R.E.M. - 21\07\08 - Verona

Esiste un modo per commemorare una giornata perfetta? Forse no, le parole difficilmente rendono giustizia alla realtà. Faccio comunque un tentativo.
21 luglio 2008, Arena di Verona, REM: io c'ero.
Il pubblico è piuttosto variegato: si va dal giovane, al genitore con prole al seguito, passando per il signore più maturo. Il concerto inizia alle 21.40, orario previsto 21.15. Si sa, un po' ci si deve far desiderare. Dura un paio d'ore circa, la scaletta include pezzi che non mi sarei mai aspettata di ascoltare, e questo naturalmente mi lascia piacevolmente sorpresa. La prima cosa che traspare è il grande entusiasmo che ci mettono. Michael Stipe ha l'aria di un bambino in un negozio di giocattoli, unisce la disinvoltura di chi ha una lunga carriera alle spalle alla carica di un emergente alla prima esibizione importante.
Dopo i primi pezzi Mike Mills (munito di cappello da cowboy d'ordinanza - perché veniamo pur sempre dalla Georgia, ecchecaz! - ) si appropria del microfono per chiedere al pubblico di stare in piedi, la gente risponde all'appello con calore e si alza. Fra una canzone e l'altra Mister Stipe non lesina le parole, ricambia l'affetto del pubblico e si complimenta con il Bel Paese per la spettacolarità e la bellezza della location in cui si stanno esibendo. Durante "Bad day" mentre canta "It's been a bad day please don't take a picture" interagisce con il cameraman che lo riprende, poi si scatena e lancia addirittura l'armonica verso le prime file. Grande assente della serata "Everybody hurts", tuttavia rimpiazzata da una "Strange currencies" eseguita in modo sublime; "The one I love" sempre bellissima (ascoltata due volte grazie al soundcheck!), "Imitation of life" uno dei punti più alti del concerto. Quasi verso la fine si riuniscono tutti attorno al piano e trasformano "Let me in", composta in onore dell'amico Kurt Cobain, in un pezzo molto distante dalla funerea versione incisa nell'album "Monster" del '94: il pezzo viene eseguito solo con chitarra acustica e piano e Michael Stipe per tutto il tempo canta di spalle, regalando una performance intensa e vibrante; uno dei momenti più emozionanti della serata. Sul finale propongono "It's the end of the world as we know it", che è sempre una sferzata di energia e buon umore. Purtroppo però tira aria di saluti, infatti poi Michael si prende del tempo per i ringraziamenti e chiede un ulteriore applauso per gli Editors che hanno fatto da supporter (grandissimi, non avrei potuto desiderare "antipasto" migliore); concludono come sempre (o quasi) con "Man on the moon", che lascia addosso quel perfetto mix di malinconia e adrenalina.
Certo, ora potrei ridimensionare questa memorabile serata parlandovi del tamarro che mi stava seduto dietro che non ha fatto altro che disturbare, per il quale peraltro essere al concerto dei REM o all'osteria sarebbe stata la stessa identica cosa (io l'avrei visto bene sulle rotaie della stazione, possibilmente legato), oppure della sgallettata posizionata davanti a me che ha pensato fosse una buona idea dimenarsi come un'ossessa su un pezzo come "Drive", incentrato sulle tematiche del disagio e della solitudine, che andrebbe goduto in sacrale contemplazione... ma eviterò di farlo più di quanto non abbia già fatto per non oscurare lo strepitoso concerto a cui ho avuto la fortuna di assistere. Ma anche per non risvegliare istinti omicidi repressi...!