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Il peccato di maggio

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2014 21:44
29/04/2009 13:08
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Gabriele d'Annunzio


Il peccato di maggio




Or cosí fu; pe 'l bosco andavamo. Sottile
ella era e tutta bionda; su la nuca infantile
due ciocche avean que' caldi luccicori vermigli
che han le vergini antiche di Tadema; tra i cigli
lunghi li occhi avean l'iride verdognola, raggiante
di fini àcini d'oro. Da l'alta erba odorante
ella sorgeva eretta, come un vivente stelo.
Noi andavam pe 'l bosco. Sopra un fondo di cielo
aranciato i grandi alberi, dinanzi, ne 'l fogliame
prendean tinte metalliche, toni intensi di rame;
parean fusi ne 'l bronzo i tronchi, ma di sotto
a le scorze, passando, sentivamo interrotto
noi ascendere il brivido pugnante de le linfe
e il romper de le gemme noi sentivamo.
- O ninfe
amadrïadi, occulte ne le estreme radici,
non voi dunque cantaste su 'l passaggio li auspicî
a l'amore? -
Io guardavo Yella, muto: le acerbe
risa di lei, tra 'l vasto fluttuare de l'erbe
e 'l vento, sotto i dômi alti de la verdura,
squillavano. Ed a 'l riso le si schiudea la pura
chiostra de i denti, a 'l riso l'arco de la gengiva
quasi ferinamente rosso le si scopriva.
Io guardavo, fiutando voluttuosamente;
poi che il corpo di lei esalava un ardente
profumo, qual di frutto maturo; ed un'alena
tepida palpitava ne 'l bosco; e in ogni vena
a me correva l'aspro vin de la giovinezza...
Oh freschissime risa tintinnanti a la brezza
de 'l vespro, salutanti da 'l bel grembo selvaggio
di un bosco il morituro sol di calendimaggio!




[Modificato da nomade blu 20/09/2014 21:44]
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Noi andavamo. - Ah, senti, senti i merli fischiare -
ella disse, fermandosi. Da 'l ciel crepuscolare
discendeva su i rami la nebbia violetta;
lentamente. D'un tratto, dietro l'ultima vetta
scomparve, in fondo a 'l lago de le nuvole, il sole.
Allora fu una molle cascata di viole
ne l'aria: un solco d'oro s'apriva basso; rotto
il bagliore su i culmini indugiava; di sotto
a i culmini illustrati, già ne l'assopimento
grave i tronchi annegavano; ne lo scoloramento
de la sera le cose perdevano le forme.
Le viole cadevano; era una pioggia enorme.
Tutto il bosco, un istante, parve a la mia vista
una maravigliosa foresta di ametista
che risplendeva; e Yella parve la maga. Eretta
fra l'erba, ella sentiva la nebbia violetta
avvolgerla; ed a l'ultima luce crepuscolare
ella diede li addii, con un alto cantare.

Ella cantava stretta a 'l mio fianco. Una ciocca
de' suoi capelli a tratti mi sfiorava la bocca;
e allor come un profumo strano di cosa viva
m'irritava le nari avide, mi saliva
pe 'l capo. Io le guardai la gola palpitante
a 'l ritmo de le note, bianca bianca.
Le piante
curve a 'l passaggio udivano?
Io le guardai la gola.
Or venivan d'in torno le nebbie di viola
ne l'aria; una penombra dolce velava l'aria,
e su da la foresta profonda e solitaria
sorgevano le voci de le cose, li odori
de le cose. Pareva, non so, come da i fiori,
da le foglie, da l'erbe un sogno vegetale
salisse e si spandesse, grande e soave; quale,
non so, da le dormenti acque a l'alba un vapore,
insensibile: un sogno di foresta in amore
ch'io respirava.
O Yella - susurrai. Mi sentivo
languire; ed il suo braccio seminudo, il suo vivo
braccio di marmo, avvinto a 'l mio, m'insinuava
come un vellicamento fievole. Ma cantava
ella; ma ne 'l suo corpo di vergine non anche
fluiva il dolce tossico de 'l disío; ma le bianche
virginità de 'l petto non avevano pure
un anelito.




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Tacque; poi che su le pianure
a l'orizzonte il disco de 'l plenilunio sorse,
improvviso. Pe 'l bosco addormentato corse
allora un lungo brivido. Il benigno rossore
lentamente vinceva la notte; da 'l pallore
de 'l cielo il disco enorme brillò, come un divino
scudo, classicamente.

- O, Vergilio latino,
o tu che da la curva lira d'avorio i canti
sacri derivi, m'odi! Se mai le riluttanti
ciglia a notte domai su 'l tuo poema e i dolci
sonni immolai su l'ara, mite Vergilio, molci
or le mie corde e l'ali concedimi a 'l linguaggio,
dà gl'inni a 'l plenilunio reo di calendimaggio! -




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Quando il grande letargo de 'l bosco ne i chiarori
lunari si sommerse, crescevano li odori
su da 'l bosco profondo in marea fresca; e il vento
carico de li odori per quel biancheggiamento
mettea soffi, recando come lunghi bramiti
di cervi in lontananza. Or le cerve da i miti
occhi umani ascoltavano ebre di desiderio
que' richiami d'amore, trepide ne 'l misterio
de l'ombre vigilando se non già tra 'l fogliame
d'in torno luccicassero li occhi ardenti di rame
d'un amante. Passava il vento: i secolari
tronchi di quercia ergevano a li incanti lunari
le membra, come atleti che chiedessero abbracci,
ansando ed anelando, non piú paghi de i lacci
de l'edera. Parevano rettili alti in agguato
certi alberi; mettevano su 'l candore perlato
de la luna, certi alberi, come una efflorescenza
rigida di dïaspro; e ne la evanescenza
de la luna era come una selva lontana
di cupole e di aguglie, era come una strana
città che si perdeva in fughe di viventi
colonne, pe 'l vapore. Ma li odori crescenti
attossicavan l'aria; ma da quel gran letargo
vegetale esalava un respirare, un largo
respirare di belva; ma come voci rotte
di piacere animavano il bosco, ne la notte.



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Noi ci fermammo. A noi sovra il capo il fulgore
piovea placido e fresco; ne le carni un languore
novo metteane, quasi penetrasse la cute
ammollendo le vene. Ora un disío di acute
voluttà mi pungeva, innanzi a quella bianca
vergine inconsapevole. - Io sono tanto stanca -
ella disse, piegando ne la persona...
Oh come
si scoperse la gola tra l'onda de le chiome
e le iridi si persero, fiori ne 'l latte, in fondo
a 'l cerchio de le pàlpebre! Oh come il sen rotondo
sgorgò fuor de la tunica!
Io mi sentii su li occhi
scendere un denso velo; e le caddi a' ginocchi
e con avide mani su pe 'l suo torso ascesi,
e tremar come un'arpa viva il suo torso intesi.

Atterrita a que' subiti vibramenti d'ignote
fibre, ella con aneliti, gemiti, con immote
le pupille e la bocca dilatata, pendeva
su me. Ne le sue giovini carni il peccato d'Eva
squillava a gran martello, come sopra sonore
làmine di metallo: E' l'ora de l'amore!

Cosí, vinta, si stese. Un irrigidimento
di piacere le prese il corpo; semispento
l'occhio le naufragava ne l'onda de 'l piacere.
Chino a lei su la bocca io tutto, come a bere
da un calice, fremendo di conquista, sentivo
le punte de 'l suo petto dirizzarsi, a 'l lascivo
tentar de le mie dita, quali carnosi fiori...
O bei fiori vermigli, che avevate sapori
di mandorla, di latte, freschi sapori umani,
o bei teneri fiori, io mi sento su i vani
versi, a 'l ricordo, ancora impallidir la faccia,
ed ancora le reni, come allora, mi ghiaccia
un brivido!




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Su i vani versi per voi fatico
io stanotte, Madonna, a fermar questo antico
ricordo. E da 'l mio sangue rigermoglia l'amore
furtivamente. Yella, in fondo a 'l vostro cuore,
piú non canta, o Madonna, come un dí, pe 'l selvaggio
bosco, ne 'l plenilunio reo di calendimaggio?












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