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Il giovane ricco

Ultimo Aggiornamento: 27/12/2008 10:28
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Sesso: Maschile
27/12/2008 10:28

tratto da Luca 18, 18-30

IL GIOVANE RICCO Lc 18, 18 - 30

 

Un notabile lo interrogò: <<Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?>>.

Gesù gli rispose: <<Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio.

Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre>>.

Costui disse: <<Tutto questo l'ho osservato fin dalla mia giovinezza>>.

Udito ciò, Gesù gli disse: <<Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi>>.

Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco.

Quando Gesù lo vide, disse: <<Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio.

E` più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!>>.

Quelli che ascoltavano dissero: <<Allora chi potrà essere salvato?>>.

Rispose: <<Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio>>.

Pietro allora disse: <<Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito>>.

Ed egli rispose: <<In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà>>.[18]Un notabile lo interrogò: <<Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?>>.

Gesù gli rispose: <<Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio.

Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre>>.

Costui disse: <<Tutto questo l'ho osservato fin dalla mia giovinezza>>.

Udito ciò, Gesù gli disse: <<Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi>>.

Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco.

Quando Gesù lo vide, disse: <<Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio.

E` più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!>>.

Quelli che ascoltavano dissero: <<Allora chi potrà essere salvato?>>.

Rispose: <<Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio>>.

Pietro allora disse: <<Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito>>.

Ed egli rispose: <<In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà>>.

 

SPIEGAZIONE DEL TESTO

Qual'è il messaggio di fondo (li questo vangelo, spesso tanto frainteso? Si può individuare il punto focale? Ci aiuta il guardare come è composto il testo, sia da un punto di vista letterario che da un punto di vista narrativo.

La struttura letteraria del brano mette in luce un centro, da noi chiamato D, : è un detto di Gesù, probabilmente tra i più vicini alle parole stesse di Gesù, poiché mantiene alcune sue caratteristiche tipiche: la radicalità, la predilezione per l'immagine e il paradosso, il senso della ricchezza come ostacolo e non come benedizione.

L'immagine è molto forte: il cammello è l'animale più grande conosciuto in Palestina, e la cruna di un ago uno dei più piccoli buchi pensabili.. ..se Gesù voleva rendere l'idea ha sortito sicuramente l'effetto!

Questa suddivisione ci aiuta a cogliere quali sono le tematiche che guidano il racconto: la domanda sulla vita eterna (a), la rinuncia ai beni (e) e alla famiglia (b), la difficoltà dei ricchi ad entrare nel Regno di Dio (d), il tutto attorno alla proposta di Gesù "vieni e seguimi". La divisione del testo che abbiamo fatto è di tipo letterario, ma deve tener conto anche di come semplicemente si snoda il racconto: un primo momento di incontro tra Gesù e l'uomo ricco (vv. 18-23) e un secondo momento di dialogo di Gesù con quanti hanno assistito alla scena (vv: 24-30).

E' importante accorgersi dove il racconto trova il suo centro, perché lì l'attenzione va fatta cadere: se fosse il lasciare le ricchezze non si capirebbe per quale motivo l'insistenza di Gesù su

quanto i discepoli hanno lasciato cada sugli affetti e non sulle ricchezze: del resto effettivamente i primi discepoli, a parte Matteo, non dovevano essere dei gran ricconi, e molto di più deve essergli costato l'abbandono del padre e del lavoro.

Inoltre il v.22, che è la risposta definitiva di Gesù al "capo", è chiaro:

quello di cui è ancora privo è il seguire Gesù, ma per fare questo la condizione è lasciare tutto quello che ostacola il cammino, in questo caso le ricchezze (che né fisicamente né interiormente possono essere di peso a chi muove i suoi passi sulle orme di Gesù); nel caso dei discepoli, famiglia e lavoro: non per nulla Gesù dice ti manca, dove quel "ti" è la originalità di quel cammino di sequela.

 

Altra caratteristica da notare è la dimensione ecclesiale "nascosta" nel brano: "distribuire" (v. 22) e "le proprie cose" (v.28) sono espressioni che si trovano nei sommari degli Atti, là dove si descrive la vita della prima comunità: il seguire Gesù si concretizza quindi oggi sulla chiesa, e il lasciare i beni (materiali o affettivi che siano) è per la centralità di Cristo da proteggere e per la condivisione di sé e di quanto si possiede nella comunità.

 

Un altro particolare è l'annotazione che Luca fa della immensa tristezza che sommerge l'uomo ricco dopo il rifiuto: l'evangelista non si ferma mai in genere sui sentimenti, o molto poco, al punto che in questo stesso brano, pur avendo Marco come fonte, trascura tutte le reazioni emotive che Marco riporta ( lo stupore, lo sbigottimento, l'inginocchiarsi del ricco, il  fissatolo e lo amò di  Gesù,..).

Evidentemente la tristezza è un vissuto che Luca sente forte come la conseguenza del non seguire Gesù, rimanendo con una vita corretta ma triste (anche nei Getsemani i discepoli si addormentano per la tristezza).


INTERROGATIVI A CUI IL TESTO APRE

 

 

Ora, seguendo lo scorrere del testo il più correttamente possibile, mi chiedo:

1)   quale è il centro a cui Gesù e noi vogliamo educare

2)   come Gesù prova qui ad educare e che stile per noi può nascerne

3)   i criteri fissi di Gesù, e quindi nostri.

 

 

1)   Non mi fermo molto perché se c'è una conquista nelle nostre comunità cristiane dopo il Concilio è aver rimesso a fuoco che essere credenti è seguire Qualcuno, lasciarsi incontrare dal Cristo Risorto e vivo, vivissimo: sentirsi contemporanei di Gesù, avere una relazione con Lui, completamente donata e completamente da accogliere, è lo scopo di ogni catechesi e atto educativo. Chi si è agganciato a questa relazione ha una risorsa educativa immensa anche quando gli educatori umani fanno cilecca: purtroppo per molti adulti essere cristiani è significato solo appartenere alla chiesa cattolica, o avere una mentalità cristiana

In nome di questo centro un buon educatore sa chiedere di mettere da parte e lasciare quello che ostacola il seguire Gesù: questo nasce dalla vita, perché si abbandona non ogni cosa per il gusto di abbandonare, mai quello che pone ostacolo a fare scelte evangeliche; quindi qualunque ricchezza materiale, umana, spirituale, culturale, affettiva, è buona tino al giorno in cui non si mette tra me e Cristo, o che è lo stesso, tra me e l'altro.

 

 

Educare quindi è evocare la bellezza  di  una  vita  segnata dall'amicizia di Dio, e non nascondere il lutto della precarietà che I 'abbandonare sicurezze superflue comporta. Sicuramente nel nostro quartiere vari tipi di ricchezza sono pericolosi, ma solo se frenano il bussare di Dio: in quel caso vanno denunciati!

 

 

2)   C'è una pedagogia di Gesù che trovo illuminante, proviamo a seguirla:

 

- parte da una domanda dell'altro, e non una domanda qualunque, ma quella decisiva, quella cioè sulla vita eterna. Punto di partenza migliore, almeno sembra, non potrebbe esserci; noi non siamo sempre così fortunati, la domanda sul senso finale del vivere, sull'eternità, è spesso molto coperto, non affiora, e noi stessi preti, annotano sia E. Bianchi che Martini, abbiamo un certo pudore a parlare di quelle che un tempo venivano dette le "realtà ultime". Nostro primo compito è allora far riaffiorare le domande giuste, quelle più radicali e profonde, che ci interrogano sul senso del vivere, del morire, dell'amare, spesso soffocate, come dice un filosofo contemporaneo, dalla chiacchiera e dalla non autenticità verso sé stessi. Altrimenti continuiamo a dare risposte a gente che non ha posto domande, o dobbiamo attendere solo le disgrazie.

 

- educare la domanda: neppure la ricerca del nostro personaggio ricco è pura: la richiesta di cosa fare per ottenere la vita eterna spesso era solo un desiderio di sapere il pensiero del maestro di turno, o quale priorità (lava all'interno della Torah ( ricordate gli  interrogativi  sul comandamento più importante?), o una richiesta di aggiunta di opere da ottenersi da un rabbi che fosse proprio buono. Gesù educa la domanda con uno stile interessante: prima di dare una risposta mette in crisi la domanda stessa, la de stabilizza: il riferire la Bontà a Dio e non a sé è senz'altro di Gesù ( nessun evangelista si sarebbe permesso!!), e Gesù riconduce da capo il problema, perché resta sul già vissuto

 

dall'interlocutore: come poi nel detto sul cammello, Gesù sorprende, fa riflettere. A noi non sarebbe venuto da rispondere : come, tu non Sei buono? e non hai più nulla da dirmi di quello che già so e faccio? Essere educatori a volte significa rompere gli equilibri dell'altro, sconvolgerne i criteri, rimettere in discussione, evitando risposte immediate che possono scivolare via perche' la domanda non è ancora sufficientemente seria; purtroppo noi siamo ancora troppo preoccupati della precisione e della ortodossia.

 

-   udito ciò   ti manca  Gesù personalizza, ascolta a fondo l'altro, poi indica: quanti schemi generali buttiamo sull'altro senza averlo ascoltato?

 

-   Gesù fallisce, come tanti educatori, perché ha avuto il coraggio di esigere e di non temere di perdere l'educando. (non si sa però il continuo della storia...), ma anche dal fallimento fa nascere un "imparare", che rivolge a quanti hanno assistito: continua la sua opera educativa, senza " scusatemi" o "era cattivo", ma cogliendo una verità della vita, come pure una verità della vita è che già al presente chi lascia qualcosa per Lui lo ritrova centuplicato. Ci chiediamo in mille modi perché la gente non viene, ed è giusto, ma con serenita' è anche giusto dire che "è difficile", e chi vi prova "ha il centuplo", non come principi, ma come consapevolezze del vivere.

 

-   non solo promette, ma mostra già presente intorno a sé "la promessa che funziona": il quale non riceva (presente).. è lo stile di Dio con Maria (guarda Elisabetta...), con molti profeti (nasce per voi Lui bambino) di donare non prove, ma vite riuscite, segni positivi, di fronte ai quali la speranza si anima, e la scelta resta libera, anche faticosa, ma sentita come possibile.

 

 

3) Gesù tiene due criteri fissi nei confronti del "capo" che lo interroga:

la norma e la fiducia!

 

Fino a prima di incontrare Gesù quest'uomo si era lasciato guidare dalla Legge, ora Gesù gli chiede di lasciarsi guidare da Lui: in entrambi i casi siamo di fronte ad una norma, dando però a questo termine il giusto significato: la norma non è la regola (che ha sempre una stia flessibilità), ma la via dentro la quale imparo ad autoregolarmi, a scegliere senza tradire i valori in cui credo e la gioia a cui aspiro.

In questo scuso diciamo che la Parola di Dio è "innovativa", è la cornice cioè dentro la quale interpretare la vita cristiana, e in cui muoversi e decidere.

Chiaramente ci sono delle tappe della vita: prendo ad esempio il bambino e l'adulto. Il bambino ha bisogno di norme, e a volte anche di regole (motivate, o meglio, normate), per potersi sentire sicuro: un bambino che non sente mai dall'esterno dei si e dei no cresce insicuro e sfiduciato, cosi come un bambino che sente il ripetersi ossessivo di no su regole che in sé sono flessibili.

l'adulto invece ha interiorizzato, la sua autonomia consiste nell'autoregolarsi, cioè nel darsi da solo quelle regole che gli fanno vivere la via che ha scelto, la novità che ha sposato: però la sua autonomia non è sciogliersi da un campo normativo, e neppure dal discernimento di una comunità che custodisce la forza di vita della novità evangelica.

Quindi al bambino occorre dare norme in cui ci si sente sicuri: solo chi avverte con serenità la verità profonda di quanto comunica è autorevole e resta pacato, altrimenti la non obbedienza dell'altro risveglia i propri timori o infondatezze e suscita gli autoritarismi. Il bambino si difende non dalle norme (di cui anzi sente il bisogno), ma dall'insicurezza dell'adulto che continua a tirare e "ordinare" perché non si sente sicuro della efficacia e verità della norma ( questo è quello che tante volte capita sul problema della Messa domenicale o dei sacramenti ), e così moltiplica le regole e le istruzioni. (esempio banalissimo: insistere sul valore di un modo di stare in un luogo, ad esempio a tavola, o in chiesa, o in gruppo, è una norma da dare con fiducia personale che ha un senso, non da far rispettare pedantemente aumentando a dismisura le regole : metti giù i gomiti, non sbadigliare, prendi bene la forchetta, sta seduto bene, … il tutto in 30 secondi).

E l'adulto ha bisogno di avvertire che i suoi salti di qualità (dalla Legge al dare la vita nell'amore) non significa entrare nel vuoto, nell'indeterminatezza, ma in una norma più profonda, interiore, autentica, rispettosa della vita e degli  spazi di vita : l'amore solo è la norma che può entrare ovunque.

            La fiducia è il secondo pilastro : Gesù non loda l'uomo perché ha osservato i comandamenti, e non lo rimprovera perché se ne va via ( ha già il suo rimprovero : la tristezza) : educare è non  legare la fiducia data all'altro ai suoi comportamenti, fuori dai sistemi di lodi e di castighi, non nel senso che l'altro deve avvertire che la fiducia nei suoi confronti non oscilla a seconda delle sue azioni (altrimenti legare a sé qualcuno e poi far oscillare la fiducia a seconda di quando è come noi lo volgiamo si chiama plagio).

Esiste poi in Gesù la fiducia estrema delle possibilità di Dio, che fa da fondamento all'altra fiducia : per noi non esistono gli "irrecuperabili".

 

            Ci sarebbe un ultimo criterio, che cito solo perché è l'ultimo incontro : chi ci dona il diritto di educare, di entrare nella vita dell'altro ? A me sembra che sia la capacità di autoeducarsi : per questo solo i discepoli possono essere apostoli; chi non sperimenta in sé la fatica e il prezzo di cambiare il mondo nel fare i salti di qualità che la vita e Dio gli chiedono non può chiederla agli altri (vedi il film "Nell").

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