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da "Autobiografia di un lupo-cane" - cap.6

Ultimo Aggiornamento: 10/12/2008 09:30
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Sesso: Femminile
10/12/2008 09:30
 
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LA GRANDE CASA ESTIVA


D’estate, il mio umano si trasferiva con la famiglia in una seconda casa, non lontana dall’altra ma molto più grande, abitata da un’infinità di gente che andava e veniva; vi si fermava, cioè, per alcuni giorni poi partiva e non la si vedeva più in quanto veniva subito sostituita da altra gente. Umana. Anch’io mi ci trasferivo, naturalmente, e devo dire che non era niente male. (Il mio umano, invece, non gradiva troppo quella sistemazione. Lo vedevo poco, ma lo sentivo sempre piuttosto teso, in quel periodo). Tra i frequentatori di quella grande casa i più mi ignoravano, ma non mancavano mai quelli che s’innamoravano di me, o meglio del mio aspetto e la mia indole tranquilla: anche lì riscuotevo un notevole successo. E poi, che bocconcini deliziosi, che abbondanza! (E che spreco, per uno come me, per il quale il cibo era sempre l’ultimo dei pensieri! Mangiare? E chi ci pensava, con tutto quello che avevo da fare, impegnato com’ero sempre a godere ciò che mi offriva la vita? Io non avrei mai barattato i bocconcini migliori del mondo, anche se mi fossero stati garantiti vita natural durante, con la mia libertà. Tuttavia lì l’offerta gastronomica era così allettante che persino io non potevo non fare onore alla mensa! Ma se al mio posto ci fosse stato qualche cane di mia conoscenza, sempre affamato… la pacchia per lui sarebbe stata al massimo.) Tra gli ospiti umani che transitavano nella grande casa ve n’erano alcuni che adoperavano un linguaggio il cui suono era composto da parole da me mai udite prima: non era il solito a me familiare sin dall’infanzia. Compresi che si trattava di soggetti che provenivano da altri luoghi. Logico che, nel loro parlato, capivo ancor meno il significato delle parole; ma la gestualità, gli umori, le pulsioni, il trasporto o non-trasporto verso di me come cane, le reazioni emotive in genere, erano i medesimi… per cui mi venne da riflettere una volta di più sulla bizzarrìa della specie umana, in possesso esclusivo di quel grande strumento di comunicazione che è la parola e nel contempo incline, paradossalmente, a creare difficoltà nella comunicazione stessa tra gli individui, certamente diversi per indole uno dall’altro (come accade in ogni specie animale), ma accomunata dall’appartenenza di stirpe… tra di noi, sotto questo aspetto, è tutto molto più semplice: conobbi parecchi miei simili che tali umani portavano con sé in quanto amici, ebbene, provenissero da chissà dove, tra di noi non vi erano differenze di linguaggio. Bè, è ovvio, dicono gli umani: bella forza, il vostro “idioma” di non-umani è talmente semplice… perché così “semplici” siete voi (“semplici” in senso magari anche benevolo, ma certamente deteriore… ma poi neanche: un dato di fatto. E’ cosi e non deve essere preso come un qualcosa che svilisce la nostra natura… siamo diversi e basta). …Se gli umani sono così sicuri di sé da non riuscire a mettere minimamente in discussione alcune loro certezze assolute, bé, che posso farci io? Se non passa loro lontanamente in capo che le loro valutazioni divenute assiomi, possano essere un tantino arbitrarie in quanto un po’ troppo facilone, un po’ troppo superficiali e… “semplicistiche”, bé, noi non-umani ne prendiamo atto: è evidente che la Grande Madre li vuole così. Fine della riflessione. Ho parlato poco fa’ della mia indole tranquilla: certo, verso gli umani (già detto!). Ma sul retro della grande casa il mio umano custodiva in gabbia un certo numero di bestiole (altro lato delle umane inclinazioni di cui mi sfugge il senso: non teneva lì rinchiuse le creature per cibarsene): pennuti e tartarughe. Deliziose, adorabili creature. Ma perché le teneva in gabbia, perché le aveva private della libertà, lui che aveva liberato me dalla prigionia? I volatili sono nati per volare, liberi, nel cielo, almeno finchè qualche predatore glielo consenta e metta fine ai loro voli. Come poteva pretendere che la presenza di quelle mie naturali prede non facesse scattare il mio incontenibile istinto di cacciatore? Me le aveva praticamente messe davanti: elucubrando (perché facevo anche questo, in certe situazioni!), giunsi alla conclusione che quelle belle prede erano per me. Anche le tartarughe. Così, una notte decisi di passare all’azione, mi misi d’impegno e con un notevole lavorìo di zanne e muscoli riuscii ad abbattere le sbarre e a liberare quelle creature…. dalla prigionia della vita. Feci una strage. Veramente, mentre compivo quello che sentivo essere il mio dovere, mi giungeva anche una vocina sul fondo che mi diceva che il mio umano non sarebbe stato affatto contento di quella mia eccezionale performance… Infatti, inspiegabilmente, la mattina seguente, quando vide il risultato della mia opera, non solo non mi fece i complimenti, ma vidi che ci rimase malissimo. Forse teneva quelle bestiole in prigionia per cacciarle lui stesso, tempo dopo? E voleva cacciarle mentre erano rinchiuse dentro una gabbia?! E il gusto di cacciare creature libere di fuggire? Strano comportamento, strani desideri; incomprensibile, per me. Boh! Misteri umani. Ad ogni modo, non mi punì, si limitò a sgridarmi. Non me la presi. Era il mio umano ma pur sempre un umano, non dovevo mai dimenticarlo. Pure allora, nella mia sistemazione estiva, continuavo la mia solita, eccitante vita di esploratore vagabondo: padrone (ehi ehi fermo un attimo, lupo-cane! Avevi detto, anzi puntualizzato con decisione –tutti testimoni!- che quella parola non esiste nel tuo vocabolario. Allora, come la mettiamo? Verissimo, l’ho detto, ma qui ha tutt’altra valenza, non è chiaro? …Per favore, un po’ di comprensione! Concesso? Concesso. Santa pazienza.) padrone (stavo dicendo prima dell’interruzione) del fiume e i suoi argini, il canneto, la spiaggia che col caldo si era nel frattempo riempita di umani fino a pullularne. Tutto quel caldo non era certo il clima ideale per me, cane del freddo, ma mi ci ero adattato bene, ero comunque sempre super-attivo. Ricordavo chiaramente, invece, che il caldo mi disturbava molto di più quando vivevo recluso sul terrazzo. Ora invece non avevo neanche il tempo di pensarci. E sapevo anche scovare i punti più freschi, quando la calura si faceva insopportabile. Inoltre, la Grande Madre veniva in aiuto anche a me, alleggerendo un po’ la mia folta pelliccia di creatura delle nevi. Quanto alla spiaggia, mi accorsi ben presto che non solo non mi apparteneva più o dovevo dividerla con un’infinità di presenze umane (che tra l’altro non m’infastidiva: io mi facevo i fatti miei) ma che l’ingresso, in teoria, mi era interdetto. In teoria, appunto, perché in pratica spesso mi ci recavo ugualmente, in barba ai divieti. (Lì soprattutto, che miscellanea di suoni vocali umani diversi dai soliti ai quali ero abituato!) Ero l’unico cane, o quasi, che si vedeva aggirarsi da solo fra la moltitudine di umani dai corpi semi-nudi (nonostante il caldo, io preferivo tenermela ben stretta addosso, la mia pelliccia! Per mia fortuna, nessuno cercò mai di togliermela, anche durante i periodi del freddo, quando avevo ben notato, con stupore e anche un po’ di paura, che parecchi, fra gli umani, si erano impossessati di pellicce non loro, alcune molto, mooolto simili alla mia…. al solo pensarci mi venivano i brividi lungo la schiena, altro che caldo!). Sulla spiaggia affollata, le passeggiate non erano più tranquille per me: molti umani mi ignoravano, alcuni mi guardavano un po’ sorpresi, altri mi fermavano piacevolmente sorpresi per ammirarmi e farmi due carezze (questo non mi dispiaceva. Infatti il mio umano diceva spesso che ero “vanitoso”, che “mi davo un sacco di arie”), altri ancora si stupivano e si allarmavano per la mia presenza, perché, accidenti!, anche lì non passavo inosservato (sempre per via del mio aspetto! Qualche volta avrei voluto essere meno “attraente”!): alcuni pensavano che mi fossi perduto e, premurosamente, contattavano, non so come, il mio umano che si trovava costretto a venirmi a prendere, senza alcuna necessità, dal momento che io conoscevo ormai a menadito la spiaggia e non avrei avuto difficoltà alcuna a tornare a casa. Ma il più delle volte intervenivano i “tutori dell’ordine” della spiaggia e venivo scacciato. Poco danno: tanto sarei comunque tornato il giorno dopo, se mi andava, e sicuramente la notte, a spiaggia semi-deserta, nessun controllo e accesso libero ai cani. Sì, ll giorno seguente ci avrei ancora provato, ad entrare (lupo testardone!), svicolando con un po’ di furbizia e abilità (oltretutto i “tutori dell’ordine”, stufi di dovermi sempre scacciare, a volte chiudevano entrambi gli occhi, fingevano di non vedermi… in fin dei conti non davo fastidio a nessuno). Perché anche lì era divertente: mi successe anche che qualche umano incrociato casualmente sulla riva del mare, s’innamorasse di me al punto da voler portarmi via per adottarmi. Ricordo una simpaticissima coppia che non voleva più staccarsi da me, mi vezzeggiò instancabilmente per un’ora buona e poi mi lasciò a malincuore, intuendo forse che avevo già un umano tutto mio; ricordo anche un umano anziano altrettanto simpatico che accarezzandomi a lungo cercò di convincermi a seguirlo ripetendomi in continuazione queste parole, con tono amichevole ma molto deciso: “Dai, husky, vieni via con me, vieni via con me, husky….” Col cavolo! Inutile blandirmi, inutile lusingarmi. Apprezzavo molto queste dimostrazioni di ammirazione, me le godevo tutte, ma stavo troppo bene dov’ero, per cui non avrei seguito nessun altro, per quanto mi fosse simpatico: il mio capobranco era unico, pur se in quei periodi lo vedevo pochissimo. (Sentivo che anche con il migliore degli umani, il più affettuoso, il più premuroso, il più comprensivo, non avrei potuto godere fino a tal punto del dono più prezioso per me. Inoltre, a me non era indispensabile la presenza costante del mio umano accanto, anzi, in certi momenti avrebbe costituito per me un fastidio, un impaccio, una limitazione… intuivo invece che per questi umani che avrebbero voluto adottarmi molto volentieri, la mia presenza “sempre accanto” sarebbe diventata quasi vitale… e il mio trasporto verso la specie dei “dominanti” non arrivava a tanto, cioè a sacrificare il bene più grande per me… posso ribadire per l’ennesima volta (Puoi sì, ma cominci a diventare noioso, attento… ) che ero un lupo-cane e non viceversa? E non m’importa un fico secco se divento noioso! (Però! Che bella grinta! Interessante anche il fico secco… ) Era interessante anche perché non avevo mai visto tanti umani come lì sulla spiaggia in estate, sia sdraiati al sole che in movimento. Incrociai raramente qualche mio simile, e per lo più di taglia piccola e al guinzaglio, in passeggiata con l’umano; permessi speciali, forse. Io invece lì mi ci trovavo proprio da abusivo. Ma era là che stava il divertente. Qualche “grosso” e libero lo incontrai solo di notte, a fare qualche corsa in libertà o a cercare un po’ di fresco, come me. Anche d’estate, a parte le puntate abusive diurne in spiaggia, per il resto, “solita” entusiasmante routine di vagabondaggio, con il lupaccio sempre pronto ad accorrere ad ogni casuale richiamo amoroso, con conseguente soddisfacimento del bisogno primordiale… quando era possibile (non in spiaggia, però, non di giorno:lì le reazioni degli umani sarebbero state peggiori che al parco, lo capii subito. D’altronde, non mi pare di avere mai “sentito” cagnette in calore sulla spiaggia, di giorno). Una sera, mentre me ne stavo sdraiato fra i tavolini posti di fronte alla grande casa estiva, vidi passare per strada un’umana che conduceva al guinzaglio una graziosa cagnetta molto piccola… in calore! Appena percepii l’inconfondibile, irresistibile odore scattai come una molla pronto a montare la piccola, ma la sua umana, veloce come il lampo, l’afferrò altrettanto prontamente tra le braccia e me la sottrasse. Meno male per la cagnolina, perché era davvero molto piccola e accoppiarsi con me sarebbe stato molto rischioso… per lei. Ma noi maschi dobbiamo obbedire al comando imperativo, al momento giusto. Del resto, mi risulta che siano stati proprio gli umani a volerci così diversi tra di noi, nell’aspetto e nelle dimensioni. (Mi risulta invece che tra i lupi, i lupi veri, non esistano problemi del genere; cuccioli a parte, le dimensioni tra i componenti dei branchi non variano di molto: non credo che le femmine siano molto più piccole dei maschi.) Così, se loro non stanno più che attenti, con le femmine di taglia piccola possono succedere grossi guai… che certo non siamo stati noi a volere: noi abbiamo l’ordine di eseguire gli ordini della Grande Padrona. Pazienza, le cose vanno così. Allora, un’altra umana “ospite” della “mia” grande casa estiva che, seduta presso un tavolino, aveva assistito alla scenetta, scoppiò in una risata ed esclamò queste parole: “Quel cane è proprio un mandrillone!”. Non conosco il significato del termine ma, non so perché, quella definizione mi procurò un certo piacere.




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