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Olive e Olio di Sicilia

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Sally

Ultimo Aggiornamento: 29/09/2008 17:55
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23/09/2008 14:40
 
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"un equilibrio sopra la follia"
Ciao!!! avevo promesso che mi sarei impegnata a scrivere le storie che mi ricordavo... questa storia mi ha davvero lasciato un grande segno, tanto che in Altair a volte rivedo gli occhi di Sally. Però sto un po' barando... perchè questa storia viene dal mio blog, l'ho scritta l'anno scorso, e parla di fatti accaduti molto, molto tempo prima. Quindi, scusate il "riciclo"...
E' che Sally non ha avuto la visibilità che si meritava...
No, non il mio racconto, che è uno di quelli scritti peggio (è troppo lungo, tanto per cambiare; è poco omogeneo; divago un casino, vado fuori tema da dio parlando di tv e di scherzi da canile... eccetera...), ma Sally, la storia di Sally merita di essere letta... chiunque la scriva. Però avvertiti: fazzoletti alla mano. La storia... è vera, quindi la posto qui.






In questi giorni sta piovendo molto.

Quando ci sono queste piogge primaverili insistenti… sempre, almeno una volta, divento malinconica e mi ricordo tristemente della piccola Sally.

La sua storia però è cominciata in una giornata fredda e piovosa sì, ma si era in autunno. Era una di quelle giornate impregnate di nostalgie estive e rigonfie di premonizioni di un rigido inverno.

Ma il cuore purissimo di quella cagnetta s’apprestava invece, senza saperlo, a una dolce primavera e a una radiosa estate. Non era ancora convinto, senz’altro, di poter superare il gelo dell’inverno che aveva vissuto in tutti gli anni passati e si stava affacciando, tutt’altro che privo di paura, a una stagione diversa, sì, ma sconosciuta e misteriosa.

Mi era stato detto di prendere un guinzaglio e di andare dal “cane nuovo”, che si trovava nella degenza del canile. Qui vidi Sally per la prima volta… la trovai rannicchiata per terra, con la testa bassa e lo sguardo che non avrei saputo definire se perso nel vuoto o ghiacciato dalla paura, o forse perduto, perduto ad ascoltare il dolce rumore della pioggia gelida che quel giorno scendeva copiosa. Una ragazza l’accarezzava dolcemente sulla testa e, come talvolta accade, al cane quelle carezze apparivano impercettibili. Due o tre altri volontari erano in piedi appoggiati al calorifero e parlavano della bellezza dell’animale.

Sebbene impaurita, magra, tremante e sporca era uno dei cani più belli che avessi mai visto. Era uno splendido pastore tedesco a pelo quasi lungo, forse anche di razza, chissà. Già: del pastore tedesco aveva senz’altro le forme armoniose e il pelo, si vedeva benissimo nonostante fosse così trascurata… e gli occhi, gli occhi seppur impenetrabili erano incantevoli. Il tipico cane a cui il destino decise di farmi affezionare…

Convenimmo un po’ tutti insieme che quello non era affatto quello il momento nemmeno di provare a metterle un collare.

Seppi che si chiamava Sally, ma francamente non chiesi mai perché le fosse stato assegnato questo nome. Né conobbi mai qualcosa della sua vita “precedente”, che forse peraltro nessuno conosceva tranne lei, e della quale i suoi occhi parlavano fin troppo chiaramente. Del resto, comunque, proprio quegli occhi e quel nome, uniti al suono della pioggia non potevano non farmi ricordare l’omonima canzone di Vasco Rossi… che divenne presto la colonna sonora del film che mi accingevo a vivere.


Sally cammina per la strada senza nemmeno

guardare per terra

Sally è una donna che non ha più voglia

di fare la guerra”



Sally. Non la dimenticai, ma non me ne curai per un po’. Incominciavo a non potere andare più tanto spesso al canile… l’università appena iniziata e la stanchezza della maturità e del test d’ingresso appena passati mi concedevano appena il fine settimana.

In cuor mio pensavo che Sally, essendo una cagnetta giovane, forse di razza e senz’altro splendida avesse già trovato un’adozione, magari un’adozione specialissima che le avesse fatto scordare il passato, a casa di qualcuno che l’avrebbe adorata e trattata come una regina. Ma inconsciamente sapevo che, senz’altro, ripescare dei brandelli di fiducia da quegli occhi sarebbe stata un’impresa tutt’altro che facile.

In quel periodo la sera ero completamente spompata e mi piazzavo davanti alla televisione come un’ameba. Non che la televisione offrisse molto, era appena iniziato il Grande Fratello edizione seconda (bleah) ma per fortuna con lui era iniziato anche il programma della Gialappa’s. Quell’anno il bersaglio delle loro prese in giro era Francesco, quello che rivolgeva la parola a tutti senza che mai nessuno la rivolgesse a lui, quello che andava in giro parlando della Valvigezzo e indossando il kilt. Era immediatamente stato trasformato in un supereroe… era Medioman, interpretato da Fabio de Luigi, con tanto di costume, mantello e una elegante “M” rossa disegnata sul petto, che si catapultava nelle imprese più assurde e strampalate. Un supereroe che non combinava niente di “super”, appunto. Ecco, per delle strane somiglianze avevo cominciato a chiamare così un ragazzino che veniva al canile… e in breve quello divenne il suo soprannome. A lui non spiaceva, comunque. Anzi quasi senza che me ne accorgessi cominciò a imitare Medioman e a pronunciare le sue fatidiche frasi ricorrenti, ricordo solo: “Donna, sei vedova?” e “Scostati donna, potrebbe essere pericoloso!”… mi sto perdendo…

Semplicemente, qualche settimana dopo il primo incontro con Sally, stavo andando con l’annaffiatoio a prendere dell’acqua per non so quale cane e il rubinetto si rifiutava di funzionare. Ci ho sempre capito poco di queste cose, a parte il fatto che a volte gli uomini per motivi a me oscuri ci capiscono di più, e vedendo Medioman che passava non ho potuto fare a meno di fare la vittima di turno.

“Oh Medioman, aiutami tu”

“Non temere donna: è arrivato Medioman!!!!” mi disse lui, catapultandosi lì. “Scostati donna, potrebbe essere pericoloso” aggiunse. Mentre lui svitava il rubinetto bagnandosi completamente (oltretutto già pioveva…) e mentre me la ridevo della grossa vidi Sally per la seconda volta. Smisi di ridere immediatamente. Era lì, proprio nella gabbia vicino al rubinetto… sdraiata sul pavimento umido. Appena notò che la stavo guardando scappò velocissimamente nella parte interna della gabbia. Ora potevo vederla, bella come un quadro disegnato, racchiusa nella cornice della porticina interna. Ma solo per qualche secondo… perché da lì immediatamente dopo uscì il vecchio Jo, abbaiando e ululando.

“Oh no…” dissi ad alta voce “Sei ancora qui, Sally?”

La settimana dopo la vidi dimenarsi e urlare durante un vano tentativo di adozione… nessuno voleva farla del male, tutti erano stati molto gentili… ma lei non voleva saperne di farsi toccare! Per nessuna, nessuna ragione al mondo… era veramente terrorizzata, ne avevo visti pochi di cani così. Avevo una voglia incredibile di accarezzarla, metterle il guinzaglio, provare a farle vedere quanto poteva essere bello il mondo… ma nulla, capivo che ora bisognava soltanto aspettare che prendesse un po’ di fiducia.

“Menomale che settimana scorsa si è decisa a uscire e andare nel recinto!” sentii dire a un volontario.

“Perché… neanche quello voleva fare?” chiesi

“Macchè! Sempre e solo in gabbia voleva stare… non so proprio che dire.” mi aveva risposto.

Sospirai. Chissà quanto tempo ci sarebbe voluto a farla rivivere, povera Sally. Sapevo che in quelle circostanze, comunque, soprattutto dopo quello spavento, la cosa più saggia sarebbe stato lasciarla in pace, ma entrai lo stesso nel corridoio… volevo vederla. Mi misi in punta di piedi e alzai la finestrella che permetteva di vedere nella parte interna della gabbia. Tra gli assordanti ululati del vecchio Jo, che altro non voleva che difenderla da noi umani atroci e brutali, la vidi.

Appiattita sul bancale, tremante come una foglia scossa dal vento, mi stava guardando, coi suoi occhi neri. Gli occhi più neri, più grandi, più tristi, più tremendi e… i più belli che io potessi immaginare.

“Lasciami qui” dicevano “Ti prego lasciamo qui. Ho paura.”

Pensai che probabilmente quel cane doveva avere passato tante di quelle sventure che quel bancale rappresentava l’unica cosa solida e sicura su cui si fosse mai appoggiato finora.

Non si sarebbe spiegata, se no, la sua ostinazione a non voler lasciare la gabbia. Lì aveva trovato il suo rifugio sicuro e non se ne sarebbe allontanata per niente al mondo… a meno che, pensavo, una volta tranquillizzata un po’ più di come era allora, qualcuno armato di buona volontà non l’avesse convinta del contrario. Per fortuna era nel posto giusto, molti volontari sarebbero stati senz’altro disposti ad aiutarla… e anche io, non mi sarei tirata indietro.


“Sally ha patito troppo

Sally ha già visto che cosa

ti può crollare addosso

Sally è già stata punita

per ogni sua distrazione o debolezza,

per ogni candida carezza

data per non sentire l’amarezza…”




Doveva capire, nei limiti del possibile, che lì nessuno voleva farle del male. E se la vista di collare e guinzaglio la tormentava… niente collare e niente guinzaglio. Per aiutarla a capire che poteva fidarsi, non entrai mai nella sua gabbia con in mano alcun oggetto. Cercai di avvicinarmi a lei, ogni volta un po’ di più. Cercavo di rivederla ogni volta che potevo (quando Jo, che personalmente mi terrorizzava, era impegnato a fare altro intendo). Posso dire con soddisfazione e certezza che diventammo presto amiche! Era affettuosa e timida, in una parola semplicemente adorabile, proprio il tipico cane che ha una paura folle, ancora… ma che vuole fidarsi. Un poco. Già, perché Sally manteneva integro, intatto come l’acciaio, quel suo sottile velo di indifferenza che doveva salvarla da tutte le cattiverie che, comunque, in ogni momento, lei continuava ad aspettarsi da noi. Mi misi in testa che aveva bisogno ancora di tempo. Un mese, due… i tentativi degli altri volontari di metterle il collare purtroppo non avevano mai buon fine, e io non volevo che lei considerasse quel nostro rapporto ancora così fiebile infranto per sempre a causa della vista di un collare tra le mie mani…ora doveva “riposare”...



“Sally cammina per la strada sicura

Senza pensare a niente

Ormai guarda la gente

Con aria indifferente…

Sono lontani quei momenti

Quando uno sguardo provocava turbamenti

Quando la vita era più facile e si potevano mangiare anche le fragole!”







Ma anche quando io decisi che era venuto il momento per lei di mettere il collare… incontrai un ostacolo molto più alto del previsto. Jo. In teoria per tenerlo buono bastava solo un amico disposto a distrarlo con una scatola di biscotti, ma in pratica era tutto molto più difficile! Quando Sally si sentiva circondare il collo urlava come se volessi ucciderla, poveretta… lei naturalmente non sapeva che io non volevo affatto farle del male, non poteva certo crederci, e urlava da prima tutto il dolore che era sicura avrebbe sentito presto per colpa mia, e tutta la sua disperata voglia di vivere, di vivere ancora, nonostante tutto… proprio no, non voleva che io la “impiccassi” a quel modo! Aveva un gran bel segno sul collo, lo vidi presto. Sally aveva portato una catena per molto tempo, una catena molto stretta… era evidente. E il dolore era ancora un ricordo che poteva fare molto male…

Il vecchio Jo. Ora, lui con le persone era sempre stato aggressivo. Veramente lui avrebbe potuto dire esattamente la stessa cosa delle persone che aveva incontrato prima di entrare in canile. Anche lui aveva un passato indelebile, anche a lui le persone avevano fatto del male. Ma con i cani era un signore, il vecchio Jo.

Quando io o chiunque altro si avvicinava troppo alla sua compagna, non c’era scatola di biscotti che poteva tenerlo a bada. Più volte lo ho visto fissarmi e ringhiare sommessamente ma in maniera molto decisa. In quegli occhi chiunque avrebbe potuto leggere, in ogni lingua: “Lascia stare la mia compagna. Non scherzo. Posso farti passare davvero dei guai”. Allontanare Jo da Sally risultava impossibile… ma per fortuna tutti capirono presto che un cambio di gabbia poteva essere salutare per tutti e due. Peccato che purtroppo un canile è sempre un canile, e non fu proprio possibile far cambiare gabbia a Sally immediatamente.

Però un sabato di dicembre non so come mi ritrovai nella gabbia di Jo e Sally con un ragazzo che non veniva spessissimo, ma che coi cani ci sapeva fare eccome. Gli parlai, gli dissi che Sally doveva proprio mettere il collare, che se si fosse abituata troppo così era evidente che non si sarebbe più riusciti a recuperarla… lui le accarezzò il pelo splendido e un po’ umido.

“Sì” mi disse. “Domani ci penso io…”

Il giorno dopo mi fece capire (in maniera inequivocabile..) che non c’era riuscito. Ma il sabato dopo avremmo provato in due.

Lo aspettai per quasi tutto il pomeriggio, col cuore in gola, quel sabato… sembrava che non dovesse proprio venire, mi ero già rassegnata, ma per fortuna alla fine arrivò, si precipitò a rotta di collo nel corridoio e disse:

“Su, che prendiamo la Sally!”

Questa “operazione Sally” fu un vero fallimento. Mentre tenevo lontano Jo, Sally assestò un gran bel morso al primo tentativo di quel ragazzo che era sempre stato noto per la sua pazienza. Lo vidi uscire dalla gabbia tamponandosi la ferita inveendo contro quella “figlia di una cagnaccia”, avevo il cuore in gola. Se Sally cominciava anche a mordere… non ne sarebbe uscita più… e se faceva perdere la pazienza a lui, bhè, io non conoscevo nessun altro così abile e così paziente. Oh… ma io me lo sentivo, che il problema era solo il collare… ero sicura, una volta scoperto che il collare non faceva male Sally sarebbe stata un cane perfetto… ero sicura… ero così intenta a pensare a un modo per metterle il collare che quasi non sentii la mezza scenata di gelosia che mi stava facendo una ragazza, evidentemente turbata dal fatto che il dente della mia prediletta avesse in qualche modo trafitto il suo amato. Comunque risultò essere una ferita da nulla.

Poi venne il grande giorno. Finalmente riuscirono a far cambiare a Sally il compagno, ora era in gabbia con un cucciolone innocuo, un pastore belga. Un problema in meno. Basta: quel giorno o mai più. Lei era mia. Non c’era molta gente quel giorno e… ironia della sorte, piovigginava. Questi due particolari potevano frenarmi… ma non mi frenarono affatto. Sally NON era irrecuperabile. Sally aveva solo bisogno di sentire che il collare che le avrei messo era ben altra cosa rispetto a quello a cui era stata abituata… poi sarebbe cambiata completamente... ne ero sicura. Però non doveva mordermi…

Entrai con un guinzaglio, un collare normale e un collare a strozzo (di solito non lo uso affatto, non mi piace, ma ero sola e preferivo avere a portata di mano tutto quello di cui avrei potuto avere bisogno una volta dentro la gabbia) entrai nel recinto dei leoni. Il cucciolone mi fece le feste, e negli occhi di Sally lessi che era contenta di vedermi. Ma lessi immediatamente dopo negli stessi occhi tutta la sua delusione… aveva capito che sarei andata fino in fondo, che non mi sarei limitata ad accarezzarla o a far finta di cingerle il collo. Le feci annusare collare e guinzaglio (non so dove ho letto che che bisogna fare così…) Lei li annusò per bene, ma quando li ripresi in mano si rintanò in un angolo. La seguii lentamente, per parecchio tempo, poi lei, tremando, si rifugiò dietro al cucciolo. Per un attimo sorrisi. Mi era sembrato che dicesse: “Mediodog, aiutami tu!”. Il cucciolone era ben contento, oh, faceva molto macho che una donzella si nascondesse dietro di lui. Era proprio orgoglioso. “Non preoccuparti donna” sembrava dire “è arrivato Mediodog!!”. Poi si avvicinò a me, mi guardò coi suoi occhi castani pieni di orgoglio e di sfida, ma senza nemmeno un’ombra di aggressività. Infine rivolse uno sguardo fugace a lei: “Scostati donna, potrebbe essere pericoloso”. La stava proteggendo, ora. Per terra c’era una pallina da tennis. La feci rimbalzare due o tre volte, con nonchalance, e la tirai lontano. Il cucciolo abboccò come un pesce lesso e corse con quelle adorabili zampette enormi a prendersela.

Andai da Sally, che ora non poteva più appellarsi ad alcun supereroe.

“Certo che anche tu… chiedere aiuto a un cucciolone!!!!”le dissi piano. Mediodog aveva preso a osservarci con la palla in bocca, scodinzolando. Non credo che si sentisse terribilmente stupido. Ma siccome voleva giocare a tennis, cominciò a saltarmi addosso con la pallina in bocca. Per giocare. Per giocare, per giocare, ma a quel modo io non potevo toccare Sally. Mi era già successo con altri cani… ogni tanto credevo che quella tormentosa e insistente richiesta di gioco fosse un trabocchetto per non farmi toccare il compagno di gabbia pauroso… Bha, ma questo era solo un cucciolo. Gli misi il guinzaglio destinato a Sally e lo legai. Sarebbe stata solo questione di un minuto. Peccato che ora… non avevo più un guinzaglio per Sally!

“Medioman! Medioman, aiutami tu!”

Quando all’incirca mezz’ora dopo Medioman comparve con un guinzaglio in mano e me lo porse da fuori, capii che prima del collare… forse era il caso di acchiapparla col guinzaglio. Sì… al laccio, ogni tanto lo avevo fatto… basta fare il guinzaglio a cappio, non fa male ed è un ottimo sistema per evitare morsi volanti… la inseguii come un cowboy per parecchio tempo… si spaventò terribilmente, poverina, quando riuscii a prenderla.

Cercai di incoraggiarla. Non era aggressiva, ma piangeva, e forte. Le era crollato il mondo, e con esso quei pochi brandelli di fiducia che riponeva nei miei confronti. Mordeva forte il guinzaglio, che per fortuna era robusto. Ora dovevi infilarle il collare… ogni volta che ci provavo si dimenava, ma nello stesso tempo cercava di leccarmi.

“No, per favore no, ti voglio bene ancora, ma questo no, questo no, ti prego!Non voglio!!”

Povera piccola...la capivo… ma capivo molte altre cose che lei in quel momento non riusciva a capire.

Le spiegai che quel collare a lei sembrava magari la tortura più atroce, ma che non lo sarebbe stata, che glielo avrei allacciato largo e che anche se ora non lo sembrava si trattava in assoluto dell’unico oggetto che avrebbe potuto farla uscire dalla gabbia, ridarle un po’ di libertà. Nessuno vuole un cane pauroso e che per di più non sa andare al guinzaglio.

Lei non voleva uscire dalla gabbia. Se ne infischiava della libertà.

Allora le dissi che non poteva capire, che lo facevo per il suo bene,che il mondo di fuori era splendido, era lì che la aspettava, non era affatto il posto orrendo che lei si ricordava!!! Le dissi che non doveva avere paura di me, perché poteva difendersi benissimo con quei denti… che io avevo fiducia in lei, e che lei doveva cercare di averne in me.

Le cantai Vasco Rossi. L’accarezzai. Passai con lei tanto, tanto tempo.

Il povero pastore belga era legato già da un po’, fuori avevano bisogno di me per Akela… ma io non affrettai le cose. Quando lei fu pronta, le misi il collare e glielo lasciai larghissimo. La riempii di complimenti, liberai Mediodog, giocammo tutti e tre con la pallina.

La settimana dopo Sally era pronta per cominciare la sua avventura!

La breve primavera di Sally era cominciata. In pieno inverno. La sua prima passeggiata fu un successo insperato!!! E’ vero, cercò di infilarsi in qualunque porta possibile prima di oltrepassare il cancello, ma una volta fuori si comportò praticamente come un cane normale. Forse al guinzaglio ci era già andata! Seguiva il suo Mediodog e ogni tanto si girava indietro per leccarmi, con piccoli e numerosissimi baci… “Ho paura ancora eh?” sembrava dire “Ma ora mi fido…”. Per lei il mondo esterno fu una splendida scoperta… tenera cagnetta! ma col mio aiuto, con quello degli altri volontari e anche con quello di Mediodog la terra, l’erba secca, gli alberi neri che si stagliavano sul cielo grigio e invernale nella gelida aria natalizia sarebbero stati i più calorosi amici che un pastore tedesco potesse avere!

Raccontavo la sua storia a chiunque si offriva di accompagnarmi nelle sue uscite. Facevo vedere il segno che aveva sul collo, sempre molto delicatamente, spiegavo le nostre avventure e mi dicevo, ad alta voce, che oramai la mia cagnetta era salva. Erano tutti commossi dalla sua dolcezza, dai suoi baci, dal suo grandissimo cuore.

Poi, il sabato prima di carnevale, il sole inondò per la prima volta seriamente le vie di campagna che circondavano il canile. Sally era uscita con un uomo, un volontario, e per di più senza Mediodog! Sally non aveva più paura di nulla, ormai… La vidi in fondo al campo dove avevo sempre portato Merlino... saltellava e leccava con gioia il suo accompagnatore. Nel sole. La primavera.

Era la prima volta che la vedevo uscire senza di me… con ogni probabilità era la prima volta che Sally vedeva quell’uomo che la portava al guinzaglio. Provai un’immensa felicità a vederla lì!!! Volevo salutarla… ma non volevo rovinare quel momento. Quel momento felice era suo, di Sally, io non c’entravo più nulla. Non me li potrò mai dimenticare… quei brevi istanti che dureranno per sempre nel profondo del mio cuore: una cagnetta felice, pronta per l’adozione. Per una nuova vita. Pronta per la primavera, per i bagni di sole che vengono sempre dopo la pioggia. E che cosa altro avrebbe potuto pensare una qualunque altra persona al posto mio? Certo non si poteva immaginare neanche lontanamente… che appena tre giorni dopo, mentre il mondo si apprestava ad abbandonare definitivamente l’inverno con le pazzie del martedì grasso mi dovesse arrivare quella notizia agghiacciante.

Non potevo credere, quando me lo dissero per telefono, che Sally non potesse vedere la primavera. Non potevo credere che io e lei non potessimo viverla più insieme. Non potevo credere che ora nessuno sarebbe più stato in grado di regalarle una nuova vita. Tutti i volontari erano sconvolti… stava tanto bene, Sally! Fecero tutti gli esami, non so cosa risultò, non credo mi importi ancora adesso… l’unica cosa che mi importava era che qualcosa me l’aveva portata via per sempre, e che non avevo avuto nemmeno il tempo di salutarla… ora, sapevo già benissimo, lo avevo imparato a mie spese già tante volte, che la vita di chi ci è caro (e anche la nostra, veramente) è solo un prestito. Che ci si può affannare tanto a dire: Il “Mio” amore, il “Mio” amico, il “Mio” cane, il “Mio” cane preferito, ma che questa cosa al Vero Padrone della vita di chi amiamo può venire a riprendersela quando più gli aggrada. Il pensiero prevalente però… era un altro, era il senso di colpa. Se ci fossimo sbrigati… se IO mi fossi sbrigata più alla svelta con questo collare, Sally sarebbe stata ancora viva? Chi lo sa, magari era stata male di notte prima di morire, magari se avesse dormito accanto a un padrone questo se ne sarebbe accorto, avrebbe chiamato un veterinario, l’avrebbe salvata… o magari no, magari non l’avrebbe salvata. Magari gli sarebbe solo morta tra le braccia… ma questo è infinitamente meglio di morire soli in gabbia. Questo pensiero e la certezza di non poterla vedere mai più mi erano insopportabili… ma oramai non potevo fare niente, se non rendermi conto, ancora una volta, ancora più chiaramente, che la vita di nessuno non è affatto scontata… ma era una ben magra lezione! Perché? Perché lei? Proprio non c’era Dio? Che senso poteva avere avuto stabilire di farla rivivere per pochi giorni… per poi ammazzarla? Ma dove stava il senso in quella follia????


“Ma forse Sally è proprio questo il senso…

il senso del tuo vagare…

forse alla fine ci si deve sentire

davvero un po’ male…

Forse alla fine di questa triste storia

qualcuno troverà il coraggio

per affrontare i sensi di colpa

e cancellarli da questo viaggio

per vivere davvero ogni momento

con ogni suo turbamento

come se fosse l’ultimo…”





Non c’era il senso. Proprio non c’era scampo. Quanto sono stata male! Inutile pensare che lei probabilmente non lo avrebbe voluto. La settimana di carnevale piovve molto… esattamente come pioveva durante i nostri primi incontri, esattamente come pioveva quando la accarezzavo… impossibile non pensare ad ogni bel momento passato assieme.
sattamente come succede a tutti ogni volta che un nostro caro scompare, come in un film tutte le immagini che avevo di Sally mi venivano proiettate davanti: le più belle, le più comiche, le più brutte… migliaia di volte le ho riviste, e in qualunque momento. E dalle orecchie quel sottofondo con la canzone di Vasco proprio non se ne voleva andare.


“perché la vita è un brivido che vola via…

è tutto un equilibrio sopra la follia…

sopra la follia…”




Nel vedere quelle immagini e nel sentire queste parole, d’un tratto trovai una piccola, misera chiave. O per lo meno, qualcosa che mi ridiede un po’ la pace, che attenuò i sensi di colpa… sopra la follia di un destino crudele che aveva inflitto a Sally una vita di stenti, catene e dolore e una morte fulminea e ingiusta proprio nel momento in cui più voleva vivere, la piccola Sally aveva davvero trovato un equilibrio, una via di scampo: l’amore, i rari momenti di affetto, le corse nei campi con Mediodog, le coccole che io facevo a lei e lei faceva a me… ecco, queste piccole insignificanti felicità avevano rappresentato l’unico senso possibile alla vita della mia bellissima amica. Non sempre la vita di un cane ha un senso. Se Sally fosse rimasta in catene da chissà chi il senso proprio non ci sarebbe stato. La follia sarebbe stata la padrona di tutto e il senso lo si sarebbe dovuto cercare al massimo in una vita ultraterrena. Sempre che ci sia… comunque se c’è non può certo essere negata a una cagnetta che qui su questa terra ha visto solo l’Inferno.

Almeno, pensavo, Sally aveva avuto l’occasione di essere stata felice qualche volta… aveva riprovato la gioia unica che si prova quando ci si fida davvero di qualcuno, aveva visto per una volta da quasi-libera la primavera… certo, avrebbe potuto avere dalla vita molto di più…


"Però un pensiero le passa per la testa:

forse la vita non è stata tutta persa…

forse qualcosa si è salvato…

forse…

non è stato poi tutto sbagliato…”



Il sabato di carnevale pioveva come il giorno in cui io e Sally ci incontrammo per la prima volta. Come se si fosse tornati indietro nel tempo… o quasi. Perché lei in degenza quel giorno non c’era e io mi sentivo molto più sola di quel giorno… ma nello stesso tempo, anche meno vuota: speravo con tutte le mie forze che anche lei, da qualche parte, si sentisse arricchita… e magari… magari, in un prato pieno di sole… più felice di quanto non lo fossi io.
“Senti che fuori piove…

Senti…

Che bel rumore…”


(le parole della canzone sono tratte da "Sally", di Vasco Rossi)




Spuntarono le prime stelle. Non sapeva che si chiamava Rigel, ma la vide. E sapeva che presto sarebbero spuntate tutte e che ci sarebbero stati tutti i suoi amici lontani. "Anche il pesce è mio amico"disse ad alta voce. "Non ho mai visto e mai sentito parlare di un pesce simile. Ma devo ucciderlo. Sono contento che non dobbiamo cercare di uccidere le stelle". Pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercare di uccidere la luna, pensò. La luna scappa. Ma pensa se ogni giorno uno dovesse cercare di uccidere il sole...siamo nati fortunati, pensò. Poi gli dispiacque che il grosso pesce non avesse nulla da mangiare e il dispiacere non indebolì mai la decisione di ucciderlo. A quanta gente farà da cibo, pensò. Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo. Non c'è nessuno degno di mangiarlo, con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità.
Non capisco queste cose, pensò. Ma è una fortuna che non dobbiamo cercare di uccidere il sole o la luna o le stelle.

Basta già vivere sul mare e uccidere i nostri veri fratelli.
E. Hemingway, "Il vecchio e il mare"



Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso parea oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
"Così fatto è lassù tutto un giardino".
Il bimbo dorme e sogna i rami d'oro,
gli alberi d'oro, le foreste d'oro,
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera
Giovanni Pascoli



Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando, rossi di frutti, li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti...
e un sogno fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un Dio ma nemmeno per gioco,
perchè i ciliegi tornassero in fiore,
perchè i ciliegi tornassero in fiore
F. de Andrè

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29/09/2008 09:43
 
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L'avevo già letta sul tuo blog: tristissima ma bellissima, e taglio corto coi complimenti. L'ho riletta e ho fatto a meno dei fazzoletti...solo perchè non ne ho sotto mano. [SM=g27999]
Io la trovo scritta benissimo, e le divagazioni, incluse le allusioni tv a Medioman non sono affatto fuori posto, anzi! Hai raccontato le cose come sono andate veramente, e anche quei richiami non sono affatto str*****e, anzi danno un tocco brioso e sbarazzino ad un racconto dall'epilogo tragico, e lo rendono ancora più commovente.
Per tue domande finali, eh...i credenti e gli atei ce l'hanno, una risposta, gli agnostici come me no..."noi" abbiamo solo qualche sensazione in più...chissà che non sia quella giusta?!... [SM=x1368070]
[SM=x1169410]


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29/09/2008 14:24
 
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(p.s.: tra l'altro non avevo mai visto Medioman: ho dato un'occhiata su youtube e...sarà pure demenziale, ma mi fa scompisciare! Loro sono bravissimi e anche la Cortellesi per me è una grande. E la figura del tuo "Mediodog" mi fa tanta tenerezza anche lui!)
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29/09/2008 17:55
 
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Grazie.

Medioman faceva morire... e si, anche io adoro la cortellesi!!!

Un bacione!!!



Spuntarono le prime stelle. Non sapeva che si chiamava Rigel, ma la vide. E sapeva che presto sarebbero spuntate tutte e che ci sarebbero stati tutti i suoi amici lontani. "Anche il pesce è mio amico"disse ad alta voce. "Non ho mai visto e mai sentito parlare di un pesce simile. Ma devo ucciderlo. Sono contento che non dobbiamo cercare di uccidere le stelle". Pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercare di uccidere la luna, pensò. La luna scappa. Ma pensa se ogni giorno uno dovesse cercare di uccidere il sole...siamo nati fortunati, pensò. Poi gli dispiacque che il grosso pesce non avesse nulla da mangiare e il dispiacere non indebolì mai la decisione di ucciderlo. A quanta gente farà da cibo, pensò. Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo. Non c'è nessuno degno di mangiarlo, con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità.
Non capisco queste cose, pensò. Ma è una fortuna che non dobbiamo cercare di uccidere il sole o la luna o le stelle.

Basta già vivere sul mare e uccidere i nostri veri fratelli.
E. Hemingway, "Il vecchio e il mare"



Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso parea oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
"Così fatto è lassù tutto un giardino".
Il bimbo dorme e sogna i rami d'oro,
gli alberi d'oro, le foreste d'oro,
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera
Giovanni Pascoli



Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando, rossi di frutti, li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti...
e un sogno fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un Dio ma nemmeno per gioco,
perchè i ciliegi tornassero in fiore,
perchè i ciliegi tornassero in fiore
F. de Andrè

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