Il misterioso palindromo del SATOR ha da sempre affascinato studiosi, più o meno seri, suggerendo diverse interpretazioni.
Tra le varie interpretazioni possibili ne ho trovata una che mi pare la più probabile. Copio una parte dell'articolo che secondo me si avvicina molto alla realtà del messaggio originario del SATOR, per chi lo volesse leggere tutto l'indirizzo e':
www.club.it/autori/silvana.zanella/quadratoincipit.html
«[...]Tra le tante teorie sul Quadrato quella che catturò la mia attenzione fu l'ipotesi sostenuta dallo storico Ludwig Diehl, che la frase dovesse essere letta, come molte altre iscrizioni antiche, in modo "bustrofedico", cioè "voltando alla maniera dei buoi quando arano".
Però secondo lo studioso si sarebbe dovuto leggere: SATOR OPERA TENET - TENET OPERA SATOR, il seminatore tiene le opere - le opere tiene il seminatore. Il vero senso restava ancora poco chiaro. Anche volendo identificare il sator con Dio e le opere con l'universo intero, interpretazione che giustificherebbe lo stretto rapporto che si è sempre potuto constatare tra il latercolo e la religione cristiana, non si spiega comunque perché questo fosse presente anche nel mondo pagano, prima della diffusione del Cristianesimo.
Ipotizzai, invece, che l'intera frase si potesse leggere a serpentina, senza ripetere tenet.
Si ottiene: SATOR OPERA TENET AREPO ROTAS. "Il seminatore tiene le opere, l'arepo le ruote", cosa poteva significare?
Il latino TENET può essere tradotto anche con: tenere in mano, avere il controllo o, con un termine moderno, gestire. Il seminatore ha il controllo delle opere, o dei lavori, delle azioni quotidiane.
Anche nel mondo romano le ROTAS, poi, possono essere intese come le ruote della fortuna o le ruote del destino.
Resta il mistero dell'AREPO, ma se derivasse veramente dal greco Areopago, il luogo di riunione dei supremi giudici? Potremmo supporre che fosse una forma popolare, derivata contraendo il termine Areopago, per indicare il supremo tribunale o il giudice stesso.
Dal punto di vista grammaticale e semantico otteniamo:
SATOR - nominativo singolare -
il seminatore
OPERA - accusativo plurale -
le opere
TENET - verbo, presente, terza persona singolare -
tiene
AREPO - nominativo singolare -
l'Areopago
ROTAS - accusativo plurale -
i destini
Il senso dell'intera frase appare più chiaro e abbastanza semplice:
Il seminatore ha il controllo delle opere, il tribunale supremo (controlla) le ruote del destino.
Ovvero:
IL SEMINATORE DECIDE I SUOI LAVORI QUOTIDIANI, MA IL TRIBUNALE SUPREMO DECIDE IL SUO DESTINO.
Siamo di fronte a due frasi antitetiche, che hanno in comune il verbo TENET.
Si può notare che in questa accezione il testo non solo può essere letto in ogni senso, ma in qualsiasi senso lo si legga il significato non cambia. E la frase resta ugualmente palindroma.
Il seminatore è l'esempio dell'uomo più umile, il contadino, l'Areopago invece incarna chi ha il potere supremo di decidere la sorte degli altri uomini.
Ampliando il concetto si può interpretare:
L'UOMO GESTISCE LE SUE AZIONI QUOTIDIANE, MA IL GIUDICE SUPREMO CONTROLLA IL SUO DESTINO.
Il quadrato potrebbe essere una specie di semplice massima proverbiale, posta sotto forma di gioco di parole per essere più facilmente accessibile e memorizzabile, che in realtà spiegherebbe un concetto filosofico di altissimo valore quale il limite del libero arbitrio dell'uomo nei confronti della divinità.
Se infatti pensiamo al giudice supremo come Dio, otterremo:
L'UOMO DECIDE LE SUE AZIONI QUOTIDIANE, MA DIO DECIDE IL SUO DESTINO.
In che modo possiamo conciliare l'apparente capacità dell'uomo di decidere delle sue azioni e la sua capacità di scegliere, con la consapevolezza dell'esistenza di un Dio che regola e ordina tutte le cose?
[...]
I reperti più antichi del Quadrato Sator, quelli appunto ritrovati a Pompei, secondo gli archeologi sarebbero databili attorno alla seconda metà del primo secolo d.C.. In un momento storico nel quale il mondo romano aveva smarrito i valori dell'antica Repubblica e i nuovi poteri imperiali inducevano gli imperatori a considerarsi degli dei, era particolarmente necessario rammentare loro i limiti del potere umano e riaffermare che esiste un Giudice Supremo che dall'alto decide il destino degli uomini..
I ricchi e felici pompeiani, inoltre, dopo il terremoto del 62 d.C., come scrive Seneca, avevano potuto sperimentare la precarietà dell'esistenza umana ed era abbastanza logico che fossero spinti a rivolgere le loro riflessioni sulla potenza di quel Potere Supremo che così duramente aveva dimostrato la sua forza e la loro fragilità.
I colti Cavalieri Templari avrebbero, in seguito, ripreso e diffuso la massima per affermare il potere dell'unico Dio sulla piccolezza dell'uomo, ammonendo quest'ultimo a non inorgoglirsi della propria libertà individuale.[...]»
A questa ultima sottolineatura aggiungerei che non per niente il motto templare e':
NON NOBIS, NON NOBIS DOMINE...