella dell’esercito, ma con fregi differenti. Domando i documenti alle due donne, tutto era secondo norma quindi aprì loro la porta che dava su un piccolo piazzale, qui erano posteggiate due biciclette con cui raggiunsero il paese. La signora Marie possedeva un piccola automobile, ma il razionamento del carburante la costringeva in garage già da moltissimi mesi.
L’Hotel Fahrhaus era un edificio un po’ vecchio, ma in ottimo stato, sulla parete rosso cupo era dipinto uno stemma raffigurante un falco che serrava tra gli artigli una grossa effe di legno. L’atrio era ampio e di ottimo gusto: sulla destra vi era una scrivania ad angolo in abete, alle cui spalle vi era un pannello di legno numerato fino a 20 con alcune chiavi appese; a sinistra una tenda di spesso velluto rosso con ricamata una scritta che doveva significare bar e dritto avanti vi era una massiccia scala in pietra. Marie prese la chiave contrassegnata dal numero cinque e disse: “E’ la terza porta a sinistra, le auguro buon riposo”
“Grazie, a domattina” e si avviò su per la scala posando delicatamente i suoi passi.
La chiave cigolò nella serratura, così come la porta quando se la chiuse alle spalle. Ellis trovò la stanza piccola, ma accogliente; lasciata cadere la valigia a terra si butto sul letto, bastò un istante perché si addormentasse.

25 Giugno
Quando riaprì gli occhi il sole ancora pallido filtrava dalle finestre illuminando la stanza; sfilò lentamente le calze, si spogliò con classe quasi avesse un uomo da sedurre, poi mise nell’armadio il completo e la camicetta bianca appendendoli all’unico attaccapanni che riuscì a trovare. Slacciò il reggiseno lasciando che i candidi seni percepissero la fresca aria che passava attraverso le fessure delle un po’ deformate finestre in legno.
Scese al piano inferiore alle dieci circa, la tenda del bar era scostata, seduta a un tavolino Marie stava versando del surrogato da un pentolino di rame in una piccola tazza che portò poi alle labbra.
“Buongiorno!, gradisce un po’ di caffè?, l’ho appena fatto”
Ellis avrebbe preferito vivamente del tè, ma accettò ciò che le veniva offerto. Si sedette e assaggiò la bevanda, che aveva un gusto meno sgradevole di ciò che immaginasse.
“Quello laggiù è il suo palco, solitamente la sala non è affollata, ma sta sera saranno in molti a venire a vedere come è la nuova venuta: lei”
“Ottima struttura. Vorrei sapere quale sarà il mio compenso?”
“Oltre al vitto e all’alloggio avrà 10 marchi a sera, questi sono per oggi”, disse estraendo una banconota.
“Grazie”
“Se vuole ora le mostro il suo camerino…”
“Volentieri”
Attraversarono la grande sala, era tutta piena di tavolini ognuno con un raffinato centrino bianco ricamato a mano, le sedie erano radunate in un angolo perché le due anziane inservienti stavano lavando il pavimento che recava un grosso rosone al centro, quando la proprietaria le passò accanto una si alzò in piedi e Ellis notò che aveva cucita sul grembiule la stella a sei punte ad indicare che era ebrea;
“Scampata al Lager”, pensò tra se.
Il camerino, un quadrato di meno di tre metri di lato, si componeva di una specchiera sul cui mobile erano disposti ordinati trucchi e profumi; e di un armadio in cui erano disposti alcuni vestiti di scena. Per la sua prima serata scelse un babydoll azzurro coordinato di reggicalze e calze, un giacchino corto della Luftwaffe dello stesso colore e il relativo copricapo.
Dopo pranzo uscì per il paese e prima di rientrare per la cena si recò al porto per esaminare l’orario della nave di collegamento con l’isola principale, i trasporti erano tutti contrassegnati da una barra nera ad indicarne la soppressione. Prima di iniziare la sua prima serata comunicò tramite la radio ciò che aveva scoperto.


7
Erano le due di pomeriggio quando il motore del Messerschmitt cominciò a rombare dall’interno dell’hangar n°2 e poco dopo altri due motori furono avviati.
Dal locale degli uffici uscirono tre piloti in assetto da volo, Albert indossava una vecchia tuta che non utilizzava da molto tempo, e di ugual foggia erano quelle degli altri due. Saliti a bordo dei rispettivi velivoli rullarono fino alla pista ove li attendeva il guardiano con una bandierina in mano pronto a dare il segnale di decollo.
I motori furono spinti al 100%, rilasciati i freni i tre aerei iniziarono a prendere velocità fino a staccarsi dal suolo uno dopo l’altro. L’asso diede subito esibizione delle proprie capacità passando con le ali perpendicolari al suolo tra i due compagni, che non distavano l’uno dall’altro più di cinque metri; poi sorvolò la pista a bassa quota in volo rovesciato.
Dopo essersi scaldato un po’ era pronto alla caccia.
Dovette ammettere che le due prede erano molto abili: mentre ne inseguiva uno in verticale l’altro l’aveva sorpreso alle spalle sbucando improvvisamente dalle nubi, ma non gli concedette il tempo di aprire il fuoco, virtuale, eseguendo un loop e colpendolo alla coda.
Era quasi calato il sole quando giunse l’ordine di rientro, avrebbero proseguito ancora, ma la pista era sprovvista di luci per l’atterraggio notturno e il carburante iniziava a scarseggiare.
Giunto a terra gli corse incontro il guardiano con in mano un telegramma urgente per lui:
“Avvistato gruppo bombardieri-250Km- rotta265°-possibile attacco Brema-decollo immediato tutti aerei in zona”
“Presto rifornite il mio aereo e caricate le armi! Tra poco saranno qui bombardieri alleati”, urlò Albert ai meccanici.
Venti minuti dopo il Leutnant era alla testa di una formazione di aerei decollati da una vicina base della Luftwaffe, entrarono in contatto con i velivoli nemici pochi minuti dopo, a circa cinque minuti di volo dalla città.
Lo stormo di circa quindici Avro Lancaster era scortato da una decina di Spitfire. La battaglia inizialmente vide in notevole vantaggio gli alleati che riuscirono a sganciare sull’obbiettivo senza grosse perdite, queste divennero parecchie quando i bombardieri fecero rotta verso casa.
Albert aveva un bombardiere dritto di prua, stava per aprire il fuoco quando fu raggiunto da una raffica sull’ala destra, da ore cinque in perfetta posizione un pilota inglese faceva cantare le sue mitragliatrici, virò allora stretto a sinistra, ma così facendo porto per un istante sotto tiro la coda, che rimase solo lievemente danneggiata. Si trovò in posizione di tiro su un altro velivolo che perse rapidamente quota mentre un paracadute si apriva. Riprese la caccia, l’avversario stava salendo in verticale, lo seguì avvitando l’aereo sull’asse di rollio, alcuni proiettili da 20mm colpirono la carlinga dello Spitfire, il tettuccio si tinse di rosso, l’aereo senza alcun controllo entro in stallo e mentre precipitava troncò la coda di un bombardiere che disgraziatamente si trovava sulla sua folle rotta.
Guther dopo lo scontro poté aggiungere al suo carniere due caccia e tre bombardieri, per un totale di 69 velivoli abbattuti.
Il bilancio dello scontro era il seguente:




8
Da alcune settimane era dislocata a Brema una compagnia di Panzer IV appartenente al II Abteilung (battaglione) del Panzer Regiment HG (Hermann Goring), medesima Panzerdivision.
Il PanzerKampfwagen IV Sdkfz 161 versione Ausf F-2 era equipaggiata con un potente cannone KwK 40 (L/43) da 75 mm lungo 43 calibri, caratterizzato dal freno di bocca di forma globulare. Il cannone imprimeva al proietto una velocità iniziale di 920 m/s ed era in grado di perforare una corazzatura di 87 mm di acciaio inclinata di 30 gradi. Il PzKpfz IV F-2 ristabilì la parità in combattimento tra le divisioni tedesche e le forze corazzate sovietiche (marzo 1942). L’armamento comprendeva anche due mitragliatrici MG34 da 7,92 mm. L’equipaggio si componeva di cinque elementi: pilota, mitragliere, marconista, sevente e capocarro.
Al comando della compagnia vi era l’Hauptmann (capitano) Hector Bahuman. Dimostrava meno dei suoi trentadue anni, i cappelli biondi erano tagliati cortissimi, le labbra sottili erano di un rosa pallido, gli occhi castani erano sormontati da sopracciglia così folte che gli avevano procurato il soprannome di “Eule” (gufo), che rispecchiava anche la sua saggezza tattica. Quel giorno indossava come al solito il completo nero da carrista con il colletto, le mostrine e le spalline bordate di rosa (indicante l’arma d’appartenenza), sul lato sinistro della casacca corta a doppio petto spiccavano la Croce di cavaliere con fronde di quercia e un distintivo d’assalto; al collo aveva il Funkhaube, il sistema dell’interfono del capocarro, costituito da cuffia e laringofono. L’abbigliamento era completato da un berretto rigido con visiera, anch’esso bordato di rosa.
Mezz’ora prima del calar del sole Bahuman con altri cinque carri lasciò la città per dirigersi nelle campagne circostanti per un esercitazione di tiro in notturna, la peggior e la più rara condizione di combattimento che si potesse prospettare.
Questa fu la loro salvezza, il resto del gruppo fu distrutto da un bombardamento alleato di cui non avevano avuto avviso a causa di un sabotaggio. Gran parte della città era ridotta in macerie, dal comando ricevettero l’ordine di stabilire il loro campo base presso il porto della città di Norddeich, ove erano già alloggiati due equipaggi della loro compagnia per effettuare manutenzione sui loro mezzi.

26 Giugno
Verso le sei della mattina successiva la colonna di Panzer IV attraversò la città ancora addormentata a tutta velocità (40 km/h) lasciandosi alle spalle una nube di polvere.
Al porto l’attività era agli inizi, il cambio della guardia all’entrata si era appena concluso, un soldato con i galloni da caporale scattò sull’attenti e salutò col braccio teso
l’Hauptmann che si trovava in piedi sua postazione di capocarro, mentre un altro soldato col fucile a tracolla alzava la barriera dell’entrata.
Mentre gli altri carri si dirigevano ai capannoni adibiti al loro ricovero, il Panzer IV n°037, quello di Eule, andò a fermarsi di fronte alla capitaneria di porto. L’edificio era di vecchia produzione, sopra la grossa porta centrale vi era inciso 1781, il muro scrostato in più punti presentava i vari colori con cui era stato dipinto, molte finestre avevano i vetri rotti, l’unico piano che esternamente sembrava in buono stato era il secondo, ove era stanziato il comando locale delle SS.
Hector scese dal veicolo seguito dal resto dell’equipaggio che si dispose sull’attenti, dalla porta principale usci un
SS-Obersturmfuhrer (tenente) che le accolse con il saluto militare.
“ Heil Hitler! Hauptmann Bahuman, l’SS-Obersturmbannfuhrer (tenentecolonello) Von Rizz l’attende nel suo ufficio, se vuole seguirmi l’accompagno…”
“Un attimo”, consegnò il sistema dell’interfono al marconista e dati ordini su dove portare il mezzo seguì l’ufficiale.
L’atrio era ampio con svariate porte, al centro della stanza vi era una lavagna con prestampate le celle per scrivere gli orari e le percorrenze navali, ma ora riportava le locazioni dei vari uffici e del personale dell’amministrazione militare.
Salirono una scala, percorsero un labirinto di stretti corridoi e finalmente si ritrovarono di fronte alla stanza contrassegnata con il nome dell’ufficiale capo.
Era un uomo basso e tarchiato, aveva il collo così tozzo che non riusciva a serrare l’ultimo bottone della divisa, i capelli erano radi, i folti baffi, il cui bianco sfumava in giallo a causa del fumo, coprivano completamente il labbro superiore da cui spuntavano due grossi incisivi piegati in avanti.
“Hauptmann, sono lieto di poter avere nella mia base un comandante di così elevata esperienza. Mi dispiace molto che parte della sua compagnia sia andata distrutta”
“Anche per me è un onore conoscerla. I carri si rimpiazzano facilmente, ma non è altrettanto semplice trovare carristi di buon livello come quelli che sono stati uccisi dai maledetti inglesi! Se mi permette la domanda, perché in un luogo così insignificante è presente un nucleo di SS così grande?”
“Per ordine del Reichfuhrer Himmler non posso darle spiegazioni a riguardo, e la pregherei di non rivolgere a nessun altro tale domanda. Ci sono alcuni documenti che dovrebbe compilare, li trova nella stanza accanto”
“Heil Hitler”, si mise sull’attenti e poi uscì chiudendosi alle spalle la porta.
Quando finalmente poté abbandonare gli uffici e tornare dai suoi carristi si mise a ripensare alla conversazione, a come era gelata quando aveva chiesto spiegazioni, segreti imposti dallo stesso Himmler… Doveva essere qualcosa di grosso, ma cosa? Voleva scoprirlo e lo avrebbe fatto, anche se lo avessero scoperto non avrebbero mai giustiziato uno dei loro migliori carristi e stratega. Era stanco e oppresso dal ricordo dei giovani che erano stati uccisi durante l’attacco alleato, si stese sul letto assegnatogli, ma non riuscì a prendere sonno nemmeno per un istante solo.
Aveva ultimato la cena quando il suo equipaggio gli domandò se volesse unirsi a loro, avevano intenzione di recarsi al vicino Hotel ove avevano sentito dire che la sera precedente si era esibita una bellissima ragazza e che lo spettacolo era stato molto piacevole.














9
La signora Marie era molto soddisfatta, il debutto di Elisabeth era stato un successo e sapeva che quella sera il locale sarebbe stato ancora più gremito, non erano neanche le nove che aveva già incassato quasi come tutta la settimana precedente, e la gente continuava ad affluire, si trattava quasi totalmente di soldati, ve ne erano di tutti i gradi e di tutti i reparti, una moltitudine di uniformi le passavano di fronte lasciandosi dietro un mare di denaro.
Le luci si abbassarono, la sala calò in una sfumatura di rosso e blu, il sipario si alzò lentamente lasciando vedere dapprima le gambe di una sedia, poi un paio di scarpe dal tacco vertiginoso laccate di rosso allacciate sopra la caviglia, le gambe accavallate erano avvolte in calze nere sorrette da giarrettiere rosse, il vestito era lungo con due spacchi che giungevano quasi fino alla vita, la scollatura rettangolare era profonda, tra le mani inguantate la giovane donna teneva un lungo bocchino con all’apice una sigaretta accesa, i biondi capelli erano legati sopra la nuca con un nastro color porpora.
Ellis cominciò il suo spettacolo muovendosi in modo molto sensuale, tra la platea qualcuno iniziò a fischiettare una celebre canzone, in un istante tutta la sala cantava:
“Vor der Kaserme, vor dem grossen Tor
stand eine Laterne, und steht sie noch davor

So wolln uns da wiedersehn
bei der laterne wolln wir sthen
wie einst Lilì Marleen

Unsrer beider Schatten sah wie einer aus
Dass wir so lieb uns hatten, das sah man gleich daraus

Und alle Leute solln es sehn,
wenn wir bei der Laterne stehn
wie einst Lilì Marlen“

(Nella versione italiana:

Tutte le sere, sotto quel fanal
presso la caserma ti stavo ad aspettar.
Anche stasera aspetterò
e tutto il mondo scorderò.
Con te, Lilì Marleen,
con te, Lilì Marleen.

Tu trombattiere stasera non suonar
una volta ancora la voglio salutar.
Addio piccina dolce amor,
ti porterò sempre in cuor
con me, Lilì Marleen,
con te, Lilì Marleen.

Dammi una rosa da tener sul cuor
legala col filo dei tuoi capelli d'or.
Forse domani piangerai
ma dopo tu sorriderai.
A chi, Lilì Marleen,
a chi, Lilì Marleen.

Quando nel fango debbo camminar
sotto il mio fardello mi sento vacillar.
Che cosa mai sarà di me?
Ma poi sorrido e penso a te.
A chi, Lilì Marleen,
a chi, Lilì Marleen.

Se chiudo gli occhi il viso tuo m' appar
come quella volta nel cerchio del fanal.
Tutte le notti sogno allor
di ritornar, di riposar.
Con te, Lilì Marleen,
con te, Lilì Marleen.)

Quando il palco si richiuse la folla proruppe in un applauso che sembrava non volere più terminare.
“Obergefreiter (caporale) Weber, sarei lieto di conoscere questa Ellis” disse l’Hauptmann molto soddisfatto di aver accettato di accompagnare i suoi camerati.
“Farò del mio meglio!” rispose, e si diresse verso la porta al lato del palco attraversando con difficoltà la sala.
“Eule, secondo me il nostro pilota non ha capito nulla, crede che tu voglia portatela a letto, in fondo è con noi da sole tre settimane”, osservò il marconista, che era intimo amico del capocarro già da prima che si arruolassero.
Lo Stabsfeldwebel (sergente maggiore) Ferdinand Heller aveva trentuno anni, era basso ed esile, ma il viso rotondo era bello pieno, i capelli castani erano piuttosto lunghi, particolare che si coglieva raramente dato ché erano sempre raccolti sotto la bustina nera da carrista. Anche sulla sua divisa era appuntato un distintivo d’assalto oltre a una croce di ferro di seconda classe. La mano destra era sempre avvolta in un guanto di pelle perché era priva della punta di tre dita a causa di un incidente meccanico avvenuto quando lui era ancora ragazzo.

Portarsela a letto… Forse l’avrebbe fatto molti anni prima, ma ora no. Sua moglie era morta e lui non aveva potuto farci nulla, si amavano profondamente; si era promesso che non avrebbe fuso il suo corpo con nessun altra se non con lei e il fatto che lei non ci fosse più non gli avrebbe certo dato motivo per venir meno a ciò che si era prefisso.
Qualche minuto dopo tornò Weber, “Signore, ho parlato con la padrona, la ragazza la sta già aspettando nella stanza numero due”
“Grazie Obergefreiter”, e poi rivolgendosi al suo amico:
“Avevi ragione…, dai accompagnami”
10
Abbandonarono la sala e salirono la scala di pietra senza più parlare, giunti alla camera designata bussarono alla porta che la ragazza aprì lentamente; quando vide che gli ospiti erano due disse: “Preferirei uno per volta…”, come se fosse abituata a quel ruolo per lei così inconsueto.
Hector le rispose gentilmente: “Signorina Ellis, non le chiediamo nessuna prestazione di quel genere. Voglio scambiare due parole con lei, capire come mai una ragazza come lei sia finita in un posto del genere, naturalmente se lei è d’accordo?!”
“Accomodatevi…”, rispose provando un grande sollievo, non aveva potuto opporsi quando Marie le aveva detto che avrebbe dovuto intrattenere privatamente un ufficiale.
La stanza era la più bella dell’intera struttura, le finestre erano nuove, celate da un tendone di seta rosso uguale a quello che circondava il grande letto a baldacchino di fabbricazione francese. I lumi a petrolio emettevano una luce molto fioca che Ellis fece diventare forte rischiarando il luogo che così perse parte della sua sensualità; fece accomodare i due ufficiali su un divanetto foderato in raso verde e lei si sedette sul letto.
“Come le dicevo prima, come è finita in questo posto? Lei non merita nulla di simile, costretta a soddisfare ogni maledetto approfittatore!”
“Non so perché, ma in te trovo qualcosa di particolare (a quel paese parte della copertura, ho bisogno di amici e questo sembra fare al caso mio!), posso darle del tu?”
L’altro annui.
“Questa è solo la mia seconda sera, sono scappata di casa, alcuni amici venivano qui a portare non so cosa e sono venuta con loro in aereo. Non mi sono mai concessa a qualcuno che non mi piacesse, e non ero per nulla ansiosa di farlo, ma mi avrebbero cacciata e io ho bisogno di denaro e soprattutto di un posto dove stare!”
“Quindi l’unica cosa la lega a questo albergo è la necessità?! Se avesse un altro posto ove stare lo lasceresti?”
“Si, penso di si, un posto qui vicino… Adoro questo tratto di mare, da bambina trascorrevo qui le mie vacanze, magari potessi stare sull’isola qui di fronte…”
“Le darò un posto, mi aiuterà a scoprire alcune cosucce sulle SS e in cambio avrà anche del denaro, se è d’accordo può venire via con noi anche subito”
“Accetto. Raduno le mie cose, ci troviamo all’entrata tra un quarto d’ora. Ah, come ti chiami?”
“Hector Bahuman, mi chiami pure Eule; lui è lo Stabsfeldwebel Heller”
“Per gli amici: Fred” disse lui porgendole la mano.
“Eule, dammi del tu, se no mi metti a disagio”
“Come vuoi, ci vediamo sotto, cerca di fare in fretta! Ciao”
Uscirono tutti e tre dalla stanza dirigendosi poi i direzioni diverse. Al banco dell’entrata vi era Marie, i due ufficiali pagarono come se tutto fosse andato come si aspettava la donna, che dopo essersi congedata, sparì dietro il tendone del “bar”.
Esattamente quindici minuti dopo scendeva le scale Ellis, indossava abiti pratici e sportivi, i capelli sciolti le ricadevano sulle spalle, con la mano destra reggeva la valigia e nell’altra teneva la sigaretta accesa che portò poi alle labbra aspirandone furtivamente il fumo.
Ad attenderla vi era l’equipaggio dello 037 al completo, le furono presentati: l’Obergefreiter Weber, gli Unteroffizier (sergente) Tacher e Patt.
Si diressero silenziosi al porto che distava un centinaio di metri.















Introdurre la ragazza all’interno della base fu più semplice di quello che immaginassero, anzi dovettero stare attenti che nessuno si aggregasse al gruppo. L’edificio ove erano stati alloggiati era una stanza di una quindicina di metri quadri con due letti a castello e una brandina per un totale di cinque posti che occupavano la parete nord, al centro un tavolo traballante era imbandito di utensili da meccanico e pezzi di ogni tipo, in un angolo vi era un secchio adibito ai bisogni notturni.
“E questa sarebbe la mia sistemazione? L’albergo non era proprio un rifugio come questo...”
“Ellis, è solo per sta notte, domattina ci imbarcheremo per l’isola e lì ti troverò una casetta, la confischerò per necessità belliche ho ancora degli amici a Brema, nonostante sia a gambe all’aria, penseranno loro a regolarizzare il tutto.
“Va bene, ma... voglio dormire qui!”, lo disse come una bimba che fa i capricci.
“Hai azzeccato proprio la mia cuccetta, dormirò con Fred, non sarà la prima volta” disse Hector guardando il marconista che affermò sbuffando: “Uhm... Appunto!”
11
27 Giugno
Il sole era ancora basso all’orizzonte quando Eule e Ellis si diressero verso la banchina a cui era ormeggiata il piccolo natante che doveva effettuare i collegamenti tra la terra ferma e l’isola principale. A bloccarli sulla rampa d’accesso due soldati delle SS armati di Maschinepistolen MP 38.
“Mi dispiace Hauptmann, ma di qui senza autorizzazione non si passa e dubito che un elemento della Panzerwaffe possa essere di qualche utilità sull’isola e lo stesso vale per la ragazza”
“Unterscharfuhrer (sergente, i gradi delle SS differiscono da quelli dell’esercito) vorrei sapere perchè non possiamo recarci sull’isola, avete qualcosa da nascondere?”
In quel momento stava scendendo dall’imbarcazione Obersturmbannfuhrer Von Rizz.
“Mi pareva di averle ordinato di non porre più certe domande, ma lei evidentemente è recidivo! Questo è l’ultimo avvertimento, la prossima volta farò rapporto al Fuhrer e sarò costretto a farla allontanare da questa base. Spero di essere stato sufficientemente chiaro?!!”
Hector mordendosi le labbra disse: “Agli ordini. Heil Hitler!” e girati i tacchi tornò sui suoi passi.
I suoi sospetti si facevano sempre più certezze e lo stesso valeva per quelli della giovane spia al suo fianco.
“Vorresti che ti aiutassi a scoprire cosa succede su quell’isola?” disse Elisabeth.
“Si, sperò che non diventi pericoloso per te. Ho già perso mia moglie, tu me la ricordi molto, se dovesse succederti qualcosa sarebbe terribile per me”.
“Mi dispiace molto! Le volevi molto bene, te lo leggo negli occhi.” Vedendo che l’uomo si stava lasciando andare disse: “Andiamo a berci una birra, davanti a quella studieremo qualcosa. Devo andare all’hotel a dire a Marie che non lavorerò più per lei, è stata gentile con me, non posso andarmene e basta”.
“Sono d’accordo con te”

Come la mattina precedente la signora du Fell stava facendo colazione a uno dei tavolini mentre le inservienti ripulivano il salone, fu molto sorpresa di vedere Elisabeth insieme all’ufficiale.
Alzatasi in piedi disse:”C’è qualche problema?”, quando riconobbe quello che era stato il cliente della ragazza proseguì rivolta a lei:“Non era nei nostri accordi che tu facessi di testa tua”
“Sono venuta a dirle che non lavorerò più per lei, la ringrazio per tutto ciò che ha fatto per me, ma questa vita non mi piace. Grazie ancora, addio!”
“Ma…, ma…”
Senza ascoltarla se ne andarono, Ellis diede un ultima occhiata al palco con un pelo di dispiacere, in realtà si era divertita molto a giocare con una folla di uomini che avevano occhi solo per lei.















12
Albert quella mattina decise di recarsi in volo a Norddeich ove viveva un suo caro amico, era moltissimo che non si incontravano e la sua licenza stava già volgendo al termine.
Giunto a terra e sbrigate alcune formalità si diresse nel cuore della cittadina. La piazza principale aveva pianta circolare con al centro una grossa fontana contornata da statue di folletti, troll e altri fantastici abitanti dei boschi che sembravano giocare tra i getti d’acqua; sotto la finestra centrale del comune, che occupava la zona sud dell’area, sventolava la bandiera con la croce uncinata e la svastica.
Sotto un ampio porticato erano posteggiate due Kubelwagen grigie con la cappotte abbassata, un Opel Blitz “Einheitskoffer” (versione cabinata destinata ad uso centro di comunicazioni) e tre moto BMW, una delle quali partì un paio di minuti dopo cavalcata da un portaordini che indossava lo specifico impermeabile in robusta tela cerata verde di foggia ampia e comoda.
L’abitazione in cui si stava recando Guther aveva un piccolo giardino colmo di curatissime rose rosse, un sentierino in pietra congiungeva il cancello cigolante con la porta d’ingresso, che fu aperta da un uomo alto che aveva il volto segnato da una vistosa cicatrice che partiva dalla tempia destra e si perdeva nella folta barba bionda. Heinrich, che stava attendendo l’amico, lo abbraccio calorosamente, la forza non gli mancava di certo, tanto che Albert dovette chiedergli di alleggerire la presa…
Si accomodarono in un ampio salotto, un immensa libreria in legno ne occupava due intere pareti, al centro un grande tavolo intarsiato circondato da dodici raffinate sedie.
Karen, la padrona di casa, indossava un delizioso vestito verde su cui risaltavano gli ondulati capelli color rame, aveva ventinove anni, una parte di lei era morta quattro anni prima insieme alla sua gemella scomparsa a causa di una malattia incurabile. Suo cognato allo scoppio della guerra si era arruolato come carrista, da allora non ne aveva più saputo nulla, anche perché lei e il marito si erano trasferiti a Norddeich e non aveva mai potuto comunicarglielo.
Seduta con le atletiche gambe accavallate stava sfogliando un antico libro di cucina, voleva preparare qualcosa di speciale per festeggiare la visita di Albert. Era solo la seconda volta che lo incontrava, ma sapeva che la sua compagnia sarebbe stata molto gradevole, probabilmente li avrebbe entusiasmati nel racconto di una delle sue tante vittoriose battaglie aeree.
Verso le dieci uscì per andare a comprare alcuni ingredienti che le mancavano.

















13
Ellis e Hector stavano godendosi due boccali di ottima birra seduti ai tavolini posti a lato di una viuzza quando alcuni uomini iniziarono a mormorare all’avvicinarsi di una giovane donna in abito verde, il carrista volse lo sguardo nella direzione della così acclamata creatura, un brivido gli percorse tutto il corpo, aguzzo la vista. Non stava sognando, vedeva realmente la moglie e l’unica che poteva somigliarle a tal punto era la sua gemella Karen, ma cosa ci faceva lì?
L’ultima volta che l’aveva vista era stata la settimana seguente al funerale della sua povera moglie, dopo di ciò le aveva chiesto di evitarlo perché gli faceva troppo male avere di fronte l’immagine della persona a cui teneva maggiormente. Pochi mesi dopo si era arruolato nei reparti motocorazzati e da lì aveva perso completamente ogni contatto.
Si alzò e le andò incontro senza dire una parola ad Elisabeth, come se non esistesse neanche più.
Con voce tremante disse, ammirandola in tutta la sua radiosa bellezza:”Karen…?”
Alzando gli occhi lei riconobbe immediatamente il cognato e gli si buttò al collo:”Oh Hector, quanto tempo!”
Ellis seguiva la scena interessata, domandandosi chi potesse aver colpito così a fondo il suo amico.
Hector ritornò al tavolino seguito da Karen.
“Questa è mia cognata, la gemella di mia moglie”
La ragazza trattenne per un istante il fiato.
“Piacere! Mi chiamo Elisabeth”
“Karen, lieta di conoscerti”, poi sussurrò all’orecchio del capitano con tono malizioso:”Carina la tua amica”
“Mi conosci abbastanza per capire che non è come l’hai messa tu adesso, ma dimmi cosa ci fai qui?”
“Io ed Heinrich viviamo qui da quasi tre anni, lui ora è a casa, è venuto a trovarlo un suo amico: Albert, uno dei nostri migliori piloti”
Ellis non fece caso a quel nome, era molto diffuso in Germania e lei aveva oramai quasi rimosso completamente dalla sua mente la vecchia fiamma.
“E tu cosa mi dici di te? Vedo molti riconoscimenti sul tuo petto”
“Sono un Hauptmann, comandavo una compagnia di carri, ma la maggior parte è caduta sotto il bombardamento a Brema, mi hanno trasferito qui solo ieri. Questa ragazza lavorava all’Hotel Fahrhnaus, è ancora giovane e non meritava di dover subire certi soprusi, e così l’ho presa con me almeno fino a quando non avrà una sistemazione.
Da quando non ci si può più recare sull’isola? Ne sai il motivo?”
“E’ tanto che non vado al porto, comunque Heinrich vi si reca per lavoro tutte le mattine”
“Sai che tipo di compiti svolge?”
“Non me parla mai ed io non mi sono interessata; è un ingegnere, farà il suo lavoro…”
“E da quanto lavora sull’isola?”
“Cinque mesi circa, ma perché mi fai tutte queste domande?”
“Quando ho chiesto all’ufficiale che comanda qui come mai ci fosse un gruppo di militari così grande mi ha messo a tacere dicendo che era un segreto imposto da Himmler; questa mattina siamo andati all’imbarco per l’isola, quando ha visto che facevo domande alle guardie che non ci permettevano di salire a bordo ha minacciato di farmi assegnare ad un’altra zona. Tutto ciò non ti sembra un po’ eccessivo?! Come sai neanche tua sorella è mai riuscita a tenermi all’oscuro neanche di una minima cosa e non sarà certo un soldatino delle SS a rompere le tradizioni!”
“Hector ti conosco troppo, vorresti che scoprissi per te cosa succede laggiù, vero?”
“Preferirei che Heinrich non sapesse che ci siamo incontrati. Non siamo mai andati d’accordo e non so se mi posso fidare di lui”
“Ultimamente non ne sono più tanto certa neanche io, sta via per giorni, torna a casa agitato e stanco, non mi da spiegazioni. E’ cambiato, il motivo sta forse in quell’isola.
Ti aiuterò a saperne di più! Ora vado, dove posso trovarti?”
“Domani alle dieci saremo qui”
“Ciao Hector! Ellis…”
Elisabeth la salutò con un gesto della mano.
















14
Karen rientrò facendo il minor rumore possibile, posate le commissioni sul tavolo della cucina si avvicinò cauta al salone ove i due uomini stavano chiacchierando animatamente, suo marito stava parlando proprio del suo lavoro.
“La costruzione procede rapidamente, ma continuano a rivedere il progetto e sempre dopo che un tal pezzo è stato ultimato. C’era da aspettarselo da quei generali impettiti che sanno solo far la guerra e di costruzioni non sanno niente! Quando si sono presentati da me e dai miei colleghi ci hanno detto -fate questo, meglio che potete-, avevamo carta bianca bastava attenersi a qualche loro idea di massima, ma ora…”
Karen vedendo che suo marito si stava alzando e quindi che l’avrebbe vista dietro alla porta ne varcò la soglia con naturalezza.
“Sono tornata… Se avete bisogno di qualcosa sono in cucina, il pranzo sarà pronto tra un’oretta” e si congedò.
Prima di recarsi in cucina decise di andare nello studio del marito, cosa che prima d’ora non avrebbe mai fatto senza il permesso dello stesso. La porta era stata chiusa a chiave, anche questa prassi aveva preso piede da circa cinque mesi, ma lei sapeva ove Heinrich la tenesse e quindi poté entrare senza problemi. La stanza era avvolta in un atmosfera un po’ cupa, le finestre erano celate da pesanti tende di velluto nero che non lasciavano penetrare neanche un minimo spiraglio di luce; su gran parte dell’arredamento era presente un cospicuo strato di polvere; la scrivania era colma di disegni e fogli di ogni tipo. Karen, accesa la luce, notò subito tra gli altri un documento che aveva il simbolo delle SS in testa e impresso a pié di pagina un timbro della Gestapo e la firma di Reinhard Heydrich (capo della stessa). Quel nome la spavento terribilmente tanto che stava per lasciare lo studio, ma fatto un profondo respiro iniziò a leggere il dattiloscritto:

Si dispone che il sig. Heinrich Setch, ingeniere del Reich abbia libero accesso all’area militare dell’isola Nordeney e a tutte le strutture poste sotto il controllo delle SS e della Gestapo in qualunque parte del Reich.

Appena si rese conto che le voci dei due uomini cambiavano tono, a testimonianza che questi stavano lasciando il salotto, rimise tutto a posto e chiusa la porta scese al piano inferiore fingendo di essersi recata un attimo al bagno.

Albert apprezzò particolarmente il pasto.
“E’ il migliore che abbia mai mangiato da quando è scoppiata la guerra!”, affermò più volte.

Il sole si apprestava a sparire all’orizzonte quando il pilota riprese il volo verso “Von Zuf”.












15
28 Giugno
Quando Ellis si svegliò i carristi si erano già alzati tutti, stava per lasciare lo scomodo letto quando entrò, in quello che lei continuava a definire rifugio, Heller. Subito non lo riconobbe, aveva i capelli sciolti che gli ricadevano sulle spalle, un attimo dopo li aveva già intrappolati sotto la nera bustina.
“Buon giorno Fred”, disse con il tono di chi non è ancora del tutto sveglio.
“Eule ti sta aspettando, sono quasi le nove e mezzo…”
“Oh… Esci, in un attimo sarò pronta”

Pochi minuti dopo erano già tutti e tre seduti al tavolino del bar. I due carristi avevano sempre fatto tutto insieme, specialmente le cose rischiose, e questa volta non sarebbe certo stato diverso.

Karen arrivò pochi minuti dopo che la campana aveva battuto il decimo rintocco, era pressoché uguale al giorno precedente, ma il suo viso ne lasciava trasparire una certa inquietudine.
Hector le presentò il suo marconosta, e poi la invitò ad accomodarsi sistemandole la sedia vicino al tavolino.
La donna iniziò a raccontare quanto aveva scoperto mentre Ellis apparentemente non troppo interessata ascoltava attentamente cercando di fissarsi in memoria i passaggi più importanti.
Trascorsero così un abbondante quarto d’ora, e ancor più intenso fu il successivo.
Eule espresse subito la sua folle, ma ferma volontà di fare un’incursione sull’isola, quella notte stessa.
Subito Fred si oppose leggermente, poi appoggiò pienamente il suo comandante ed amico; erano entrambi stanchi di quella inutile guerra, di tutto il gruppo di comando dell’apparato nazista. Lo Stabsfeldwebel Heller sarebbe poi stato uno dei congiurati che attentarono alla vita del Furher nel corso del 1944.
Il problema, che restò irrisolto, fu dissuadere Karen dal partecipare alla rischiosissima azione che si apprestavano a mettere in atto. A nulla valsero le preghiere del cognato, che sperò fino all’ultimo istante che ella non si presentasse in tempo sul luogo dell’appuntamento della sera.

Tornati alla base l’Hauptmann diede il resto della giornata libera al resto della sua squadra, i carristi erano ricoperti, chi più chi meno, di grasso e olio, tanto che Ellis quando li vide si trattenne a fatica dal mettersi a ridere.
Dopo un pranzo piuttosto frugale i tre si dedicarono all’abbozzo di un piano d’azione. La ragazza ebbe un attimo di incertezza quando vide Fred prendere sul Panzer alcune armi e portarle all’interno per verificarne l’efficienza dei meccanismi.
“Hector pensi saranno necessarie?”
“Spero di no, ma se qualcosa andasse storto dobbiamo essere pronti a reagire efficacemente”, ripose lui proseguendo: “Hai mai sparato?”
“Ad un uomo mai, ma per gli animali ho una discreta abilità”.
“Capisco” e le passò la sua Walther P.38, mentre lui e Fred si sarebbero accompagnati rispettivamente con una Maschinepistolen MP 38 e MP 40.
Le diedero anche una tenuta completa da carrista che oltre ai pregi di resistenza del tessuto le avrebbe anche permesso di mimetizzarsi meglio nella notte e ne avrebbe celato un poco le generose forme femminili.
...
Leutnant die Eule
Plotone carri LGS - Compagnia Genova - Abteilung Cycnus

Ale
29/07/2009 22:53
 
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Hei, Gufo...
il seguito alla prossima puntata?? [SM=g27822]
Hauptmann Guglielmo Embriaco, Carro 111 , Plotone Zena , Compagnia Genova , Abt Cycnus.

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