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A proposito di Saviano..


Firme contro Saviano: l’iniziativa de "Il Giornale" mi sembra miserevole
di Giampiero Mughini

Un quotidiano milanese notorio per il suo accanimento fazioso, s’è messo a raccogliere fra i suoi lettori firme contro la presenza in tv di Roberto Saviano. Ora ognuno di noi può essere o non essere d’accordo con i contenuti delle lunghe “narrazioni” che Saviano fa in prima serata su Rai3, se del caso non ha che da premere il telecomando e scorrere via su un altro canale. Liberi tutti poi di criticarlo a mezzo stampa o su un’altra trasmissione televisiva. Quanto a me, non è che vada pazzo di quella sua aria da martire e questo mentre sta concionando in totale libertà e ben remunerato (entrambe le cose sacrosante). Detto questo, a me l’iniziativa de Il Giornale sembra miserevole.Qualcuno l’ha paragonata al famoso appello del giugno 1971 in cui la bellezza di 800 fra intellettuali, uomini politici, registi cinematografici italiani misero la loro firma sotto un testo in cui il commissario Luigi Calabresi veniva definito “il capo torturatore” della squadra di poliziotti che alla sera tarda del 15 dicembre 1969 avrebbe prima torchiato e poi buttato giù dal quarto piano della questura milanese l’anarchico Giuseppe Pinelli. Un’accusa che era solo monnezza e che non poggiava su nessuna base di fatto, e da cui Calabresi sarebbe stato totalmente scagionato dall’accuratissima indagine condotta da un magistrato adamantino e di sinistra, Gerardo D’Ambrosio.Solo che quando D’Ambrosio concluse la sua indagine, Calabresi era morto da tempo: il 17 maggio 1972, mentre usciva da casa, era stato assassinato da un killer che i tribunali italiani hanno più tardi individuato in Ovidio Bompressi, uno che ai tempi dell’omicidio Calabresi era un energico militante di Lotta continua. Un paragone possibile tra le due raccolte di firme? Nemmeno per sogno, e senza dire che io non sono minimamente d’accordo con quanti sostengono che l’appello del giugno 1971 armò la mano dell’assassino del maggio 1972. La firma sotto un appello e due colpi di pistola sparati alle spalle sono due gesti e due responsabilità di una natura completamente diversa. Quanto alle firme raccolte dal quotidiano milanese esprimono un’opinione, un’avversatività politico-ideologica, un accanimento fazioso. Ma non più che questo.Semmai, e a voler accettare a tutti i costi il paragone, quella del giugno 1971 era un tragedia e laddove questa del novembre 2010 è una farsa. Una tragedia era l’Italia dove una bomba era esplosa in una banca milanese il 12 dicembre 1969 a dilaniare dei cittadini italiani che stavano facendo i conti del dare e dell’avere di fine settimana; una tragedia l’Italia dove un ferroviere anarchico entrò innocentissimo negli uffici della questura milanese e ne uscì cadavere; una tragedia l’Italia dove stava per debuttare quel terrorismo “rosso” che ucciderà in sequenza magistrati, poliziotti, giornalisti; una tragedia quella di un Paese dove la contrapposizione ideologica era tale che 800 fra intellettuali e uomini politici famosissimi diedero del “capo torturatore” a qualcuno senza avere il benché minimo appiglio di fatto.Una farsa l’Italia di questi anni, dove se vuoi diventare un eroe devi impugnare il microfono di una trasmissione televisiva e dove le più grandi battaglie sono a colpi di “share” . E dove una bella ministra che fino a ieri era descritta più o meno come una mignotta dai giornali anti-Berlusconi, diventa su quegli stessi giornali una Giovanna D’Arco al momento in cui si mette a bisticciare con il capo del governo.
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“La curva sud ci ha dato una lezione, si può anche perdere, si possono anche subire amare sconfitte, ma con quegli striscioni che hanno esposto ci hanno fatto capire che nei momenti sfavorevoli bisogna aumentare le energie. Loro ci danno la fede noi gli dobbiamo dare il carattere”. Dino Viola
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