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Ivanhoe - parte prima

Last Update: 5/30/2009 4:34 PM
5/30/2009 4:34 PM
 
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PROLOGO

Perchè parlare di Ivanhoe ? Fra i libri immortali è il classico prototipo che ha generato centinaia di scrittori e dato origine a tutti i romanzi storici, ispirando fra questi anche il Manzoni nei suoi Promessi sposi. Ricordo ancora quando lessi Ivanhoe la prima volta, quasi per caso. Mentre i miei compagni di scuola si preparavano per le interrogazioni o andavano a fare comunella in cortile, sornione m'intrufolavo in biblioteca speranzoso d'imbattermi nel classico romanzo degli eroi della grande tradizione cavalleresca, quelli di cappa e spada per intenderci, dove fondamentalmente primeggiava la grande storia d'amore il più delle volte ostacolata dalle angherie del potere, dai genitori, dalle invidie e gelosie, ma infine sempre trionfante. La Freccia nera - di Robert Louis Stevenson - rimane ancora una pietra miliare, un bell'esempio di trasposizione tv che sopravvive ancora ai giorni attuali. Ricordo non persi nemmeno una puntata e furono quelle forti emozioni ad accostarmii a questo sempreverde di Walter Scott. Ivanhoe l'avevo scelto perchè ho sempre amato la storia come materia e tutta l'ambientazione del romanzo ricalca perfettamente quello che è stato uno dei periodi piu travagliati e avventurosi dell'Inghilterra.

TRAMA

La storia, ambientata nell'Inghilterra durante l'invasione normanna, ha come protagonista il giovane e valoroso crociato Wilfred di Ivanhoe.
La storia risale al 1194. Sullo sfondo le lotte intestine tra due popoli inglesi che abitano il paese: i crudeli Normanni, che l'hanno conquistato un secolo prima, e i Sassoni, che gemono sotto tutte le conseguenze della sconfitta. Protagonista e Wilfred d'Ivanhoe, figlio di Cedric, un nobile Sassone ostile ai Normanni. Suo padre l'ha rinnegato perché è partito per la Terrasanta al seguito di re Riccardo. Ma il vero motivo però di tale abiura in realtà è il padre, contrario al suo amore per lady Rowena, la quale posta sotto la sua tutela era già stata promessa sposa ad Athelstane di Coningsburgh, con il chiaro intento di riportare al trono la stirpe Normanna. Ivanhoe, privato dell'amata, lascia la sua terra per una nobile causa e parte per la Terza Crociata al seguito di re Riccardo Cuor di Leone, in assenza del quale, l'ipocrita e ambizioso fratello Giovanni Senzaterra, tenta di usurparne il trono. A fianco di re Riccardo tornato per riprendersi il regno, Ivanhoe torna dalle Crociate, e sotto anonime spoglie partecipa al torneo di Ashby nel quale affronta e vince tutti i cavalieri del principe Giovanni; ferito in uno scontro cruento viene curato dalla bellissima Rebecca. All'apice d'innumerevoli colpi di scena, Ivanhoe, Rebecca, Cedric il Sassone e Rowena, mentre attraversano un bosco, sono fatti prigionieri da alcuni cavalieri normanni e rinchiusi nel castello del crudele tiranno Reginaldo Front-de-Boeuf. Dopo una furiosa battaglia il castello viene espugnato da un misterioso Cavaliere Nero e da una banda di arditi fuorilegge, guidata dal leggendario Robin Hood, difensore dei poveri. Solo Rebecca resta prigioniera in mano di un crudele templare, Brian-de-Bois-Guilbert che ne vuole a tutti i costi l'amore. Accusata di stregoneria e condannata al rogo, viene liberata da Ivanhoe, che combatte e vince per lei, uccidendo il malvagio Templare. Riccardo frattanto stabilisce il suo potere sui Normanni ribelli e ottiene la sottomissione dei Sassoni, avviando la fusione delle due componenti etniche nemiche in una nuova realtà nazionale, quella inglese. La storia si chiude col matrimonio tra Rowena e Ivanhoe, mentre Rebecca che invano lo aveva amato decide di andarsene lontano dall'Inghilterra.

INTRECCIO

La foresta. In questo angolo di natura selvaggia dove fiorirono anticamente leggendarie bande di gagliardi fuorilegge così popolari nelle canzoni inglesi, si apre il primo capitolo del celebre romanzo di Walter Scott.


CAPITOLO I

In quel bel distretto della lieta Inghilterra che è bagnato dal Don, si estendeva negli antichi tempi una vasta foresta che copriva la maggior parte delle amene colline e vallate tra Sheffield e la bella città di Doncaster. I residui di questa grande foresta si possono ancora vedere nelle residenze nobiliari di Wentworrth, di Warncliffe Park e nei dintorni di Rotherham. Là un giorno si aggirava un tempo il favoloso dragone di Wantley; là furono combattute molte delle più terribili battaglie durante le guerre civili delle Due Rose. Il sole tramontava sulla radura della foresta, da cui venivano coperte in maggior parte le belle colline e le belle valli che si trovavano tra Sheffield e la graziosa città di Doncaster. Centinaia di querce dall'ampia chioma, dai lunghi rami, dai tronchi bassi, stendevano le loro braccia nodose su un fitto tappeto di erba dal verde più delizioso; in alcuni punti esse si frammischiavano a faggi, agrifogli e macchie, così fitti da interrompere i raggi orizzontali del sole morente; in altri punti distavano molto l'una dall'altra, formando quei lunghi sentieri, in declivio, tortuosi, in cui lo sguardo ama sperdersi, ma anche alla fantasia appaiono come sentieri verso luoghi più selvatici di solitudine silvestre. I raggi di fuoco del sole mandavano laggiù una luce frammentaria, pallida, che illuminava i rami contorti ed i tronchi muschiosi degli alberi, e là formavano delle chiazze splendenti in alcune zolle erbose su cui si proiettavano. Uno spazio molto aperto, nel mezzo della radura, sembrava fosse stato, ai tempi antichi, un luogo riservato ai riti della religione druidica ché, sulla sommità di una collinetta, tanto regolare da sembrare artificiale, rimaneva ancora la parte di un cerchio di immensi massi di pietra, rozzi, ma spaccati con l'ascia.
stonehenge

E da quel punto in poi
sentimmo sotto di noi
svolgersi il sentimento,
largo e intento
ad una tutta sua meditazione,
non curante
che sopra la sua pelle si ballasse.
Le foglie coi barattoli, le casse
con i tronchi senza cuore.


I druidi erano sacerdoti degli antichi Celti, abitanti della Gallia e delle isole britanniche dal II secolo a.C. al II secolo d.C.
Poco si sa di loro ma da ciò che emerge è certo che di sicuro dovevano essere persone coltissime, che studiavano e analizzavano i fenomeni naturali e gli astri in modo da poter trovare un "punto d'accordo" fra uomo e natura, erano ciò che di più elevato si possa immaginare. Nelle zone della Gran Bretagna non invase dai Romani, il druidismo sopravvisse finché fu soppiantato dal cristianesimo.
Ecco a proposito un interessante estratto dal sito druidi

I druidi officiavano ovunque: la loro magia era la magia della terra. Tuttavia, avevano dei "santuari", per quanto diametralmente opposti da quelli a cui la nostra civiltà ci ha abituati. I loro santuari, o "nemeton" (da una radice che indica propriamente il "sacro"- presente nel nome del personaggio epico di Nemed) erano delle radure nelle foreste, degli sprazzi di erba nei querceti sacri, ed i Celti non ebbero templi sino alla romanizzazione. Rutherford riporta un brano inquietante con cui Lucano descrive un bosco sacro (per quanto esso tenda, al pari di Cesare, a "barbaricizzare" i Celti ed a dare l'idea di un popolo selvaggio, superstizioso e crudele: è probabile, tanto per dirne una, che i druidi, nonostante tutte le idee comuni e preconcette diffuse da Cesare ai giorni nostri, non sacrificassero mai uomini, e rimando per questo argomento all'enciclopedico Il Druidismo di Markale):
" C'era un bosco sacro, mai profanato da tempo immemorabile, che sotto la volta dei suoi rami racchiudeva un'aria tenebrosa e gelide ombre, facendo schermo in alto ai raggi del sole. Non Pani agresti e Silvani, signori delle selve, e Ninfe lo abitavano, ma vi erano celebrate cerimonie di barbari riti: vi si ergevano sinistri altari e durante i sacrifici il sangue umano sprizzava su ogni pianta. Se un po' di fede merita l'antichità, che ha provato lo stupore per il divino, persino gli uccelli avevano paura di posarsi su quei rami e le fiere di sdraiarsi in quella selva; neppure il vento o la folgore che piombava dalle fosche nubi si abbattevano su di essa e le fronde degli alberi avevano un brivido tutto loro, senza che il vento le scuotesse. Acque abbondanti cadevano da cupe sorgenti e le lugubri statue degli dèi erano prive d'arte, ricavate rozzamente da tronchi intagliati. […] E si narrava che spesso muggivano per i terremoti le profondità delle caverne, si risollevavano i tassi abbattuti e si vedevano bagliori nelle selve, senza che vi fossero incendi, e che draghi striscianti si avviticchiavano ai tronchi. Le genti non si radunavano in quel luogo per celebrarvi il culto, ma lo avevano lasciato agli dèi. Quando Febo è a metà del suo corso o in cielo si stendono le tenebre della notte, neppure il sacerdote osa addentrarvisi per paura di vedersi improvvisamente davanti il signore del bosco." (III, 400-425).

Il vate galante
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