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L'armadio

Ultimo Aggiornamento: 19/05/2009 13:09
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18/03/2009 12:37
 
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E’ una mattina noiosa di lavoro. Mi trovo sul treno per Milano, leggermente in ritardo sull’orario. Alle undici ho una riunione, spero che il treno recuperi.
Piove e il paesaggio grigio dai finestrini, non contribuisce a migliorare il mio umore da lunedì mattina. Le gocce d’acqua, scorrono sbieche dai finestrini. S’asciugano prima di finire la loro corsa, con ricami incomprensibili, diventano sporche lì, dove la goccia si ferma.
Tento di leggere una notizia sul giornale, più grigia del tempo di oggi. Vengo continuamente distratta da squilli, trilli, suonerie più svariate, discussioni telefoniche interminabili, cinguettii di fidanzati e fatti privati, snocciolati candidamente davanti ad un vagone d’estranei.
Chiudo il giornale insieme agli occhi, mi appisolo senza accorgermene. In quel preciso momento, sento una giovane voce femminile, che mi sta chiedendo se il posto davanti a me è occupato. Le rispondo di no, mentre l’osservo incuriosita. Avrà circa venti, venticinque anni. Capelli corti neri, sorriso ancora un po’ infantile, dalla bocca leggermente imbronciata. Anche lei, probabilmente, contrariata dalla giornata cupa. Indossa una maglietta bianca con una rana ed una margherita, c’è scritto: Monella vagabonda e la cosa mi fa leggermente sorridere per la singolare similitudine.
Si siede, indossa le cuffiette dell’Ipod, apre un’agenda, dalla copertina rosa e nera e inizia a scrivere, è mancina, scrive con la sinistra e mi viene un leggero capogiro, nell’osservare quella scrittura contro verso. Scrive con una grafia fitta e minuta, come se la carta fosse troppo poca, per contenere tutte le cose che lei vorrebbe imprimerci.
Mi appisolo di nuovo e vengo svegliata dal controllore. Lei è ancora lì a scrivere. In treno rallenta e viene annunciata l’imminente fermata. La ragazza, rapidamente si prepara per scendere. Chiude l’agenda e l’appoggia sul tavolo davanti. Prende la borsa, indossa il giaccone, si prepara l’ombrello e scende. Abbasso gli occhi e m’accorgo che si è dimenticata l’agenda. Cerco di raggiungere l’uscita, ma il treno riprende la sua corsa.
L’agenda m’è rimasta in mano. L’appoggio di nuovo sul tavolo, dalla mia parte e l’osservo. A dire il vero non è un’agenda, sembra un diario. La copertina è anonima, non c’è scritto nulla sopra. Tutti i suoi pensieri, sono racchiusi dentro. Tento di lottare contro la curiosità. Non è bello che io mi metta a leggere i fatti altrui. Penso però che dentro, magari ci sarà qualche indizio per poterla restituire. Sto barando con me stessa; è una scusa per tacitare la mia coscienza.
L’apro con riluttanza, combattuta ancora dal senso di colpa. Sulla prima pagina c’è scritto: diario di Tiziana…. segue il cognome, che ometterò. Nella riga successiva lei usa uno pseudonimo, un nickname, come si usa su internet: Titti Bloom. Sorrido pensando che forse è una fan di Orlando Bloom.

22 novembre

Il 20 m’è scaduto il contratto di collaborazione con la biblioteca. Dopo tre mesi di noiosissimo lavoro, ho accumulato un po’ di soldi, tutti miei. Ci ho pensato tanto, sarebbe stato saggio metterli da parte, in attesa di nuovo lavoro. Non ho potuto resistere, mi sono fatta un regalo fa-vo-lo-so!
Dopo averla vista e rimirata in una vetrina in centro, tante di quelle volte da aver quasi consumato il marciapiede davanti, stamattina sono entrata, senza rimorsi, decisione presa: l’ho acquistata. La mitica borsa di Prada, m’è costata due mesi di stipendio. La nonna, quando gliel’ho mostrata, scuoteva la testa, ha detto che non sono saggia. Lo so ma che dovrei fare? La formichina che accumula pochi spicci alla volta, in attesa della prossima fonte di guadagno? Per ora mi sono fatta un regalo. Domani devo incontrare le mie amiche per un tè, chissà che faccia faranno…

21 novembre

Ho aperto l’armadio. Volevo trovare qualcosa di carino da mettere, che non stonasse con la borsa. Ho tirato fuori tutto. Provato e riprovato ad indossare i miei abiti. Non c’era nulla che potesse andare. Ero davanti allo specchio quando s’è aperta la porta. Mamma stava lì a bocca aperta, inorridita davanti al disordine, ha chiuso sbattendo la porta, senza dire una parola. Sistemerò tutto più tardi. Uffa ma che le importa a lei, se è tutto sottosopra, è la mia stanza in fondo.
Esco per cercare qualcosa di adatto e chiamo Giada, la mia migliore amica. Non posso più tenermi, le dico della borsa.
Prada! Esclama lei e poi per un secondo non ha più parole. Devi farmela assolutamente vedere, soggiunge poi. Ci diamo appuntamento in centro, così mi aiuterà a scegliere qualcosa di adatto. Faccio un rapido conto di quanto m’è rimasto dei miei guadagni. Pazienza, se poi non avrò più soldi. La nonna non me li nega mai, quando glieli chiedo.

22 novembre

Ho aperto l’armadio. Mi sono messa quel completo stupendo che ho acquistato ieri con Giada. Ho indossato gli stivali, nuovi anche quelli, e la mitica borsa!
Alle cinque e mezza, incontrerò Sandra, Laura e Licia, sono mesi che non le vedo. Lo so non sono proprio le mie amiche del cuore, anzi a dire il vero sono anche un po’ invidiose. Sempre lì a lanciare frecciate. Oggi sono sicura che le farò diventare verdi e la mitica borsa, sarà la mia fedele alleata.
Ho avuto ragione. Verdi, sono diventate verdi! Per un po’ sono state lì senza parlare, un po’ troppo imbarazzate dall’invidia. Hanno cercato d’ignorare la borsa, mi hanno squadrata da capo a piedi, ma neanche una parola. Poi Laura, con il tono più ingenuo del mondo, ha chiesto: Hai cambiato pettinatura? Questo è stato tutto. Nella sala da tè, non hanno fatto altro che nominare tutti i ragazzi che le stanno dietro. Una collezione, peggio delle figurine dei calciatori che facevano i maschi alle elementari, un ce l’ho, mi manca. Mi sono sentita tanto a disagio. Io che il ragazzo non ce l’ho e che non avevo nulla da collezionare.
Sono rientrata a casa con la bocca amara. Mi sono forse illusa che quelle siano amiche? La borsa non m’è servita. O forse sì? Però resta l’amaro.

1 dicembre

Ieri mi ha telefonato Giorgio, un vecchio amico di liceo. Sono tre anni che non lo vedo. Una vita! Chissà perché ci siamo persi di vista. Stasera andiamo a mangiare una pizza insieme. Mi ha raccontato un po’ di lui, mi ha detto che l’altro ieri, mentre sistemava l’agenda del cellulare, ha visto il mio numero e gli è venuta voglia di chiamare.
Ho aperto l’armadio. Cosa mi metto? Vestito elegante? No, non mi pare il caso, è solo una cena tra amici.
Prendo i jeans, quelli con i ricami sulle tasche. Apro il cassetto. In fondo c’è quella vecchia maglietta che indossavo a sedici anni. Non la metto più da tanto tempo. E’ quella che mi regalò Giada per il compleanno. Ha un gattino grazioso stampato sopra. Si è fatta un po’ stretta, pazienza. Ho deciso metterò questa! Rivangheremo i vecchi tempi e mi sembra il capo più adatto. Prendo le scarpe da ginnastica argentate, lo zainetto ed esco.

0re 01
Sono qui, nel letto che piango di rabbia! Sono una stupida! Me lo sto ripetendo da un’ora.
Giorgio mi aspettava davanti alla pizzeria. Abbiamo cominciato a parlare dei vecchi compagni. Ti ricordi Paolo, quello che non passava mai i compiti di matematica? Il secchione della classe? E Antonella, ho aggiunto io, che litigava sempre, perché diceva che le mettevo in disordine il banco? Giù a ridere come due matti. Abbiamo ripercorso un po’ i nostri anni di liceo, mi sentivo ancora un po’ ragazzina. Mentre stavamo lì a sorseggiare una birra, l’ho visto improvvisamente farsi serio. Mi stava fissando. Cercavo di capire, cosa avesse da fissare tanto. Mi stava guardando le tette! Quel porco! Maiale! Si è accorto che avevo capito, ha distolto lo sguardo ma non ha smesso quell’aria bavosa. Siamo usciti e ha provato a mettermi le mani addosso. Ho ricordato perché non l’avevo più sentito. Era quello che ci provava con tutte, finiva sempre per metterti le mani addosso. Imbecille! Cretina! Sì sono una cretina. Come ho fatto a non pensarci. Volevo passare solo una serata divertente, ricordare il passato. Invece è finita con il ceffone che gli ho mollato.
Ho preso la maglietta, l’ho tagliata a strisce, mentre furibonda, continuavo a singhiozzare.

2 dicembre

Ho spento il cellulare. Oggi non voglio sentire nessuno. Non ho dormito molto stanotte. Girandomi e rigirandomi nel letto, riflettevo sul disastro della serata. Cosa ho io che non va bene? Quelle tre arpie collezionano “figurine” e io, che al massimo raccatto la sottospecie di bava colante di Giorgio. Mi sono alzata a fatica.
Ho aperto l’armadio. Ho preso nel primo cassetto quel pigiama di pile, tutto intero, con la lampo davanti, quello che mi ha regalato nonna a Natale. Non mi piace, perché è scomodo, però oggi mi fa sentire protetta, sarà la mia armatura contro il malumore e le “bave colanti”. Indosso le pantofole a coniglietto rosa. Troppo carine! Me le sono comprate l’anno scorso a Barcellona con Giada. Mi fanno tanto sentire coccolata. Sono il mio Teddy Bear consolatore, le indosso sempre, quando sono giù di corda.
Vado in cucina. Oggi faccio tutti dolci. Dolci coccolosi, così magari mi passa la depressione.
Mamma è in ufficio, nonna è in giro con le sue amiche. Oggi la cucina è tutta mia!
Mentre mescolo, farina e uova, zucchero e cacao, lentamente la mia rabbia si placa. Inforno e mentre aspetto, faccio cioccolatini. Chi se ne importa della dieta, tanto a che mi serve essere magra?
Nulla, non c’è nulla che possa fermare la mano, è già partita. Stacco un piccolo pezzo di cioccolata, lo metto in bocca. Le sensazioni gustative, passano dallo sciogliersi del cioccolato, al dolce dello zucchero ed infine all’amaro del fondente che resta persistentemente in bocca. Una calma, una pace scende finalmente su di me, tutti i problemi, i disagi sono scomparsi, resta soltanto la gratificazione per quel gesto. Ma dura poco…

4 gennaio

E’ un po’ che non scrivo qui sopra. I soldi sono finiti da un pezzo, quelli regalati a Natale, anche. E’ qualche tempo che sto cercando di nuovo un lavoro. Ieri mi hanno dato appuntamento per un colloquio, ci devo andare nel pomeriggio. Rimango con le dita incrociate, in senso metaforico è ovvio, un gesto scaramantico, non si sa mai.
Ho aperto l’armadio. Non ci ho messo molto a decidermi. Il mio solito, classico tailleur blu. Metto le scarpe a tacco medio, non mi va che pensino che sto provando a sedurre qualcuno, per avere il posto. Chiudo tutti i bottoni della camicetta bianca, tranne gli ultimi due e metto quel ciondolo d’oro a quadrifoglio: il mio portafortuna. Abbigliamento semplice, classico ed essenziale.
Alle quattro meno un quarto, sono già davanti all’agenzia. Il tizio che deve farmi il colloquio, siede dietro la scrivania, apparentemente continua a scrivere, m’ignora per un po’. Pensa di mettermi a mio agio? Sono nervosa. Non è la prima volta. Ogni volta però, uno stress! Fai il colloquio, speri di andare bene, aspetti e spesso non hai neanche una risposta. E’ una festa quando ottieni un contratto per sei mesi. A Giada, l’hanno rinnovato di nuovo, riuscirà a lavorare per un anno intero. Sembra una favola.
Mentre stavo lì, immersa in questi pensieri, il tizio mi dice di sedermi. Mi siedo incrociando le gambe, non le accavallo, non voglio pensi male.
Ha letto il curriculum, mi fa un sacco di domande. Ho le mani sudate e non m’accorgo che le stringo ogni tanto tra loro. Apro e chiudo la penna a scatto. Lui mi osserva le mani, mentre sta lì ad ascoltare. Esco e ci rifletto dopo, ho dato un’impressione d’insicurezza. Mi sono fatta tradire dalle mani, accidenti! Non credo che richiamerà. Apro la borsa Prada e mi metto in bocca una caramella per addolcire la frustrazione.



20 gennaio

La settimana scorsa, al compleanno di Giada, ho conosciuto un ragazzo favoloso. E’ carinissimo, gentile, dolce, intelligente…
E’ il fratello di una nuova collega di Giada. Sono rimasta affascinata come una scema a guardarlo, mentre mi parlava. E’ da allora, che non faccio che pensare a lui.
Il cuore m’è balzato in gola, quando oggi mi ha chiamata al cellulare. Gli avevo dato il numero ma non ci credevo per niente che m’avrebbe chiamata. Lui è così bello e io così imbranata.
Vuole uscire stasera. Oddio, sto diventando matta! Vado dal parrucchiere e mi faccio fare un taglio “figo”!
Ho aperto l’armadio. La circostanza esige che io rimetta tutto all’aria. Al diavolo mia madre!
Cosa mi metto? Uffa, non ho mai nulla da mettermi.
Alla fine, esce l’ultimo capo, in fondo all’armadio. L’avevo dimenticato. Un vestito attillato, quello scollato, che avevo comperato per una serata importante e non ho mai messo. Ha ancora il cartellino attaccato.
Lo indosso, niente male, sembro anche, un po’ più “vecchia”. Le scarpe coi tacchi alti, quelle stavolta le metto e pazienza se ci cammino male sopra. Cercherò di stare attenta. Il girocollo di nonna, fa tanto vintage, se glielo chiedo, sono sicura che me lo presterà.
E’ ora, esco inciampando nei tacchi. Lui m’aspetta sotto casa in macchina…


A questo punto smetto. Ho già letto troppo. Non voglio sapere come finirà la storia.
Rifletto e penso alla grigia notizia del giornale, letta poco fa. Discussioni di politici sul futuro dei giovani.
Penso a Titti Bloom, alla sua insicurezza, alle sue aspettative, alle sue sofferenze; celate in un armadio.
[Modificato da kamo58 18/03/2009 12:39]
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20/03/2009 22:29
 
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E' un peccato che la protagonista abbia smesso di leggere a me interessava il continuo del racconto [SM=x142888]
Mi ha fatto tristezza questa Titti più preoccupata di quello che deve indossare piuttosto di come instaurare dei rapporti con gli altri.
Sempre bravissima Kamo!


...

MICHELA
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21/03/2009 16:59
 
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Alla fine credo che la protagonista, riprenderà a leggere qualche altra pagina, visto che altre persone sono rimaste con la curiosità...
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22/03/2009 22:26
 
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Ottimo ;)
E' una storia nella storia. Hai adottato una soluzione molto interessante...


...

MICHELA
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26/03/2009 14:11
 
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A me sinceramente ha spaventato un pò la figura della protagonista.
Mi sembra una ragazzina di quindici anni più che una giovane che affronta il mondo del lavoro...
Mi da l'idea di un animo leggero, superficiale.
[SM=g27829] umh...


...

◊...Perchè gli occhi dell'uomo cercan morendo il sole...◊
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26/03/2009 15:54
 
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Probabilmente dovrò approfondire un po'. La ragazza che scrive ha una ventina d'anni, non quindici. Volevo sottolineare l'immaturità di certi ragazzi di oggi, cresciuti troppo nella bambagia ma col mondo di fuori più duro che mai. Credetemi, ne ho conosciuti proprio così. L'insicurezza, nascosta dai vestiti, usati un po' come un'armatura, un modo per mimetizzare le paure.
Probabilmente non ci sono riuscita, almeno non in questa parte. Ci lavorerò sopra. Grazie per i commenti, mi hanno fatto capire di più.
[Modificato da kamo58 26/03/2009 15:56]
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15/04/2009 13:17
 
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Dopo aver riflettuto sui vostri commenti, ho continuato a lavorare su questo racconto. Questa frase viene cancellata:

A questo punto smetto. Ho già letto troppo. Non voglio sapere come finirà la storia.
Rifletto e penso alla grigia notizia del giornale, letta poco fa. Discussioni di politici sul futuro dei giovani.
Penso a Titti Bloom, alla sua insicurezza, alle sue aspettative, alle sue sofferenze; celate in un armadio.


Il racconto continua con la storia della protagonista, a cui è rimasto il diario di Titti Bloom.


Entro in casa dopo una giornata caotica. Tre riunioni di fila a Milano, il treno in ritardo per il ritorno.
Sono stanca morta. Apro l’acqua calda della doccia e mentre il flusso dell’acqua scorre, ascolto un vecchio brano della Fritzgerald.
Piano, piano l’acqua lava via ogni cattivo pensiero. Domani per fortuna resto qui, niente viaggi, niente riunioni. Entro in cucina e apro il frigo per cercare qualcosa da mettere sotto i denti, mi ricordo della posta che avevo gettato distrattamente sul tavolo della cucina. Il frigo è vuoto, un limone ammuffito e una lattina di coca light. Che pensavo di trovarci? A casa non ci sto mai, tra un viaggio e l’altro ho dimenticato di fare acquisti. Pazienza! Telefono alla pizzeria sotto casa e mi faccio portare su una margherita. Nel tempo che aspetto, apro la coca e la lettera. E’ la notifica dell’avvocato del mio ex, il divorzio è stato registrato, ora siamo nuovamente liberi, due perfetti estranei. Lo eravamo già da un bel pezzo.
Io e Paolo ci eravamo conosciuti all’università e dopo anni un po’ difficili, io laureata in economia lui in legge, finalmente eravamo riusciti a sistemarci. All’inizio la nostra convivenza è stata molto bella, poi come spesso succede, la vita ci ha divisi. Le nostre rispettive carriere hanno richiesto sempre più tempo, più energie. La sera rientravamo a casa distrutti, magari dopo giorni passati fuori. Un rapporto non può durare tanto a lungo se vissuto più al cellulare che dal vivo.
Un bel giorno ci siamo accorti che non avevamo più nulla in comune. Le poche volte che ci vedevamo, erano liti per i più futili motivi, le parole venivano scagliate tra di noi come porcellane in frantumi. Ogni coccio rotto, un pezzo in meno d’amore tra noi. Poi abbiamo smesso anche di litigare. Un bel giorno lui, mi si è parato davanti, qui vicino al frigo e m’ha detto che aveva un’altra relazione. “Voglio il divorzio!”, sono state le sue ultime parole.
E’ stato doloroso concretizzare quello che era ormai troppo evidente. Ho preso atto della fine, aveva ragione lui.
Ha preso tutte le sue cose, mentre io lo guardavo inebetita, anch’io non lo amavo più ma essere messa davanti a quel fallimento, io abituata sempre a vincere con tenacia, fu la delusione più grande. Piangevo a dirotto per questo ma lui pensò che lo facessi perché andava via.
- Non essere patetica, Anna, è meglio così per tutti e due - Poi aprì la porta, chiudendola alla sue spalle. Fine della storia. Rimasi lì, a pensare ad ogni singolo attimo del nostro rapporto, cercando di attribuirgli tutte le colpe possibili.
Penso per un attimo a quei tristi momenti, ma lascio perdere subito. Aveva ragione lui, è stato meglio così. Ora ho più spazio in casa, non litigo più se il frigo è vuoto, se ho dimenticato di programmare il riscaldamento, se ho dimenticato di gettare la spazzatura. No, ora non litigo più.
Spengo il cellulare. Ormai squilla solo per lavoro, ho finito e stacco la spina.
Mentre apro la borsa per prenderlo, vedo lì, dimenticato, il diario di Titti. Lo apro e mi chiedo se almeno lei avrà avuto più fortuna di me, in amore.


21 gennaio

Ieri è stata una serata bellissima. Quando sono scesa, Marco mi stava guardando in un modo che mi ha fatto balzare il cuore in gola. Abbiamo tanto parlato, ci siamo raccontati di noi, dei nostri amici. Per la verità ho parlato tanto di Giada, di come ci eravamo conosciute al corso di nuoto, da bambine. Eravamo diventate inseparabili e lo siamo restate. Lei è l’unica che mi conosce a fondo, sa capire quando sono triste e non abbiamo bisogno di tante parole tra noi.
Lui mi stava ad ascoltare, interessato a quello che dicevo e mi fissava negli occhi. A volte mi fermavo, confusa dal suo sguardo e lui m’incalzava a continuare. La sua voce mi fa venire la pelle d’oca, così profonda e calda.
Ad un certo punto, ha allungato una mano e ha stretto la mia, così sul tavolo. Un brivido mi ha attraversato la schiena. Siamo usciti poi a fare una passeggiata, mano nella mano, come due che stavano insieme da una vita.
Lui ha venticinque anni, appena laureato in giurisprudenza, sta facendo tirocinio in uno studio. Mi ha parlato tanto della sorella, Antonella, che lavora con Giada. Lei ha due anni meno e ho percepito in lui un forte legame nei confronti di lei.
Prima di salutarci, in macchina, s’è sporto verso di me, ha preso il mio viso tra le sue mani e mi ha baciata. E’ stato come nei romanzi: ho quasi sentito le campane.
Sono rientrata tardi ma sapevo che Giada era ancora sveglia. Le ho mandato un sms e lei mi ha richiamata subito. Siamo state due ore al telefono a parlare di Marco. Sono andata a dormire all’alba, praticamente non ho chiuso occhio per tutta la notte. Marco, Marco, Marco… Non mi viene in mente altro.


25 gennaio

Io e Marco ci siamo rivisti, ormai usciamo tutti i giorni e stiamo così bene insieme. Lui mi ha fatto il primo regalo, una piccola clessidra, suggellerà il tempo che passa tra un incontro e l’altro. Un pensiero molto carino e romantico.
Stasera andiamo a sentire un concerto. Sono agitata, come mi vesto? Voglio essere bellissima per lui.
Io e Giada andiamo a fare acquisti. Ci vuole qualcosa di adatto all’occasione. Giriamo e rigiriamo per i negozi. Provo capi che non mi soddisfano, mi sembra che nulla possa essere adatto. Nessun vestito va bene e niente, mi fa apparire come vorrei io. Giada comincia a spazientirsi. Mi incita a decidermi, per lei ce n’erano tanti di vestiti adatti. Guarda questo! Esclama alla fine, non è una favola? Lo guardo appoggiato addosso a lei, con tutta la gruccia incorporata. Sono perplessa e lei alla fine sbotta che s’è stancata di un’intera giornata di mie insoddisfazioni. Dice proprio così e non credo voglia alludere ai vestiti.



Sono seduta a questa “tavola rotonda”, davanti a me una bottiglia di minerale e un bicchiere. Ognuno con la sua relazione pronta. Lavoro costato una o due nottate. Sta parlando il mio collega della sede di Torino. Lo ascolto in sottofondo, ma non riesco a concentrarmi. Titti Bloom, entra nella mia mente in punta di piedi. Penso a lei, e sono curiosa di conoscere il seguito della storia. Quella ragazza mi fa tenerezza, un poco mi ricorda l’Anna dei tempi andati, quella che quindici anni fa, entrava tutta speranzosa all’università.
La mia collega Enza, seduta a fianco a me, mi da una leggera gomitata, mi ero distratta troppo e toccava a me parlare. Mi scuso, e mi schiarisco un poco la voce, inizio a parlare e tutti gli sguardi sono su di me. E’ un attimo, penso se mi sono vestita in modo appropriato, strano non è mai stata una priorità il mio modo di vestire, baso tutto sulla mia competenza. Il solito tailleur nero, va sempre bene, chissà che mi è preso.
Dopo la lunga riunione, in pausa pranzo, in attesa della sua ripresa, non ho voglia di continuare a stringere patti e relazionarmi sull’argomento. Scendo e vado al bar nel parco, che disterà duecento metri dal palazzo della nostra sede centrale. Ordino un tramezzino, una spremuta d’arancia e un caffè. Apro la borsa, pago e prendo il diario di Titti, continuo a leggere mentre una lieve brezza mi scompiglia i capelli.


26 gennaio

Ieri alla fine Giada, m’ha lasciata sola. Si era veramente arrabbiata, ha detto che i miei problemi non sono i vestiti e prima ne prendo atto e prima ne esco.
Non ho capito bene, di cosa dovrei prendere atto? Comunque lei se n’è andata, ha preso il primo autobus che passava verso casa sua e m’ha salutata con la mano.
Io ho continuato a girare per negozi. Alla fine si stava facendo troppo tardi, così ho deciso di rientrare. Ho risparmiato i soldi del vestito nuovo.
Ho aperto l’armadio. In fondo la gonna nera a tubino e la camicetta di seta, semi trasparente, color cremisi, che tanto va di moda quest’anno, andranno bene. Lascio i bottoni aperti sulla scollatura. Metto un filo di perle di nonna, quelle che le regalò il nonno per un anniversario e mi faccio prestare la bustina da mamma, quella nera con il bottone perlato sopra. Le scarpe sono invece un problema, nere classiche? Oppure quelle coi tacchi a spillo in tinta con la camicetta? Scelgo queste ultime, mi danno un’andatura sexy. Scarpe e borsa in tinta non sono più di moda, o è il contrario? Non ho tempo per riflettere.
Controllo il trucco e scappo, Marco già sta aspettando da una decina di minuti.
Mentre esco dal portone noto un lieve broncio sul suo viso. Sarà contrariato dal mio ritardo o non gli piace come sono vestita? Appena mi vede il viso gli s’illumina e m’accoglie con un bacio.
Il concerto era di musica classica, Vivaldi, è un tipo di musica che mi piace poco. Di solito ascolto rock. Mi sono un po’ annoiata ma ho cercato di far vedere che ero molto interessata. Marco però non se l’è bevuta. La prossima volta scegli tu, ha detto.


29 gennaio

Sono due giorni che Giada non s’è fatta sentire. Non capisco cosa le ho fatto. M’ha piantata lì come una scema e la contrariata è lei. Le voglio troppo bene però, così l’ho chiamata io. Era un po’ fredda all’inizio, poi la conversazione è filata via come al solito tra noi. Abbiamo parlato di Marco, del più o del meno, del suo lavoro ma non ha accennato al fatto dei vestiti.
Le ho chiesto se voleva venire con me al cinema. Ci ha pensato qualche istante, poi ha aggiunto che aveva da fare con sua sorella. Mi è sembrata una scusa. Che si stia stancando della nostra amicizia? Non ci ho pensato su troppo. Ci sono rimasta un po’ male, ma le passerà.


6 febbraio

Ieri, altro colloquio di lavoro. Non sapevo come vestirmi, ma aprendo l’armadio, ho tirato fuori il tailler blu, quello che ho messo l’altra volta, ho pensato che fosse il più adatto con la borsa Prada.
Stavolta mi sembra di aver fatto buona impressione. La richiameremo noi, ha aggiunto il tizio che m’ha fatto un sacco di domande. Stavolta voglio sperarci. Sono uscita che ero di buonumore, ho mandato un sms a Marco, per dirgli com’era andata. Poi ho chiamato Giada ma aveva il cellulare spento. Sono andata a passeggiare, lì, dove mi trovato per il colloquio. Ho visto in vetrina due bellissimi orecchini, di quelli lunghi, staranno molto bene su quella maglietta di Fiorucci e non ho resistito.


La giornata è stata molto pesante. Alle 18 ho preso il treno e l’ho quasi perso a causa di una manifestazione in centro, a Milano. Il taxi è rimasto imbottigliato un bel po’. Il cellulare continuava a squillare. Ci sono i retroscena della riunione da commentare, quello non detto da intuire e il lavoro da preparare per domani. Avrei tanto voluto appisolarmi un po’, dovevo scrivere però la relazione.
Ho aperto il laptop, ho iniziato a digitare le prime frasi. Cancello e riscrivo, non riesco a concentrarmi. Il tizio che mi siede davanti, mi sta osservando. Mi accenna un sorriso, vorrebbe iniziare una conversazione, ma io non ho voglia di parole di circostanza. Fingo di non averlo visto, riprendo a scrivere. Quel benedetto cliente, quello che mi sta tempestando di chiamate, m’interrompe di nuovo. Cerco di essere professionale e gentile, anche se vorrei mandarlo a quel paese. Lui insiste, io cerco di prendere tempo, complice una galleria, la linea cade. Spengo il cellulare. Stanca e irritata, chiudo anche il laptop. Domani mattina mi alzerò prima, per finire la relazione. Apro la borsa e prendo il diario di Titti.


28 febbraio

Ultimo giorno del mese più corto dell’anno. Ce ne sono di proverbi sull’argomento, ma non riesco a ricordarli. E’ più di un mese che io e Marco stiamo assieme. Una settimana fa abbiamo festeggiato. Si è presentato sotto casa, con un mazzo di rose rosse. Un gesto così romantico d’altri tempi. Mi ha portata a cena in un ristorante fuori città, a lume di candela. E’ stata proprio un bella sorpresa. Io gli ho regalato la versione speciale, uscita qualche anno fa, dell’esecuzione delle Quattro Stagione di Vivaldi del maestro… Va bene non ci capisco nulla e non mi ricordo come si chiama quel tizio, me l’ha consigliato il commesso del negozio. Marco ha gradito molto. Per prepararmi per la serata ci ho messo tre ore e tutto il pomeriggio prima per cercare un vestito nuovo. Mi sono messa dei leggings neri, sopra una giacca stretta in vita e stivali dai tacchi altissimi. Sembra che i leggings siamo molto sexy quando si accavallano le gambe. Volevo far girare la testa a Marco e ci sono riuscita. Si è confuso un paio di volte, mentre mi guardava scendere dall’auto.


4 marzo

Quelle arpie di Sandra, Laura e Licia si sono rifatte vive. Non so come, hanno saputo di Marco e ora vogliono che organizzi una cena per conoscerlo. Non mi andava proprio, ma non sono riuscita ad evitare. Staranno lì tutte a studiarlo e magari si metteranno anche in mostra per far valere la loro superiorità di donne.
Le odio. Non so perché non le mando a “quel paese” una volta per tutte. Ho chiamato Giada, lei dice che non mi devo preoccupare, che Marco è innamoratissimo di me e non le vedrà neanche. Io però non sono così sicura che non si farà lusingare. Non voglio andarci! Non voglio!

6 marzo

Mi tolgo il dente stasera. Meglio farlo prima possibile. Andremo al ristorante indiano, che piace tanto a Marco, così magari si distrae con il cibo e non guarda quelle smorfiose.
E’ da stamattina che ci penso. Cosa posso mettermi? Devo fare colpo, essere al centro della scena, rubarla a loro. Marco non le deve neanche guardare.
Ho aperto l’armadio. Ormai i miei vestiti li conosco a memoria. Ho implorato Giada di venire stasera, mi serve una spalla. Le ho chiesto come potrei vestirmi. E’ stata molto vaga e poi l’hanno chiamata e ha dovuto attaccare. Non credo che verrà. E’ un po’ strana negli ultimi tempi.
Guardo e riguardo, vestiti, gonne, scarpe e accessori. Ci ripenso, se mi vesto troppo vistosamente, le arpie diverranno ancora più aggressive, la competizione è il loro pane quotidiano. Ragiono su, se invece mi vesto in modo anonimo, Marco magari guarderà troppo loro. Ho deciso, almeno per adesso. Posso sempre cambiare idea no? Mi metto la gonna stile folk, quella lunga a balze che fa tanto figlia dei fiori, ci metto sopra un maglione di cotone rustico, stivali scamosciati senza tacco, capelli sciolti sulle spalle. Sembrerò un po’ mia madre a quindici anni, ma dovrebbe andare, quel tanto da dare nell’occhio, quel poco da non farle esplodere. Chiedo in prestito la vecchia borsa di cuoio di mamma, quella rustica, che portava da adolescente e che tiene per ricordo.
Appena arrivati al ristorante, Sandra, Laura e Licia erano tutto zucchero filante. Baci e abbracci, si sono sprecati, specialmente a Marco. Come avevo previsto. “Dove vi siete conosciuti”, “perché non ci hai detto niente” e altre duemila domande, snocciolate come un rosario. Io avevo un sorriso di circostanza stampato, sembravo la pubblicità di un dentifricio. Tanto hanno detto e tanto hanno fatto, che guarda un po’, Marco è finito vicino a Sandra. L’ha tampinato tutta la cena. Io ero diventata furibonda, ma non potevo lasciarlo trasparire, almeno spero che sia stato così. Sarebbe stato il trionfo del trio.
Alla fine questa tortura è finita. In macchina avevo un muso lungo fino a terra. Marco ogni tanto, mi lanciava un’occhiata. Ha cercato di fare delle domande su di loro. Più le nominava, più io restavo muta. Mi ha lasciata sotto casa con un timido bacio sulla guancia.
Lo sapevo! Magari ora telefona ad una di loro e forse, proprio a Sandra. Le odio!
Continuo a domandarmi perché non le lascio al loro destino. Per di più Giada non è venuta.
La chiamo, la sento molto triste. Le racconto della serata, le dico come mi ero vestita, e poi scoppio a piangere perché ho paura che Marco mi lasci per una di loro.
Giada sta a sentirmi, veramente non parla, poi mi chiede se ci vediamo domani pomeriggio. Le dico che va bene.


Il treno ha avuto un problema tecnico. S’è fermato una stazione prima. Avevo una riunione importante. Stiamo decidendo una nuova strategia di marketing, dobbiamo incrementare le vendite in un momento di “stagnazione economica” come scrivono sempre i giornali. Ho dovuto telefonare e avvertire del ritardo. Dopo mezz’ora fermi in stazione, nessuno sapeva dirci quando il treno avrebbe ripreso la corsa. Sono scesa, ho telefonato all’agenzia di noleggio auto, e sono arrivata in riunione con un’ora e mezza di ritardo. Mi avevano aspettata e non ero l’unica che ha avuto problemi stamattina.
Una giornata decisamente negativa. Il capo area era furibondo, le azioni stanno andando giù. La gente non acquista e le giacenze sono sempre più pesanti sul bilancio aziendale. Comincio a temere tagli di personale. Non vorrei dover ricominciare a girovagare per elemosinare un lavoro. Dopo tanta gavetta, fatica e dedizione, che avuto un prezzo molto alto, potrei dover ricominciare tutto da zero. Meglio non pensarci ora.
Finita la riunione, tra mezz’ora, ho un colloquio col capo. Prima però vado al bar, mi prendo un caffè e apro il diario di Titti. Leggere le sue “preoccupazioni” così eteree, un po’ infantili, mi fa venire il buonumore. Certe volte m’immedesimo, è come se tutti questi anni d’amarezza si cancellassero con un colpo di spugna. Una pagina bianca di diario da riempire e da leggere. Una vita da vivere attraverso parole scritte.

7 marzo

Giada è arrivata un po’ in ritardo. Non è da lei. Si è seduta al bar e abbiamo ordinato due coche. Erano ghiacciate e ho sentito un brivido di freddo attraversarmi la schiena. Forse era la faccia funerea di Giada a farmelo sentire.
Le ho chiesto che cosa avesse. Lei mi guardava e taceva sorseggiando la bevanda. Forse stava cercando di riordinare le idee. Mentre stava lì zitta, ho iniziato a raccontarle i particolari di ieri sera e di come avevo passato tutta la notte a piangere.
Dopo qualche minuto m’ha interrotta, con un tono stizzito che non le avevo mai sentito, ha detto che s’è stufata. Anzi l’ha proprio esclamato, sillabando la parola la seconda volta. Io ho sgranato gli occhi, “ma di cosa?” Ho chiesto.” Di come ti comporti tu!” Ha esclamato ancora.
Sono trasecolata, letteralmente caduta dalle nuvole. Poi senza lasciarmi il tempo di aprire bocca, ha iniziato a parlare lei. Un fiume in piena.
Ha detto che devo crescere, che a ventidue anni, dovrei essere una donna e non una ragazzina piagnucolosa, che sta sempre a pensare a sé stessa, a come apparire agli occhi degli altri. Vestiti, vestiti e vestiti, pensi soltanto a quelli, per mascherare la tua insicurezza e la tua paura di vivere. Guardati intorno, ha continuato, ti sei mai chiesta cosa pensano e provano gli altri?
Mi telefoni e parli di te, del tuo ragazzo, di te e delle amiche, di te e dei vestiti, di te… Non le venivano più le parole per la troppa concitazione.
Senti Giada… Ho iniziato, non m’ha fatto finire la frase. Ti sei mai chiesta cosa provo io, se ho dei problemi? Pensi che soltanto tu, soffra e pianga? Ieri sono stata lasciata dal mio ragazzo, che tu neanche sai che esista. Non te l’ho mai detto, perché non me la sono sentita di condividere con te questi sentimenti di frustrazione e dolore. Eri troppo presa dai tuoi stupidi piagnistei, Marco ti adora e tu stai già rovinando tutto. A Luigi invece, di me non gl’importava nulla, un po’ come a te in fondo.
Pensaci, la nostra è un’amicizia vera o per te sono solo una spalla su cui piangere, che ti deve consolare, aiutare e sopportare? Mi sono stancata, ci devo riflettere su questo nostro strano legame. Non chiamarmi più, comincia a cavartela da sola e pensa molto attentamente a quello che ti ho detto. Non ripeterò più le stesse cose.
Dopo questa fiumana di parole, che mi ha letteralmente vomitato addosso, ha pagato il conto e m’ha lasciata lì come un fantoccio rotto.


8 marzo

Ci ho pensato e ripensato a quelle parole. Quelle che Giada ieri ha scagliato contro di me. La mia prima reazione è stata d’incredulità. Non era vero niente. Io le voglio bene, è la mia migliore amica.
Ero furibonda, accuse ingiuste. Ho preso in mano il cellulare, volevo ribattere una per una queste sue accuse. Ho pigiato il tasto corrispondente al suo numero in rubrica, l’ho pigiato così tante volte che si è quasi cancellato. Prima che squillasse, però, ho chiuso. Ho composto, poi, il numero di Marco, volevo raccontargli tutto. Dovevo sfogarmi, mi serviva un conforto, qualcuno che mi dicesse che io non avevo fatto nulla. Marco non era raggiungibile, mentre riponevo il cellulare in borsa ho capito che forse, Giada su una cosa ha detto il vero. Cerco sempre qualcuno, una spalla su cui piangere e soprattutto qualcuno che mi dica che ho ragione io.
Nel pomeriggio, mi taglio i capelli cortissimi. Ho deciso di cambiare ed inizio da lì. E’ il mio carattere. Il mio umore è legato all’aspetto. Ci lavorerò su.
Intanto sto andando a Bologna per il mio primo giorno di lavoro.


Le ultime parole scritte da Titti, quelle che stava scrivendo sul treno, prima di dimenticare il diario.
Titti ha lasciato il posto a Tiziana. Ha iniziato a capire ma per lei, sarà molto doloroso lasciare quell’adolescenza prolungata, che è un po’ la culla di un’infanzia spensierata. Avrà molta strada da fare e tanti errori da commettere. Alcuni le lasceranno la bocca amara, altri un triste rimpianto e forse una vita piena di carriera e vuota d’affetti.
M’incammino a testa bassa verso l’ufficio del capo con un vago sentimento d’inquietudine.


18/05/2009 17:45
 
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Premetto che devo ancora leggere il seguito ma rispondo a Michela.
A me Titti fa tenerezza tanto è lampante la sua insicurezza (vedi prepararsi dei dolci per tirarsi su); mi assomiglia molto, come assomiglia alle mie figlie.

Se sono a terra cerco conforto nel cibo, in un trucco nuovo e scagli la prima pietra chi, almeno una volta, non ha agito come Titti nel passare ore chiedendosi "cosa metto?".

A differenza di Titti io ho molte borse di Prada, tutte rigorosamente taroccate, le compro da un senegalese; con 25 euro nemmeno una commessa sofisticata se ne accorge ( ho fatto la prova) ed io mi beo con vanità di un acquisto che mi fa sentire elegante e sicura.
18/05/2009 18:05
 
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Ora Titti ha capito il suo errore, ha compreso da cos'era dettata la sua mania compulsiva per gli abiti.
Giada è come tante amiche mie; gelosa della felicità di Titti.
Certo lei è nel giusto, è il modo che è sbagliato.

Nel complesso una seconda parte che mi ha lasciata perplessa-

Non avrei voluto continuasse.
A me andava bene finire il racconto com'era originariamente, lasciando il lettore libero di usare l'immaginazione.
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18/05/2009 18:16
 
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che dire....
Ciao, quasi in contemporanea. Appena un minuto tra la mia poesia e la parte ultima del tuo romanzo....Complimenti, non conoscevo questa tua dote di scrittrice...Attentamente leggerò tutto........un sorriso [SM=x142917]
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Email Scheda Utente
19/05/2009 13:09
 
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Da quello che leggo nei vostri commenti, è comunque un racconto che sconcerta e fa riflettere ed è un po' lo scopo per cui l'ho scritto.
Poi i gusti di ognuno divergono, molti mi hanno chiesto di continuarlo ed ho raccolto la loro richiesta ma anche io pensavo come fiordineve che a volte, l'immaginazione, fa galoppare le storie, secondo i propri gusti. Mi sono però divertita a continuarlo e immaginare una fine parziale di questa storia.
[Modificato da kamo58 19/05/2009 13:09]
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