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Silvia

Ultimo Aggiornamento: 02/11/2010 11:05
02/01/2009 15:46
 
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di F.LA MONICA

EDIZIONI PEDRINI
Finito di stampare dicembre 1980
con i tipi della tipografica
EDI-Torino
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Avevo sei anni, frequentavo la prima elementare e fui promossa in seconda.
Poi morirono mio padre e mia madre, così dovetti abbandonare la scuola.
Rimasi sola: avevo un fratello, ma era come se non ci fosse. La sera usciva per andare a giocare a carte e si ritirava all'una di notte, oppure addirittura non rincasava.
Un giorno mi disse: « Silvia, mi fai scaldare un po' d'acqua, perché ho male ad un dente? ».
Io, invece, me ne uscii di casa ed andai a lavorare da una signora, perché non avevo nulla da mangiare e lui non si preoccupava affatto di me.
Quando a sera sono rientrata, mio fratello mi chiese: - Dove sei stata tutto questo tempo? ». Mi schiaffeggiò e così mi caddero due denti. Piansi tanto che mi si gonfiarono gli occhi. Un'infanzia infelice: mi bastonava spesso, oppure non si curava di me, ma soprattutto pativo la fame.
Un giorno gli dissi: « Tu pensi soltanto a te! ».
Mi rispose: « Che cosa vuoi da me? Non posso far nulla per te e ti lascio in disparte come un ceppo secco ».
« Se per caso un giorno starò bene, non venirmi a cercare: non mi curerò certamente di te ».
« Certamente non verrò a casa tua a chiedere un pane! ».
Quando compii otto anni, mio fratello per non lasciarmi sola in casa, mi portò da una signora che si chiamava Marelli ed aveva un bambino, perché giocassi con lui.
Un giorno essa mi disse: « Silvia, fai del pane cotto per il bambino >.
Non sapevo come si facesse e così preparai un po' di brodaglia.
Essa, dopo avermi detto: « Non sai proprio fare niente! » mi schiaffeggiò.
lo piansi, fuggii e me ne ritornai a casa, ma quando mio fratello mi vide arrivare mi prese per i capelli e mi riportò dalla signora Marelli, sicché per forza dovetti rimanere là.
Dopo otto mesi, mio fratello prese moglie, mi venne a prendere e mi riportò a casa. Ero tutta felice. Quella notte mi fecero dormire con un'altra bambina che aveva la scabbia e me la presi anch'io. La signora Marelli così non mi volle più con sé, perché « hai la scabbia e potresti attaccarla anche a mio figlio ».
Una volta mi ricordo che una donna mi disse: « Silvia, per favore vuoi andare in campagna a raccogliere un fascio d'erba? ».
« Vado subito! » le risposi.
In campagna c'era molto vento, intorno a me gli alberi si piegavano, le foglie correvano da tutte le parti. C'era un tempo pessimo, poi si mise a piovere ed io piansi perché ero sola in quella campagna. Mi misi allora a correre verso casa, ma scivolai e battei il capo. Mi risvegliai dopo un quarto d'ora e non mi rendevo conto di dove fossi.
Quando rientrai la signora mi chiese: « Dove sei stata tutto questo tempo? » ed incominciò a rimproverarmi ed ebbi anche una tirata d'orecchi, lo ci rimasi molto male, perché non avevo fatto nulla di male per meritarmi quei rimproveri.
Sentivo tanto la mancanza di un affetto, di una carezza, di un sorriso, di una parola buona, invece niente! Tutto questo vuoi dire moltissimo per una bambina sola!
Stavo per compiere dieci anni e si avvicinava l'estate. Ero felice perché veniva la bella stagione. Di mattina l'aria era pura e fresca, le strade erano piene di fiori.
Quando l'aria era calda ed afosa, mi toglievo i vestiti e la gente che mi vedeva, sorrideva ed io non capivo il perché. Quando sì è piccoli si è innocenti!
Un giorno una signora mi disse: < Silvia, vuoi venire in campagna a raccogliere olive? ».
lo che ne avevo bisogno, risposi: « Sì vengo
subito! -, anche se conoscevo le sue abitudini e
sapevo che poi non mi avrebbe più chiamata.
A 12 anni, lavoravo e mi davano 2 lire al giorno, la colazione ed il pranzo a mezzogiorno.
lo abitavo sola in casa. Avevo delle zie che abitavano poco distante, ma mi ignoravano.
Fortunatamente avevo uno zio, fratello di mio padre, che mi dava da mangiare. Aveva molte mucche e così mi mandava a pascolare gli ani mali.
Fu anche buono, perché quando morì mi lasciò un pezzo di terreno: avevo allora 13 anni.
02/01/2009 15:50
 
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Il 18 agosto 1943 un certo signor Schifa michiamò e mi disse: « Silvia , vuoi venire a lavorare a casa mia? ».Se mi rispetta, ci verrò volentieri ».
« Se rimani con noi ti prepareremo il corredo per quando ti sposerai ».
Così andai a servizio a casa sua e credevo veramente che mi preparassero il corredo, invece per tutti i cinque anni che rimasi con loro, non mis conperarono nemmeno un lenzuolo. Anzi mi faceva andare a piedi scalzi sia d'estate che d'inverno, sicché avevo continuamente i geloni.
Il signor Schifa aveva un fratello prete che vedeva come ero trattata ed avrebbe dovuto, come servo di Dio, dire qualcosa a mia difesa e far notare, almeno, che non era giusto che mi mandassero scalza ed invece fingeva di non veder nulla.
Dentro di me pensavo: <• Certi preti, parlano tanto di amore e poi sono loro i primi a non avere carità verso il prossimo ». Sentivo un dolore profondo, sentivo qualcosa, come un nodo di pianto salirmi in gola e soffrivo.
Il signor Schifa abitava a San Giorgio. Per fare la spesa si doveva andare a Santa Caterina che distava circa 15 chilometri.
Spesso il signor Schifa mi diceva: « Devi andare a Santa Caterina a prendere una cesta di spesa ». Pesava circa 25 chilogrammi ed io dovevo portarla sul capo. A metà strada, dopo esser-mi guardata attorno che non ci fosse nessuno in vista, mi riposavo. Tra quelle montagne deserte sentivo cantare le cicale ed i grilli; quando c'era il vento esso fischiava attraverso i fili della corrente elettrica: erano gli unici suoni che mi tenevano compagnia. Quando giungevo a casa, a-vevo il collo teso e quasi non potevo più girarmi. A volte mi sorprendeva il buio ed allora il cuore mi batteva forte forte, anche perché a metà strada c'era una polveriera dove c'erano i militari che facevano la guardia, lo avevo paura perché avevo sentito dire che i soldati acciuffavano le donne e le costringevano a fare quello che loro volevano. Avevo paura anche perché era tempo di guerra: avevo 16 anni, ma ne dimostravo soltanto 12.
Mi ricordo che una volta un militare mi chiamò; io, tremante di paura, finsi di non sentire e mi chinai e raccolsi delle foglioline di una pianta odorosa e mi sfregai le mani che poi odorai, sempre senza guardare il militare. Questi mi si avvicinò e mi regalò un pacchetto di caramelle.
Oltre al resto, tra quei dirupi vi erano molte bisce ed a volte mi passavano sui piedi nudi, sicché dalla paura a volte mi accadeva di cadere per terra.
Così un giorno dissi: « Signor Schifa, io non vado più a prendere la spesa perché ho paura sia delle bisce che dei militari ».
Egli mi rispose: « Cammina diritta: se vuoi il male l'avrai, se invece non lo vuoi non ti capiterà niente ». lo avevo 17 anni e non capivo il significato di quella frase. Non ero ancora donna.
Un giorno il signor Schifa mi disse: « Silvia, andiamo in campagna a raccogliere olive ». Ci andai volentieri, perché già da piccola ci andavo con mia madre. Mi pareva ancora di vederla, ed un pensiero mi torturava: questa è la proprietà della mia mamma che egli sfrutta come sfrutta me e così mi feci coraggio e dissi: « Signor Schi-fa, ho 18 anni ed ancora non ho visto niente di corredo, quando me lo compera? ».
Mi rispose: « Tu pensi veramente che non ti faccio il corredo? ».
« Son cinque anni che lavoro da voi e finora non ho visto niente! Pagatemi il mio lavoro! ».
« Ti ho dato da mangiare, ti ho vestita, vuoi anche essere pagata? ».
Non sapevo proprio come fare, perché i miei fratelli avevano venduto tutto, anche il mio, prima che io compissi 21 anni. Aveva comperato tutto il signor Schifa che si era preso tutto quello che c'era in casa, sicché io non possedevo più nulla. Si era preso anche un lenzuolo che mi era particolarmente caro, perché l'aveva fatto mia madre.
Non potevo parlare se no mi avrebbe cacciata di casa e così tacevo e soffrivo.
Ogni anno il Sabato Santo era usanza che i bambini andassero di casa in casa dove ricevevano ciambelle dolci. Quel Sabato Santo mi trovavo in paese per la spesa e vedevo i bambini felici e pensavo a quando avevo la mamma ed anch'io ero felice.
Invece quel giorno dovemmo andare in campagna perché il signor Schifa mi disse: « Silvia, dobbiamo andare a piantare i pomodori ».
lo pensai: «Se avessi ancora la mamma, a-vrei anch'io la mia ciambella e giocherei con gli altri bambini ».
Invece la fortuna mi era avversa perché il signor Schifa mi faceva lavorare sia d'estate che d'inverno in campagna.
D'estate dovevo tagliare l'erba per fare il fieno perché il signor Schifa aveva degli armenti e mi comandava come una schiava, sicché spesso mi vergognavo per quelli che stavano a sentire.
Nel mese di agosto del 1946 il signor Schifa, piantò delle piante di olivo e quando non pioveva mi faceva portare sul capo delle latte di 20 litri di acqua per annaffiare le piante.
Alla morte di mia madre era stato nominato un tutore, ma certamente il signor Schifa era suo amico, perché mi trattava come voleva, senza che nessuno prendesse le mie parti, sicché ero trattata come uno straccio.
D'inverno dovevo dormire con coperte di cotone e soffrivo un freddo terribile, spesso invece di dormire piangevo. Oltre al resto erano piene di pulci che di notte mi succhiavano^!! sangue. « Mio Dio, dove sono finita? » mi chiedevo e pensavo af periodo felice quando era viva mia madre che mi accarezzava e mi svegliava con un bacio. Spesso la sognavo che mi stringeva a sé, ero felice, poi mi svegliavo e ritrovavo la triste realtà.
Un giorno incontrai una mia zia che vedendomi piangere mi chiese il motivo.
« il signor Schifa non vuole pagare il mio lavoro ».
« Rivolgiti al tuo tutore - mi rispose - egli è responsabile di queste cose ».
Andai a cercarlo e gli di*si: - Quando compirò 21 anni vorrò il resoconto dei miei averi e la paga di cinque anni di lavoro ».

02/01/2009 15:53
 
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E da quel momento non andai più dal signor Schifa. Il tutore s'impauri e mi fece dare 13 mila lire di salario e 15 mila per la mia proprietà. Così ancora una volta fui defraudata di quanto mi era dovuto.
Il mio tutore mi chiese: « Ed ora che cosa intendi fare? ».
« Beh, adesso me la voglio sbrigare da sola! ».
« Hai perso del tutto il cervello? ».
« Voi avete perso la ragione che mi avete venduta per un bicchiere di vino! ed ora, lasciatemi in pace! ».
Me ne andai da mia zia e le raccontai tutto. Ella disse: « Non so che cosa dirti, ma se vuoi restare con noi c'è posto anche per te ». Ma essa aveva 11 figli ed io mi chiesi: «Come farà ad aiutarmi? ».
Perché a quei tempi si mettevano al mondo tanti figli senza pensare a come li avrebbero allevati. Ci dovrebbe essere un maggior senso di responsabilità quando si mette al mondo un figlio. Lui non ha certamente chiesto di venire al mondo ed invece poi si trova nei guai e deve soffrire.
Così mi cercai un nuovo lavoro e lo trovai presso una signora che aveva un negozio di tessuti ed un forno per il pane.
« Mi serve una ragazza per aiutarmi a fare il pane e per i lavori di casa ».
Pensai: « Non mi sarà facile stare alzata di notte a fare il pane », ma avevo bisogno di lavorare ed accettai.
« Quanto mi da al mese? ».
« Mille lire al mese, oltre il mangiare ed il vestire, però dovrai venire a dormire da noi ».
Così iniziai a lavorare da questa signora che si chiamava Raggia. Di giorno facevo i lavori di casa poi la sera mi si metteva la sveglia all'una del mattino ed io mi dovevo alzare per fare il pane. Dopo pochi giorni ero stanchissima e non sapevo dove nascondermi per poter dormire un po'. Dovevo lavorare senza tregua, non potevo ribellarmi, ero come i militari quando al fronte, pur non volendo, devono affrontare il nemico e la morte.
A volte non sentivo suonare la sveglia ed allora la signora mi veniva a svegliare e diceva: « Forza! alzati se vuoi mangiare ».
Mi sentivo mortificata da quel ricatto, ma non potevo far nulla, perché avevo bisogno di lavorare per poter vivere, ma il mio cuore piangeva ed anche piangevo, ma poi mi asciugavo gli occhi e mi rassegnavo al mio infausto destino. Nel profondo del mio cuore ero infinitamente triste anche perché ero terribilmente sola. Fortunatamente la signora aveva una bambina che si chiamava Dina ed a cui piaceva stare con me, così mi sentivo meno triste: la portavo spesso a passeggio.
In quella famiglia rimasi per tre anni. Essi mettevano al mondo un figlio all'anno, senza nessuna responsabilità, perché io mi dovevo anche curare di loro, far loro il bagno tutte le mattine.
Un giorno la signora mi disse: « Invece delle mille lire al mese, ti conviene comperare il tuo corredo qui da noi ».
« Va bene -, risposi.
Però anch'essi mi sfruttavano, perché ero sola ai mondo e non avevo nessuno che mi difendesse, che mi desse dei consigli. Mi dovevo accontentare di quello che mi dicevano e credre in loro.
Un giorno venne da me un cugino che mi chiese se gli vendevo la proprietà che mi aveva lasciato lo zìo.
« Non vendo, risposi, perché è un caro ricordo dello zio, l'unico che mi ha voluto bene ».
<• Vendi - mi consìglio la signora Raggia - intanto tu la terra non la coltivi; vendi e metti il ricavato alla Posta ». Mi lasciai convincere e così mio cugino mi dette 40 mila lire.
Quando ebbi la somma la signora Raggia mi disse « Silvia, imprestameli, ti daremo il cinque per cento d'interesse ». Mi lasciar convincere e glieli imprestai, perché avevo fiducia in loro.
Un giorno la signora mi disse: « Devi andare nell'orto e a prendere una cesta di pomodori ». Poiché mi vergognavo ad attraversare il paese con una cesta sul capo (l'orto era a due chilometri), dissi: « Non ci vado perché sono stanca di far sempre la serva ».
« Devi fare quello che ti ordino, se no te ne puoi anche andare! ».
Presi allora la cesta, andai all'orto, lasciai la cesta e me ne andai. Essi certo non pensavano che ma ne sarei andata dopo tre anni trascorsi in casa loro.
Mi recai da una mia amica che mi disse: « Non ti preoccupare, verrò con te a prendere i vestiti ed i denari che ti devono ». Però mi sentivo come una pecora smarrita, senza l'aiuto di nessuno. Pensavo: • Adesso la signora Raggia non mi da nulla ».
Dopo tre giorni mi sono recata da loro con l'amica. Mi fecero entrare in casa, ma dovetti lasciare fuori la mia amica.
Mi dettero da firmare una carta con cui riconoscevo che mi avevano dato tutto quello che mi spettava.
Si tennero tutti i miei vestiti, per fortuna però mi hanno dato il denaro ed il corredo. Invece delle 40 mila lire me ne dettero soltanto 38 e senza gli interessi promessi. Ancora una volta approfittarono di me, perché non avevo casa, non avevo nessuno che mi difendesse. Per fortuna avevo una carissima amica che mi aiutò.
Un giorno una signora che si chiamava Ga-speri mi disse: « Silvia, vuoi venire a lavorare a casa mia? Farai i lavori di casa ed aiuterai mia figlia che ha una paralisi ad una gamba e quindi ha bisogno di aiuto ».
- Sono disposta a venire, ma qual è lo stipendio? ».
« Tre mila lire al mese, oltre al mantenimento ».
« I vestiti me li comprerò io ». Non conoscevo quella famiglia, ma accettai lo stesso, perché a-vevo bisogno di lavorare.
Abitavano in città e per andarci si dovette fare un viaggio di tre ore di treno. Pensavo: « Speriamo che costoro mi rispettino più degli altri ».
03/01/2009 00:38
 
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Bel racconto,spero di poter leggere la fine. [SM=g1717266] [SM=g1717270]
03/01/2009 01:15
 
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Quando il treno stava per partire, dal finestrino vedevo che chi partiva era salutato da parenti ed amici, invece io ero sola, non uno sguardo amico, non un sorriso. Quando il treno si mise in modo, mi commossi e piansi: « Dove andrò a finire? >.
Giunta in città mi sentivo sperduta, perché non conoscevo nessuno.
Raggiunta la casa della signora Gasperi, era mezzogiorno e mi ricevette in cucina, poi se ne andarono in sala a mangiare ed io rimasi in cucina ad aspettare che mi chiamassero a pranzo con loro. Invece poco dopo giunse la signora con un piatto e me lo porse come ad un cane.
« Dove mangio, signora, visto che qui non c'è un tavolo? ".
« Quelli che vengono da noi, mangiano con il piatto sulle ginocchia ». Piansi tanto e volevo andarmene, ma mi dovetti fermare per forza.
Avevo come compagni due gatti che piagnucolavano sempre ed erano i miei soli amici. Gli altri mangiavano da soli e quando avevano bisogno di me suonavano il campanello. Compravano una ciambella di pane soltanto per me e tenevano conto dì quanto ne mangiavo e mi rinfacciavano di mangiar troppo. Loro intanto mangiavano pane bianco.
A colazione acquistavano mezzo litro di latte, ne prendevano per loro, ne lasciavano un po' nel legammo, aggiungevano un po' d'acqua e poi lo passavano a me.
Il fratello della signora era un prete che quando celebrava la Santa Messa predicava di amare il prossimo, lo lo ascoltavo e dentro di me
dicevo: » Proprio tu parli di amore, quando i tuoi parenti mi danno da mangiare con i gatti? ".
Chiesi: * Signora, dove dormo? ». Mi portò in una piccola soffitta sotto il tetto. C'era umidità e muschio, lo nel raccoglierlo pensavo allo zio che quand'ero piccola mi portava nella sua proprietà sull'asino con un fazzoletto in testa perché non prendessi freddo. Sentivo tanto la sua mancanza. Era stata l'unica persona che mi aveva voluto bene. La soffitta era piccola, buia, sicché avevo paura. II letto era pieno di cimici. Piansi tanto, soffersi e deperii a vista d'occhio.
Quando andavo a letto guardavo dalia fine-struccia e cercavo un raggio di luna. A volte sentivo cantare una canzone triste che terminava con le parole: » A ca non ci sta nisciuno ». Anch'io pensavo « Per me davvero non c'è più nes suno », e soggiungevo: » Com'è triste essere soli nella vita! ».
!n quella casa rimasi soltanto 11 mesi, ma ogni giorno mi pareva un anno.
Un giorno dissi: « Signora, me ne vado, perché qui l'aria mi fa male ».Ritornai al mio paese dalla mia amica che nel vedermi esclamò: « Come sei ridotta! Che cosa ti è successo? ».
Risposi: « Aiutami, perché non mi sento nemmeno di stare in piedi ».
Mi accompagnò dal medico che mi diede una cura ricostituente. Ero debolissima, avevo 22 anni e ne dimostravo 18. Chi mi conosceva mi compassionava e diceva: « Povera ragazza, senza nessuno; che fine farà ». Nel sentirli mi si stringeva il cuore e così mi sentivo peggio.
Un giorno una signora mi chiamò e mi disse:
• Silvia ci sono due persone anziane che cercano una ragazza che faccia loro compagnia e faccia la pesa ».
• Prima li voglio conoscere - e mi recai da loro con la mia amica.
Erano un fratello ed una sorella: lui era un prete ed erano di nobili origini.
Il prete mi disse: - Mi sembri una brava ragazza, se vuoi stare con noi ti tratteremo come una della famiglia ».
• La ringrazio, ma voglio sapere quanto mi darete al mese -.
« Quattromila lire al mese, più il mantenimento ».
Così accettai. Si vedeva che erano persone per bene.
M prete lo era nel vero senso cristiano, erano umani, ogni venerdì facevano l'elemosina ai poveri che bussavano alla porta. * * *
Un giorno incontrai un ragazzo che mi disse:
- Signorina, le voglio parlare ».
10 mi misi a scappare perché temevo che mi prendesse in giro. Ero sola e non sapevo come comportarmi.
- Come faccio a sposarmi, pensavo, senza genitori? ». Allora dissi al prete: « C'è un ragazzo che vuole sposarmi ».
* Di' a questo ragazzo di venire da me, così gli parlo, sento le sue intenzioni e se ti piace mi interesso io, ti farò da padre e tu ti sistemi.
11 giovane si presentò al padre e disse: « Non posseggo nulla, però lavoro, ed ho la salute finche Iddio mi aiuta ». Tirai un sospiro perché anch'io non avevo nulla di mio.
Ci siamo fidanzati e dopo due mesi e mezzo ci siamo sposati.
Il prete diceva la Messa alle quattro del mattino perché eravamo nel periodo natalizio e così per il Santo Natale ci sposammo.
Ricordo: la campana che suona, la gente che si avvia alla Chiesa, le luci, i canti.
Quelli che mi conoscevano mi chiedevano: . Ti sposi stamattina a quest'ora? ».
• Non lo so ancora ».
Mi sentivo triste perché i genitori di mio marito erano contrari a questo matrimonio, perché io ero povera. Finita la Messa di Mezzanotte, la gente se ne andò e noi ci sposammo senza cerimonie. Il prete voleva sposarci in sacrestia perché chi scappava di casa si sposava alle quattro del mattino.
lo piansi tanto e dissi: « Non sono scappata di casa, sono ancora come mi ha fatto mìa madre, quindi voglio essere sposata all'aitar maggiore ».
Ero felice perché mio marito era un cittadino, mentre io ero una provinciale. Non lo conoscevo sncora del tutto perché veniva a trovarmi soltanto una volta alla settimana e c'erano sempre presenti i cugini che non ci lasciavano mai un momento soli. Facevano la guardia, come la fanno i soldati, sicché per me mio marito era come un fratello.
Mi ricordo che egli mi diede il primo bacio perché non sapevo che cosa fosse l'amore.
Dentro di me dicevo: « Ho sofferto tanto nellamia infanzia, più di così non soffrirò certamente mai, quindi è bene che mi sposi. Avrò dei figli e non sarò più sola ». Invece la fortuna, sempre contraria, non mi ha permesso d'averne.
Mio marito aveva preso in affitto una casa, due mesi prima che ci sposassimo, però era senza nessun mobiglio. Quando entrai in quella che doveva divenire la mia casa, vidi che era completamente vuota e mio marito mi disse: « Non abbiamo nulla, c'è però un lettino, una bacinella ed un boccale per bere ».
Pensai: « Per fortuna che ha portato il suo lettino da scapolo! ».
C'eravamo sposati di sabato, lunedì andò a lavorare, perché avevamo bisogno di denaro. Rimasi così sola in casa, per tutta la settimana
Tutto però era come un sogno. Quando ritornò, dopo una settimana di lavoro, non avevo quasi neppure il coraggio di abbracciarlo.
La sera, prima di andare a letto, mi inginocchiavo ed invocavo Dio così: « Signore, aiutami tu, perché non so quello che faccio. Tu conosci la mia innocenza e sai anche che ho sposato quest'uomo con amore, dammi però la forza di poterlo amare per tutti i giorni che mi concederai di vivere ».
Per fortuna mio marito mi ha sempre lasciata libera, perché secondo lui, la donna è uguale all'uomo.
E' un grande lavoratore, mi ha sempre voluto molto bene e non voleva che andassi a lavorare, perché, secondo lui, la donna deve stare in casa ad accudire alla sua famiglia.«Hai sofferto tanto nella tua infanzia, non devi andare più a lavorare ».
Gli ho sempre voluto bene, sono ormai trascorsi 25 anni dal nostro matrimonio che abbiamo ora festeggiato, ma gli voglio più bene di prima.
Pregavo anche: « Quanta ingiustizia c'è su questa terra! Si perde la ragione, si vive nell'ignoranza, lo ho conosciuto l'ingiustizia fin da piccola, perché tu sai che ho perduto troppo presto i miei genitori ed ho provato la cattiveria delle persone. Aiutaci quindi tu, o Dio e fai cessare tutte queste ingiustizie! ».
Quando morì mia madre, rimasi sola in una casa vuota e buia senza il conforto di una voce amica. A sera andavo a dormire, come un cagnolino a cui manchi il padrone. Mi guardavo intorno ed invocavo il nome adorato di « mamma, mamma! ». Piangevo in silenzio e non sapevo rassegnarmi alla mia triste sorte.
Dovetti rimboccarmi le maniche, fare tutto da sola, andare a lavorare per poter mangiare e vestirmi, da gente che non mi amava e mi sfruttava.
Avrei tanto voluto avere una mamma che anche mi sgridasse, ma che mi mandasse a scuola, mi preparasse qualcosa da mangiare.
Ora comprendo il grande bene di saper leggere e scrivere.
Maledicevo mia madre che aveva generato otto figli: se ne avesse avuti soltanto due io non sarei venuta al mondo e non avrei sofferto tanto.
Non ho mai avuto alcuno che mi volesse bene; non ho conosciuto che cosa vuoi dire affetto;
03/01/2009 01:18
 
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nessuno mi ha mandata a scuola. E' brutto non saper leggere correttamente e non saper scrivere senza errori.
Vorrei sapere abbastanza per poter capire bene il mondo, per poter soprattutto capire la gente. Quando devo parlare con persone di una certa cultura mi sento a disagio.
Me la sono però sempre cavata abbastanza bene: dovunque vado mi accolgono con simpatia e mi rispettano e se qualche volta mi fanno qualche sgarbo fingo di non capire, perché voglio evitare le discussioni e voglio soprattutto vivere in pace.
Ora passo il mio tempo a leggere e ad istruirti i.
Quand'ero piccola e vedevo i miei compagni andare a scuola per istruirsi, sentivo molta nostalgia e dentro di me pensavo: « Vorrei anch'io poter andare a scuota, ma purtroppo non posso perché devo lavorare per guadagnarmi da vivere! ».
Non potevo andare a scuola. Dovevo soltanto lavorare presso persone che mi sfruttavano, che per darmi da mangiare mi trattavano come una schiava: erano tempi duri! Dovevo lavorare, ubbidire, tacere, sopportare angherie e fatiche.
Fortunatamente ora i tempi sono cambiati: oggi l'istruzione è obbligatoria, oggi più nessuno può sfruttare gli altri brutalmente, si sono fatti passi enormi sulla strada della socialità.
Ho tanto sofferto nella mia infanzia che oggi tutto mi pare bello e sopportabile: fortunatamente nella vita non c'è soltanto dolore, ma il destino ci riserva anche qualche gioia.
Ho desiderato tanto avere un affetto, ho rimpianto la mancanza di un padre a di una madre e mi sonò così resa conto che la cosa più grande è l'amore di una famiglia, e una casa.
Quell'affetto e quel calore che ho trovato a 24 anni, quando mi sono sposata e quando la parte più dura della mia esistenza era ormai passata.
12/01/2009 18:46
 
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Silvia se fosse in vita oggi avrebbe festeggiato il compleanno... [SM=g1658282] Auguri!!![SM=g27998]
02/11/2010 11:05
 
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Un dolce pensiero va a tutte le persone care che non ci sono più, ma che resteranno per sempre vivi nei nostri cuori <3
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