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Ultimo Aggiornamento: 01/06/2008 10:00
01/06/2008 10:00
 
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Il centometrista radiato dall'atletica sul daily Mail accusa lo staff di Carl Lewis
Ben Johnson: «A Seul misero
il doping nel bicchiere»
«Ho le prove del complotto: sciolsero una quantità
di Stanozobol nel mio drink che poteva uccidermi»


L'arrivo vittorioso di Ben Johnson (Ap)
LONDRA (Gran Bretagna) - Vent’anni di silenzio, cercando le prove di un sospetto che ora, a suo dire, è diventato certezza. Alle Olimpiadi di Seul Ben Johnson fu vittima di un complotto ordito dagli americani per proteggere Carl Lewis, sebbene ciò non significhi che “il figlio del vento” ne fosse a conoscenza. A lanciare la bomba è stato lo stesso sprinter canadese (squalificato a vita dalla IAAF nel 1993 perché trovato positivo al testosterone) in un’intervista esclusiva al “Daily Mail” che prende le mosse proprio dalla telefonata che Johnson fece ai genitori per annunciare loro di essere stato squalificato per doping, dopo aver corso i 100 piani in 9.79, stracciando Lewis. E se il padre rispose con una sola parola (“Americani…”), la madre intimò al figlio di tornare immediatamente a casa, perchè “potrebbero averti ucciso”.

«FORTUNATO AD ANDARMENE VIVO» - Il “loro” a cui si riferisce la donna lo spiega lo stesso atleta canadese, che oggi vive a Toronto con la figlia ventenne Makela e la nipotina Jeneil, di appena tre mesi, e allena privatamente (e gratis) una dozzina di giovani promesse della velocità. “Il riferimento era a qualcuno dell’entourage di Lewis. Gli americani non possono tollerare di arrivare secondi, non è nella loro mentalità e io avevo già battuto Carl per tre volte prima dei Giochi. Per questo hanno riempito il mio drink con abbastanza robaccia per uccidere una mucca. Sfortunato a risultare positivo? Direi piuttosto che sono stato fortunato ad andarmene da Seul vivo».


(Ap)
«LO STANOZOBOL SCIOLTO NEL MIO BICCHIERE» - E dopo vent’anni di indagini e di lutti (il padre morì di crepacuore tre anni dopo lo scandalo e la madre se n’è andata l’anno passato), ora Johnson sostiene di aver finalmente trovato le prove di quello che gli hanno fatto e di averle registrate tutte su un nastro. «Il mio crimine è stato quello di essere onesto e per questo mi hanno sbattuto fuori dalle Olimpiadi. Avevo smesso di prendere quella roba sei settimane prima dei Giochi, per questo, quando sono risultato positivo al test, nessuno poteva essere più scioccato di me, perché non solo il mio organismo era pulito, ma non avevo mai preso in vita mia la sostanza che dicono di aver trovato nel mio corpo, ovvero lo Stanozobol. Mi hanno spiegato che ne hanno trovata una quantità tale da uccidermi. Probabilmente, qualcuno l’ha sciolta nel mio drink. Chi? Come disse mio padre, gli americani. O meglio, qualcuno vicino a Lewis. Nessuno ha mai saputo che c’era un uomo nella stanza delle analisi e solo in seguito mi sono ricordato di lui che prendeva una bibita dal frigorifero e me la passava in una maniera strana”. Ad aiutare Johnson nella sua battaglia c’è Dianne Hudson, consulente legale di un giornale di Toronto, che, dopo aver trovato una foto dell’episodio della bevanda, ha aiutato il canadese a rintracciare l’uomo misterioso. A quel tempo, si disse che si trattava di un giocatore di football americano amico del clan Lewis, ma resta da capire come abbia fatto a raggiungere una zona comunque inibita ai non atleti. Lo scorso anno, Johnson racconta di aver ricevuto una telefonata anonima da un uomo che sosteneva di essere quello che gli aveva dato la famosa bibita. «Ci mettemmo d’accordo per incontrarci – spiega l’ex sprinter – ma non si fece vedere».

L'AMMISSIONE DEL COLPEVOLE - L’uomo avrebbe richiamato anche all’inizio del 2008 e questa volta l’incontro ci sarebbe stato, a Los Angeles, presente anche la Hudson. «Ben è rimasto sconvolto da quello che ha sentito – racconta la consulente legale – perché l’uomo ha ammesso di aver alterato il suo drink. E’ tutto registrato e ora stiamo preparando la causa”. Quanto ai motivi che lo avrebbero spinto ad agire contro di lui, Johnson non da dubbi. «Gli americani dovevano vincere, così dovevano farmi fuori. Il Cio parla tanto di droghe, ma loro non vogliono davvero sapere, perché se dovessero bandire tutti quelli che risultano positivi ai test, sarebbe la rovina dell’intero giocattolo. So che a Seul vennero trovati positivi sei velocisti, alcuni erano persino nella mia stessa finale, altri in quella dei 200. Ma loro erano protetti dagli sponsor, mentre io ero giovane, così se la sono presa con me. Perché? Gli americani erano paranoici nei miei confronti, visto che io battevo Lewis regolarmente, e mi hanno puntato il dito contro. L’atletica è un grosso business e chi c’è dietro non può dire com’è in realtà, ovvero che gli steroidi si usano oggi così come si usavano ai miei tempi e che non è cambiato niente, perchè senza steroidi non è umanamente possibile raggiungere certi risultati». A differenza di altri atleti, Johnson non ha mai negato di aver fatto uso di sostanze proibite. «Arrivai in Canada dalla Giamaica nel 1976 e mi misi in testa che sarei diventato uno sprinter. Del resto, correre veloce era nei mie geni. Sei anni più tardi, quando partecipai ai giochi Pan-Americani di Caracas, non sapevo nulla di steroidi e roba simile, fino a quando una mattina vidi tutti gli atleti americani alzarsi dal tavolo della colazione e uscire dal villaggio. Chiesi cosa stesse succedendo e mi sentii rispondere che stavano arrivando i controlli. All’epoca, il più veloce faceva i 100 metri in 10.14 e io, malgrado fossi un ragazzino di 15 anni (è nato il 30 dicembre 1961) ottenni 10.5, correndo pulito. Questo la dice lunga su quanto fossi veloce, ma cominciavano a scoprirlo anche Carl Lewis e gli americani e questo era un problema».

L'INIZIO DEL DOPING - Lo sapevano anche Charlie Francis e il dottor Jamie Astaphan, ovvero il coach canadese e il medico che lo portarono in laboratorio e lo iniziarono a quelle pratiche non legali, ripetendogli a mo’ di mantra «se non li prendi, non raggiungerai nessun risultato». «L’intensità dei loro allenamenti – continua l’ex velocista – mi fece capire subito cos’erano le cose che avrei dovuto prendere. Mi facevano lavorare per più di 40 ore a settimana e nessun atleta sarebbe potuto sopravvivere senza un aiuto, perché ad un certo punto è il tuo corpo che ti dice di smettere. E’ vero che gli steroidi ti consentono di recuperare più in fretta, così puoi allenarti di più, mentre è sbagliato pensare che gli steroidi in se stessi siano cattivi. La cocaina e l’eroina lo sono, perché uccidono la gente. Gli steroidi no, se sono presi sotto controllo. C’è chi mi chiede se io dò colpa al mio allenatore per quanto successo, ma Charlie sapeva quello che stavo facendo. Il mio solo problema era che sapevo di essere il più veloce di tutti, ma senza aiuto non sarei stato in grado di dimostrarlo anche agli altri, americani e non, che correvano regolarmente sotto i 10 secondi. Come sarebbe stato possibile senza prendere qualcosa? Ci sarei riuscito giusto una volta, forse due l’anno». La sua squalifica non giovò solo a Lewis, a cui passò la medaglia d’oro, ma anche all’inglese Linford Christie, che prese l’argento, e all’americano Dennis Mitchell, che fu medaglia di bronzo. Le parole più dure sono nei confronti di Lewis. «Carl era risultato già positivo tre volte prima di Seul, ma gli americani lo avevano perdonato, perché erano letteralmente terrorizzati all’idea che potessi portar loro via l’oro». (Lewis venne scagionato dopo l’ammissione di aver assunto in maniera del tutto innocente una medicina per il raffreddore contenente sostanze stimolanti proibite, ndr). Lui è il più ipocrita di tutti, mentre Linford mi piace sempre, perché, pur avendo negato di aver preso droghe, non è mai stato così cattivo come Carl, non mi ha mai puntato il dito contro».

I RECORD - Oggi il record di Johnson, sebbene mai registrato, è stato polverizzato dal 9.74 del giamaicano Asafa Powell, il favorito per i prossimi giochi di Pechino. «Con tutte le cose che ci sono al giorno d’oggi e tutti i progressi fatti dalla scienza, sarei ancora io il più veloce – scherza Ben – e potrei correre in 9.5». Nei suoi progetti futuri, una biografia, nella quale assicura che ribalterà le accuse di doping, e un matrimonio.

Simona Marchetti
31 maggio 2008




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