Che spettacolo vederli tutti insieme
Assessore regionale alle politiche sociali
Remo Sernagiotto
Pubblico tutore dei minori del veneto
Lucio Strumendo
CNCA Veneto
Don Giuseppe Gobbo
Centro indipartimentale di ricerca e servizi
sui diritti della persona e dei popoli
Marco Mascia
Esperto in politiche giovanili università
di Trieste
Franco Santamaria
Pedagogista
Marco Tuggia
Referente servizio protezione e tutela minori
ULSS3
Salvatore Me
Presidente del Tribunale per i minorenni
di Venezia
Adalgisa Fraccon
Responsabile osservatorio regionale
nuove generazioni e famiglia
Mariuccia Lorenzi
Esperto in politiche per l'infanzia
e l'adolescenza università di Padova
Valerio Belotti
Dirigente C.d.R famiglia, minori,
accoglienza comune di Verona
Stefano Molon
Consulente legale Ufficio pubblico
tutore dei minori
Francesca Rech
Dirigente ufficio del pubblico tutore
Marco Bonamici
Dirigente servizio famiglia direzione
regionale servizi sociali
Francesco Gallo
Desidero fare alcune riflessioni in relazione al convegno svoltosi a Zelarino il
20 maggio scorso, avente per tema “MINORI COMUNITA' ED ISTITUZIONI”, al quale io
e mia moglie, eravamo presenti, in veste di tutori volontari o, più verosimilmente di intrusi.
Non mi è in effetti, tuttora chiaro se gli inviti che ci pervengono dall'ufficio del PUBBLICO
TUTORE DEI MINORI DEL VENETO scaturiscano da una scelta ponderata o siano frutto di una
banale svista della segreteria. D'altronde, quando si è in tanti, quando la struttura è complessa, è
anche possibile che ci si neutralizzi vicendevolmente.
Mi piace comunque pensare che nell'una o nell'altra ipotesi le iniziative del PTM continuino ad
esserci segnalate, non fosse altro perché, da questi incontri c'è molto da imparare.
Certo che, vedervi tutti insieme, fa una certa impressione: c'eravate tutti, ma proprio tutti.
E la sola nota dissonante che ho sentito ne è la garanzia. Che dire, una comunità di comunità.
La vostra musica tende a rassicurare l'ascoltatore e se di tanto in tanto compare una 7a, il
disorientamento che questa produce, non è mai pari alla soddisfazione provata nel sentirla risolta.
E' un piacere che mette i brividi; c'è qualcosa di divino al suo interno. La vostra musica non ha
bisogno di direttori d'orchestra; è sufficiente un'occhiata del primo violino per rimettere ogni cosa al
suo posto, per riportare l'ordine e come per incanto al lieve turbamento subentra la calma, la pace
portata dalla cadenza .
E pensare che oltre quel portone c'è il mondo con tutta la musica che esso contiene. Oltre quel
portone c'è tutta la musica che voi non conoscete. Oltre quel portone, ci sono tutte le consonanze e
le dissonanze che il mondo è in grado di esprimere.
Le une e le altre ma, le prime in particolare, hanno molto da insegnarci: si tratta solo di imparare ad
ascoltarle. L'esperienza dell'ascolto ci dimostra che qualsiasi dissonanza, se preparata, lungi dal
rappresentare una minaccia finisce per rendere la musica stessa decisamente più interessante.
Lo aveva compreso bene Max Weber che, raccontava ai suoi studenti il mondo attraverso l'armonia
e le arditezze di Wagner. Lo aveva compreso Simmel che la musica è la più felice rappresentazione
di una società complessa. Qual miglior metafora del Sacre Du Printemps o delle Nozze, opera
all'interno della quale lo stesso Levi Strauss, individua tracce dei “selvaggi” da lui osservati. Alla
prima rappresentazione la Sagra della Primavera suscitò lo scandalo. Oggi è riconosciuta,
universalmente come la “musica del 900”tout court, perché ne racchiude tutte le sfaccettature.
Certo, ci vuole un orecchio musicale ben educato per immergervisi.
Qualsiasi studente di armonia impara fin dalle prime lezioni che una dissonanza deve essere
“preparata”; preparare una dissonanza significa “farla sentire” prima ancora che si presenti sotto
questa veste. Una nota dissonante è pertanto una ex consonanza. Una dissonanza non preparata
viene percepita dall'ascoltatore come un evento, passatemi il termine, deviante. Se preparata,
assume, invece, la dignità di un gesto compiuto da un movimento, una subcultura. E' un'altra cosa;
la nostra società è il frutto della stratificazione di questi eventi. Anche la dissonanza, quindi, come
molti atti ritenuti, percepiti in origine come devianti, finisce come dire, per essere introiettata , fatta
propria, istituzionalizzata dall'ascoltatore. Quando poi tale dissonanza trova la sua risoluzione (ogni
dissonanza deve essere unopreparata, due risolta), l'ascoltatore viene ricompensato per lo sforzo
prodotto dal piacere fisico che ne deriva. La risoluzione di una dissonanza viene percepita
dall'orecchio umano come un allentamento di una tensione, il raggiungimento di uno stato di riposo.
Piano piano, però, la continua frequentazione dei movimenti prodotti da tale dissonanza, produce
nell'ascoltatore una sorta di assuefazione. Tutte la storia della musica altro non è che un lungo
processo fatto di rifiuto e successivo riconoscimento. La musica rappresenta pertanto la miglior
metafora in grado di rappresentare i processi di comprensione e integrazione sociale.
Una prima considerazione mi viene sollecitata dalla constatazione della grande mole di attori,
(specialisti delle più diversificate discipline, tanto su un fronte, quanto sull'altro) chiamati a
fronteggiare situazioni che un tempo, non tanto remoto, trovavano una loro soluzione all'interno
della famiglia di origine, della cerchia di appartenenza o, comunque, di gruppi caratterizzati da
relazioni significative. Direte: ad una sempre maggiore complessità la società contrappone un
numero crescente di ruoli; è gioco forza.
Non voglio scomodare Durkheim, né tanto meno Bauman che, sembra essere molto più citato di
quanto non sia letto. Ciò che voglio qui affermare, non necessita di simili esibizioni. Ma, si sa,
l'abito fa il monaco. E quindi, poiché fa figo, anch'io quando serve tiro fuori dal cilindro l'individuo
liquido. Ma rimango, ad ogni buon conto, quel che sono. Ecco perché, d'ora innanzi, userò il solo
linguaggio che conosco, nella speranza che tutti mi comprendano, non avendo io, ruoli,
appartenenze, status da ridefinire o riaffermare.
Ho sentito, in apertura, relativamente al crescente disagio, invocare la politica e più precisamente
iniziative volte a promuovere l'educazione e l'aggregazione.
Parole sante; se non fosse che poi, nei fatti vengono smentite. Si veda ad esempio chi siede ai tavoli
dei Piani di Zona. Laddove la legge quadro non solo auspica, ma promuove, invoca, la libera e
spontanea iniziativa del libero cittadino, delle associazioni (tutte), al fine di trasformare queste
iniziative in buone prassi, vi è la sensazione che ciò debba essere, invece, posto in essere dai soliti,
pochi portatori di specifiche competenze (?). Una riserva di caccia? Se poi si vanno a vedere i
curriculum di queste persone (anche qui, valga la precedente precisazione), i contratti che le legano
a questo, piuttosto che a quell'ente, c'è spazio per qualche considerazione maliziosa. Ma tutti, nel
nome del superiore interesse del minore.
Nel superiore interesse del minore, si danno alla stampa decine, centinaia di fascicoli, libri, che poi
non vengono lesinati, nel distribuirli ai convegni, assumendo paradossalmente la veste di programmi
di sala, di una penosa operetta dove prime donne e comparse si spalleggiano per la reciproca
sopravvivenza. Qui, nessuno è minore, è stato detto.
Attorno al tema della deistituzionalizzazione dei minori, assistiamo da anni a grandi esercitazioni
retoriche e, dal momento che la Regione Veneto, si vende all'esterno come riferimento per tutte le
altre, immaginiamo che la situazione attuale (276 strutture di accoglienza per 1404 minori fuori
dalla famiglia, di cui il 52% in affido familiare ) la si voglia far passare come il livello zero.
Suscita, innanzi tutto, fatemelo dire, una certa meraviglia il fatto che l'Osservatorio Regionale non
sia in grado di fornire dati più aggiornati. Ma lascio a voi le speculazioni su questi temi perché,
francamente, non mi appassionano per nulla, convinto come sono che i reali problemi risiedano
altrove.
Vedete, io credo che la tacita accettazione di quel punto zero, trovi fondamento su un paradigma che
però mostra le corde: Le comunità sono piene di bambini perché non ci sono famiglie disposte a
prenderli in affido. Punto.
Se è pur vero che in un grosso comune del vicentino l'assessore deve ricattare le aspiranti famiglie
adottive per ottenere da loro la disponibilità ad una breve esperienza di affido ( quel comune fa però
riferimento ad una conferenza il cui presidente, si avvale di una rete di famiglie, connesse con il
CNCA, tant'è vero che le medesime ridefinite famiglie di appoggio forniscono un mero sostegno nei
fine settimana, per coprire le carenze di personale delle comunità), è altrettanto vero che esistono
più associazioni che da anni promuovono, formano e propongono ai servizi territoriali famiglie che
di fatto, poi, restano perennemente in attesa. Tutto ciò è stato, da noi più volte denunciato, ma
ahinoi, inutilmente. Finché si affideranno ai coordinamenti tali compiti non sarà, di certo, attuata la
149. Ma andiamo con ordine. Ciò che non mi stancherò mai di ricordare è la raccomandazione
emanata dal Ministero delle Politiche Sociali, a margine del progetto per la chiusura degli istituti,
dove si afferma: le risorse che normalmente vengono assegnate alle comunità, vengano utilizzate
sotto forma di aiuti alle famiglie di origine. E', ad oggi, lettera morta. Ho più volte ricordato questo
impegno all'assessore uscente, Valdegamberi ma, dopo aver risposto a molte altre mie domande, si è
chiuso nel silenzio di fronte a tale richiesta. Detto ciò, le comunità, come ha affermato Lucio
Babolin, servono, ma come ultima spiaggia, a patto che forniscano progetti chiari, condivisi e
verificabili; ai bambini accolti non siano negati i legami affettivi in essere, e sia consentito loro di
coltivarli.
E' noto quanto la legislazione che fa da cornice all'importante figura del tutore volontario sia
estremamente lacunosa, definendo un ruolo dai contorni fuggevoli. Da quanto ci risulta, sembra che
ai corsi, molti/e dirigenti si affrettino a mandare figure a loro vicine, gli incarichi vengano affidati
(spesso più di uno) alle medesime, scongiurando in questo modo i rischi connessi con un “tutore
forte”. Ora, una cosa è calarsi in questo ruolo, interpretando i reali bisogni del minore, nel rispetto,
beninteso, delle sensibilità e delle professionalità altrui, ben altra, provvedere a chiamata
all'iscrizione a scuola, piuttosto che al vaccino.
Vado a chiudere, dicendo due parole in relazione a quanto è stato detto sullo stato di salute delle
comunità ed in particolare sulla metafora utilizzata: l'ho trovata ingenerosa e forse una volta di più,
evidenzia quanto quel mondo sembra avere smarrito l'originaria verginità, che aveva caratterizzato
la sua nascita. So che a Padova è stato allestito un centro di ascolto per scongiurare il rischio di,
sempre più frequenti, suicidi perpetrati da padri di famiglia, incapaci di fronteggiare le crescenti
difficoltà economiche che, com'è noto aldilà dei problemi oggettivi minano alla radice anche le più
solide relazioni. Durante la pausa caffè, giovedì scorso siamo stati avvicinati da una signora che
esordì dicendo: ma io vi conosco – venivate con vostro figlio al tal istituto ?
Si
Ah, io ho smesso di lavorare venti anni fa – ora ho una comunità.
Buone cose a tutti
Omero Faggionato