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I tableaux vivants

Last Update: 5/29/2008 8:36 PM
5/29/2008 8:36 PM
 
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E' possibile che un quadro possa animarsi ? Cosa succederebbe - come capita spesso nei libri d'avventura, dove rimaniamo avvinghiati al susseguirsi delle mirabolanti imprese dei protagonisti - se un antico dipinto del Quattrocento cominciasse a comunicare con noi ? Mai sentito parlare del tableau vivant ? Nel cinema Pasolini è considerato uno dei maggiori "pittori" del cinema italiano: infatti in molti suoi film ha costruito le inquadrature come scene dipinte, con riferimenti precisi alla grande tradizione figurativa. Letteratura, pittura e musica, furono le prime a donare al cinematografo e poichè nell'ambito di un tessuto narrativo di fantasia o preso di peso dalla letteratura, i problemi cinematografici da risolvere erano in massima parte problemi visivi, fu la pittura, più di ogni arte, a dover nutrire di molta sua linfa il dirompente fenomeno delle immagini in movimento. Pasolini e i tableaux vivants Molto tempo prima dell'effetto visivo del cinema, furono gli antichi cantori epici a organizzare delle immagini in libertà e spingerle verso un fine desiderato. Accompagnati da una cetra, narravano miti e storie fantastiche, di mostri e creature meravigliose,di sirene e di basilischi. Con la sola forza della narrazione e del canto sapevano creare un idilio con il pubblico, suggestionando l'ascoltatore con i versi decantati nelle loro storie. Ma in questi tempi attuali, in che misura parole e musica possono influire sulle capacità evocative di una canzone? Per la canzone dei nostri giorni ( la musica colta è un'altra cosa ) è più importante il testo o la musica ? La parola sicuramente è molto importante per un ricercatore o aspirante poeta; per me se un testo è debole scade l'intera canzone anche in presenza di una buona musicalità, e non viceversa. E poi, la canzone moderna, può in qualche modo servirsi della pittura, come nel caso del cinema ? Certo che si ! Basterebbe prendere una canzone della premiata ditta Battisti-Panella, per scoprire nel suo interno un ornamento mimetico decorativo dai risvolti pittorici. In pratica dovremo rimettere in scena dettagli e stilemi dell'arte figurativa, non prima di aver costruito il canovaccio sul quale si basa il quadro vivente che noi vogliamo animare; potremo così rievocare gli stessi soggetti e renderli veri come il pittore aveva davanti a sè mentre li dipingeva. Prendiamo ad esempio un famoso dipinto esposto al museo del Louvre, del Pisanello - RITRATTO DI PRINCIPESSA eseguito tra il 1435 e il 1449 - e cominciamo a renderlo vivo... Sembra che Antonio di Puccio fosse chiamato con l'appellativo di Pisanello, per via del padre - Ser Puccio di Giovanni da Cerreto che era effettivamente pisano - e non per il luogo di nascita che non riguardava propriamente la Toscana. Il pittore aveva lavorato prevalentemente, specie in età giovanile, nella zona del Veneto, e collegandosi al fatto che la madre Isabetta fosse veronese, si potrebbe ipotizzare che Pisanello fosse nato nei pressi di Verona, precisamente a San Vigilio sul Lago ( wikipedia )

E poi
di che parliamo
di come per favore hai fatto
se non ti dispiace replicarlo
quel gesto quell'insieme
di cose e di non cose
che accadono una volta
e quindi possono
ripetersi a richiesta e non per caso


Si apre il sipario: il profilo di una ragazza spicca contro una massa scura di fogliame scuro disseminata di fiori e farfalle variopinte, che donano al dipinto l'aspetto di un arazzo " mille fleurs "
Museo del Louvre- Ginevra D'Este, il Pisanello La storia racchiusa in un quadro rispecchia la magia del teatro, dove seguendo un copione scritto, ogni cosa non è mai espressa a caso e ogni comparsa ha un ruolo ben preciso. Si possono quindi riprodurre all'infinito - mediante le repliche o copie - situazioni e dialoghi aderenti ad una realtà mai diversa nella forma o nei contenuti.

In cambio ti rifaccio il mostro
mi tolgo le foglie dalle dita
il vento pettinato ritorno ai connotati riprendo i miei colori
a mano libera
e meglio puoi vedermi
allontanando


Disegnare soggetti reali a mano libera significa riprodurre le impressioni ricevute dall’occhio. Il pittore deve trovare il punto ideale intorno al quale ritrarre la sua musa, cercando minutamente i punti di intersezione che possono interessare la sua visuale. Un lavoro meticoloso, avvicinarsi ad una prospettiva lontana e allontanarsi da una vicina - un movimento che va avanti e indietro verso l'opera e lontano da essa - per avviare il trasferimento dal reale alla tela. L'identità del ritratto di questa ragazza ( Ginevra d'Este ) è rivelata dal rametto di ginepro sulla spalla sinistra, che allude al suo nome. Il viso di Ginevra è inespressivo: la capigliatura ha un aspetto particolare, tanto da sembrare dettata dal vento, ma è facilmente avvertibile come i capelli di Ginevra siano ben raccolti e trattenuti da un nastro bianco. La giovane è lievemente cupa - si sa ebbe un destino tragico - una storia mescolata a fatti di cronaca nera realmente accaduti e dagli echi lontani. Sua madre, accusata di adulterio, fu condannata a morte. Nel 1419, all'età di quattordici anni, Ginevra sposò Sigismondo Malatesta ma morì nel 1440, all'età di ventuno. Le notizie tramandate ai posteri, seppur frammentarie, ci danno l'immagine stereotipata di un marito "mostro" d'altri tempi, una sorta di Barbablù iper-moderno: una diceria voleva che fosse stata avvelenata proprio dal consorte Sigismondo, per poter poi sposare un'altra...

E poi
di che parliamo
trasvola sopra l'ultima papilla la farfalla e la lingua la spilla
e ripeschiamo l'oh dello stupore col quale incorniciamo
il fragile leggero di quel che non diciamo


Dietro la cornice di questo quadro c'è una luce viva per questo ritratto di fanciulla in pieno sboccio. Da quest'opera è possibile comprendere quanto il Pisanello fosse erudito in botanica. La constatazione che in questa raffigurazione non c'è nessuna simbologia lasciata al caso ci fa ulteriormente riflettere. L'intero destino della giovane principessa sembra ruotare attraverso i simboli esibiti intorno a lei( l'anima equivalente alla farfalla e il garofano al matrimonio e alla fertilità )Il linguaggio dei fiori è eloquente, quanto lo sdoppiamento di significato messo in atto da Panella: se nella bocca degli uomini le papille della lingua sono atte a percepire i sapori, la papilla, in botanica, è l'organo presente in ogni forma di pianta, e in special modo sui petali dei fiori. Si presenta come una protuberanza epidermica unicellulare, dalla forma di un pelo piuttosto corto, il quale conferisce un aspetto vellutato ai petali.

E poi
di che parliamo
di come sei tracciata appena
su carta o traspari in filigrana


Il vocabolo - di origine latina filum, filo, e granum, grano - può essere riferito anche ad un certo tipo di disegno che può essere visto su un certo tipo di carta osservato in trasparenza o in controluce. La sua origine viene fatta derivare dalla tecnica orafa piuttosto che dalla lavorazione industriale della carta ( wikipedia ) Parrebbe poi che la filigrana di carta dorata fosse usata nel quindicesimo secolo in Italia dai monaci per adornare e incorniciare immagini sacre e reliquie; in pratica veniva usata nell'arte come sostituto povero dei metalli preziosi. Altro particolare importante, la principessa Ginevra è rappresentata di profilo: uno stilema che riporta alla tradizione degli Imperatori romani che venivano rappresentati sulle loro monete di profilo. La spilla panelliana potrebbe quindi essere riconducibile all'arte orafa ( Pisanello realizzò numerose famose opere di oreficeria e produsse le famose medaglie d'oro Sigismondo Malatesta e Novello Malatesta )

Trapassi le pareti
solletichi anche l'aria
ma un gesto un solo gesto
ti torna solida


Solo i fantasmi riescono a trapassare le pareti. Nella lingua greca, il termine psichè significa spirito, anima, farfalla . Una tradizione mediterranea giunta fino a noi, e innestata nel Cristianesimo - lo si apprende da una tradizione ancora presente in Puglia - parla di piccole farfalle bianche, dette "palombelle", indicate come anime del Purgatorio, che trasmigrano. La presenza della siepe di aquilegie e garofani sullo sfondo del quadro, simboli rispettivamente di fertilità, di amore e matrimonio, e della farfalla, che può assumere la medesima valenza simbolica, ha condotto all’ipotesi che si tratti di un ritratto matrimoniale, eseguito poco prima delle nozze di Ginevra con Sigismondo Malatesta, nel 1434. Ma la valenza simbolica delle aquilegie, interpretabili anche come simbolo di dolore e morte, ha fatto ipotizzare una possibile esecuzione del ritratto dopo la tragica morte di Ginevra...

Un gesto che è richiesta e non è caso
in cambio non invento niente


L'arte ha il compito di interagire con la sensibilità degli esseri umani. All’interno di un mondo onirico guardato a distanza si possono percepire verità nascoste dettate anche da un gesto o da un'insieme di cose, che solo un'opera d'arte sa trasmettere. Studiando un quadro ci si immerge in un mondo fatto di momenti particolari, con i colori e i fiori a raccontarci l'interiorità del pittore e della sua protagonista.

Mi butto di sotto o non mi butto
mi sto distrattamente sfrenando
dal mio posto proietto il bell'aspetto
mi tramo intrecciami


L’attenzione di Ginevra sembra assorta e distratta da altro; lasciamo quindi questa donna lì in posa, con i suoi abiti variopinti e lunghi contro la siepe che ha fatto da scenografia a questo ritratto, e ripensiamo per un attimo alla trama dai risvolti 'noir' che ci riserva questo dipinto. Una storia di amore, di intrighi e di morte; come in un film ci immedesimiamo con naturalezza nelle tristi vicende di questa sposa bambina e nelle mani dell'artista che ha plasmato i colori per dar vita a questo capolavoro. Ci infiliamo nei suoi occhi e nel suo modo di ascoltare e vedere le cose, in questo universo dalle tonalità chiaro- scure e dalla forte teatralità drammaturgica.

E puoi vedermi meglio
allontanando


Il compito maggiore per un pittore è di catturare quello che gli sfugge, ovvero trovare la luce e la giusta distanza tra la persona e ciò che la circonda. Le regole della prospettiva donano distanza fra gli elementi ma se collocate al posto giusto. Molti artisti del passato sapevano usare meravigliosamente la prospettiva anche per rappresentare ambienti reali o spazi terreni a contorno delle loro rappresentazioni. Dal 1400 l’utilizzo della prospettiva ebbe una rapida diffusione fino a divenire un minimo comune denominatore tra le opere di grandi artisti come Paolo Uccello, Fra Angelico, Antonio Pollaiolo, Piero della Francesca, Andrea Mantenga, Tiziano Vecellio, Sandro Botticelli, Giovanni Bellini, e lo stesso Pisanello. Certamente non può mancare dalla lista il geniale Leonardo e la sua raffigurazione dell'Ultima cena. Un capolavoro assoluto, soprattutto per la rappresentazione scenica messa in atto: Gesù è infatti il punto di fuga usato da Leonardo per definire la prospettiva di tutti gli altri personaggi. Osservando attentamente i personaggi del celeberrimo affresco, si apre un ambiente ampio realizzato secondo le più rigorose regole di simmetria e prospettiva. La maestria di Leonardo di dipingere in lontananza è tutta racchiusa nello "sfumato".Questo emerge soprattutto nei particolari atmosferici che si vedono sullo sfondo di numerosi suoi dipinti ( vedesi la Gioconda ) dove delicati veli di foschia smorzano i profili di colline e montagne. Per ottenere queste straordinarie prospettive, egli aumentava o diminuiva lo "sfumato" rendendo i colori sempre più fluidi, man mano che lo sfondo si allontanava...

Damiano Andreini:

I pittori del Quattrocento, contemporanei di Leonardo, erano soliti dipingere il paesaggio non per come questo appariva, cioè senza uno studio dal vero e appoggiandosi alla teoria offerta da un "manuale" per artisti scritto nel 1399 da un certo Cennino Cennini (Il Libro dell'Arte), artista pure lui, che raccomandava testualmente: "quando vuoi dipingere una montagna, poggia una pietra sulla tua tavola e illuminala con una candela. Poi riporta quella forma sulla superficie che dipingi". E' così che, sia pure in modo più sempre più raffinato, i pittori del Quattrocento intendevano il paesaggio: un elemento di importanza secondaria per il quale non c'era bisogno di tanti studi. Per dare l'idea di una montagna bastava copiare l'effetto di una pietra appoggiata sul tavolo. Ma, come si è detto, Leonardo non si fida delle teorie e passa giornate intere a osservare le colline intorno a casa sua. Fra l'altro ha anche il tempo di accorgersi e annotare che le conchiglie fossili incontrate sui cigli degli oliveti non possono riferirsi al Diluvio Universale ma devono essere il prodotto del movimento continuo della terra che in tempi antichi ha rialzato i fondali del mare creando colline e montagne (in ciò anticipando alcune conclusioni sulla teoria della deriva dei continenti...). A parte questo, si rende conto di una cosa in particolare: i pittori del suo tempo, utilizzando una pietra al posto di una collina, non avevano considerato il valore dell'atmosfera... L'atmosfera avvolge tutte le cose ma quelle che ci appaiono man mano più distanti, come una collina o una vallata in lontananza, progressivamente si tingono di un velo d'azzurro che rende i contorni delle cose sfumate e indefinite. L'azzurro, come del resto ha scritto un poeta, è il "color di lontananza". Leonardo si rende conto perfettamente di questo fenomeno e, nel suo "Trattato della Pittura", annota:

"Tu sai che...per la gran quantità dell'aria che si trova fra l'occhio tuo e la montagna, quella pare azzurra, quasi del colore dell'aria. Dunque farai...il primo edificio del suo colore; il più lontano fallo meno profilato e più azzurro. E questa regola farà che li edifici che sopra una linea paiono d'una medesima grandezza, chiaramente si conoscerà qual'è più distante e quale è maggiore che li altri".

Ecco, in cinque righe, superata d'un balzo la teoria della prospettiva inventata da Brunelleschi e utilizzata in tutta Italia per tutto il Rinascimento quattrocentesco. Non bastano linee, geometrie, punti di fuga: per mettere oggetti in prospettiva, secondo Leonardo, bisogna sfumare e "tingere" d'azzurro quelli che devono apparire più lontani... La prospettiva di Leonardo

E poi di che parliamo.
Nel libro d'avventure saltiamo le parole e le figure
.

Già, e poi di che parliamo ancora...? Avvincente come la trama di un romanzo, la vita di Ginevra è stata una pagina importante per la costruzione di questo quadro, così pieno di significati reconditi. L'identità di questa ragazza è rimasta incerta per molti anni, ma il vaso a due manici ricamato sulla sua manica ( simbolo del casato degli estensi ) e il suo profilo delicamente modellato contro la massa scura del fogliame ( un ginepro ) ne hanno rivelato il vero volto. Lo stesso Leonardo da Vinci avrebbe usato in seguito la stessa simbologia riferita alla pianta, per identificare una sua modella come Ginevra de' Benci, nel ritratto ora alla Gallery of Art di Washington. Ginevra de' Benci

L'ipotesi più accreditata è la similitudine di "Ginevra" con il "Ginepro". Ma Leonardo forse voleva andare ben oltre: il disegno ovale del volto della dama, offre un altro suggerimento per comprendere la sua concezione pittorica. L'intreccio degli aghi di ginepro ad esempio, simboleggia le diagonali che individuano le intersezioni degli innumerevoli disegni geometrici, rivelati dagli studiosi nell'indagine accurata del dipinto. Dunque, per il genio vinciano, tale pianta non era solamente una paronomasia con l'effiggiata ma, un progetto di geometria, di cui era profondo conoscitore. Ma questo è tutto un altro discorso, lungo e piuttosto complesso...
Il vate galante
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