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Siddharta

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2014 21:22
11/05/2010 07:56
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Belli la luna e gli astri, belli il ruscello e le sue sponde, il bosco e la roccia, la capra e il maggiolino, fiori e farfalle. Bello e piacevole andare così per il mondo e sentirsi così bambino, così risvegliato, così aperto all'immediatezza delle cose, così fiducioso. Diverso era ora l'ardore del sole sulla pelle, diversamente fredda l'acqua dei ruscelli e dei pozzi, altro le zucche e le banane. Brevi erano i giorni, brevi le notti, ogni ora volava via rapida come vela sul mare, e sotto la vela una barca carica di tesori, piena di gioia. Siddharta vedeva un popolo di scimmie agitarsi su tra i rami nell'alta volta del bosco e ne udiva lo strepito selvaggio e ingordo. Siddharta vedeva un montone inseguire una pecora e congiungersi con lei. Tra le canne di una palude vedeva il luccio cacciare affannato verso sera: da-vanti a lui i pesciolini sciamavano a frotte rapida-mente, guizzando e balenando fuor d'acqua impauriti; un'incalzante e appassionata energia si sprigionava dai cerchi precipitosi che l'impetuoso cacciatore ti acciava nell'acqua.

Tutto ciò era sempre stato, ed egli non l'aveva mai visto: non vi aveva partecipato. Ma ora sì, vi partecipava e vi apparteneva. Luce e ombra attraversavano la sua vista, le stelle e la luna gli attraversavano il cuore.




11/05/2010 07:58
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Cammin facendo Siddharta si ricordò anche di tutto ciò che gli era successo nel giardino Jetavana,della dottrina che vi aveva ascoltato, del Buddha divino, della separazione da Govinda, della conversazione col Sublime. Gli ritornarono alla mente le sue stesse parole, quelle che aveva detto al Sublime, ogni parola, e con stupore si accorgeva che in quella occasione aveva detto cose di cui, allora, non aveva ancora esatta coscienza. Ciò ch'egli aveva detto a Gotama: che il segreto e il tesoro di lui, del Buddha, non era la dottrina, ma l'inesprimibile e ininsegnabile ch'egli una volta aveva vissuto nell'ora della sua illuminazione, questo era appunto ciò che egli cominciava ora a esperimentare. Di se stesso doveva far ora esperienza.
Già da un pezzo s'era persuaso che il suo stesso Io era l'Atman, di natura ugualmente eterna che quella di Brahma.








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Ma Siddharta passeggiava pensieroso attraverso il boschetto. S’imbatté così in Gotama, il Sublime, e lo salutò rispettosamente e poiché lo sguardo del Buddha era pieno di bontà e di dolcezza, il giovane si fece animo e chiese al degno uomo il permesso di parlargli. Con un cenno silenzioso, il Sublime acconsentì.

Parlò Siddharta: «Ieri, o Sublime, mi fu dato di ascoltare la tua mirabile dottrina. Insieme col mio amico io venni da lontano per ascoltare la dottrina. E ora il mio amico rimarrà coi tuoi uomini, egli si rifugia in te. Ma io riprendo ancora il mio pellegrinaggio».

«Come ti piace» disse il degno uomo cortesemente.

«Troppo ardite son le mie parole,» continuò Siddharta «ma non vorrei lasciare il Sublime senza avergli esposto schiettamente il mio pensiero. Vuole il Venerabile prestarmi ascolto ancora un momento?».

Con un cenno silenzioso il Sublime assentì.

Disse Siddharta: «Una cosa, o Venerabilissimo, ho ammirato soprattutto nella tua dottrina. Tutto in essa è perfettamente chiaro e dimostrato; come una perfetta catena, mai in nessun luogo interrotta, tu mostri il mondo: una eterna catena, contesta di cause e di effetti. Mai ciò è stato visto con tanta chiarezza, né esposto in modo più irrefutabile; certamente più vivo deve battere il cuore in petto a ogni Brahmino quand’egli, guidato dalla tua dottrina, senza soluzioni di continuità, limpido come un cristallo, non dipendente dal caso, non dipende dagli dèi. Se esso sia buono o cattivo, se la vita in esso sia gioia o dolore, può forse rimanere oscuro (può anche essere che questo non sia la cosa essenziale); ma l’unità del mondo, la connessione di tutti gli avvenimenti, l’inclusione di ogni essere, grande e piccolo, nella stessa corrente, nella stessa legge delle cause ultime, del divenire e del morire, questo risplende chiaramente dalla tua sublime dottrina, o Perfettissimo. Ma ora, secondo la tua stessa dottrina, in un punto è interrotta questa unità e consequenzialità di tutte le cose, attraverso un piccolo varco irrompe in questo mondo unitario qualcosa che prima non era e che non può essere indicato né dimostrato: e questo varco è la dottrina del superamento del mondo, della liberazione. Ma con questo piccolo spiraglio, con questa piccola rottura viene di nuovo infranto e compromesso l’intero ordinamento del mondo unitario ed eterno. Voglimi perdonare, se ho osato proporti quest’obiezione».



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Tranquillo e immobile l’aveva ascoltato Gotama. Quindi parlò a sua volta, il Perfetto: parlò con la sua voce benigna, con la sua voce chiara e cortese: «Tu hai udito la dottrina, o figlio di Brahmino, e torna a tuo onore di avervi riflettuto così profondamente. Tu vi hai trovato una frattura, un errore. Possa tu andar oltre col pensiero. Permetti solo ch’io ti metta in guardia, o tu che sei avido di sapere, contro la molteplicità delle opinioni e contro le contese puramente verbali. Le opinioni non contano niente, possono essere belle o odiose, intelligenti o stolte, ognuno può adottarle o respingerle. Ma la dottrina che hai udito da me, non è mia opinione, e il suo scopo non è di spiegare il mondo agli uomini avidi di sapere. Un altro è il suo scopo: la liberazione dal dolore. Questo è ciò che Gotama insegna, null’altro».

«Perdona il mio ardire, o Sublime» disse il giovane. «Non per avere una discussione con te, una discussione puramente terminologica, ti ho parlato poc’anzi in questo modo. In verità, hai ragione: contano poco le opinioni. Ma permettimi di dire ancora questo: non un minuto io ho dubitato di te. Non un minuto ho dubitato che tu sei Buddha, che tu hai raggiunto la meta, la somma meta verso la quale si affaticano tante migliaia di Brahmini e di figli di Brahmini. Tu hai trovato la liberazione dalla morte. Essa è venuta a te attraverso la tua ricchezza, ti è venuta incontro sulla tua stessa strada, attraverso il tuo pensiero, la concentrazione, la conoscenza, la rivelazione. Non ti è venuta attraverso la dottrina! E – tale è il mio pensiero, o Sublime – nessuno perverrà mai alla liberazione attraverso una dottrina! A nessuno, o Venerabile, tu potrai mai, con parole, e attraverso una dottrina, comunicare ciò che avvenne in te nell’ora della tua illuminazione! Molto contiene la dottrina del Buddha cui la rivelazione è stata largita: a molti insegna a vivere rettamente, a evitare il male. Ma una cosa non contiene questa dottrina così limpida, così degna di stima: non contiene il segreto di ciò che il Sublime stesso ha vissuto, egli solo fra centinaia di migliaia. Questo è ciò di cui mi sono accorto, mentre ascoltavo la dottrina. Questo è il motivo per cui continuo la mia peregrinazione: non per cercare un’altra e migliore dottrina, poiché lo so, che non ve n’è alcuna, ma per abbandonare tutte le dottrine e tutti i maestri e raggiungere da solo la mia meta o morire. Ma spesso ripenserò a questo giorno, o Sublime, e a questa ora, in cui i miei occhi videro un Santo».




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Chetamente fissavano il suolo gli occhi del Buddha, chetamente raggiava in perfetta calma il suo viso imperscrutabile.

«Voglia il cielo che i tuoi pensieri non siano errori!» parlò lentamente il Venerabile. «Possa tu giungere alla meta! Ma dimmi, hai tu visto la schiera dei miei Samana, dei molti miei fratelli che si sono convertiti alla dottrina? E credi tu, o Samana forestiero, credi tu che per tutti costoro sarebbe meglio abbandonare la dottrina e rientrare nella vita del mondo e dei piaceri?».

«Lungi da me un tal pensiero!» gridò Siddharta. «Possano essi rimaner tutti fedeli alla dottrina, possano raggiungere la loro meta. Non tocca a me giudicare la vita di un altro. Solo per me, per me solo devo giudicare, devo scegliere, devo scartare. Liberazione dall’Io è quanto cerchiamo noi Samana, o Sublime. Se io diventassi ora uno dei tuoi discepoli, o Venerabile, mi avverrebbe – temo – che solo in apparenza, solo illusoriamente, il mio Io giungerebbe alla quiete e si estinguerebbe, ma in realtà, esso continuerebbe a vivere e a ingigantirsi, poiché lo materierei della dottrina, della mia devozione e del mio amore per te, della comunità con i monaci!».

Con un mezzo sorriso, con immutata e benigna serenità Gotama guardò lo straniero negli occhi e lo congedò con un gesto appena percettibile.

«Tu sei intelligente, o Samana» disse il Venerabile. «Sai parlare con intelligenza!».
Il Buddha s’allontanò, e il suo sguardo e il suo mezzo sorriso rimasero per sempre incisi nella memoria di Siddharta.




22/11/2012 22:16
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Mai ho visto un uomo guardare, sorridere, sedere, camminare a quel modo, egli pensava, così veramente desidero anch’io saper guardare, sorridere, sedere e camminare, così libero, venerabile, modesto, aperto, infantile e misterioso. Così veramente guarda e cammina soltanto l’uomo che è disceso nell’intimo di se stesso. Bene, cercherò anch’io di discendere nell’intimo di me stesso.

Ho visto un uomo, pensava Siddharta, un uomo unico, davanti al quale ho dovuto abbassare lo sguardo. Davanti a nessun altro voglio mai più abbassare lo sguardo: a nessun altro. Nessuna dottrina mi sedurrà mai più, poiché non m’ha sedotto la dottrina di quest’uomo.

Il Buddha m’ha derubato, pensava Siddharta, m’ha derubato, eppure è ben più prezioso ciò ch’egli mi ha donato. M’ha derubato del mio amico, di colui che credeva in me e che ora crede in lui, che era la mia ombra e che ora è l’ombra di Gotama. Ma mi ha donato Siddharta, mi ha fatto dono di me stesso.





















03/02/2013 21:30
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01/07/2013 22:52
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