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Il Papa in Israele

Ultimo Aggiornamento: 16/05/2009 22:07
11/12/2008 15:35
 
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Gerusalmme, 11 dic


Iniziano i preparativi per la visita di Papa Benedetto XVI in Israele e nei Territori.
Lo rende noto la stampa israeliana che parla anche di un incontro, avvenuto nella residenza del capo dello stato, Shimon Peres, con una delegazione della Santa Sede proprio ai fini organizzativi della visita.
Un annuncio ufficiale non è ancora giunto ma si prevede che la visita potrebbe avere inizio l'11 maggio e durare quattro - cinque giorni.
Sarebbe la terza volta che un Papa si reca in visita in Israele, prima di Benedetto XVI l'hanno fatto Paolo VI (1964) e Giovanni Paolo II (2000).
Il Pontefice dovrebbe celebrare messe a Betlemme, Nazareth e Gerusalemme, si prevede un incontro con il capo dello stato israeliano e non è stato ancora chiarito se incontrerà anche il primo ministro.
Le autorità israeliane prevedono che in occasione della visita del Papa verrà registrato un forte aumento dei pellegrinaggi cristiani in Terrasanta.

שלום


03/05/2009 17:14
 
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In occasione della visita di Papa Benedetto XVI in Israele
uno speciale sito del Ministero degli Esteri Israeliano raccoglie informazioni, documenti ed audiovisivi sul pellegrinaggi, sulle relazioni Israelo-Vaticane, sulle comunità cristiane in Israele e sui luoghi sacri cristiani nel paese.

Nel corso della visita il sito sarà costantemente aggiornato e fornirà trasmissioni televisive dal vivo dei principali eventi tra cui:

La visita a Yad Vashem, memoriale di Martiri e degli Eroi (Gerusalemme 11 Maggio)

Le messe al Giardino dei Getzemani
(Gerusalemme 12 Maggio)
e al Monte del Precipizio
(Nazaret 14 Maggio)

La visita al sito dell'Ultima Cena
(Gerusalemme 12 Maggio)

La visita al Santo Sepolcro (Gerusalemme 15 Maggio)

PER ACCEDERE AL SITO Clicca qui

Shalom



12/05/2009 12:11
 
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La visita a Yad Vashem, memoriale di Martiri e degli Eroi (Gerusalemme 11 Maggio)



Il discorso di Benedetto XVI:

“Io concederò nella mia casa e dentro le mie mura un monumento e un nome… darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (Isaia 56, 5).

Questo passo tratto dal libro del profeta Isaia offre le due semplici parole che esprimono in modo solenne il significato profondo di questo luogo venerato: "yad", memoriale, "shem", nome. Sono giunto qui per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia, e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente.

Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano.

La Sacra Scrittura ci insegna l’importanza dei nomi quando viene affidata a qualcuno una missione unica o un dono speciale. Dio ha chiamato Abram “Abraham” perché doveva diventare il “padre di molti popoli” (Genesi 17, 5). Giacobbe fu chiamato “Israele” perché aveva “combattuto con Dio e con gli uomini ed aveva vinto” (cfr. Genesi 32, 29). I nomi custoditi in questo venerato monumento avranno per sempre un sacro posto fra gli innumerevoli discendenti di Abraham.

Come avvenne per Abraham, anche la loro fede fu provata. Come per Giacobbe, anch’essi furono immersi nella lotta fra il bene e il male, mentre lottavano per discernere i disegni dell’Onnipotente. Possano i nomi di queste vittime non perire mai! Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!

La Chiesa cattolica, impegnata negli insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l’amore per ogni persona, prova profonda compassione per le vittime qui ricordate. Alla stessa maniera, essa si schiera accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione: le loro sofferenze sono le sue e sua è la loro speranza di giustizia. Come vescovo di Roma e successore dell’apostolo Pietro, ribadisco – come i miei predecessori – l’impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l’odio non regni mai più nel cuore degli uomini. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio della pace (cfr. Salmo 85, 9).

Le Scritture insegnano che è nostro dovere ricordare al mondo che questo Dio vive, anche se talvolta troviamo difficile comprendere le sue misteriose ed imperscrutabili vie. Egli ha rivelato se stesso e continua ad operare nella storia umana. Lui solo governa il mondo con giustizia e giudica con equità ogni popolo (cfr. Salmo 9, 9).

Fissando lo sguardo sui volti riflessi nello specchio d’acqua che si stende silenzioso all’interno di questo memoriale, non si può fare a meno di ricordare come ciascuno di loro rechi un nome. Posso soltanto immaginare la gioiosa aspettativa dei loro genitori, mentre attendevano con ansia la nascita dei loro bambini. Quale nome daremo a questo figlio? Che ne sarà di lui o di lei? Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbero stati condannati ad un così lacrimevole destino!

Mentre siamo qui in silenzio, il loro grido echeggia ancora nei nostri cuori. È un grido che si leva contro ogni atto di ingiustizia e di violenza. È una perenne condanna contro lo spargimento di sangue innocente. È il grido di Abele che sale dalla terra verso l’Onnipotente. Nel professare la nostra incrollabile fiducia in Dio, diamo voce a quel grido con le parole del libro delle Lamentazioni, così cariche di significato sia per gli ebrei che per i cristiani:

“Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie; Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà. Mia parte è il Signore – io esclamo –, per questo in lui spero. Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca. È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore” (3, 22-26).

Cari amici, sono profondamente grato a Dio e a voi per l’opportunità che mi è stata data di sostare qui in silenzio: un silenzio per ricordare, un silenzio per sperare.

שלום


16/05/2009 22:07
 
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Discorso di congedo di Benedetto XVI all'aeroporto di Tel Aviv, 15 maggio 2009


Signor presidente, signor primo ministro, eccellenze, signore e signori, mentre mi dispongo a ritornare a Roma, vorrei condividere con voi alcune delle forti impressioni che il mio pellegrinaggio in Terra Santa ha lasciato dentro di me. [...]

Signor presidente, lei ed io abbiamo piantato un albero di ulivo nella sua residenza, nel giorno del mio arrivo in Israele. L’albero di ulivo, come ella sa, è un’immagine usata da san Paolo per descrivere le relazioni molto strette tra cristiani ed ebrei. Nella sua lettera ai Romani, Paolo descrive come la Chiesa dei gentili sia come un germoglio di ulivo selvatico, innestato nell’albero di ulivo buono che è il popolo dell’alleanza (cfr. 11, 17-24). Traiamo il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della storia comune hanno avuto un rapporto teso, ma sono adesso fermamente impegnati nella costruzione di ponti di duratura amicizia.

La cerimonia al palazzo presidenziale è stata seguita da uno dei momenti più solenni della mia permanenza in Israele – la mia visita al Memoriale dell’Olocausto a Yad Vashem, dove ho reso omaggio alle vittime della Shoah. Lì ho anche incontrato alcuni dei sopravvissuti. Quegli incontri profondamente commoventi hanno rinnovato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti ebrei – madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici – furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio. Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato. Al contrario, quelle buie memorie devono rafforzare la nostra determinazione ad avvicinarci ancor più gli uni agli altri come rami dello stesso ulivo, nutriti dalle stesse radici e uniti da amore fraterno.

Signor presidente, la ringrazio per il calore della sua ospitalità, molto apprezzata, e desidero che consti il fatto che sono venuto a visitare questo paese da amico degli israeliani, così come sono amico del popolo palestinese. Gli amici amano trascorrere del tempo in reciproca compagnia e si affliggono profondamente nel vedere l’altro soffrire. Nessun amico degli israeliani e dei palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli. Nessun amico può fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni.

Mi consenta di rivolgere questo appello a tutto il popolo di queste terre: Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza. Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risanamento. Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. Che la "two-State solution", la soluzione di due Stati, divenga realtà e non rimanga un sogno. E che la pace possa diffondersi da queste terre; possano essere "luce per le nazioni" (Isaia 42, 6), recando speranza alle molte altre regioni che sono colpite da conflitti.

Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione. Signor presidente, so quanto sarà difficile raggiungere quell’obiettivo. So quanto sia difficile il suo compito e quello dell’autorità palestinese. Ma le assicuro che le mie preghiere e le preghiere dei cattolici di tutto il mondo la accompagnano mentre ella prosegue nello sforzo di costruire una pace giusta e duratura in questa regione. [...] A tutti dico: grazie e che il Signore sia con voi. Shalom!


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