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La vita di Caterina da Siena parla ancora a noi, oggi!

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2011 00:05
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13/02/2009 08:37

Avevo trovato un bellissimo sito di una persona appassionata alla vita di S.Caterina da Siena....e conservai, grazie al cielo, alcune pagine....
Ora, pur facendo la ricerca con google il sito non risulta più attivo e di questo ne sono veramente triste.... Crying or Very sad
Se l'autore, tuttavia, passando per queste pagine si dovesse riconoscere nel testo che segue, mi contatti e con somma gioia potrò inserire qui il suo link...
Wink

Storie di Caterina

Introduzione: Perché Caterina?

Caterina nacque a Siena il 25 marzo 1348 nella famiglia numerosa del tintore di panni Jacopo Benincasa. L'anno è quello della peste descritta nel Decamerone di Giovanni Boccaccio; il periodo storico quello comunale, ricco di conflitti e di rapidi mutamenti.

Ella visse in una città fiera, prospera senza eccessivi lussi, in cui alcune famiglie, arricchitesi, lottavano per il predominio ed erano spesso rissose anche nel privato e nel quotidiano; altre famiglie, come i Benincasa, avevano raggiunto una certa agiatezza; ma una parte della popolazione continuava a lottare per il pane ed era afflitta spesso da malattie dovute alla malnutrizione ed alla scarsa igiene. La miseria, insomma, era assai diffusa.

Una donna della sua condizione poteva aspirare ad un conveniente matrimonio (come la famiglia aveva progettato per lei), oppure ad una tranquilla sistemazione in un vicino monastero: soluzione, questa, nient'affatto singolare, come invece può apparire ai giorni nostri. Ma Caterina volle essere ricevuta in una pia associazione di vedove, che si appoggiava all'Ordine Domenicano e ne vestiva i colori; e vi fu accettata, lei ancora fanciulla, in via eccezionale.

Se per un certo periodo della sua vita stette ritirata in casa - ancor più di quanto usassero allora le giovani non ancora sposate - per dedicare la giornata alla preghiera, in seguito condusse una vita assai attiva e numerosi furono i suoi viaggi. Nel 1374 andò a Firenze, poi tornò a Siena per assistervi gli ammalati di peste; nel 1375 andò a Pisa; nel 1376 fu a Firenze per riconciliare la città col Papa; di qui ad Avignone, città della Francia dove il Papa risiedeva, e sulla via del ritorno a Tolone, a Varazze, a Genova. Nell'estate del 1377 è in Val d'Orcia per pacificare le famiglie rivali, che ne abitavano i castelli; nel dicembre dello stesso anno a Roma. Nell'estate del 1378 è ancora a Firenze, nel novembre a Roma, nel dicembre a Ostia. Nel 1379 è a Roma, dove morirà il 29 aprile del 1380.

Durante l'epidemia di peste che colpì Siena nel 1374 lavorò senza sosta ad assistere gli ammalati nell'ospedale della Misericordia; e nell'assistenza agli ammalati fu sempre molto attiva.


Intorno a lei si riunì una brigata di giovani che Siena chiamava i caterinati, che si consideravano i suoi figli spirituali e che la chiamavano Mamma. Di essi dirà: "A non piccolo prezzo li ho comperati, poiché per essi io sono separata dal Signore", alludendo alla sua rinunzia ad una vita puramente contemplativa.

Chi vuole leggere una sua biografia può rivolgersi a quella scritta dal suo confessore, fra' Raimondo da Capua, vent'anni dopo la sua morte, oppure a quella di Igino Giordani, datata 1954, o ad altre ancora, adatte a diverse esigenze.

Qui non è dunque il luogo di una biografia, ma piuttosto di brevi storie, tratte dalla biografia di fra' Raimondo e dalle lettere di lei: storie dalle quali la sua figura si sbalza in netto rilievo - non in pietra gotica, ma in romanico umanissimo affresco. Figura semplice e femminile; figura di asceta medievale e di madre per tutti i tempi.

Anche le storie della sua vita sono semplici; anche i fatti che sanno di prodigio ci appaiono, come apparivano a lei, semplici della semplicità di Dio.

Caterina può riempire, per la sua pienezza, i nostri vuoti: metta ella nella nostra vita convulsa, ricca di tutto quanto non è essenziale, il desiderio dell'Unico Necessario, che dette il senso alla sua vita.

Lo Sposo

Per seguire Caterina nell'avventura della sua vita, bisogna comprendere innanzitutto quale molla la spinse a restare e ad andare, a pregare e a viaggiare, a mangiare e a digiunare...

In genere si pensa ad una persona non sposata come a un single, ad un solo. Niente di più lontano dalla realtà di Caterina. Infatti, fin dall'infanzia ella aveva sentito l'attrattiva della persona di Gesù, poi crescendo l'aveva desiderato come sposo; e da innamorata si era dedicata a cercare come potesse piacergli.

Così prese ad imitare i santi, le cui vite si

leggevano la sera, nelle famiglie riunite a veglia: imitò le penitenze dei Padri del deserto, gli eremiti antichi, e le gesta delle sante penitenti...

Era ancora bambina quando si allontanò di casa con una pagnotta sottobraccio, per cercare nella campagna una grotta dove fare l'eremita; la trovò e vi si trattenne a pregare, ma, trascorso il giorno, prese la via del ritorno, così che sua madre pensò che fosse andata a trovare una sorella sposata, cui era molto affezionata...

Un sogno che non tentò mai di attuare, ma che deve essere stato importante per lei, perché da adulta lo confidò ai più intimi, fu quello di andare in terre lontane vestita da uomo, per essere ricevuta tra i monaci e condurre la loro vita, dalle regole severissime.

Ciò che spiega tutto è appunto l'amore di Caterina per Gesù, sposo spirituale, che si faceva cercare e trovare da lei perché non rifiuta nessuno che lo ami, anzi è il primo ad andarne in cerca. Se intendiamo questo intenso amore tra Gesù e Caterina, non ci sembrerà strano il tenore di vita di questa ragazza senese vissuta tanto tempo fa: Gesù e Caterina avendo un cuore solo, ella vive la vita del suo sposo... e tutte le sorprese sono possibili.

Gesù, sua Madre e i Santi vivevano con lei anche sensibilmente, perché la sua sensibilità era tutta volta allo Sposo amato come unico amore.

La storia di questo amore è ricca di episodi, che lei stessa raccontò a fra' Tommaso della Fonte o a fra' Raimondo da Capua.

Spesso Caterina recitava le sue preghiere passeggiando su e giù per la sua stanza con Gesù o con qualcuno dei santi a lei cari: san Giovanni, san Paolo, san Domenico... E accadde che la santa martire Lucia le mostrasse, un 13 dicembre, il gioiello luminosissimo che Gesù le aveva regalato per il suo compleanno; che lavorasse il pane con la Madre di Dio...

Lo Sposo stesso a volte si divertiva a chiederle qualche prova del suo amore, compensandola poi con un nuovo regalo. Ecco un esempio:

Una mattina, mentre Caterina usciva dalla chiesa di san Domenico, le si fece incontro un mendicante che le chiese qualcosa da mettersi addosso.

- Aspetta un pochino qui, carissimo.

Caterina tornò nella cappella dove pregava con le sue compagne e si sfilò dai piedi la tunica di lana senza maniche che portava come sottoveste; poi tornò dal povero e gliela diede.

- Signora, dopo le vesti di lana, non mi dareste anche le vesti di lino?

- Seguimi sino a casa e ti darò ciò che mi domandi.

Dopo la biancheria di lino, il povero chiese ed ebbe le maniche mancanti alla tunica di lana.

- Vi benedica Dio per quanto mi avete dato! Ma vedete, io ho un amico, che è ricoverato in ospedale: non avreste qualcosa anche per lui?

Ma Caterina non poteva prender più nulla da casa - già i suoi fratelli brontolavano per la sua eccessiva generosità - e di suo non aveva che l'abito che portava.

- Perdonami: se mi fosse lecito restar senza la tunica, te la darei volentieri.

- Lo so, che mi daresti volentieri tutto quel che potresti.

E il povero se ne andò.

La notte, mentre pregava, le si mostrò Gesù, tenendo in mano la tunica di lana di cui s'era privata per darla al mendicante; ma ora essa era trapunta di perle.

- Figlia mia, conosci questa tunica?

- Certo che la conosco, ma quando te l'ho data non era così bella.

- Per l'amore con cui me l'hai data, ora trarrò io dal mio corpo una veste per te, come pegno della veste di gloria che ti darò in cielo.

E Gesù trasse dalla ferita del suo petto una veste color del sangue, luminosa, e gliela mise indosso.

Da allora Caterina non sentì più la necessità di portare abiti pesanti, perché quella tunica, invisibile a tutti ma a lei ben sensibile, la riparava dal freddo.


Il pane di Caterina

A Siena vi fu una carestia, durante la quale i senesi si rassegnarono a fare il pane con farina vecchia e ammuffita. Così aveva fatto anche Alessia, amica intima di Caterina. Quando finalmente comparve sul mercato il grano nuovo, Alessia ne comprò quanto poté e disse a Caterina, che considerava la sua mamma in Spirito:

- Mamma, penserei di buttar via quel poco di farina muffita che c'è rimasta nella madia.

- Vorresti buttar via ciò che Dio ha fatto per darci da mangiare? Piuttosto, se non vuoi mangiarne tu, almeno danne ai poveri!

- Mi rimorde la coscienza, mamma, a dare ai poveri ciò che io non voglio mangiare...

- Basta. Prepara l'acqua e dammi la farina, il pane lo faccio io.

Caterina si rimboccò le larghe maniche, raccolse il velo sulle spalle e immerse le mani nella farina.


Alessia e la donna che l'aiutava in cucina rimasero a guardare, meravigliate dalla sveltezza con cui l'impasto veniva lavorato.

Rapida, Caterina porgeva i pani ad Alessia perché li infornasse. E i pani uscirono dal forno soffici e profumati, molto diversi da quelli che s'erano fatti fino allora con quella farina. E tanti, tanti che si riempì la madia.

Giunta l'ora di mettersi a tavola, la numerosa brigata che costituiva la famiglia di Caterina ne mangiò in abbondanza e tutti dichiararono che non avevano mai mangiato un pane così saporito.

- Portatene molto ai frati - raccomandò Caterina - e regalatene in abbondanza ai poveri.

Così fu fatto, e la madia era ancora quasi piena. Alessia, piena di stupore, raccontò l'accaduto a fra' Tommaso della Fonte, che era un fratello adottivo di Caterina e il suo confessore. Appena poté, questi chiamò in disparte Caterina.

- Spiegami com'è andata la faccenda dei pani, per piacere - le chiese. Caterina, arrossendo, gli rispose:

- Padre mio, mi dispiaceva tanto che si buttasse via ciò che il Si­gnore ci ha dato! E poi ho pensato che sono tanti i poveri che hanno fame. Allora sono andata svelta alla cassa della farina e subito mi sono trovata di fronte la mia dolcissima Signora, Maria, che mi incoraggiava a fare ciò che avevo in mente. E fu tanta la sua cortesia e la sua pietà, che subito cominciò a fare il pane con me, e per virtù di quelle sante mani i piccoli pani si moltiplicarono. Lei stessa mi dava i pani via via che li faceva, e io li davo ad Alessia ed alla sua domestica.

- Allora, mamma, nessuna meraviglia - le disse fra' Tommaso - se quel pane è così buono! Lo ha lavorato Colei che ha preparato in se', per noi, il Pane disceso dal Cielo.

Il beato Raimondo da Capua ci racconta questa graziosa storia nella biografia di Caterina che scrisse vent'anni più tardi. E credo che an­che noi possiamo trovarvi qualche insegnamento utile. Intanto, ci ricorda che Dio provvede ai suoi figli con tenerezza paterna, se essi hanno abbastanza fiducia in Lui da permettergli d'intervenire concre­tamente nella loro vita. Poi ci richiama alla generosità: il pane è di Dio, perciò è dei poveri. Si trova sempre qualcosa da dare a chi è più povero di noi. Dio provvede a noi affinché noi provvediamo agli altri. Essere generosi del nostro, semplificando le nostre esigenze per avere di che dare, non è che farci partecipi del desiderio di Dio.



                                                      

Il condannato a morte

Caterina venne a sapere che un giovane di Perugia, Niccolò di Tuldo, era stato condannato a morte ed era disperato, in prigione. Solo, straniero; per la giustizia del tempo, impossibile ogni difesa. Non ci voleva di più perché ella desiderasse di andarlo a trovare, per condurlo per mano fino alla soglia della vita durabile.

Non sappiamo come e quando si incontrarono, ma certamente il cuore materno di Caterina si aprì per il ragazzo condannato, perché egli ne traesse forza.

- Quando mi uccideranno, tu aspettami sul luogo dell'esecuzione, non abbandonarmi. - le diceva il ragazzo tenendo la testa sulla sua spalla.

Caterina stessa scrisse a fra' Raimondo, in una lettera, una relazione fedele di quanto avvenne la mattina dell'esecuzione capitale.

Quel mattino, Caterina andò alla prigione prima dell'alba e parlò con Niccolò. Lo condusse a Messa ed egli ricevette la Comunione dopo tanto tempo...

- Resta con me e io avrò coraggio di morire bene...

Caterina era piena di gioia perché conduceva a Gesù quella creatura rasserenata; e come avrebbe voluto accompagnarlo fino alla casa dello Sposo!

- Coraggio, fratello mio dolce, ché presto giungeremo al luogo delle nozze! Io ti aspetterò là.

Dalla prigione Caterina si affrettò a raggiungere quello che Niccolò aveva chiamato il luogo santo della giustizia; e lì pregò intensamente Maria perché gli desse luce e pace, così che lei potesse vederlo tornare al Padre.

Giunse il giovane e Caterina prese tra le mani la testa di lui e la distese sul ceppo, dopo averlo benedetto col segno della croce.

- Giù, alle nozze, fratello mio dolce!

La testa di Niccolò, recisa dal boia, le rimase in mano ed ella fu tutta bagnata del suo sangue. Alzò lo sguardo verso il cielo, come a cercare il suo spirito, e lo vide: nella ferita del petto di Gesù il sangue di Niccolò si confuse con quello del Salvatore, e poi egli stesso vi entrò, non prima di essersi voltato a salutarla, come una sposa che saluta e ringrazia il corteo che l'ha accompagnata a casa dello sposo.

A lungo Caterina non volle levarsi di dosso quel sangue, che aveva visto unirsi al Sangue di Gesù. A fra' Raimondo dirà:

- Rimasi sulla terra con grandissima invidia.


                                                          
La camera di Santa Caterina da Siena, che é stata trasportata alla Basilica di Santa Maria Sopra Minerva.


Il Libro

Si dice che Caterina, come molte donne del suo tempo, non imparasse mai a leggere e a scrivere; ma che gliel'insegnassero gli Angeli affinché potesse leggere l'Ufficio Divino (noi diremmo la Liturgia delle Ore). Narra fra' Raimondo che, se le si chiedeva di leggere più adagio, o di sillabare, s'inceppava.

Ciò non ha impedito a questa donna sorprendente di lasciarci molte lettere, una raccolta di preghiere e, soprattutto, Il Libro. Così si designa spesso, senz'altre specificazioni, la sua opera più importante, il cui titolo in realtà è Dialogo della Divina Provvidenza.


Secondo l'uso di tutta l'età antica e del medioevo, Caterina non scrive, ma detta le sue lettere; i segretari sono, di volta in volta, Stefano, Barduccio, Alessia, Giovanna... E spesso essi scrivono anche mentre la mamma prega ad alta voce: nascono così le preghiere che l'editore noterà dettate in astrazione dalla beata vergine senese.

Un bel giorno ella raccomanda che essi scrivano tutto quello che dirà nella preghiera; così nasce questo Libro, nel più puro stile cateriniano: Caterina non è che una voce orante che si fa via alla premura del Padre per le sue creature. Infatti esso si presenta esattamente come un dialogo tra il Padre e la carissima figliola che ascolta e risponde e ancora domanda, definendo se stessa un'anima assetata dell'onore di Dio e salute dell'anime. Le domande della figliola danno modo al Padre di effondere in lei il suo Cuore, confidandole i suoi segreti che solo chi l'ama può comprendere. Un teologo dirà che l'opera risponde al sistema filosofico e teologico creato da san Tommaso d'Aquino; ma la dottrina che vi scorre è semplice, sgorga spontaneamente dal dialogo tra Padre e figlia.

Perché spesso i grandi peccatori hanno una vita lunga e prospera, nonostante si beffino di Dio? Perché, risponde il Padre, essi avranno per la loro malvagità la pena eterna; ma anche nella loro disgraziata vita c'è qualche brandello di bene, poiché soltanto le scelte del demonio sono integralmente cattive; e dato che il Padre non potrà compensare questo poco bene con la vita eterna, dà loro, per la sua infinita giustizia, quel tanto di felicità che possono godere in terra. È dunque oggetto di compassione un uomo cattivo e felice, giacché lo aspetta una misera fine!

Perché abbiamo dei doveri verso gli altri uomini? Perché al Padre, che ci ama fino a darci la vita, nulla possiamo restituire, essendo Egli la fonte di ogni pienezza: dunque, il bene che Egli ci dà in dono, e che perciò dobbiamo a lui per debito, dobbiamo restituirlo in dono ai fratelli, i quali come noi ne hanno bisogno.

Ecco qualche assaggio della dottrina per la quale Caterina è un Dottore della Chiesa: pietre preziose incastonate in un cammino d'oro percorrendo il quale la figliola impara a procedere fino a rifugiarsi nella bottiga aperta del costato di Cristo, dove si compra e si vende senza denari il Sangue preziosissimo. Caterina ha un'immaginazione vivissima e originalissima, procede da un'immagine all'altra più che da un'idea all'altra. Ella si vede vestita di quel Sangue, ne beve, se ne fa bagno; quel Sangue è come fuoco, e Caterina dice di se stessa: "la mia natura è fuoco".

Il Libro è il viaggio di Caterina, attraverso il Figlio, verso il Cuore del Padre; viaggio che ella ha voluto condividere, dettando le parole della sua preghiera estatica, con i figlioli che Dio le dava nella sua vita terrena e con quanti, nella Chiesa, ascoltano la sua voce.


Non è più tempo di dormire!

Durante l'epidemia di peste bubbonica del 1374, Caterina e la sua famiglia si impegnarono a fondo nella cura dei malati: il centro della loro attività era lo Spedale di Santa Maria della Misericordia.

Questa istituzione - che ospitava in tempi normali i pellegrini (cioè i viaggiatori), i poveri, i malati senz'altra assistenza e tutti quelli che si trovassero soli e bisognosi di un punto d'appoggio - era stata creata da un mercante agiato, messer Matteo Cenni, il quale, rimasto vedovo in età ancor giovanile, dopo aver fatto una posizione a ciascuno dei figli, aveva deciso di dedicare a Dio e al suo prossimo se stesso e i suoi beni. Perciò aveva edificato lo Spedale e lo dirigeva, guadagnandosi grande stima tra i suoi concittadini. Conosciuta Caterina, era diventato un caterinato;cosicché in quell'anno sciagurato egli e lo Spedale furono il punto di riferimento di tutta


la famiglia cateriniana nell'opera rischiosa di assistenza agli appestati. Il contagio non risparmiava nessuno e spesso il male faceva vittime anche tra i soccorritori. Un mattino lo stesso ser Matteo si svegliò con tutti i sintomi della peste: tumefazione dolorosissima all'inguine, febbre sempre più alta, forte dolore alla testa... c'era poco da sbagliarsi. Fra' Raimondo, giunto come sempre allo Spedale di primo mattino, lo confessò, poi gli chiese come si sentisse.

- Ho un dolore all'inguine, come se mi si dovesse staccare il femore, e la testa mi si spacca in quattro...

Fra' Raimondo fece portare un campione d'urina a un bravo medico, chiamato mastro Senso, che confermò tutti i timori:

- Stanotte possiamo provare a dargli l'erba senna per purificare il sangue, ma il male è troppo grave: non fatevi illusioni.

Quando Caterina seppe la nuova disgrazia, si precipitò allo Spedale: aveva l'aria d'essere in collera con la peste che colpiva un uomo tanto generoso e tanto necessario in quel momento difficile. Prima ancora di entrare nella stanza dove ser Matteo, in preda a una febbre altissima, non era più in grado di parlare e non riconosceva alcuno, Caterina gli gridò:

- Levatevi, messer Matteo; ché non son questi i tempi, da riposar nel morbido del letto!

Da figlio obbediente, ser Matteo si levò: erano scomparsi il dolore e la tumefazione all'inguine, era scomparsa la febbre. Seduto sul letto, discorreva dell'avvenuta guarigione con chi finora lo aveva assistito morente.

Caterina, compiuta l'opera, fuggì via, ma sulle scale incrociò fra' Raimondo indaffarato e addolorato.

- E tu, mamma, permetterai che un uomo tanto buono e tanto utile se ne muoia?

- Son codeste parole da dirmi, padre mio? Son forse io Dio, da poter strappare i mortali dalla morte?

- Coteste parole dille a chi tu vuoi, non a me, che conosco i tuoi segreti, e so che ciò che chiedi, Dio te lo concede!

E Caterina sorridendo:

- State di buon animo, via, ché per questa volta egli non morrà.

Fra' Raimondo tornò al lavoro. Giunta l'ora di pranzo, non fu neppure troppo stupito di vedere ser Matteo mangiare alla tavola comune, con il robusto appetito di un sano, un bel minestrone di ceci con le cipolle.

Come la chiamereste? Una guarigione di lavoro?

Caterina, donna antica e moderna, dottore della Chiesa, madre affettuosa e severo asceta medievale...

Nel dichiarare Dottore della Chiesa Teresa di Lisieux, Giovanni Paolo II ha citato le parole che Paolo VI aveva dedicato a Caterina:

"Possiamo applicare a Teresa di Lisieux quanto ebbe a dire il mio Predecessore Paolo VI di un'altra giovane santa, Dottore della Chiesa, Caterina da Siena: «Ciò che più colpisce nella Santa è la sapienza infusa, cioè la lucida, profonda e inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della fede [...]: una assimilazione, favorita, sì, da doti naturali singolarissime, ma evidentemente prodigiosa, dovuta ad un carisma di sapienza dello Spirito Santo»" (dalla Lettera Apostolica Divini Amoris Scientia - AAS 62 (1970) p. 675).



Due sante sorelle, dunque, assai lontane nei secoli ma unite dall'infinito desiderio di Dio.

Wink

Un grazie all'autore che spero possa in qualche modo ritrovare questo suo lavoro prezioso e appassionato....


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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13/02/2009 08:39

SANTA CATERINA DA SIENA

A cura di Patrizia Solari



In questo numero della rivista ci vogliamo occupare di santa Caterina da Siena (ricordata nel calendario liturgico il 29 aprile), che ha esercitato la virtù della carità in un modo che ci appare diverso dall'idea che comunemente abbiamo. L"'opera" di Caterina non è propriamente un'opera di carità nel senso specifico espresso dalla vita di altri santi: a partire dall'amore di Cristo, che viene cioè da Cristo, in un tempo di grande travaglio per la Chiesa (dapprima i Papi ad Avignone, poi il Grande Scisma, con due Papi eletti dai cardinali) la giovanissima Caterina si adoperò per salvare la verità e l'unità della Chiesa ed espresse così il suo amore assoluto per Cristo. Ma è all'interno di questa verità e di questa unità che sono possibili tutte le "opere di carità" prodotte nel corso della storia della Chiesa. D'altra parte Caterina espresse la carità nel "carisma di maternità" che esercitò, con tenerezza e fermezza, nei confronti di tutte le persone che incontrava, preoccupandosi di loro nella totalità della loro vocazione.

Caterina nasce 650 anni fa, nel 1347, ventiquattresima figlia di Jacopo Benincasa, tintore, e dì monna Lapa. Il parto è gemellare, "la gemellina muore quasi subito, ma l'anno successivo nascerà una venticinquesima sorella. In più, la famiglia accoglie un cuginetto orfano, di dìeci anni: diventerà frate domenicano e sarà il primo confessore di Caterina".1)

Proprio quell'anno era scoppiata la terribile "peste nera", che in pochi mesi porterà alla tomba più di un terzo della popolazione europea. È il culmine di una situazione di angoscia che la cristianità vive verso la metà del secolo XIV: "L'Italia è in preda alle guerre civili che mettono una città contro l'altra e, nella stessa città, un partito in lotta fratricida contro un altro partito. La Germania è in preda al caos; Inghilterra e Francia hanno cominciato la tragica e interminabile Guerra dei cent'anni; l'impero d'Oriente è in disfacimento e i Turchi premono minacciosamente ai confini dell'Europa. Dovunque scoppiano guerre di contadini che si sentono oppressi ed emarginati. La carestia e le catastrofi naturali sono ricorrenti." E a causa della peste pare che a Siena la popolazione scese da ottantamila a quindicimila abitanti.

Caterina, fin da piccola, cerca il silenzio, la preghiera, l'austerità. La sua infanzia e la sua giovinezza sono costellate da miracoli, narrati nella Leggenda, di cui parla lei stessa o il suo confessore e gli innumerevoli ammiratori che la circondano. "Tutti sanno comunque, con certezza, che l'infanzia di Caterina è stata irrimediabilmente segnata da una visione di Cristo sorridente, dal cui cuore esce un raggio luminoso che la raggiunge e la ferisce. Così la bambina cresce diversa dagli altri numerosi fratelli e sorelle (dei più non sappiamo neppure il nome!): cresce 'consacrata' da un voto di verginità (cioè di amore esclusivo a Cristo) che lei stessa ha fatto spontaneamente, già a sette anni. (...) A 15 anni - per togliere ogni illusione alla madre che vorrebbe fidanzarla a ogni costo - Caterina compie un gesto decisivo: esce dalla sua stanza dopo essersi tagliati i lunghi capelli (...): adesso ella è secondo l'espressione del tempouna 'fanciulla tonduta', una fanciulla sottratta alle vanità del mondo, 'consacrata'. La madre, per punizione e per stornarla da un progetto che le sembra assurdo (Caterina è l'unica figlia che lei abbia allattato ...) licenzia la domestica e fa pesare su di lei gran parte dei lavori domestici: pensa che, con quel peso superiore alle sue forze, alla ragazza non resterà tempo per indulgere a fantasie e pratiche monacali. (...) A Caterina è tolta perfino la sua stanzetta per impedirle di ritrovarsi in preghiera ed è allora che ella ha imparato per sempre a rifugiarsi in se stessa: 'fabbricò dicono le cronache nell'anima sua una cella interiore dalla quale imparò a non uscire mai'."

Nel rapporto tra madre e figlia possiamo cogliere l'opposizione tra un progetto "per il mondo", che la madre ha sulla figlia, e la strada alla quale Caterina è stata chiamata fin da bambina.

"Con la mamma, Caterina è dolce e obbediente, ma inflessibile. Più tardi - quando dovrà continuamente viaggiare per obbedire alla sua 'missione' e la mamma si lamenterà delle sue lunghe assenze - Caterina, che è ormai diventata la guida spirituale anche della sua stessa madre, le scriverà, non senza 'ricordare': (...) voi amate più quella parte che io ho tratta da voi, che quella che ho tratta da Dio, cioè la carne vostra della quale mi vestiste (lettera 240). Nella storia del problema educativo, poche volte è stato descritto altrettanto bene, in forma così cristianamente essenziale, il torto che i genitori possono fare ai loro figli: amare in loro quella carne che essi gli han dato più di quell'anima che Dio ha messo in loro, quella irripetibile impronta e destino con cui Egli li ha fatti e segnati per Sé. Tutta la lettera, definita 'dal principio alla fine gentile e grande' è costruita su questo invito di Caterina: Con desiderio ho desiderato di vedervi madre vera e non solamente del corpo, ma dell'anima mia. (..) Fu il papà che prese finalmente le sue difese. Rivolto alla moglie e agli altri figli, il buon Jacopo decise: 'Nessuno dia più noia alla mia dolcissima figliola ... lasciate che serva come le piace il suo Sposo. Mai potremo acquistare una parentela simile a questa, né dobbiamo lamentarci se invece di un comune mortale riceviamo un Dio e un Uomo immortale'." Le categorie sono decisamente altre e, in questi paragoni, Dio è veramente una presenza.

"Finalmente, a 16 anni, Caterina può entrare fra le terziarie domenicane di Siena: porterà la veste bianca e il mantello nero dell'Ordine di S. Domenico (le chiamano perciò 'mantellate'), ma non sceglie la clausura, il monastero, perché intuisce dì avere una missione pubblica da svolgere. Comincia a distribuire il suo tempo e le sue forze tra le occupazioni familiari, le lunghe preghiere e l'assistenza agli ospedali (Siena ne contava allora 16!) e al lebbrosario."

Caterina eserciterà un vero e proprio carisma di maternità, caratterizzato da una "dolcezza tagliente come una spada", sia con le persone che le si erano raccolte attorno, sia al momento della sua missione pubblica nella Chiesa quando dovrà trattare con ogni sorta di personaggi importanti, Papi, alti prelati, nobili ...

"L'aspetto più evidente della sua intima maturazione è il fatto che attorno a lei, ragazza illetterata, si costituisce una compagnia di seguaci e di ammiratori. È chiamata in un senso tutto spirituale la 'bella brigata', composta da gente di ogni età e condizione: magistrati e ambasciatori, pittori e poeti, nobili e borghesi, cavalieri e artigiani, nobildonne e popolane. Nell'elenco ci sono anche religiosi d'ogni specie: domenicani, francescani, agostiniani, vallobrosani, guglielmiti e altri. Tra tutti si discute di teologia e di mistica, si legge la Divina Commedia e si studia S. Tommaso d'Aquino e, soprattutto si impara ad amare con tutto il cuore Cristo Redentore e la Chiesa suo mistico corpo. È un vero e proprio 'movimento cateriniano' che si allarga sempre più (durante la vita della Santa toccherà il centinaio di persone): tutti chiamano Caterina 'mamma' e lei li chiama 'dolcissimi figlioli'. Non solo li segue e li consiglia spiritualmente uno per uno, ma si sente responsabile della loro vita, della loro fede, della loro vocazione. (...) Ella se ne prenderà cura fin sul letto di morte: li vorrà attorno a sé e a molti di loro darà l'ultima 'ubbidienza' indicando dettagliatamente la strada vocazionale che ognuno dovrà percorrere."

Quando Caterina ha circa vent'anni "sente che qualcosa di decisivo deve accadere e continua a pregare intensamente con quella splendida e dolcissima formula che le è divenuta abituale: chiede al suo Signore Gesù: 'Sposami nella fede!"'. E la sera di carnevale del 1367 "mentre gli schiamazzi riempiono la città e la sua stessa casa, la giovane è lì nella sua stanzetta che ripete assorta la sua preghiera sponsale 'per la millesima volta'. Ed ecco apparirle il Signore che le dice: 'Ora che gli altri si divertono ... io stabilisco di celebrare con te la festa dell'anima tua'. (...) Fino ad alcuni anni fa (forse ancor oggi) c'era a Siena l'usanza che nell'ultimo giorno di carnevale a nessun corteo o maschera fosse concesso passare per la contrada di Fontebranda, là dove quelle mistiche nozze furono celebrate. Sul frontone dell'edificio c'è ancora scritto: 'E' questa la casa di Caterina, la Sposa di Cristo': Altri episodi fecero capire a Caterina che "Dio l'aveva investita della missione di sostenere e quasi incarnare quella Chiesa del suo tempo così bisognosa di amore forte, di decisione e di 'riforma'. Lumile ragazza illetterata cominciò a riempire il mondo di messaggi, di lettere lunghissime dettate con una impressionante velocità, spesso tre o quattro contemporaneamente e su argomenti diversi, senza confondersi e senza che i segretari riescano a mantenere il suo ritmo. (...) Ciò che impressiona in esse è la forza e la frequenza del verbo :'io voglio'. (...) Quando comincia la sua più impegnativa corrispondenza, quella con il papa Gregorio XI per convincerlo a tornare a Roma, usa formule piene di tenerezza e tuttavia non è meno decisa: Voglio che siate quello e buono pastore, che se aveste cento migliaia di vite, vi disponiate tutte a darle per onore di Dio e per salute delle creature ... Virilmente, e come uomo virile seguitando Cristo, di cui vicario siete ... Su dunque, Padre, e non più negligenzia! (Lettera 185)"

Con lo stesso tono scrive a principi e regnanti: a Bernabò Visconti, signore di Milano, alla regina di Napoli, al re di Francia. "La missione di Caterina diventa quella di pacificare le città e la Chiesa: condizione ineliminabile è il ritorno del pontefice a Roma; ma ella sa di dover incarnare personalmente il travaglio necessario. (...) sa che, in un modo misterioso, le sofferenze e i destini della Chiesa la riguardano."

"Finalmente ella poté recarsi di persona ad Avignone e vi incontrò subito lo scherno dei Cardinali: 'Essendo tu povera donniciola, córne ti àrroghi di parlare di un simile argomento col nostro Signor Papa?' Ma non sapevano di avere a che fare con una che li poteva contemporaneamente amare e onorare con tutto il cuore per la dignità e il sacerdozio di cui erano rivestiti, ma non temeva anche di definirli `servi del Dimonio' quando ostacolavano la volontà di Dio e la sua missione."

Nel 1376, Gregorio XI torna a Roma e nei pochi anni che trascorrono tra questo ritorno e il Grande Scisma "che nuovamente impegnerà Caterina nella lotta per la Chiesa, nasce in brevissimo tempo, ma preparata da tutta la vita, quell'opera che farà di lei un Dottore della Chiesa. La Santa lo chiamò semplicemente, ma in forma quasi assoluta: Il Libro'. (...) Sono 167 capitoli strutturati attorno a quattro domande che Caterina rivolge al Padre celeste, 'con ansietato desiderio'. La prima domanda è misericordia per Caterina': e Dio risponde aiutandola col cognoscimento di te e di me', immergendola cioè nella luce abbagliante di chi finalmente comprende di essere 'nulla' davanti al 'tutto' che è Dio, eppure scopre con stupore infinito che di questo piccolo nulla Dio è da sempre innamorato. La seconda domanda è: 'Misericordia per il mondo'; la terza è: 'Misericordia per la Santa Chiesa'. Caterina chiedeva che il Padre 'tollesse le tenebre e la persecuzione' e di poter portar lei il peso dì ogni iniquità. La quarta domanda è 'provvidenza per tutti'. Ad ogni domanda dunque Dio Padre risponde lungamente e tutta la dottrina cristiana vi si dipana nei suoi vari aspetti teologici, morali e ascetici. Ciò che il divin Padre soprattutto dice è che la misericordia è già stata donata quando volendo rimediare a tanti mali v'ho dato il Ponte del mio Figliolo".

Poi scoppiò il Grande Scisma. "Due papi vennero eletti dagli stessi cardinali e la cristianità si spaccò in due e per quarant'anni il dubbio sul legittimo pastore devasterà la Chiesa. Caterina chiamata a Roma da Urbano VI, il vero papa, lo sostenne a spada tratta contro ogni dubbio e ogni tentennamento (...) Dicono i biografi che si potrebbe ricostruire quasi mese per mese l'attività che Caterina svolse a favore del papa: lettere e messaggeri inviati a quasi tutti i regnanti d'Europa; consigli al pontefice per un totale rinnovamento della curia e soprattutto il tentativo di far stringere attorno al papa quella che lei chiamava 'la compagnia dei buoni' (Lettera 305). (...) Contemporaneamente ella, con sano realismo, si rendeva conto che il carattere impetuoso e violento di papa Urbano non facilitava la riconcifazione. (...) E con delicatezza, il giorno di Natale, regalò al pontefice cinque melarance piene di confettura, lavorate secondo un'antica ricetta senese: ne approfittò per spiegare al papa come un frutto naturalmente aspro possa riempirsi di dolcezza in modo da corrispondere al suo rivestimento dorato. (...) Dicono gli storici che di fatto Caterina 'obbligò il mondo a riconoscere papa Urbano VI'. Intanto, benché non avesse ancora trentatré anni, lei era distrutta dalla fatica e dalla passione. Sapeva di dover offrire soprattutto se stessa. Pregava: O Dio eterno, ricevi il sacrifizio della mia vita in questo corpo mistico della Santa Chiesa. lo non ho che da dare altro se non quello che tu hai dato a me (Lettera 371)."

"Durante la quaresima del 1380, benché quasi non potesse più camminare, fece voto di recarsi ogni giorno a S.Pietro. (...) E quell'ultimo faticosissimo pellegrinaggio quotidiano è ormai un simbolo: quando giunge nella Basilica che rappresenta il cuore della cristianità, ogni mattina si ferma davanti al mosaico disegnato da Giotto (che allora era al centro sul frontone dei porticato), che raffigura la scena evangelica della navicella sbattuta dalle onde in tempesta, simbolo della Chiesa che sembra andare alla deriva, ma che nulla può sommergere. Era un'immagine che piaceva molto a Caterina: spesso aveva scritto nelle sue lettere: 'pigliate la navicella della Santa Chiesa' (Lettera 357)".

"Così Caterina passò la sua ultima quaresima: soffrendo assieme a quella Chiesa che chiama 'dolcezza dell'anima mia' e aspettando, assieme a lei, il dono della Resurrezione. Non riuscì a completare il voto; la terza domenica di quaresima si accasciò davanti al mosaico, mentre s'era fermata lì in preghiera; le sembrò disse che tutto il peso di quella navicella e dei peccati che portava fosse addossato alle sue fragili spalle. La condussero nella sua celletta in via del Papa (anche i particolari hanno una loro tenerezza) e lì restò immobile per circa otto settimane in una lunghissima agonia. La domenica che precedeva l'Ascensione tutti ebbero l'impressione che subisse una lotta indicibile. La udirono ripetere a lungo: 'Dio abbi pietà di me, non mi togliere la memoria di te' (...) Morì l'ultima domenica di aprile, a trentatré anni, alle tre del pomeriggio (...) dicendo come il Crocifisso: 'Padre, nelle tue mani affido il mio spirito'. Il teologo agostiniano, che Caterina aveva convertito e che l'aveva assistita in punto di morte, non riuscì a predicare al suo funerale. "Balbettò soltanto: 'Non riesco a parlare. Ma non importa. Caterina parla da se stessa!"'



1) Tutte le citazioni sono tratte da: A. Sicari, "Nuovi ritratti di Santi", Ed. Jaca Book, 1991
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/02/2009 08:41

Aspetti del linguaggio di Santa Caterina da Siena
di G. GETTO


Dopo aver inquadrata l'ispirazione cateriniana nella cornice della letteratura mistica, il critico esamina alcuni aspetti del linguaggio della Santa, sottolineando in particolare il vigoroso processo di oggettivazione dell'espressione interiore, mediante il ricordo alla similitudine, alla metafora, all'allegoria.

Diremo subito che questo [il linguaggio cateriniano] si accosta, nel suo fondamentale atteggiarsi, a quel tipo caratteristico che si può ritrovare in quasi tutti gli scritti dei mistici. Perché se è vero che il linguaggio mistico in sé è una pura astrazione, e che nella realtà esiste solo il linguaggio di questo o di quel mistico, è però anche vero che esiste un atteggiamento espressivo comune a tutti i mistici, che costituisce come una trama storica che raccoglie in un'unica tradizione stilistica questi scríttori, pur restando poi ancor sempre diverso il modo con cui ognuno si inserisce in essa, e nuovo il contributo di ogni singola individualità. Anche un rapido esame della letteratura mistica permette subito di cogliere quello che è un aspetto costante dell'espressione religiosa, quel gusto cioè delle antitesi, delle metafore, dei termini superlativi, quell'amore del linguaggio figurato (come lo chiamavano i retori della vecchia scuola, distinguendo un parlar proprio da un parlar figurato), gusto che, per esser tipico della letteratura del seicento, è stato da alcuni chiamato barocco. La genesi di tale atteggiamento linguistico è evidente. Essa deve essere ricercata nella natura particolarissima dell'esperienza religiosa assolutamente nuova, intensa ed ineffabile. La corposità, la sensuosità, la stranezza espressiva sono in stretta relazione con la sfuggente realtà spirituale che essi vogliono chiarire e fissare.

Anche Santa Caterina rientra in questa tradizione. Anche per lei si è parlato di barocchismo. Espressione questa che va naturalmente presa in senso metaforico, poiché da un lato il suo linguaggio risente della letteratura religiosa medievale e dei testi biblici, dall'altro esso sorge per un bisogno intimo. Ora tutto starà nel capire come spontaneità e tradizione coesistano, e nel cogliere quindi, insieme alla sincerità dell'ispirazione, il tono particolare di essa.

Fra le caratteristiche essenziali del linguaggio mistico vi è quella che si potrebbe dire la « esteriorizzazione » della realtà interiore e spirituale. In esso gli elementi e le situazioni della vita dell'anima sono oggettivati in concrete entità fisiche mediante elementi desunti dal mondo fenomenico. Anche Santa Caterina, per esprimere la sua intima esperienza sfuggente ed intensa, ricorre al mondo esterno. Perciò i suoi modi espressivi vanno, in una crescente progressione; dalla semplice similitudine alla metafora e all'allegoria: le quali sono pur rivelatrici, nella loro qualità particolare, dell'animo della scrittrice che le usa. Con esse s'introducono nel linguaggio cateriniano in gran numero le più diverse immagini, ricavate sia dalla società umana sia dalla natura.

Un primo vasto gruppo di similitudini è derivato dal mondo umano. Esse sono tutte documento di quella larga simpatia della santa verso gli uomini, che costituisce una delle note più intime della sua personalità. Santa Caterina è lontanissima da quel sentimento ostile o almeno pessimistico di fronte alla società che si trova in altri mistici, e fortissimo ad esempio in Iacopone. Ella si sente legata da un saldo vincolo affettivo agli altri uomini, alle loro cose, alla loro vita, che osserva con cordiale interesse, senza distoglierne con disgusto lo sguardo. Così l'amore di Dio verso la sua creatura è illuminato da lei con questa similitudine: « Dio ha fatto a voi e ad ogni creatura come fa il padre che mette alcun tesoro in mano del figliuolo suo e per farlo grande e arricchito il manda fuora della città sua ».

E Gesú che espia su di sé le colpe degli uomini è da lei assomigliato alla balia:

«Egli ha fatto come fa la balia che nutrica il fanciullo che quando egli è infermo, piglia la medicina per lui perché il fanciullo è piccolo e debile, non potrebbe pigliare l'amaritudine perché non si nutrica altro che di latte».

Questa similitudine efficacissima appartiene in particolare, a quel gruppo di immagini materne, che ritornano assai di frequente, e che sono quasi una eco di quel sentimento della maternità secondo cui si atteggia essenzialmente la sua vita interiore. Bellissima però fra tutte queste immagini umane è quella introdotta per descrivere l'aspetto esterno e insieme la situazione psicologica di Tuldo, il giovane condannato a morte da lei convertito:

«Volsesi come fa la sposa quando è giunta all'uscio dello sposo suo e volge l'occhio e il capo addietro inchinando chi l' à accompagnata e con l'atto dimostra segni di ringraziamento».

È questo uno tra gli accenti più vivi e più delicatamente umani dell'opera di Santa Caterina e tale da illuminare quest'anima che, tutta raccolta nel mondo del «cognoscimento di sé», sa raccogliere a volte tutto un fremito di pulsante vita in una rapida e chiara sintesi degna quasi di un poeta.

_________________


Padre Marco Baron
Cagliari 26 aprile 2001

Scopo di quest’incontro vuole essere solo un approccio alla figura di questa grande Santa domenicana che pochi conoscono. Se uno chiede chi sono i santi protettori d’Italia, non sono molti a rispondere s. Francesco e s. Caterina. La maggior parte si ferma al primo; invece, Pio XII, ha voluto questi due santi come patroni dell’italica genta. L’attuale Pontefice, il dolce Cristo in terra, all’inizio del suo ministero pastorale come Vescovo di Roma e primate d’Italia ha voluto rendere omaggio a questi due Santi, affidando a loro il suo ministero per il bene di Roma e dell’Italia.


Nascita ed infanzia


Caterina nasce a Siena, si dice il 25 marzo 1347, penultima di 25 figli da Iacopo Benincasa, tintore di panni, e da Lapa Piangenti, nel rione senese di Fonte Branda. Fanciullezza serena, educata secondo i costumi dell’epoca. Assieme al pane materiale veniva dato quello spirituale, attraverso la preghiera e la lettura delle storie sacre e dei Padri della Chiesa. La famiglia, frequentava la chiesa di s. Domenico. Molte sono state le esperienze mistiche che hanno riempito la sua vita Fu di fondamentale importanza quando, all’età di sei anni, ebbe l’apparizione del Cristo in abiti pontificali sospeso sul tetto del convento di s. Domenico. (Legenda major del beato Raimondo da Capua)
Nel 1353, emise il voto di verginità che difese con forza contro le continue insistenze della madre che la voleva dare in sposa, e per sottolineare questa scelta recise i suoi capelli.

Superate le difficoltà con la madre, dovette lottare con l’ordine delle mantellate per ricevere l’abito della penitenza. Le mantellate, così dette dal lungo mantello nero che copriva il loro abito bianco, era un gruppo di laiche, per la maggior parte vedove di una certa età e di buona fama. Non era una cosa normale dare l’abito a giovani fanciulle, anche se nella Regola non c’era niente al riguardo. Si trova anche qualche precedente come nel caso di Nera Tolomei che nel 1250, a venti anni ricevette l’abito.
Ottenuto il tanto sospirato abito, si dedicò alla preghiera ed alla carità verso i poveri e gli infermi con maggior impegno. Ciò avvenne nel 1354
Il culmine delle esperienze mistiche fu lo sposalizio mistico tra Lei ed il Cristo, avvenuto nell’ultimo giorno di carnevale del 1370, secondo il Gigli, il 2 marzo 1367 secondo Joergensen. La visione è descritta dallo stesso b. Raimondo che asserisce che l’anello donatole dallo stesso Cristo era visibile solo alla santa senese. (Legenda major, I, c.12,115) - Attorno alla Santa incomincia un giro di frequentazioni spirituali che dette inizio alla sua "famiglia " che sarà chiamata la "bella brigata " favorendo la sua fama anche fuori Siena. Incomincia la sua attività epistolare dalla quale noi possiamo conoscere tutto il suo interesse alla Chiesa, alla società civile, al mondo dei religiosi e dei sacerdoti e degli amici che a Lei ricorrono.

1372 spedisce una lettera al cardinale Legato (lett.7) e così nel 1373 (lett. 11) per affermare la sua "politica", per la pace in Italia. "Pace, pace, pace, Padre carissimo. Ragguardate voi e gli altri, e fate vedere al Santo Padre più la perdizione delle anime che quella delle città, perocché Dio richiede l’anime più che le città." Tra i cristiani un’opera sola si attende dai capi spirituali: l’esercizio della carità nella pace cristiana.
Anche il Petrarca, invoca il ritorno del Papa, comprendendo che solo la sua presenza poteva contribuire alla vera pace, non solo di Roma, ma anche in tutto il territorio italiano ed europeo.

L’unica guerra che Caterina riusciva ad accettare come ultima ratio e quindi come eccezione, è quella per il Santo passaggio, la Crociata (lett. 7)
1374 viene convocata a Firenze per partecipare al capitolo dei domenicani che, visto il suo zelo e la sua ortodossia e l’identità di vedute sulle questioni allora dibattute, Le assegna come consulente, confessore e direttore il beato Raimondo da Capua.

Visita per la prima volta Montepulciano, dove viveva nel monastero della beata Agnesa, una sua nipote. Verso questa santa domenicana, la venerazione era molto grande. Vi saranno altre visite durante le quali diverse cose meravigliose ebbero accadere. (Legenda major, II, c.12,326)- Il suo impegno verso i poveri e gli infermi, trova testimonianza nella legenda major, ma il più grande impegno l’ebbe durante la peste che colpì Siena nel 1374. Durante quest’epidemia morirono molti bambini tra i quali diversi suoi nipoti. Guarì il suo confessore e ser Matteo di Cenni di Fazio, rettore della casa della Misericordia. Colpito dal morbo sembrava che fosse giunto alla fine della sua vita. Caterina corre verso l’ospedale e dice al povero malato: "Levatevi, messere Matteo; levatevi, perché non è questo il tempo di riposare nel morbido letto !" (Legenda major, I, c.8, 247)-

Nel 1375 si trova a Pisa, impegnata a convincere i Signori della città di non aderire alla lega antipapale. Qui riceve le stimmate invisibili, il 1° aprile nella chiesa di s. Cristina. II, (Legenda major, II, c 6,194,195,198).
La stessa missione di pace, la svolge presso la città di Lucca (lett. 185). Tornata a Siena continua la sua opera di misericordia, anche, verso i detenuti. Nota è la vicenda del giovane perugino Niccolò di Tuldo, che la maggior parte di noi avrà letto nei libri d’antologia della lingua italiana. Quest’esperienza si potrà leggere nella lettera inviata al beato Raimondo (lett.273)

Nel 1376 Firenze si rivolta contro il Papa. La guerra di Firenze, detta "degli otto santi " , trovò la sua ultima ragione nella negazione di una rifornitura di grano in occasione della carestia del 1375. Entrò in guerra con il papa che, dopo un tentativo di pace, colpì Firenze con l’interdetto e la scomunica ai capi. Questo portò gli otto della guerra (ironicamente detti dal popolo gli otto santi) a taglieggiare il clero fiorentino per le spese della guerra e per i danni subiti; entrò in combutta con altre repubbliche tra le quali Siena, per sfidare il Papa.

Caterina cercò di circoscrivere la ribellione, trattenendo Pisa e Lucca, Volterra, come già abbiamo accennato sopra, e poi, esortò i fiorentini a pentirsi e si dispose a fare da intermediatrice presso il Papa. Per desiderio dei fiorentini, Caterina va ad Avignone, il 18 giugno 1376, per trattare la pace.

In quest’occasione si diede da fare anche per cercare di risolvere il problema della Crociata (il santo passaggio), ed incoraggia il Papa a ritornare a Roma (lett. 218). Scrive da Avignone stesso, al Papa, 4 lettere:
La 231: è un fine trattato di vera diplomazia, che arriva a suggerire un "santo inganno " pur di non consultarsi con il sacro collegio dei cardinali,(la maggior parte era francese - i cardinali erano 26, di cui 21 francesi - certamente contrario al ritorno del papa a Roma;- La 233: è la risposta al Papa che aveva timore di andare a Roma e lo incoraggia dicendogli che il buon, pastore deve essere pronto a dare la sua vita per le sue pecorelle;
La 238: tratta del tema della Crociata e della riforma della Chiesa;- La 239: precede di poco la sua partenza per Roma, scioglie l’ultimo legame al timore del papa: il probabile e vaticinato veleno che gli avrebbero propinato gli Italiani.

Il 13 settembre 1376 Gregorio XI lascia Avignone superando l’ultimo ostacolo: il padre. Si racconta che questi si sdraiò sulla soglia della porta. Non avrebbe avuto il coraggio, il figlio, di calpestare il corpo del proprio padre! Invece egli lo scavalcò. Caterina fece il viaggio di ritorno per Siena, passando per Tolone, Varazze,colpita dalla peste. Per intercessione della Santa; questo flagello finì. Incontra il Papa a Genova, rientra a Siena nel dicembre.


Il 17 gennaio 1377 il Papa entra trionfalmente a Roma. Gli scrive una lettera in favore di Siena che si era unita a Firenze nella lotta contro il Papa, per ottenere la grazia della pace per la sua città. (lett. 285)- Durante l’estate svolge una missione di pace nella Val d’Orcia. Un suo " figlio spirituale " convertito, le regala il monastero di Belcaro che Lei intitola a s. Maria degli angeli. Si pone come paciera tra le famiglie dei Salimbeni.

Il 27 marzo 1378 muore Gregorio XI. L’8 aprile viene eletto il nuovo Pontefice con il nome di Urbano VI (Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari, già visto in sogno dalla santa) che L’invita a continuare a trattare la pace con Firenze. Lo zelo di questo papa irrita i cardinali francesi, la maggior parte del collegio cardinalizio, che indispettiti, si riuniscono a Fondi ed eleggono, il 20 settembre, come papa, Roberto di Ginevra che prenderà il nome di Clemente VII.

Nella lett. 313, inviata a Onorato Gaetani, Conte di Fondi, in forma di una grande correzione fraterna gli rinfaccia la sua non nobile iniziativa nell’aver dato ospitalità ai cardinali ribelli per eleggere l’antipapa e gli ricorda che " Duro è ricalcitrare a lui " (Atti 26, 14 - discorso di Paolo al re Agrippa).

Nell’estate va a Firenze per trattare la pace, ma rischia di essere uccisa durante un tumulto. La pace viene firmata solo il 28 luglio. Ritorna a Siena dove finisce di dettare il Dialogo della Divina Provvidenza. (Ottobre)
Convocata a Roma da Urbano VI con "la bella brigata " vi giunge il 28 novembre. Parla ai cardinali. Il beato Raimondo va in Francia per una missione antiscismatica.

Caterina, che vive in Roma, presso il convento di s. Maria sopra Minerva, invia lettere e messaggeri in varie parti del mondo cristiano per sostenere la causa del vero Papa; fa opera di pace tra i romani che sorgono contro il Pontefice.

Benedice Tommaso d’Alviano che sconfigge a Marino le truppe dell’antipapa.

Caterina è provata da gravi malattie. Muore a Roma il 29 aprile e sepolta alla Minerva.

E’ canonizzata da Pio II il 29 giugno 1461

Eletta a Compatrona (i Patroni sono SS. Pietro e Paolo) di Roma dal Pio IX
Istituita Patrona d’Italia da Pio XII assieme a s. Francesco e Patrona delle infermiere

Paolo VI, la dichiara Dottore universale della Chiesa il 4 ottobre assieme a s. Teresa d’Avila (28 settembre 1970)

Nel giorno d’apertura della seconda Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, Giovanni Paolo II con Lettera Apostolica Motu Proprio "Spes Aedificandi" in data 1 ottobre 2001, la dichiara Patrona d’Europa assieme a S. Brigida di Svezia, che poco prima di Caterina aveva cercato di porre rimedio alla terribile situazione della Chiesa e Edith Stein l’ebrea convertita e fattasi monaca carmelitana, viene uccisa in un campo di concentramento perché ebrea.

Le ragioni di quest’iniziativa sono espresse al n.3 del documento: s. Brigida ha collegato i confini d’Europa; Caterina ha riportato il papa alla sua sede naturale, Roma; Edith per aver collegato la sue radici ebraiche a quella della sequela Christi.


Opere


A) Dialogo della Divina Provvidenza

E’ la maggior opera della santa senese. E’ stata composta nel1378 prima dello scoppio dello scisma d’Occidente, prima di partire per Roma per ordine di Urbano VI. La santa, in estasi, in varie sedute, dettava ai suoi segretari: Barduccio Canigiani fiorentino, incontrò la santa nel periodo della trattativa per la pace. Dopo la morte della santa si fece sacerdote e morì a Siena il 8 dic. 1382; Stefano de’ Maconi, senese, si fece certosino, fu generale del medesimo Ordine; morì nel 1424 ed è onorato come beato; Ranieri, detto Neri di Landuccio Pagliaresi, senese, morì l’otto maggio 1406.Il testo originale è in volgare, ma che subito fu tradotto in latino dallo stesso Maconi e da Cristofano di Gano di Guidini. Dai discepoli, specialmente da coloro che erano presenti alle estasi, fu ritenuto un libro molto importante in quanto "quasi rivelato dal Padre alla diletta figlia " . Divisione del Dialogo della Divina Provvidenza Ci sono varie divisioni:


- in trattati e capitoli: (ha solo il vantaggio della comodità per le citazioni); - secondo le quattro petizioni della Santa; (molto materiale rimarrebbe fuori da questo schema)

Il Libro non obbedisce, né si riduce ad uno schema rigido prestabilito, ma al libero corso della domanda e della risposta.Esso sviluppa intorno ad alcuni nuclei principali, che reggono in gran parte il canovaccio: le 4 petizioni:

per sé,

per la Chiesa,

per il mondo,

per un caso particolare,

Vi si trovano i temi che riguardano l’albero della Carità; l’allegoria del Ponte; l’agire della Provvidenza e la sua misericordia ;alcuni temi cari alla Meastra dello spirito:

la misericordia divina,

la lotta dei vizi e delle virtù,

la perfezione dell’uomo secondo la dottrina di Cristo,

la dignità dei sacerdoti e la loro riforma,

l’orazione continua,

l’obbedienza generale e quella dei religiosi.

B) Orazioni

Le orazioni sono una raccolta di elevazioni pronunziate in estasi si collocano negli ultimi quattro anni della vita della santa senese, in un periodo di grande maturità spirituale. Sono ardenti soliloqui, sfoghi d’animo, fiammanti colloqui con Dio, implorazioni appassionate, nati come ringraziamento dopo avere ricevuto l’eucarestia, piene di dottrina e di fuoco. S’inizia ad Avignone e si conclude a Roma.

E’ il periodo che vede Caterina impegnata:

- nel viaggio per ottenere la pace della sua Toscana in conflitto con il Papa;
- nella sua difficile missione di pace nelle terre senesi;
- la difesa per il vero papa Urbano VI contro i Clementisti (Clemente VII)

Queste Orazioni sono state "raccolte " dai suoi discepoli mentre le pronunciava. Ecco la testimonianza di fra Bartolomeo Dominici: "Presa la sacra particola, così con la mente in Dio, perdeva i sensi…stava per tre ore ed oltre assorta e priva di sensi. Spesso anche, in questo stato di estasi, parlava con Dio dicendo la sua preghiera e chiedeva le cose a Dio a voce chiara…tali Orazioni furono scritte parola per parola sia da me che da altri…"

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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13/02/2009 08:49

Dalle "Opere" di santa Teresa di Gesù (D'Avila), vergine
(Opusc. "Il libro della vita", cap. 22,6-7,14)
Santa Teresa cita santa Caterina....

Ricordiamoci sempre dell'amore di Cristo

Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi.
Ne ho fatto molte volte l'esperienza, e me l'ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. È da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. Egli ci istruirà.
Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l'aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci nelle mani di Dio. Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia.

Ogni volta poi, che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell'amore che lo ha spinto a concederci tante grazie, e dell'accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: amore infatti domanda amore. Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di eccitarci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica.


Santa Teresa di Gesù (d'Avila) Vergine e dottore della Chiesa

15 ottobre - Memoria

Donna di eccezionali talenti di mente e di cuore, entrò a vent'anni nel Carmelo di Avila, dove concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un intensa attività come riformatrice dell'Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l'autorizzazione del Generale dell'Ordine si dedicò appassionatamente ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Coniclio di Trento, contribuì al rinnovamento dell'intera comunità ecclesiale. Lasciò nella sua autobiografia e nei suoi scritti di spiritualità un documento di profonda esperienza mistica. Paolo VI la riconobbe Dottore della Chiesa (27 settembre 1970). 

                     


Amare la Chiesa

Che gioia poter dire con tutte le forze della mia anima: amo mia Madre, la santa Chiesa! (Cammino 518)


Io vorrei - aiutami con la tua preghiera - che, nella Santa Chiesa, ci sentissimo tutti membra di un solo corpo, come ci chiede l'Apostolo; e vivessimo a fondo, senza indifferenze, le gioie, le tribolazioni, l'espansione della nostra Madre, una, santa, cattolica, apostolica, romana.
Vorrei che vivessimo l'identità degli uni con gli altri, e di tutti con Cristo.

Forgia, 630


Chiedi a Dio che nella Santa Chiesa, nostra Madre, i cuori di tutti siano, come nella primitiva cristianità, un solo cuore, perché fino alla fine dei secoli si compiano davvero le parole della Scrittura: «Multitudinis autem credentium erat cor unum et anima una» - la moltitudine dei fedeli aveva un cuore solo e un'anima sola.
- Ti parlo molto sul serio: che per causa tua non venga lesa questa santa unità. Portalo alla tua orazione!

Forgia, 632


Dimentica te stesso... La tua ambizione sia di non vivere altro che per i tuoi fratelli, per le anime, per la Chiesa; in una parola, per il Signore.

Solco, 630


Se non hai somma venerazione per lo stato sacerdotale e per lo stato religioso, non è vero che ami la Chiesa di Dio.

Cammino, 526


Meditalo con frequenza: sono cattolico, figlio della Chiesa di Cristo! Egli mi ha fatto nascere in un focolare «suo», senza alcun merito da parte mia.
- Quanto ti debbo, Dio mio!

Forgia, 16


Amalo, veneralo, prega, mortìficati - ogni giorno con più affetto - per il Romano Pontefice, pietra basilare della Chiesa, che prolunga tra tutti gli uomini, nel corso dei secoli e sino alla fine dei tempi, il lavoro di santificazione e di governo che Gesù ha affidato a Pietro.

Forgia, 134


Gesù è il modello: imitiamolo! - Imitiamolo, servendo la Chiesa Santa e tutte le anime.

Forgia, 630


http://www.opusdei.it/art.php?w=22&p=3304



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Che cos'è la Chiesa? E dove si trova? Molti cristiani, storditi e disorientati, non trovano una risposta sicura a queste domande, e arrivano forse a pensare che le risposte formulate in tanti secoli dal Magistero — e che i buoni libri di catechismo proponevano con essenziale precisione e semplicità — sono state «superate» e devono essere sostituite da altre. Una serie di fatti e di difficoltà sembrano quasi essersi dati convegno, per oscurare il volto puro della Chiesa. Alcuni dicono: la Chiesa si trova qui, nello sforzo di adattarsi ai cosiddetti «tempi moderni». Altri gridano: la Chiesa non è altro che l'ansia di solidarietà degli uomini; dobbiamo adeguarla alle circostanze attuali.

Si sbagliano. La Chiesa, oggi, è la stessa che Cristo ha fondato, né può essere diversa. «Gli Apostoli e i loro successori sono vicari di Dio nel governo della Chiesa costituita sulla fede e sui Sacramenti della fede. Perciò, come non è in loro potere fondare un'altra Chiesa, così non possono insegnare altra fede né istituire altri Sacramenti: poiché giustamente si dice che la Chiesa è stata costruita sui Sacramenti, sgorgati dal costato di Cristo pendente dalla Croce» [SAN TOMMASO, Summa theologiae, III, q. 64, a. 2, ad 3]. La Chiesa si fa riconoscere dalle quattro note che sono contenute nella confessione di fede di uno dei primi concili, e che recitiamo nel Credo della Messa: «La Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica» [Simbolo costantinopolitano, DS 150 (86)]. Sono queste le proprietà essenziali della Chiesa, che le derivano dalla sua natura, così come la volle Cristo. E, per essere essenziali, sono anche note, cioè segni che la distinguono da qualunque altro tipo di comunità umana, nella quale pure si oda pronunciare il nome di Cristo.

Poco più di un secolo fa, il papa Pio IX riassunse brevemente questo insegnamento tradizionale: «La vera Chiesa di Cristo è costituita e si riconosce, per autorità divina, nelle quattro note a cui confessiamo di credere nel Simbolo; e ciascuna di queste note è unita in tal maniera con le altre, che non può assolutamente restarne separata. Quindi, colei che veramente è e si chiama Cattolica, deve assieme risplendere per le prerogative della unità, della santità e della successione apostolica» [PIO IX, Lettera del S. Ufficio ai vescovi inglesi, 16 settembre 1864, DS 2888 (1686)]. È questo — insisto — l'insegnamento tradizionale della Chiesa, nuovamente ripetuto nel Concilio Vaticano II, anche se in questi ultimi anni alcuni l'hanno dimenticato, spinti da un falso ecumenismo: «Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo Una, Santa, Cattolica e Apostolica, e che il Salvatore nostro, dopo la sua Risurrezione, diede da pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri Apostoli la diffusione e la guida, e costituì per sempre colonna e sostegno della verità» [Lumen gentium, 8].


Josè Maria Escrivà

In una intervista che cadeva proprio il giorno 29 Aprile, Festa di santa Caterina da Siena san Escrivà alla domada sul come servire la Chiesa rispose: " In Italia avete una grande Santa che sa insegnare ancora oggi come si ama e si serve la Chiesa, bisogna riscoprire Caterina da Siena....."
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/12/2009 09:09

Qualcuno su GloriaTV ha avuto la mia stessa idea, l'unico film fatto su Santa Caterina da Siena: trasferirlo dalla cassetta al video e a spezzoni metterlo in rete [SM=g27987] qui un primo passo dalla fanciullezza alla maturità




[SM=g27998]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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27/04/2011 10:44

Dalla santa senese si apprende questa scienza sublime: ebbe un'unione profonda con il Signore ed era mossa da vero amore per la Chiesa
 
Nata a Siena, nel 1347, in una famiglia molto numerosa, morì a Roma, nel 1380. All’età di 16 anni, spinta da una visione di san Domenico, entrò nel Terz’Ordine Domenicano, nel ramo femminile detto delle Mantellate. Rimanendo in famiglia, confermò il voto di verginità fatto privatamente quando era ancora un’adolescente, si dedicò alla preghiera, alla penitenza, alle opere di carità, soprattutto a beneficio degli ammalati.
Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il Papa Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma. Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati.

Caterina soffrì tanto, come molti Santi. Qualcuno pensò addirittura che si dovesse diffidare di lei al punto che, nel 1374, sei anni prima della morte, il capitolo generale dei Domenicani la convocò a Firenze per interrogarla.

La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere.
In una visione che mai più si cancellò dal cuore e dalla mente di Caterina, la Madonna la presentò a Gesù che le donò uno splendido anello, dicendole: “Io, tuo Creatore e Salvatore, ti sposo nella fede, che conserverai sempre pura fino a quando celebrerai con me in cielo le tue nozze eterne” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 115, Siena 1998). Quell’anello rimase visibile solo a lei. (…)

Questa unione profonda con il Signore è illustrata da un altro episodio della vita di questa insigne mistica: lo scambio del cuore. Secondo Raimondo da Capua, che trasmette le confidenze ricevute da Caterina, il Signore Gesù le apparve con in mano un cuore umano rosso splendente, le aprì il petto, ve lo introdusse e disse: “Carissima figliola, come l’altro giorno presi il tuo cuore che tu mi offrivi, ecco che ora ti do il mio, e d’ora innanzi starà al posto che occupava il tuo” (ibid.). Caterina ha vissuto veramente le parole di san Paolo, “…non vivo io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Un altro tratto della spiritualità di Caterina è legato al dono delle lacrime. Esse esprimono una sensibilità squisita e profonda, capacità di commozione e di tenerezza. Non pochi Santi hanno avuto il dono delle lacrime, rinnovando l’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto e nascosto il suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e al dolore di Maria e di Marta, e alla vista di Gerusalemme, nei suoi ultimi giorni terreni. Secondo Caterina, le lacrime dei Santi si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha parlato con toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci: “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…). Ponetevi per obietto Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 16: Ad uno il cui nome si tace).

Qui possiamo comprendere perché Caterina, pur consapevole delle manchevolezze umane dei sacerdoti, abbia sempre avuto una grandissima riverenza per essi: essi dispensano, attraverso i Sacramenti e la Parola, la forza salvifica del Sangue di Cristo. La Santa senese ha invitato sempre i sacri ministri, anche il Papa, che chiamava “dolce Cristo in terra”, ad essere fedeli alle loro responsabilità, mossa sempre e solo dal suo amore profondo e costante per la Chiesa. Prima di morire disse: “Partendomi dal corpo io, in verità, ho consumato e dato la vita nella Chiesa e per la Chiesa Santa, la quale cosa mi è singolarissima grazia” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 363).

Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la scienza più sublime: conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa. Nel Dialogo della Divina Provvidenza, ella, con un’immagine singolare, descrive Cristo come un ponte lanciato tra il cielo e la terra. Esso è formato da tre scaloni costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù. Elevandosi attraverso questi scaloni, l’anima passa attraverso le tre tappe di ogni via di santificazione: il distacco dal peccato, la pratica della virtù e dell’amore, l’unione dolce e affettuosa con Dio.
 
Tratto dall’udienza generale di Benedetto XVI, del 24 novembre 2010
 
 
Attualizzazione
 
Ci spinge a camminare coraggiosi verso la sanitità
 
Il secolo in cui visse Caterina da Siena - il quattordicesimo - fu un’epoca travagliata per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore non cessa di benedire il suo Popolo, suscitando Santi e Sante che scuotano le menti e i cuori provocando conversione e rinnovamento. Caterina è una di queste e ancor oggi ella ci parla e ci sospinge a camminare con coraggio verso la santità per essere in modo sempre più pieno discepoli del Signore.

In modo particolare “il genio femminile” di S. Caterina ci ricorda che la Chiesa continua a ricevere un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate. “Figlio vi dico e vi chiamo - scrive Caterina rivolgendosi ad uno dei suoi figli spirituali, il certosino Giovanni Sabatini -, in quanto io vi partorisco per continue orazioni e desiderio nel cospetto di Dio, così come una madre partorisce il figlio” (Epistolario, Lettera n. 141: A don Giovanni de’ Sabbatini).

Come la santa senese, ogni credente sente il bisogno di uniformarsi ai sentimenti del Cuore di Cristo per amare Dio e il prossimo come Cristo stesso ama. E noi tutti possiamo lasciarci trasformare il cuore ed imparare ad amare come Cristo, in una familiarità con Lui nutrita dalla preghiera, dalla meditazione sulla Parola di Dio e dai Sacramenti, soprattutto ricevendo frequentemente e con devozione la santa Comunione.
 
a cura di mons. Valter Perini



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/10/2011 00:05

IO, CATHARINA

 

PARTE PRIMA

 DONNA

Caterina. Dopo 800 anni. Il volto si è conservato: avevo "visto" il volto del suo Sposo

 

Raccontare al Mastino “Catharina”. Ma quale vocazione verginale!… era “sposatissima col Pezzo Grosso”. Una perfetta casalinga, a tutti i costi. Travestita da uomo: se non monaca, almeno la prendessero come monaco. Caterina protesta quando lo “Sposo” si lascia maltrattare dai preti infedeli. Caterina non fa il carnevale: è il giorno delle sue nozze mistiche. A buon diritto nella lista dei santi vituperati. Ma non era “gelosa”. “Cognoscimento di sè”, era questa la sua vera “patologia”. I santi: coloro che soffrono se Cristo non gli richiede più gravi prove; i buoni cristiani: quelli che soffrono perchè non possono soddisfarne di più gravi. A tu per tu col papa ad Avignone. Il papa non sa l’italiano, Caterina non sa il latino: come si parlano?

 

 

 

IN BREVE

Caterina è davvero innamorata, non ha occhi che per il suo Gesù, sposato in nozze mistiche; il Crocefisso, il tabernacolo, l’eucaristia, il confessionale, saranno per lei il vero talamo dove incontrare lo Sposo, per parlare a Tu per tu, discorrere, persino lamentarsi con lo Sposo quando vede la crisi nella Chiesa, l’infedeltà nei pastori, i tradimenti verso il pontefice. Protesta, Caterina: quando lo Sposo Divino si lascia trattare malamente dai sacerdoti infedeli, soffre a tal punto da riuscire a trasmettere, senza tenere nulla per sé e senza preoccuparsi delle critiche, questi sentimenti a tutte le persone del suo tempo ed oltre, ancora nei giorni nostri, attraverso le famose Lettere e il Dialogo della Divina Provvidenza.

Caterina vive con i piedi ben piantati per terra.

 

 

 

 

di Tea Lancellotti

 

 Ringraziando Mastino del sito papalepapale,com per la pubblicazione di questo mio umile articolo in onore di santa Caterina, invito tutto voi a meditarlo...

 

RACCONTARE AL MASTINO “CATHARINA”

Il Mastino mi aveva chiesto, come “caterinologa di fiducia”, di raccontare… proprio “raccontare” da capo, la grande Catharina. Ché aveva le sue curiosità, il Mastino. E poi voleva sapere come “raccordarla all’attualità”. Mi manda un messaggio dove scrive: “Ho sotto gli occhi tutta una serie di volumi della mia biblioteca su Catharina. Alcuni parlano della sua anoressia, altri dei suoi presunti bollori sessuali con sogni di angioli che dicevano cose spurcissime. Mi piacerebbe iniziare a leggere proprio un racconto della donna, esteriore e interiore, Caterina, il lato umano”. Gli faccio notare che la storia degli “angioli” sporcaccioni, va fatta risalire a Teresa d’Avila non a Caterina. L’avessi mai fatto!… E infatti, siccome le curiosità vengono una appresso all’altra, il Mastino, dinanzi alle mie precisazioni e al mio primo “accetto”, si è lasciato prendere la zampina… Mi ha chiesto in ordine come “ulteriori”, quanto segue circa la Catharina che immagina: L’aspetto, le patologie, la sessualità e la sua femminilità, il carattere, il rapporto col suo corpo, il suo relazionarsi con le persone, e le differenze nel relazionarsi con uomini e donne, debolezze e fortezze, quanto di se stessa reprimeva. Quindi aggiunge: “Alcuni, leggevo, la tacciano di isteria, altri di simulazione: si può confutare? Poi c’è la storia delle stimmate invisibili. Soprattutto: ma come diavolo riesce lei, la 24esima figlia di un commerciante a imporsi nientemeno che nel cuore temporale della Chiesa,a Roma e Avignone? Come è stato possibile?”.

Brevi cenni sull’universo, insomma.

Dinanzi a queste incontinenti curisità del benedetto ragazzo, si è deciso di “raccontare” Caterina sezionandola: dopo la Caterina “intima e privata”, passeremo ad analizzare la Caterina pubblica, politica, quella che rincorre le supreme gerarchie ecclesiastiche; ancora dopo parleremo della mistica; non prima di averla analizzata come scrittrice; quindi la santa… quel che è venuto dopo, e ciò che oggi è rimasto di lei, e cosa del suo esempio sarebbe importante portare a memoria oggi, per i cattolici militanti e per i pastori.

Ma, naturalmente, tutto questo verrà fatto in più puntate. Adesso partiamo “dalla grande Catharina interiore ed esteriore” della quale tanto vorrebbe impicciarsi il succitato Mastino.

 

 

MA QUALE VOCAZIONE VERGINALE! ERA “SPOSATISSIMA COL PEZZO GROSSO”

Parlare di santa Caterina da Siena, oggi, a 550 anni dalla sua Canonizzazione, è un’impresa audace. Non solo perché, tutto sommato, già molto è stato scritto e detto di lei, ma soprattutto perché vorremmo evitare di farne una biografia. Eppure non vorremmo rischiare di perdere l’occasione e trarne un buon profitto per offrire, della Santa, un patrimonio da condividere. Anche perchè è una delle poche sante che non si è prestata, né da viva né da morta, a strumentalizzazioni.

Per comprendere il carattere di santa Caterina, il suo lato umano e fin dove ha saputo spingersi per vivere in pienezza il lato spirituale, dobbiamo seguirla in questa sua avventura e, soprattutto, provare meraviglia e stupirci nell’apprendere quale molla la spinse, fin da bambina, a fidarsi di Cristo, restare in famiglia, viaggiare, pregare, mangiare e digiunare…

Erroneamente si pensa a santa Caterina esclusivamente in quella vocazione verginale, incorniciandola in un’icona impenetrabile, quasi non vivesse su questa terra a causa delle ricche esperienze mistiche. Al contrario, essa è chiaramente leggibile da chiunque, purché la si legga senza paraocchi e naturalmente indossando gli occhiali della fede. Santa Caterina da Siena, infatti, non era affatto sola, non avvertì mai la solitudine, e la molla che mise in moto ciò che era e ciò che diventò fu la sua passione bruciante per il suo Gesù Cristo.

Fin da piccola, avendo sentito parlare di Gesù, ne era rimasta così affascinata e così innamorata, che decide, a soli sei anni, di dedicare a Lui tutta la sua vita. Caterina non parla di verginità in senso monacale (infatti non diventerà monaca come molti erroneamente pensano), ma chiede proprio di volerLo come Sposo! Incredibile audacia! Possiamo dire che la piccola Caterina aveva deciso non di rimanere sola e di rinunciare ad una famiglia: al contrario, aveva scelto come Sposo il pezzo Grosso, il Capo e come famiglia la Chiesa. Il carattere della santa senese si rivela così, fin da subito, molto forte, audace e tenace, fedele alle scelte fatte: mai un ripensamento, mai una caduta di stile, mai un’infedeltà.

Santa Caterina era così testarda nel carattere da arrivare ad ottenere ciò che chiedeva. In fondo, è sempre la promessa di Cristo che si rivelerà ancora una volta credibile e fedele: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Mt 7, 7-8). Caterina chiede a Gesù di fare dell’anima sua la Sua sposa; il Signore vede le prodezze di questa Anima e le darà ciò che chiede… tutto qui!

 

 

UNA PERFETTA CASALINGA. A TUTTI I COSTI

La casa della famiglia Benincasa a Siena. Sulle mura è scritto: "Qui visse Caterina, sposa di Cristo"

Tutto qui? Certo! La difficoltà non sta nel fare buoni propositi, ma nel mantenere fede alle promesse fatte, nel conservarsi fedeli a quell’amore purissimo e gratuito offerto, nel mettersi in gioco giorno dopo giorno. Caterina non nasce santa ma vuole diventarlo, non nasce maestra e non pensa di diventarlo: i suoi la vogliono sposa e madre, e allora sia! Obbedirà ai genitori ma scegliendosi lo Sposo e diventando madre secondo i desideri dello Sposo. Perché Caterina la senese è consapevole della sua anima e del suo desiderio di eternità e con lei vive questa impresa, agisce nella fede, ben sapendo che il corpo, pur importante, deve essere curato solo quanto basta per far esprimere totalmente la sua anima passionale. Sublime!

Se non si comprende questo di Caterina, difficile comprendere il resto.

Tutto questo non viene vissuto dalla santa estraniandosi dalla società del suo tempo o dai doveri familiari, o rinunciando al rapporto con gli altri. Caterina, infatti, vive in famiglia, mangiando alla mensa familiare; ogni mattina esce e, prima di aiutare la madre nelle varie commissioni, va alla Messa e si ferma sovente a parlare con il padre domenicano, con le sorelle (era la penultima di ben 25 figli). Partecipa alla vita sociale e culturale, anche se non sa leggere e scrivere, come la maggior parte delle donne del suo tempo, le quali dovevano “solo” apprendere, imparare ad ascoltare, mentre per gli uomini era più facile accedervi perché erano loro a condurre gli affari, a trattare e gestire le imprese familiari. Non leggetelo, però, come maschilismo, confrontando quell’epoca alla nostra: le donne, se volevano, avevano un gran bel da fare, non solo a partorire figli, ma anche a crescerli, educarli, avviarli nella vita sociale e a…spendere i soldi del marito quando potevano farlo.

Caterina era una perfetta donna di casa tanto che nel Processo Castellano si riporta la testimonianza di fra Bartolomeo, che dice: “… con amore per il Signore e per alleggerire il lavoro altrui, in una casa con molte persone, la si poteva trovare ogni giorno a spazzare la casa, a lavare le scodelle, a rifare i letti, a servire la mensa nonostante che vi fosse una donna di servizio a pagamento. E poiché i genitori non tolleravano più tale visione della figlia, le proibirono di dedicarsi a queste faccende. Caterina, per non venire meno all’obbedienza, escogitò l’aggiramento dell’ostacolo di non dare pubblico scandalo e pubblico dispiacere. Perciò di notte, mentre gli altri dormivano, eseguiva in silenzio e pregando, tanti altri piccoli servizi e quando le rimaneva tempo andava nel lavatoio a lavare i panni. I genitori dovettero arrendersi”.

 

 

TRAVESTITA DA UOMO: SE NON MONACA, ALMENO LA PRENDESSERO COME MONACO

Ma la giovane donna deve ancora forgiare il proprio carattere. Spesso è così impaziente di coronare il suo sogno che si racconta che un giorno, travestita da uomo, cercò di farsi accogliere in un monastero per dedicarsi totalmente a Dio in solitudine. Naturalmente non vi riuscì: lo Sposo aveva per lei altri progetti.

Aveva cura del suo aspetto, specialmente per i capelli come era tipico del suo tempo: li portava lunghi e legati. Non era vanitosa, però, e la sua femminilità era dignitosa. Guardava come modello alla Vergine Maria, la “dolce Fanciulla di Nazareth che san Giuseppe, sposo casto, prese in moglie per prendersi cura di Lei e del Divin Figlio”, ma il suo sogno era indossare “le bianche Lane di san Domenico”, il bianco in segno di purezza, il nero del mantello quale segno di umiltà. Giunse a tagliarsi i capelli da sola quando la madre, insistendo perché si sposasse e volendola distogliere dalla vita ascetica, costrinse involontariamente Caterina ad un gesto eloquente che non permettesse più a nessuno di mettere in dubbio la strada che aveva scelto. Per non dispiacere ai genitori, evitava di saltare la mensa familiare, pur attenendosi a piccoli pasti e mantenendosi in perfetto digiuno nei giorni prescritti dalla Chiesa e in tempo di Quaresima.

Solitamente trascorreva le serate facendosi leggere le vite dei Santi e dei Martiri (così infatti si usava la sera in famiglia). Presto, Caterina decise di imitare la pazienza dei Padri del Deserto e le penitenze degli asceti, comprendendo che per quella via sarebbe giunta ad incontrare lo Sposo in modo pieno e concreto. Da qui si sviluppa anche la sua devozione mariana: alla Vergine Maria fa continue promesse di fioretti e fedeltà affinché sia proprio Lei a porgerLe il Figlio Divino quale Sposo.

 

 

CATERINA PROTESTA QUANDO LO “SPOSO” SI LASCIA MALTRATTARE DAI PRETI INFEDELI

Se intendiamo correttamente, in termini propri del Vangelo e degli apostoli, questo amore passionale di Caterina verso Gesù, non ci sembrerà dell’altro mondo il modo di vivere di questa ragazza senese e il fatto che Gesù le risponderà, le andrà incontro annoverandola fra le vergini, ammantandola del mistico velo nuziale. Vi troveremo, infatti, tutte corrispondenze bibliche; Caterina è davvero innamorata, non ha occhi che per Gesù e il Crocefisso, il tabernacolo, l’eucaristia, il confessionale, saranno per lei il vero talamo dove incontrare lo Sposo, per parlare a Tu per tu, discorrere, persino lamentarsi con lo Sposo quando vede la crisi nella Chiesa, l’infedeltà nei pastori, i tradimenti verso il pontefice. Protesta, Caterina: quando lo Sposo Divino si lascia trattare malamente dai sacerdoti infedeli, soffre a tal punto da riuscire a trasmettere, senza tenere nulla per sé e senza preoccuparsi delle critiche, questi sentimenti a tutte le persone del suo tempo ed oltre, ancora nei giorni nostri, attraverso le famose Lettere e il Dialogo della Divina Provvidenza.

Caterina vive con i piedi ben piantati per terra. Sa che se vuole coronare il suo sogno deve attirarLo, avvicinarLo, deve farsi “trovare pronta”. Così trascorre ogni giorno alla ricerca dei poveri, porta loro da mangiare e si ferma a consolarli, a far loro una carezza sapendo di accarezzare Gesù. Quando scoppia la peste, la troviamo lì ad occuparsi dei moribondi, a chiudere gli occhi ai malati terminali. Quando qualcuno è condannato a morte, eccola, Caterina, in carcere, a portare la parola di Cristo per far morire in grazia di Dio chi attende la condanna capitale, promettendogli di supplicare per le sua anima la via del Paradiso.

Lo Sposo comincia a farsi “vedere”. Caterina otterrà, in queste missioni, molte conversioni: la sua parola è credibile, i suoi gesti affidabili, la gente le crede. Lei sa che questa è opera di Gesù, non attribuisce mai un successo a se stessa: solo quando qualcuno l’accusa di qualche esagerazione, ella attribuisce a se stessa l’incomprensione e l’incapacità di far meglio e, quando ciò accade, non si arresta sui sensi di colpa, sulla giustificazione o sulla difesa, ma piuttosto chiede scusa e va avanti. Non si cura d’altro: la sua meta è Cristo.

 

 

CATERINA NON FA CARNEVALE: E’ IL GIORNO DELLE SUE NOZZE MISTICHE

Non ci soffermeremo a raccontare dei tanti miracoli che ella fece durante la vita: qui ci preme mettere in risalto la persona che era e in quale modo ha combattuto la propria battaglia per la fede.

Caterina era una donna con una femminilità molto spiccata, come abbiamo visto, da pretendere, santamente, di poter ottenere Gesù come Sposo. A 16 anni, nel 1363 entra nel Terz’Ordine di san Domenico. Ha circa 20 anni quando sente dentro il cuore che qualcosa deve accadere e, così, continua a pregare incessantemente tanto da sentirsi un fuoco nel petto, un ardore decisivo che le fa dire: “Signore Gesù, sposami nella fede”. Nel carnevale del 1367, mentre gli schiamazzi riempiono la città e la sua stessa casa, la giovane è lì nella sua stanzetta che ripete assorta la sua preghiera sponsale per la millesima volta…Ed ecco apparirle il Signore che le dice: “Ora che gli altri si divertono io stabilisco di celebrare con te la festa dell’anima tua. Io ti sposerò a Me in fede perfetta”. Sarà Caterina stessa a raccontare l’episodio e di come la Regina del Paradiso, accompagnata dai santi e gloriosi apostoli Giovanni e Paolo, san Domenico ed anche il re Davide con il Libro dei Salmi, le prese la mano distendendola verso il Figlio Divino, pregandoLo, secondo ciò che aveva promesso, che Si degnasse di sposare quell’anima prediletta con la fede perfetta. L’anello sponsale, che solo Caterina poteva vedere, era anche il segno della Fede perfetta che Gesù le diede in dote.

Fino ad alcuni anni fa (forse ancor oggi) c’era a Siena l’usanza che, nell’ultimo giorno di carnevale, a nessun corteo o maschera fosse concesso passare per la contrada di Fontebranda, là dove quelle mistiche nozze furono celebrate. Sul frontone dell’edificio dovrebbe esserci ancora scritto: “E’ questa la casa di Caterina, la Sposa di Cristo”.

La madre di Caterina non è contenta. Nel rapporto tra madre e figlia, è chiara l’opposizione tra un progetto “per il mondo”, che la madre ha sulla figlia, per la quale, come tutte le mamme, vedeva un matrimonio e sapeva che la figlia ne sarebbe stata all’altezza, e la strada alla quale Caterina si sente chiamata fin da bambina. Con la mamma, Caterina è dolce e obbediente: mai una arrabbiatura, mai un dispetto, mai un dispiacere. E’ anche inflessibile, però, nel seguire la sua vocazione. Più tardi – quando dovrà continuamente viaggiare per obbedire alla sua missione e la mamma si lamenterà delle sue lunghe assenze – Caterina, che è ormai diventata guida spirituale anche della madre, le scriverà: «(…) voi amate più quella parte che io ho tratta da voi, che quella che ho tratta da Dio, cioè la carne vostra della quale mi vestiste…» (lettera 240)

 

 

A BUON DIRITTO NELLA LISTA DEI SANTI VITUPERATI

Il 24.11.2010, Benedetto XVI, nel tratteggiare la figura e l’opera di Caterina da Siena, dice: «Caterina soffrì tanto, come molti santi. Qualcuno pensò addirittura che si dovesse diffidare di lei al punto che, nel 1374, sei anni prima della morte, il capitolo generale dei Domenicani la convocò a Firenze per interrogarla». Da questo episodio, dal quale per altro la senese uscì completamente vittoriosa, scaturirono purtroppo molte chiacchiere, le classiche che il sentire popolare – spesso invidioso, insofferente, astioso – trasforma in maldicenze striscianti, che tuttavia non scalfiscono mai la vera statura dei santi. Spesse volte, anzi, queste chiacchiere ostili fungono da contraltare dal quale emerge alla fine la verità…Di cosa parliamo? Di banalizzazioni della persona di Caterina, di quel suo amare con passione Gesù tanto da dipingerla sovente come una visionaria, patologica, esagerata, schizofrenica, persino impudica.

Caterina, con queste diffamazioni, potè a buon diritto entrare nella lista dei santi vituperati, e proprio per questo, vincenti!

Certo! forse Caterina era impudica agli occhi dei miserevoli e degli stolti, perché ella, senza curarsi di loro, continuava ad abbandonarsi a quella passione per il Cristo e, sovente, lo faceva per guadagnare allo Sposo questi animi ribelli, per spingere Gesù alla compassione e convertire i loro cuori. Tante sono le testimonianze di conversioni scaturite proprio dalla testimonianza di fede di Caterina, dalla sua ardente preghiera, dalla mortificazione e dalla compassione verso il Cristo.

Come accade per tutti i santi, anche per Caterina c’è un aspetto della sua fede e della sua passione che più la caratterizza: le piaghe di Cristo e il Suo Sangue.

Qui Caterina esprime molte fra le più belle pagine della mistica cattolica, con una proprietà di dottrina e di linguaggio che sembra davvero sia stata istruita dall’apostolo Giovanni, come spesso si dice, manifestando una perfetta ortodossia da lasciare spiazzati i sapienti del suo tempo. Al punto da diventare maestra perfino dei suoi confessori.

La base della sua dottrina è il Crocefisso, i capitoli di studio sono le Sue piaghe, lo svolgimento dei temi è il costato trafitto e il sangue. Sì! Possiamo dire che questa caratteristica di Caterina ha dell’inaudito, del meraviglioso. Per quanto si possa parlare di miracolo poiché tutto questo è opera di Dio, tuttavia, va detto anche che la santa, fin da bambina, si è volontariamente immersa in Dio, spontaneamente lo ha accolto, liberamente Gli si è offerta, docilmente lo ha seguito sempre e ovunque. Mai ha distolto la mente da Lui, prendendo e vivendo alla lettera le parole di san Paolo: “Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 14,7). Santa Caterina ha preso il “Fiat” di Maria Santissima sul serio, e, sovente, ha pregato la Vergine Maria di aiutarla a dire sempre quel “sì” ogni giorno e in piena fedeltà.

 

 

MA NON ERA “GELOSA”

Poiché, per parlare di Dio, occorre l’abbondanza e la purezza del cuore prima che della mente, ella non sprecava mai le parole e, così, mentre Dio suppliva alle carenze dell’intelletto istruendola e suggerendole cosa dire, Caterina non faceva altro che parlare di Dio e di tutto ciò che a Lui ci conduce; non faceva altro che essere strumento del Verbo; nella Chiesa, da perfetta “donna di casa” non faceva altro che servire lo Sposo, vivere per Lui, senza mai essere gelosa: al contrario, non vedeva l’ora di condividere con gli altri i frutti di questa unione mistica attraverso le famose Lettere. «La mia natura è fuoco!», ripeteva spesso, e questo ardore non lo tratteneva per sé.

Tanti i momenti forti di questo rapporto con il Signore. Uno era, per esempio, all’inizio della preghiera del breviario: “Deus, in adiutorium meum intende. Domine, ad adiuvandum me festina ⁄ O Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto”, Gesù le aveva promesso che sarebbe venuto a farle visita ogni qual volta avesse pronunciato queste parole con passione sincera: e sovente le appariva, infatti, e lei continuava la salmodia, alla quale spesso si univa il suo angelo custode, altri angeli e, qualche volta, anche alcuni santi. Dobbiamo capire che questi ed altri episodi delle vite dei Santi sono una realtà delle promesse di Gesù, sempre valide in ogni tempo e per ognuno di noi.

Apro un breve inciso: ciò che delle vite dei Santi desta in noi la meraviglia, non deve arrestarsi al sentimento. Piuttosto deve sollecitarci ed incoraggiarci a vivere con lo stesso ardore il nostro rapporto con Dio: questo significa davvero “imitare i santi”. Non bisogna, infatti, scimmiottarli nelle cose che hanno fatto: ognuno segue il progetto che Dio ha preparato per lui. Dobbiamo essere sempre noi stessi, trovando nei santi degli alleati e degli ottimi consiglieri: seguirli nel modo in cui hanno combattuto la propria battaglia per la vera fede e avere fiducia in ciò che ci hanno trasmesso. In una parola: avere cura della nostra anima; alimentarla con le promesse del Cristo e curare il corpo non per le vanità del mondo, quanto piuttosto per essere pronti all’incontro con Lui!

 

 

COGNOSCIMENTO DI SÈ”, ERA QUESTA LA SUA VERA “PATOLOGIA”

Qualcuno parla di “patologia” per questa santa ragazza, come se Caterina avesse avuto dei disturbi, un disordine al suo interno. In verità tutti i santi sono accusati di vivere stati patologici e questo dipende spesso da chi, incredulo di fronte a tanta santità, proietta sui santi le patologie che forse vive lui stesso. A voler essere pignoli, senza dubbio santa Caterina, come tutti i Santi, era “fissata” sì, ma per demolire in se stessa ogni imperfezione. Non per mania di superiorità: al contrario, per quella consapevolezza di sapersi peccatrice e bisognosa del soccorso di Dio. L’autentica “patologia” di cui soffrono i santi – e in questo caso la nostra Caterina da Siena – è esattamente quella del vero “cognoscimento di sè“, ossia quel giungere alla vera conoscenza di se stessi e della propria anima, per correggersi, morire a se stessi e lasciare che Dio prenda pienamente posto dentro il proprio cuore, e non arrendersi fino a quando non si è raggiunto lo scopo.

Follia? Stoltezza? Perché piuttosto non prendere in seria considerazione che l’unica vera follia è quella di vivere una vita mediocre, fredda nella fede, tiepida nella Croce? E che l’unica vera stoltezza è ostinarsi a percorrere la via larga anziché quella stretta, camminare sui tappeti delle comodità anziché sulla via sassosa, ed in salita, del Calvario?

Così la santa raccontava al suo confessore Raimondo da Capua: «Sappiate padre, che per la misericordia del Signore, io porto già nel mio corpo le sue stimmate… vidi il Signore confitto in croce, che veniva verso di me in una gran luce e fu tanto lo slancio dell’anima mia, desiderosa di andare incontro al suo Creatore che il corpo fu costretto ad alzarsi. Allora dalle cicatrici delle sue santissime piaghe, vidi scendere in me cinque raggi sanguigni diretti alle mani e ai piedi e al mio cuore. Subito esclamai: Ah Signore, Dio mio: te ne prego: che non appariscano queste cicatrici all’esterno del mio corpo. Mentre dicevo così, prima che i raggi arrivassero a me, cambiarono il loro colore sanguigno in colore splendente». (Legenda Maior, 195 – ed. Cantagalli). La sua testa appare coronata di spine splendenti in ricordo di un episodio molto importante: Gesù stesso, presentandole una corona d’oro e un diadema di spine, le chiese di scegliere e lei «subito tolse con ardore dalla mano del Salvatore il diadema di spine e se lo calò sul capo»…

 

 

I SANTI: COLORO CHE SOFFRONO SE CRISTO NON GLI RICHIEDE PIÙ GRAVI PROVE. I BUONI CRISTIANI: QUELLI CHE SOFFRONO PERCHÈ NON POSSONO SODDISFARNE DI PIÙ GRAVI

Sì, senza dubbio, per la nostra mentalità materialista, i santi hanno esagerato, sono stati folli o stolti: questo, però, non perché essi hanno ecceduto quanto piuttosto perché noi li giudichiamo con i nostri parametri, spesso offuscati dalle comodità del mondo. Quando Gesù, infatti, chiede sovente a santa Caterina: «Cerca di rimuovere dal tuo cuore ogni altra sollecitudine e preoccupazione, pensa solo a Me e con Me riposati», non lo sta chiedendo solo a lei, ma sta invitando anche ognuno di noi verso questa strada. E quando santa Caterina da Siena, sussurrandoci queste confidenze, ci dice anche che queste sono state vincenti, ci sta invitando a seguirla. Tuttavia, quante volte noi fingiamo di non vedere e di non sentire oppure ignorare per opportunismo?

Rammentiamo questo episodio descritto da san Marco: «Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: – Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? – . Gesù gli disse: Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre.

Egli allora gli disse: Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza. Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!. Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni” (Mc 10, 17-22).

Gesù continua ad amarci anche se non corrispondiamo alle Sue richieste, ma i santi sono coloro che non si accontentarono di essere “bravi, buoni, obbedienti ai Comandamenti”. Essi volevano e vogliono di più; desiderano volare più in alto, ci insegnano come possiamo osare. Le richieste di Gesù – sembra dirci santa Caterina da Siena ancora oggi – non sono un capriccio per la Sua soddisfazione, bensì sono per il nostro vero appagamento, per la nostra autentica soddisfazione. Infatti, leggiamo nel brano, il giovane “se ne andò rattristato”: era triste non per la risposta ricevuta, ma perché sentiva di non poterla soddisfare, poiché “possedeva infatti molti beni” e non voleva disfarsene. I santi, invece, anelano a risposte come queste e sono tristi fino a quando il Signore non li chiama…perché vogliono accondiscendere alle Sue richieste. E’ qui che si comprende quando Caterina dice: «la mia natura è fuoco»!

 

 

A TU PER TU COL PAPA AD AVIGNONE. IL PAPA NON SA L’ITALIANO, CATERINA NON SA IL LATINO. COME SI PARLANO?

Caterina al cospetto di papa Urbano VI

Dopo aver analizzato il carattere di santa Caterina da Siena, il suo rapporto con se stessa e con gli altri, seppur brevemente, potremmo rispondere all’antica curiosità del Mastino: come ha fatto lei, la 24esima figlia di un commerciante, a imporsi nientemeno che nel cuore temporale della Chiesa, Roma e Avignone? Come è stato possibile?

La prima risposta che ci viene è: la Provvidenza! Naturalmente, quanto abbiamo detto fino a qui ci chiarisce come il Signore l’avesse preparata ad una grande missione perché, è giusto rammentarlo, Dio non fa nulla che debba rimanere nascosto o inutile. Tutti i santi fino ad oggi conosciuti hanno compiuto una missione. Santa Caterina da Siena è stata preparata per questa missione di pace: riportare il Papa a Roma e seguire le sorti della Chiesa del suo tempo.

Come ci riesce? Semplice: Caterina, già ben conosciuta come ambasciatrice di pace fra le varie città italiane spesso in lotta fra loro, viene mandata dai fiorentini ad Avignone perché chieda a Papa Gregorio XI di riappacificarsi con loro. Il Papa ha della santa un’ottima considerazione: fa preparare i bagagli e vorrebbe ritornare con tutta la curia a Roma. Ahimè! Le cose, però, si mettono male. La curia e lo stesso re di Francia si oppongono e il Papa non sa come risolvere il problema. Chiede consiglio a Caterina. La santa, umilmente, risponde che, in quanto donna, non spetta a lei dare consigli al Sommo Pontefice. Questi allora le dice: «Non ti chiedo consigli, ma di svelarmi la volontà di Dio». Quest’episodio ci mostra come fosse il Papa stesso che confermava a Caterina il privilegio della confidenza Divina. Imponendogli così l’obbedienza, la Santa risponde: «Chi può sapere ciò meglio di Vostra Santità, che promise a Dio di fare questo viaggio?» A queste parole, il Papa rimane stupefatto, perché, come egli stesso raccontò successivamente, nessuno sapeva di questo voto che aveva fatto. Così, finalmente, dopo 70 anni di cattività avignonese, il Papa e la curia possono ritornare a Roma.

Questi i fatti.

Una curiosità: in che lingua si parlavano il Santo Padre e la santa senese?

Il beato Raimondo da Capua, confessore della santa, faceva da interprete fra Caterina e Gregorio XI perché lei non conosceva il latino, eccetto quello delle preghiere e della Messa, e il Papa non aveva appreso l’italiano. Il beato confessore, nella sua Legenda Major, racconta pure che, mentre la santa parlava con il Papa, ella si rammaricò con lui che nella curia, dove avrebbe dovuto esserci un paradiso di celesti virtù, in verità sentisse il puzzo dei vizi dell’inferno. Allora il Pontefice domandò all’interprete da quanto tempo Caterina fosse giunta alla curia e avendo sentito che vi era arrivata da pochi giorni le domandò: «Come hai potuto, in pochi giorni, conoscere i costumi della Curia?». La santa allora, mutando l’atteggiamento dismesso (si trovava in ginocchio), si alzò in piedi davanti al Papa, assumendo un portamento regale, e rispose che, per onore di Dio Onnipotente, aveva sentito maggior puzzo dei peccati che si commettevano nella curia standosene a Siena, dove era nata, meglio di come lo sentissero coloro che li avevano commessi e che li commettevano tutti i giorni.

Il Papa rimase zitto – continua a raccontare il beato Raimondo – e lui stesso, stupito, allibito, si domandava con quale autorità erano state dette certe parole in faccia al Sommo Pontefice.

La credibilità di Caterina partiva da una regola di vita indiscutibile: «Noi dobbiamo prima correggerci dei nostri peccati, liberarci delle pastoie del demonio, e poi parlare di Dio». Tanto altro ci sarebbe da dire, ma lo faremo in una seconda puntata… perché da qui parte la missione di Caterina in favore della Chiesa, la battaglia contro la corruzione nel clero, la diffusione delle sue Lettere e la composizione del Dialogo della Divina Provvidenza. Caterina, intanto, torna a Roma con il Papa perché con lui deve riformare la Chiesa…

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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