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Noi crediamo unicamente in Gesù Cristo unigenito Figlio di Dio,
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Ci è nato un bambino

Ultimo Aggiornamento: 03/06/2009 17:36
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Nel 1977, ancora adolescente, Titilayo Fawojure sperimentò la meravigliosa liberazione, ad opera della fede in Gesù Cristo, dagli stretti legami che aveva, fin dalla sua infanzia, col tenebroso mondo della magia africana, una realtà pagana tuttora molto diffusa nel suo paese, la Nigeria.
Una ventina di anni fa abbiamo avuto il privilegio di averla fra noi, assieme a suo marito e ai suoi tre figli. Lei è stata l'insegnante della scuola domenicale, lui è divenuto un anziano della comunità, fino al momento in cui si sono trasferiti in Inghilterra, dove il Signore ha donato loro ancora un figlio e tuttora vivono.
Col racconto della sua conversione, la sorella Titi testimonia quanto vada preso sul serio Efesini 6:12: "il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti".


"Ci è nato un bambino"
La conversione a Cristo di Titilayo Fawojure
una ragazza nigeriana iniziata al servizio dei demoni

Mia nonna aveva sempre desiderato una figlia femmina, ma ebbe solo due maschi; così, quando perse la speranza di averne una, riversò tutte le sue aspettative su un’eventuale nipotina.

Da quel poco di storia che mi hanno raccontato, ho saputo che ci sono voluti diversi sacrifici, prima che il suo desiderio di vedere una femminuccia in famiglia si realizzasse. I sacrifici a cui si era sottoposta, però, avrebbero avuto un certo prezzo: la nascitura sarebbe stata consacrata fin da prima della nascita al servizio di diversi dèi e avrebbe dovuto godere del meglio di qualsiasi cosa avesse desiderato, dai vestiti all’istruzione.

La nonna morì, senza lasciare figlie femmine, quando ero ancora molto piccola, perciò posso dire di non averla mai conosciuta. Fui proprio io la sua prima nipote. Quel che so di lei è frutto delle fotografie che mi sono state mostrate crescendo.



La Nigeria della sorella Titilayo
Per adempiere i voti pronunciati, e in particolare per provvedere alla mia istruzione, fui costretta a lasciare il mio villaggio natale per andare da uno zio in città. Tutti gli accordi erano già stati presi prima della mia nascita. Così, all’età di quattro anni, fui portata via da Ise-Ekiti, un paese della Nigeria sud-occidentale vicino ad Akure, nell’Ondo State, per vivere nella città di Ibadan, capitale del non lontano Oyo State, a casa di mio zio. Ricordo che prima della partenza furono celebrati diversi sacrifici e sul mio corpo furono praticate alcune incisioni e tagli, fatti con lame e coltelli per far fuoriuscire il sangue. Sulle ferite poi furono strofinate delle polveri preparate appositamente. Erano i cosiddetti "patti di sangue con gli dei". Il rito aveva un carattere propiziatorio, allo scopo di permettermi di realizzare i sogni di mia nonna.

Prima di trasferirmi in città frequentavo una chiesa anglicana, e chiaramente già allora ero abbastanza confusa. Dopo il servizio in chiesa avevamo l’abitudine di recarci sulla tomba della nonna per parlare con lei e raccontarle della mia prossima partenza. Sapevo a memoria tutto quello che dovevo dire sulla sua tomba. Quando partii, fu mio padre ad accompagnarmi in città. Prima di salutarmi, mia madre mi aveva raccomandato di interrompere le relazioni con il mondo degli spiriti, e, se proprio non ne fossi stata capace, almeno di mantenere la cosa il più possibile nascosta, viste le esperienze che avevo avuto regolarmente fino ad allora. I legami con gli dei mi permettevano di cadere a terra, ammalarmi o svenire in qualsiasi momento lo desiderassi, e perfino di uscire dal mio corpo per osservare me stessa e gli altri dal di fuori, o per causare problemi ad altri, quando per esempio cercavano di svegliarmi. Per me era un gioco. Nel mondo degli spiriti avevo anche degli amici con cui parlavo e mangiavo. Nei nostri incontri non bastava un piatto, ma almeno quattro, e, anche se gli altri non riuscivano a vedere i miei "amici", notavano il cibo che spariva dai piatti. Per questo la mamma era preoccupata e mi diceva che se le persone avessero assistito a tali scene non avrebbero capito, ma avrebbero pensato che fossi una persona strana. Perciò mi spingeva a dire ai miei amici di non farsi notare, e voleva che parlassi con loro in posti segreti e non svenissi quando mi faceva comodo.

La bisnonna, che a quel tempo era ancora viva, prima di partire mi chiamò per dirmi che, pur non sapendo molto delle cose che mi stavano succedendo, era sicura che erano la conseguenza della mia consacrazione agli dei. In quell’occasione mi disse che queste cose non erano buone e che sarebbe spettato a me, una volta cresciuta, trovare il modo di spezzare questi legami. Disse anche che avrei avuto bisogno di un maggior potere per farlo. Fu questo il suo consiglio, prima della partenza. Nei miei lontani ricordi, la bisnonna era una donna molto anziana, che non riusciva più a lavorare e spesso rimaneva in un angolo a leggere un libro dalla copertina nera, che ora credo fosse una Bibbia. Frequentava la Chiesa Cristiana Apostolica e amava cantare dei bei cantici, ma non le sono mai stata veramente vicina. In quell’ultimo saluto ripeté varie volte che avrei dovuto sbarazzarmi di quelle mie abitudini, ma, siccome non mi fornì una giustificazione plausibile, la cosa mi fece soltanto ridere.

Quando arrivai a casa di mio zio, in città, iniziai la scuola elementare e la mia vita cominciò a svolgersi normalmente. Non parlavo più con i miei amici spiriti a voce alta, anche se li frequentavo ancora e li consideravo veramente amici. Anche se nessuno preparava più da mangiare per loro, essi continuavano a stare con me e a mangiare dal mio piatto. A quel tempo pensavo che fosse tutto normale e non ci vedevo nulla di male, solo non mi spiegavo perché le altre persone non li vedessero.





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C’era anche qualcos’altro che avevo notato alla scuola elementare: riuscivo a sapere in anticipo quello che la maestra avrebbe detto prima che aprisse la bocca. Per me apprendere era perciò molto semplice e feci rapidi progressi. Ero considerata un’alunna brillante ma sapevo che i miei risultati non erano soltanto una questione d’intelligenza. Di solito riuscivo a sapere quello che le persone pensavano o stavano per dire prima che lo facessero: era questo il mio piccolo segreto a scuola. Riuscivo addirittura a predire chi sarebbe venuto a casa prima che bussasse alla porta. Per la verità riuscivo a fare molte cose che gli altri non potevano nemmeno immaginare, ma qualche aspetto della mia vita, come la paura del buio, mi fece capire che c’era qualcosa di sbagliato. Per il terrore del buio che avevo, non potevo uscire di sera, e quando mi trovavo in un luogo scuro urlavo come una pazza. Quando mi mettevo a letto, mi rendevo conto che non stavo effettivamente dormendo, ma venivo trasferita in un altro mondo, affannata dietro a una cosa o un’altra, mentre il mio corpo restava inerte.

Ci fu un momento in cui nel mondo degli spiriti mi fecero capire che avrei avuto dei bambini e sarei diventata la regina di un certa zona, e che gli spiriti aspettavano con ansia il tempo in cui tutto questo si sarebbe avverato. Con il passare del tempo cominciai a non considerare più gli amici che avevo nel mondo degli spiriti dei veri amici, quanto piuttosto dei servitori, tanto che potevo mandarli a fare qualsiasi cosa desiderassi. Bastava per esempio che dicessi loro di far cadere una persona giù dalla sedia, perché mi aveva fatto arrabbiare, che la cosa succedeva realmente. Inoltre il loro numero era aumentato rispetto al passato.

A scuola non alzai mai le mani contro nessuno, perciò tutti mi consideravano una brava ragazza, assolutamente estranea a qualsiasi forma di violenza, eppure, se soltanto qualcuno mi offendeva, dicevo quello che volevo gli succedesse fissando gli occhi su di lui, e il mio pensiero diventava realtà. Di tutto questo la gente era ignara e non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo.

A casa, sia mio zio sia mia zia dovevano comportarsi come se fossi la loro primogenita, sulla base all’accordo preso. Perciò chiamavo mio zio "papà" e mia zia "mamma", come voleva la nonna. La cosa spaventava mia zia, soprattutto perché lei aveva dei figli suoi, la più grande di soli quattro anni più giovane di me e di diritto la loro primogenita. Ciononostante mio zio presentava sempre me come loro primogenita e sua moglie non poteva far altro che acconsentire, quando a tutti gli effetti ero per lei un’imposizione. La mia primogenitura compariva anche sui documenti e il comportamento di mia zia non smentiva in nessun modo l’accordo: io ero la primogenita, mentre la loro figlia naturale era la mia sorellina minore.

La partenza per la città doveva certo permettermi di ottenere il meglio sia materialmente sia culturalmente, ma doveva anche prepararmi spiritualmente per il mio futuro nel mondo dei demoni. A casa di mio zio iniziai a partecipare attivamente ai sacrifici celebrati, alcuni dei quali in onore dei morti; non ci recavamo più al cimitero per farli, restavamo invece a casa, perché la nonna era stata sepolta nel villaggio. Durante il sacrificio uccidevamo un cane o un altro animale e aspergevamo gli alluci dei miei piedi con il sangue della vittima, pronunciando formule rituali. L’alluce del piede sinistro doveva rappresentare la nonna e quello destro altre persone di cui non ricordo l’identità.

I sacrifici non erano celebrati quotidianamente, ma di tanto in tanto, quando mio zio ne sentiva la necessità. Durante alcuni sacrifici dovevamo leccare delle cose terribili, tuttavia non ci consideravamo pagani, dopotutto frequentavamo ancora la chiesa. La nonna paterna, l’artefice di tutti questi accordi, aveva occupato una posizione importante nella chiesa locale. Quando qualcuno ci chiedeva di che religione fossimo, non avevamo problemi a rispondere che eravamo cristiani. Leggevamo la Bibbia una volta l’anno, il 31 dicembre, e in quella stessa occasione cantavamo, pregavamo e ringraziavamo Dio per gli ultimi dodici mesi trascorsi. Contemporaneamente ci rivolgevamo anche ad altri dèi, come il dio di pietra e il dio di ferro. Celebravamo molti sacrifici al dio di ferro, usando tradizionalmente i cani, ma ricordo anche di galline, conigli e altri animali che mio zio si procurava. L’animale veniva tagliato e il suo sangue sparso su una specie di sciabola o su qualche altra lama. Altre volte noi stessi subivamo delle incisioni sulla lingua, sulle mani o sulla testa. Questa pratica era frequente e vi ricorrevamo ogni volta che lo zio sentiva che c’era un nemico che ci stava alle calcagna; spesso facevamo questo genere di cose per ottenere protezione. Saltuariamente lo zio ci dava da mangiare la carne di certi sacrifici.

In quegli anni, Dio non era per me ciò che è ora, egli era il dio di pietra, il dio di ferro, e altri diversi dei tutti insieme. Cristo non occupava un posto particolare, e non sapevo chi fosse Gesù in realtà. Il tipo di vita che conducevamo allora era ai nostri occhi il modo migliore di vivere e avere successo. Ricordo che mi divertivo con cose che riguardavano i demoni, sebbene allora non attribuissi loro natura demoniaca. Mi piaceva leggere libri che trattavano di cose bizzarre e misteriose: storie di mostri, horror e strane favole. Le consideravo letture normali, tanto più che mio zio mi incoraggiava a farle. Crescendo capii che sarei stata iniziata ai ranghi più alti del mondo degli spiriti: il numero dei miei servitori spirituali aumentava e potevo avere a casa qualsiasi cosa volessi. Giunsi al punto di riuscire a sapere quello che le persone pensavano; bastava che desiderassi qualcosa per qualcuno che quella cosa accadeva realmente. Questo potere mi piaceva perché mi permetteva di avere il controllo. Con il pensiero potevo dire a una persona di fare una cosa e lui la faceva. Ne ero molto orgogliosa.





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Ci fu un periodo in cui cominciammo ad andare in chiesa più spesso. Quello che mi attirava e mi piaceva erano le canzoni, anche se ai miei occhi non avevano un gran significato. Non potevo inoltre fare a meno di notare che alcune delle persone che le cantavano erano felici e sembravano divertirsi. Così cominciai a chiedere il permesso di andare in chiesa più spesso e nessuno me lo negò. In chiesa mi feci nuovi amici, ma la mia partecipazione rimaneva un’occasione per socializzare. C’era ancora una cosa che mi attirava in chiesa: era una scuola femminile rinomata per gli eccellenti risultati negli esami di fine anno. Dissi a mio zio che quella era la scuola che intendevo frequentare, e lui fu d’accordo. Per esservi ammessi si dovevano superare tre giorni di esami e colloqui, ma io ero sicura che a qualsiasi domanda non avrei avuto problemi a rispondere, anche nel caso in cui non avessi mai letto nulla sull’argomento. Finiti gli esami e i colloqui, dovetti aspettare un bel po’ prima che uscissero i risultati. Nell’attesa continuavo a dire a mio zio che desideravo frequentare quella scuola perché era la migliore della zona e, ovviamente, eravamo tutti d’accordo che meritassi il meglio. Finalmente arrivarono i risultati sperati. Ero felice di essere stata ammessa e la preoccupazione che si trattasse di una scuola cristiana non sfiorò mai la mia mente, per me era un aspetto del tutto secondario. Quando però cominciai a frequentare, scoprii che il regolamento prevedeva delle riunioni mattutine giornaliere in cui gli studenti si inginocchiavano per pregare e leggere la Bibbia per una trentina di minuti. Questa attività non mi piaceva, ma siccome la partecipazione era obbligatoria decisi che mi sarei inginocchiata e avrei fatto passare il tempo con un sonnellino. Ci diedero un libricino intitolato Il pane quotidiano e una Bibbia: a mala pena li aprii, ma non li lessi mai. Non mi interessava leggere la Bibbia, non era mia abitudine, benché conoscessi alcune storie bibliche. A scuola dovevamo pregare prima di mangiare, e prima di andare in classe ci riunivamo ogni mattina per lodare e adorare Dio. Anche la sera, dalle sei alle sei e trenta, c’erano delle riunioni di preghiera e lettura della Bibbia nelle ‘case’, così chiamavamo i sei dormitori.

Tutte queste attività cristiane diventarono un po’ troppo pesanti per me e col tempo iniziai a lamentarmi e a dire che frequentavo quella scuola per studiare e non per diventare religiosa. All’inizio cercai di staccare la spina della mia mente durante gli incontri, ma mi resi subito conto che era impossibile ignorarli del tutto dovendovi partecipare ogni giorno. L’unica cosa che continuavo ad apprezzare degli incontri erano i cantici. Ognuno di noi aveva un innario tascabile per gli incontri di preghiera. C’erano alcune studentesse che si riunivano perfino la domenica, di pomeriggio e di sera, per cantare e leggere la Bibbia. Questi incontri non erano obbligatori, infatti non avevo mai pensato di parteciparvi, benché fossi stata invitata un sacco di volte. La domenica mattina c’era già l’incontro canonico obbligatorio, non potevo credere che queste ragazze volessero incontrarsi ancora il pomeriggio e la sera. Mi chiedevo come mai piacesse loro tanto parlare tutto il giorno della Bibbia, mi sembrava veramente troppo. Ciononostante loro mi piacevano, erano gentili, amichevoli e sembravano sempre felici. Ad un certo punto mi dissi che dovevo metterle alla prova per vedere se erano tanto potenti quanto sembravano felici. Dal canto mio, mi sentivo molto potente e pensavo che avrei potuto fare qualsiasi cosa. Presi di mira una ragazza in particolare, la quale, oltre ad essere una mia compagna di classe e di stanza, mi invitava sempre agli incontri cristiani che frequentava. Certe notti le mandai un topo per spaventarla, pensando che alla vista del topo si sarebbe messa a urlare; in effetti qualsiasi ragazza sarebbe stata terrorizzata nel trovare un topo nel proprio letto. Inizialmente il mio unico scopo era spaventarla, ma poi decisi di farle male, di farla ammalare o cadere. Nessuno dei miei piani funzionò. Talvolta sembrava che stesse per cadere, ma in realtà non cadeva. In quel periodo la sentivo parlare a voce alta, ma non sapevo che stesse pregando. Anche quando le avevo mandato quel topo per spaventarla, d’impulso aveva urlato, ma subito dopo si era messa a pregare per poi addormentarsi pacificamente. In classe poi mi divertivo a mettere lei e le altre ragazze cristiane nei guai. Per esempio facevo un rumore senza che gli altri se ne accorgessero, facendo ricadere la colpa e la punizione su di loro. Benché sapessero che ero io la responsabile di quei rumori - gliel’avevo anche confessato -, non smisero né di essere carine con me né di invitarmi agli incontri cristiani, soprattutto quella ragazza che avevo preso di mira.

Di ritorno a casa per le vacanze, raccontai a mio zio di queste ragazze e lui mi disse che non dovevo dare loro troppa importanza. In seguito mi disse anche di evitarle perché non facevano al caso mio e perché si sarebbero presto rivelate mie nemiche. Parallelamente desideravo sempre più mantenere la loro amicizia, per comprendere il motivo della loro inspiegabile ma costante felicità e pace. Mio zio continuava invece a dire che mi avrebbero fatto soffrire e che non dovevo essere loro amica, le chiamava demoni, persone malvagie e nemiche. Sapevo che nel mondo spirituale avrei ricevuto più potere proprio per trattare con questi "demoni". Così ritornai a scuola con l’idea fissa di ottenere maggiori poteri. In realtà, più provavo i miei poteri sulle ragazze, più mi rendevo conto che non funzionavano, loro sembravano essere più forti. Nonostante il mio atteggiamento ostile, le ragazze non se la presero con me, anzi sembravano non farci nemmeno caso. Le giustificai pensando che loro stesse non erano coscienti dei poteri che possedevano. Intanto, nonostante i fallimenti, sentivo di dover continuare a usare il mio potere contro di loro.

In un certo periodo diventò difficile dormire durante le riunioni mattutine di preghiera, perché eravamo poche e la stanza era piccola, e perciò era più facile essere controllati. Quando il capocamerata veniva a svegliarmi, urlavo e facevo confusione; ciononostante, venivo obbligata a leggere la Bibbia e a partecipare alle riunioni del mattino. Col tempo queste attività cominciarono a sortire un effetto su di me: la mia visione di Dio stava cambiando, non pensavo più al dio di pietra e al dio di ferro, ma vedevo Dio come il Creatore, il Dio d’Israele, conformemente a come ci veniva presentato. I cantici e le attività della scuola contribuivano a trasmettere il concetto che c’era una relazione tra questo Dio e Gesù Cristo. Tutte le volte che scrivevo o tornavo a casa raccontavo ai miei di queste idee, ma loro continuavano a mettermi in guardia.

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Fin dalla mia infanzia avevo amato la musica classica e uno dei miei pezzi preferiti era il Messia di Händel. Mio zio aveva il disco e io lo mettevo e rimettevo in continuazione. La parte che mi piaceva di più era quella con le parole di Isaia 9:5: Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace. Desideravo ardentemente sapere chi fosse il bambino di questo canto. Pensavo che dovesse trattarsi di una persona molto potente, con cui tendevo a paragonarmi, sulla base delle mie esperienze nel mondo degli spiriti. A volte speravo di incontrare questo bambino nel mondo degli spiriti, di tenerlo tra le braccia e di parlargli. Crescendo però me ne dimenticai, o almeno così credevo.

A scuola continuai a sentir parlare di Gesù, ma non avevo mai pensato a un collegamento tra lui e il bambino in Isaia 9:5. In prossimità del Natale, durante i nostri soliti studi biblici ci capitò di leggere dal capitolo 9 di Isaia. Inoltre, in alcuni dei nostri cantici veniva menzionato il bambino del passo in questione. Il rinnovato ricordo di quel bambino mi indusse a chiedermi se avesse qualche legame con Gesù. Ero confusa perché mi avevano sempre detto che i cristiani erano demoni e nemici; ora, i miei amici cristiani parlavano sempre di Gesù. Se del nome di Gesù prima me ne importava poco, ora invece desideravo saperne di più e scoprire se ci fosse effettivamente un legame tra lui e il bambino citato in Isaia 9:5. Parallelamente avevo rivolto queste stesse domande agli spiriti (che allora consideravo miei servitori), ma non mi diedero una risposta chiara. Io insistetti, ma continuarono a rispondermi in maniera vaga, tanto per farmi contenta, e io sentivo che le loro risposte erano incomplete. Mi dissero ancora di non preoccuparmi, e di ricordarmi che quei cristiani erano miei nemici.

Un sabato sera la ragazza che regolarmente mi invitava agli incontri cristiani mi propose di partecipare a un programma musicale; rifiutai con la scusa di avere altre faccende da sbrigare. La ragazza insistette tanto che rientrò diverse volte in camera per cercare di convincermi a partecipare; io rifiutai ogni volta. A un certo punto mi disse che sarei potuta venire nel posto in cui si sarebbe svolto il programma e restare all’entrata, soltanto per ascoltare. Lodò la band, i Jesus Revolution Group, dicendo che erano molto famosi e alla fine se ne andò, senza ritornare per un bel po’. Mi sentii presto sollevata al pensiero che finalmente se n’era andata. Ero felice che non fosse ritornata a seccarmi, ma il sollievo si trasformò presto in stupore, quando la vidi rientrare. A questo punto acconsentii ad andare con lei, benché i miei piani fossero molto diversi dai suoi: progettavo di rimanere per pochi minuti, finché non avesse distolto gli occhi da me. Al nostro arrivo, il programma musicale era appena iniziato. Le parole di una canzone che avevano cantato dicevano: "cos’è la vita se non un’ombra, cos’è la vita se non un sogno che vola via". Quelle parole mi fecero riflettere. La mia crescita in relazione al mondo degli spiriti mi aveva permesso di comprendere principi di carattere spirituale. Capivo perciò che se la vita era come un’ombra, allora non valeva nulla, non era stabile, che poteva esserci oggi e sparire domani.

Nonostante il mio piano iniziale, non riuscii ad andarmene da quel luogo. Dopo poco cominciarono a pregare mentre nella mia mente risuonavano le parole di quella canzone. Fu così che mi chiesi "Titi, è forse vero? Se lo è, cos’è la tua vita? Sei sicura di non essere solo un’ombra? Effettivamente potevo benissimo essere solo un’ombra visto che spesso di notte lasciavo il mio corpo disteso sul letto. Forse ero l’ombra di qualcun altro. Questo pensiero continuava a rimbalzarmi nella mente, pensavo che se ero un’ombra, potevo sparire appena il sole o un’altra luce forte fosse apparsa. Poi, siccome avevo sempre avuto paura del buio, cominciai a chiedermi il perché di questa fobia. Perché avevo paura del buio?

Il flusso di pensieri continuò finché una donna si alzò e, rivolgendosi al pubblico, cominciò a parlare di Gesù. Nel suo discorso, menzionò delle cose a cui io stessa avevo pensato di tanto in tanto, anzi in realtà cominciò a parlare proprio di me. Usò queste parole: "Hai vissuto nelle tenebre e ora ti chiedi cosa ne sarà di te; anche se non riesci ad avvicinarti al buio, tu gli appartieni, non c’è speranza!". Disse molte cose che io stessa avevo pensato nella mia solitudine. Quelle cose ne rievocarono altre, in particolare le parole della nonna, il bambino in Isaia 9:5, le mie amiche cristiane, dalle quali avrei dovuto guardarmi come da demoni. A proposito di ciò, ero veramente confusa, perché queste amiche erano fra le persone più gentili che avessi mai incontrato, tanto che quando le avevo ferite, mai si erano vendicate, né avevano voluto farlo. Era evidente che queste ragazze stessero vivendo la loro vita a un altro livello, o, sarebbe più corretto dire, a un altro piano spirituale, molto diverso dal mio, al quale mi chiedevo se sarei mai arrivata.

Molte delle cose dette da quella donna, le avevo pensate proprio in quella stessa settimana e sembrava che lei le conoscesse perfettamente e le spiattellasse davanti a tutti. In uno scatto d’ira, pensai che la mia compagna di stanza dovesse aver detto tutto di me alla donna e che questa doveva essere stata la ragione della sua conoscenza e insistenza. Così mi decisi a ricorrere a tutti i miei poteri per arrivare alla ragazza e punirla. Nel momento stesso in cui stavo formulando tali pensieri la donna che aveva la parola disse: "Potresti pensare che qualcuno mi abbia parlato di te. Invece nessuno mi ha detto nulla, ma Dio ti conosce e Gesù ti ama". Allora dissi: "C’è qualcosa che non va, non può essere stata la ragazza a dirle di me, perché la donna sta continuando a leggere nei miei pensieri proprio adesso, non può essere andata a raccontarle quello che sto pensando adesso". Effettivamente non avevo detto a nessuno quello che stavo pensando in quel momento, eppure quella donna ripeteva a voce alta i miei pensieri più intimi. Pensai allora di dover attaccare la donna sul palco; decisi di chiamare tutti i miei servitori per combattere contro di lei per l’imbarazzo a cui mi stava costringendo davanti a tutti. Proprio quando feci questo pensiero la donna disse: "Non pensare che il tuo potere basti a sfidare Gesù. Stai vivendo nelle tenebre, Gesù è la luce, vieni alla luce". Pensai che era veramente troppo e che la faccenda doveva essere risolta una volta per tutte. Bisognava che scoprissi chi realmente fosse e se i suoi poteri erano maggiori dei miei. Cominciai ad usare tutti i poteri che conoscevo contro di lei, ma non smise mai di parlare. Niente di quello che facevo sortiva l’effetto desiderato. Ogni volta che apriva la bocca, lo faceva per rispondere ai miei pensieri. Era molto calma, forte e aveva piena fiducia in quello che diceva. Le sue parole erano una specie di specchio che faceva rimbalzare via tutte le cose che volevo le accadessero. Poi cominciò a dire: "Non cercare di combattere, c’è solo un nome davanti al quale ogni ginocchio si piegherà. Non c’è nulla che tu possa fare, Gesù è il potere supremo e la suprema autorità. Perché non ti sottometti a Lui?". Aggiunse anche: "Non credere che i poteri che ti sono stati dati già prima della nascita ti serviranno a qualcosa quando avrai a che fare con Gesù".

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Continuò così per un po’, mentre io mi ripetevo che era impossibile che qualcuno avesse saputo tutto ciò e avesse avuto tanto coraggio da dirlo davanti a tutti, doveva esserci qualcosa di fuori dall’ordinario. Allora la donna disse: "Se sei tanto in dubbio, perché non provi soltanto? Dimentica i tuoi poteri, dimentica le tue fatiche. Vieni a Gesù, mettilo alla prova. Se ti accorgi che non fa al caso tuo, puoi dimenticartene, ma almeno ne sarai convinta perché avrai provato". Raccolsi quell’invito come una sfida. Dissi tra me e me: "Dopo tutto ciò che ha detto e quello che ho cercato di fare, mi arrendo, proverò ad andare da lei". La donna riprese a dire: "Sei nelle tenebre, perché non vuoi venire alla luce di Gesù Cristo, Lui ti libererà dalle tue paure". Poi cominciò ad elencare alcune paure che erano proprio le mie, benché le avessi tenute nascoste e nessuno le conoscesse. A quel punto non avevo altra scelta, dovevo ammettere che c’era qualcosa di veramente potente all’opera. Doveva essere qualcuno che mi conosceva e che veniva da un altro livello spirituale, più alto del mio, visto che il mio potere non aveva alcun effetto su di lei.

Decisi di provare e proprio mentre mi stavo convincendo a farlo, lei disse: "Se stai pensando di provare a venire alla luce, prima di tutto alzati in piedi per dimostrare la tua decisione". Dal momento che avevo deciso dentro di me, volevo alzarmi ma non ce la facevo. Era come se fossi rimasta incollata alla sedia. Provai di nuovo ma era un’impresa difficile. A quel punto la donna disse: "Non lasciarti legare, vieni, sciogliti, sii libera nel nome di Gesù. Se invochi Gesù, Lui ti libererà". Provai ancora una volta ma ancora non riuscivo ad alzarmi dalla sedia, perché i miei cosiddetti servitori mi trattenevano. Mi stavano veramente tenendo con grande determinazione. Era la prima volta che qualcuno m’impediva di fare ciò che volevo. In tutta la mia vita ero stata abituata ad ottenere ciò che desideravo e i miei servitori avevano sempre fatto quello che dicevo loro. Quando avevo sentito le parole della donna, mi ero detta che non c’era nulla di spettacolare in lei e che avrei potuto metterla alla prova. Gli spiriti, però, protestavano dicendo: "Non puoi provare, non hai il permesso di farlo, noi non te lo lasceremo fare!". Risposi loro: "Quando avete cominciato a darmi ordini? Sono io che normalmente comando, non voi!". Allora gli spiriti: "No, abbiamo ricevuto degli ordini e dobbiamo farli rispettare, comandiamo noi oggi!". A quel punto ero ancora più convinta di mettere alla prova le parole della donna per vedere se aveva ragione e non capivo perché non potessero lasciarmi andare, né di che cosa avessero tanta paura. Tuttavia continuarono a tenermi incollata alla sedia, come se fosse una questione di vita o di morte. Da quel momento in poi era come se la donna partecipasse alla nostra conversazione. Infatti disse: "Qualsiasi cosa ti sta trattenendo, invoca il nome di Gesù. Non c’è potere che possa resistere a questo nome". Così dissi a me stessa: "Perché non posso semplicemente prenderla in parola e fare quanto mi ha suggerito? Dopotutto questi spiriti non mi stanno nemmeno ubbidendo, non vogliono lasciarmi andare, forse lei ha più poteri". Dissi semplicemente "nel nome di Gesù" e nel momento stesso in cui pronunciai quel nome, caddero tutti indietro e io mi alzai. Quello che vidi spiritualmente fu una specie di grande fascio di luce, un fulmine a tutti gli effetti, molto veloce. Mentre ero in piedi la donna disse: "Non limitarti a stare in piedi, vieni avanti. Il fatto che tu ti sia alzata in piedi corrisponde a una dichiarazione. Lascia le tenebre, vieni avanti, vieni, Gesù ti aspetta, puoi vederlo". Quando mi alzai in piedi, sentii di poter toccare le tenebre della mia vita, una coltre fitta dietro di me, mentre davanti riuscivo a vedere la luce, nel posto esatto in cui la donna stava in piedi. Camminando pensavo che dopotutto avevo fatto arrabbiare quegli spiriti e non potevo tornare indietro da loro; non mi restava che raggiungere la luce per scoprire cosa nascondeva. Così continuai ad avanzare verso di lei, mentre mi rivolgeva queste parole: "Dì addio al diavolo, non ti volterai indietro, non tornerai a lui". Avvicinandomi sentivo forti voci protestare: "No, non devi andare! Proveremo noi a prenderti, devi ancora fare molto per noi!". Al sentirli, mi chiedevo come mai non me l’avessero detto prima che mi stavano usando e che ero stata preparata a servire qualcun altro. Venni avanti e fu quando arrivai di fronte a tutti che realizzai che altre persone erano lì presenti per accettare Cristo. Pregammo e nella preghiera la donna menzionò quel bambino in Isaia 9:5, dicendo: "Accetta Gesù nel tuo cuore come un bambino". Gesù è venuto al mondo come un bambino, ecco perché la Bibbia dice un bambino ci è nato, nel passo del profeta. A quel punto mi rasserenai pensando che finalmente quel bambino, che stavo cercando da così tanto tempo, era arrivato.

Accettai Gesù nella mia vita, confessando che non sapevo molte cose, che stavo passando dalle tenebre alla luce e che volevo conoscerlo di più. La donna pregò per noi e ci disse che altre persone sarebbero venute a parlarci. Qualcuno in effetti mi prese da parte e cominciò a dirmi cosa significasse accettare Gesù, ma dal canto mio non fu facile spiegargli quello che mi era successo. Dissi semplicemente a quella persona che ero uscita dalle tenebre per entrare nella luce. Questa persona mi diede alcuni consigli su come vivere una vita cristiana e mi raccontò delle cose che dovevano servirmi a crescere spiritualmente, poi pregò per me.

Dopo questi eventi, mi sentii molto felice per aver trovato quel bambino che andavo cercando. Ero entusiasta e cominciai a raccontare a tutti che avevo accettato Gesù. Non sapevo da dove iniziare, ma volevo che tutti sapessero quello che avevo provato. Così, quella stessa notte (era il 9 febbraio del 1977) cercai il posto più alto nei paraggi della scuola, magari un albero su cui arrampicarmi. Non trovando nulla di simile mi arrampicai su una cisterna d’acqua, mi alzai in piedi e gridai a gran voce: "Sentite tutti voi dell’ostello, sentite ragazze, chiunque può sentirmi, voi alberi, voi cani… oggi ho dato la mia vita a Gesù, non seguo più il diavolo!". Scesi dalla cisterna e corsi da un edificio all’altro. Ero talmente emozionata che non riuscivo a fermarmi. Raccontavo a tutti quelli che incontravo ciò che mi era successo quella sera, che avevo accettato Gesù. Alcune ragazze pensavano che fossi impazzita perché sapevano che non avevo mai partecipato agli incontri cristiani e che non mi erano mai piaciuti.

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03/06/2009 17:36
 
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Ero al culmine della gioia, volevo che tutti sapessero quello che mi era successo prima del coprifuoco (normalmente andavamo a letto alle 10). Mentre me ne andavo in giro raccontando quanto mi era successo incontrai la ragazza che mi aveva invitato all’incontro insieme ad altre ragazze cristiane. Se ne stavano giusto andando dal luogo in cui si era tenuto il programma dopo essersi fermate a pregare. Le raccontai che ero felicissima di aver accettato Gesù Cristo e che c’era qualcosa che volevo lei facesse per me immediatamente, su due piedi, vista l’urgenza. Mentre lei si chiedeva cosa fosse tutta quella fretta, le mostrai un grosso segno che avevo sul polso sinistro. Ce l’avevo dall’infanzia, da quando un uomo con un boomerang, entrato nella mia stanza attraverso il muro, mi aveva lanciato contro quell’arma, che, penetrando nel mio corpo attraverso la mano, lasciò quella piega. In quegli attimi, tanto tempo fa, avevo sentito ogni parte del mio corpo andare in fiamme per il contatto e la rotazione del boomerang. Il giorno dopo mia zia, insospettita, mi aveva chiesto cosa mi fossi fatta, ma per la paura non ero riuscita a dirle quello che era successo. Sapevo che si trattava di una di quelle prove che avrei dovuto passare per ottenere maggiori poteri spirituali, benché non fosse piacevole. Avevo desiderato l’aiuto di qualcuno, ma non ero riuscita a raccontare l’episodio a nessuno.

La sera della mia conversione raccontai quell’esperienza alle ragazze, le quali non sembravano capire, perciò mi limitai a chiedere quello che avrei voluto che facessero immediatamente per me: volevo che pregassero affinché quella cosa che era entrata nel mio corpo potesse uscire. Dissi loro che se Gesù era entrato in me, quella cosa non poteva rimanere e veramente mi aspettavo che se ne sarebbe uscita non appena avessero pregato. Durante la preghiera grosse squame cominciarono ad uscire dal mio corpo, si trattava di vere squame, come quelle di un grosso pesce. Le squame mi uscivano dal polso, direttamente da dentro il mio corpo. La fuoriuscita continuò finché sul pavimento non si formò un grosso cumulo. Dopo un po’ il flusso si fermò e la cicatrice, che assomigliava a un buco sul mio polso, scomparve lasciando solo un piccolo segno. Cominciai a preoccuparmi di quello che dovevo fare con quelle squame, quando le ragazze avevano già deciso di prendere la scopa per spazzarle via; le fermai, dopotutto quelle squame non ci appartenevano. Fu allora che sparirono.

Mentre le ragazze si chiedevano ancora cosa fosse successo, le lasciai per raccontare alla gente il primo miracolo che si era verificato nella mia vita dal momento in cui avevo accettato Gesù. Quella notte, per la prima volta nella mia vita, dormii tranquillamente, come una bambina appena nata. Il giorno seguente, una domenica, fu il bagliore del sole a svegliarmi. Nel vedere il sole brillare, pensai "ecco che arriva Gesù". Tutta quella luce splendente mi ricordò che appartenevo alla luce e che mi svegliavo in Gesù. Ero veramente felice. Da quel giorno, in particolare ogni domenica mattina, ho continuato a desiderare la venuta di Gesù. La luce mi ricorda quella prima domenica in cui svegliandomi avevo finalmente sentito la certezza di essere insieme a Gesù.

Quel giorno acquistò ancora più significato per me perché solo tre sere prima mi era stato riferito che quello stesso sabato si sarebbe svolta una cerimonia durante la quale sarei stata iniziata a un livello superiore di stregoneria. Già quando ne fui informata, la cosa non mi piacque per diverse ragioni: sebbene avessi potuto usare il potere ricevuto come più avrei desiderato (addirittura aiutando delle persone), avrei dovuto iniziare a succhiare il sangue, sangue umano, e a usarlo nei sacrifici. Quel mercoledì sera, mentre stavo meditando nel mio letto e fuori infuriava un temporale, un uomo era entrato nella mia stanza intimandomi di alzarmi: "Devo mostrarti qualcosa" – aveva detto - "tra tre giorni diventerai più importante di quella che sei oggi, e abbiamo bisogno di prepararti per questa responsabilità. Ti mostrerò dove ci incontreremo". (Tanto per rendere le cose più chiare possibile, per andare a un incontro di spiriti bisogna uscire dal proprio corpo, che rimane tranquillamente addormentato nel letto, mentre la vera identità della persona si sposta nel mondo degli spiriti. Partecipare a incontri di questo tipo era una cosa abbastanza frequente per me, che mi divertivo a cercare di identificare le persone che vedevo nel mondo degli spiriti e a riconoscerle nel mondo reale). L’uomo mi aveva portato fuori dalla stanza, senza bisogno di aprire la porta, passando direttamente attraverso il muro. Il temporale infuriava e il vento soffiava forte, tanto che il ramo di un albero, spezzato dalla sua furia, aveva rischiato di finirmi addosso. Il ramo era secco e asciutto, io l’avevo afferrato, ma non ero riuscita a tenerlo in mano, così era caduto, lo avevo raccolto e avevo seguito l’uomo. Avevo avuto la sensazione che il ramo fosse stato parte del piano, e che l’uomo fosse rimasto deluso dal fatto che non ero riuscita ad afferrarlo e a tenerlo con sicurezza. Credo di averlo lasciato cadere di nuovo subito dopo, perché non ricordo di averlo avuto all’incontro. Arrivati all’appuntamento, avevo visto dei grandi volatili dai becchi rossi, simili ad avvoltoi, che in realtà erano esseri umani con il becco rosso del sangue che avevano appena finito di succhiare. Al mio arrivo tutti si erano inchinati e mi avevano accolto parlandomi della posizione che mi era stata riservata fin dalla nascita. Mi avevano anche detto che non avrei potuto raggiungere la posizione più alta, finché non avessi compiuto una certa età e che nel frattempo avrei avuto il compito di segretaria. Avevano aggiunto che di lì a tre giorni avrei ottenuto quella posizione predestinata, dopo essere stata preparata per quel che doveva accadere. Quel fatidico sabato sarebbe stato il mio quattordicesimo compleanno e, quando la mia compagna di studi venne a invitarmi per partecipare al concerto, stavo aspettando l’arrivo di quell’uomo per andare all’incontro fissato. Per questo motivo ero tanto riluttante a uscire. Com’è storia nota, andai con la mia amica al programma musicale e questo accadde pochi secondi prima dell’arrivo dell’uomo. Gli eventi, come si è potuto vedere, avrebbero preso un corso diverso da quello che avevo programmato. Inizialmente avevo l’intenzione di lasciare il programma musicale per incontrare l’uomo poco più tardi, ma fu lui a raggiungermi insieme ad altri spiriti e a cercare di distogliermi dall’idea di accettare Gesù Cristo quella sera.
Grazie a Dio, come ho raccontato, il suo tentativo fallì.

Titilayo Fawojure

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