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Il miracolo della ragazzina che non sapeva nuotare

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2009 12:32
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Città: GANGI
Età: 57
Sesso: Maschile
01/07/2009 12:32

Oggi vi voglio parlare di un miracolo. Di un miracolo che ha salvato la vita di una ragazzina che viaggiava sopra un aereo, un Airbus yemenita, proprio mentre in Italia si consumava l’altra terribile tragedia de “Il treno di fuoco” (così scrive Il Giornale dell’1 luglio: “Il Treno di fuoco. E a Viareggio scoppia l’inferno. Apocalisse nella notte: deraglia un convoglio che trasporta gas liquido. Una cisterna esplode e le fiamme travolgono uomini, case e macchine”). Vi dico subito che con il mio romanzo, “Io sono una libellula … anzi no, sono una zanzara … una zanzara della malaria che avvelena il sangue (La vera storia di Mìkael Elkamì Rulìcef)”, Francesco Paolo Pinello, Foggia, Aprile 2009 e con la storia che ho raccontato, non esiste alcun tipo di riferimento, diretto o indiretto, e nessun tipo di collegamento, anche se i protagonisti del mio romanzo sono un ebreo yemenita e un ragazzino meticcio di undici anni, sopravvissuto, per miracolo, alle terapie comportamentali preventive di un Istituto per criminali e anche se, nella storia che ho raccontato, ho parlato dell’operazione “tappeto volante” che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha trasportato parecchi ebrei yemeniti in Israele, e di un’isola, a VIXI Jerouchalam (ogni riferimento, come si suol dire, è puramente casuale). E’ soltanto per questo lontanissimo (dalla realtà di quello che è accaduto) e pallido (sbiancato dalle terribili notizie) ricordo di quello che ho scritto nel mio romanzo e della storia “surreale” che ho raccontato che, adesso, vi voglio parlare, con le parole di MaBuf (de Il Giornale), de “Il miracolo della ragazzina che non sapeva nuotare”.  

 






Da: Il Giornale, 1 luglio 2009

 Il miracolo della ragazzina che non sapeva nuotare, di MaBuf. 

Disastro su un altro Airbus: 152 corpi inghiottiti dal mare. L’aereo yemenita sarebbe precipitato per le cattive condizioni del tempo. A bordo 66 francesi: Parigi accusa: non poteva volare sui nostri cieli.

 

E’ restata per ore, in mare. Senza saper nuotare, aggrappata ad un rottame che galleggiava, mentre lei, col suo giubbotto-salvagente era lì in balìa delle onde, da sola, con la forza dei suoi quattordici anni e della disperazione. Quando finalmente i soccorsi, un battello delle Comore, l’hanno individuata nonostante il mare agitato e il forte vento, era stremata. In buone condizioni, ma stremata. Chissà se sa di essere l’unica sopravvissuta su 153 persone che erano con lei nell’aereo. Chissà se parlerà mai di cosa vuol dire stare lì, appesa letteralmente fra la vita e la morte, ad aspettare. Chissà se parleranno mai del miracolo, perché non c’è altro modo per definirlo, che l’ha separata dalle altre 152 vittime che viaggiavano con lei su quell’Airbus per l’ultimo tratto, da Sanaa alle isole Comore. Centocinquantuno fra francesi, canadesi, palestinesi, etiopi, indonesiani, marocchini, filippini, yemeniti che per ora sono o morti o dispersi. Di certo le racconteranno che per tutto il pomeriggio i soccorsi sono andati avanti, e le voci si sono rincorse in un balletto di speranza, voci e illusioni. Le diranno, magari, che all’inizio tutto il mondo aveva pensato che fosse un bambino di cinque anni. Che poi sembrava che il pilota le avrebbe fatto compagnia in un ristrettissimo club dei sopravvissuti, come inizialmente aveva detto la tv Al Arabiya sul sito internet. Invece sono passate poche ore e il ministro dei Trasporti dello Yemen, ha smentito che Khaled Hajib, 45 anni, ce l’avesse fatta anche questa volta. Lui che pochi mesi fa, a novembre, era stato preso in ostaggio dai terroristi che avevano seminato la paura e la morte a Mumbai, in India, facendo ostaggi decine di stranieri nei principali hotel della città. Ce l’aveva fatta; quella volta. E tutti avevano già pensato che, nella sfortuna, fosse estremamente fortunato. Invece no. Anche lui andrà ad allungare il conto delle vittime di un incidente che a Moroni, la capitale delle Comore, abbia visto le altre 152 persone a bordo del volo IY 626 morire davanti ai propri occhi. Perché dall’isola tutti hanno potuto vedere l’A310 dell’Yemenia Air avvicinarsi, tentare di atterrare e allontanarsi. E poi, in un attimo, non lo hanno visto più. “Ho visto l’aereo provare ad atterrare e sono entrato nel terminal per incontrare mia madre. Solo che una volta dentro non ho più visto nessun aereo”, ha raccontato un testimone scioccato alla France Press. Lo stesso strazio dei parenti degli immigrati comoriani partiti dall’aeroporto di Marsiglia. Di fronte al ritardo con cui veniva comunicata la lista dei morti hanno reagito prendendo d’assalto gli uffici aeroportuali. Un gruppo di giovani, dopo diverse ore di attesa, ha fatto irruzione nella sala riservata alle famiglie delle vittime, prendendosela con i ritardi della compagnia e gridando: “Adesso spacchiamo tutto, non siamo cani”. Ha dovuto intervenire la polizia.   

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