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Il perenne attacco alla scienza

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2008 17:51
09/05/2008 12:18
 
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Un ringraziamento ad (Upuat) per aver fatto conoscere l'articolo in altri lidi

un'articolo di Gilberto Corbellini,Docente di Storia della medicina e bioetica nell’Università “La Sapienza” di Roma.


da www.italialaica.it/cgi-bin/news/view.pl?id=004691

Uno degli aspetti che stanno caratterizzando l’evoluzione dei rapporti tra scienza e società da alcuni decenni è il riacuirsi dei conflitti tra scienza e religione. Più precisamente tra alcune religioni di matrice cristiana, come il cattolicesimo e le chiese protestanti metodiste ed evangeliche statunitensi, e alcuni fondamenti teorici e sviluppi applicativi delle scienze biologiche e mediche. Questi conflitti riguardano con accenti diversi e peculiari differenti contesti geopolitici, temi dibattuti da oltre un secolo o più, come il carattere scientifico della spiegazione evoluzionistica, la liceità morale dell’eutanasia. O questioni più recenti, come l’intervento medico nel campo della riproduzione umana, con particolare riguardo alla liceità di creare embrioni umani o usarli per la sperimentazione e la cura. Senza dimenticare il tema della libertà delle coppie di utilizzare le conoscenze e le tecnologie della genetica per evitare di mettere al mondo bambini con gravi patologie, ovvero per evitare, nel caso in cui non siano desiderabili per le persone che scelgono di riprodursi, di produrre condizione di sofferenza fisica e psicologica.

La Chiesa Cattolica è l’organizzazione religiosa che forse più si è esposta nell’attaccare l’uso delle scienze e delle tecnologie biomediche, soprattutto nel campo della medicina riproduttiva e per quanto riguarda la liceità morale dell’eutanasia, anche attraverso l’influenza culturale e politica che tradizionalmente esercita in alcuni paesi dell’Europa centro-meridionale. Come nel caso dell’Italia. Qui le condanne morali inappellabili emesse dalle gerarchie ecclesiastiche nei riguardi della scienza che minaccerebbe l’uomo misconoscendo la natura sacra della vita umana, dal concepimento alla morte cerebrale, ovvero stigmatizzando qualunque espressione della libera scelta individuale nell’uso delle conoscenze e delle tecnologie biomediche, sono state avvallate e amplificate dall’impostazione confessionale delle riflessioni e consulenze sulle questioni bioetiche più controverse, da parte di bioeticisti, intellettuali, e politici cattolici. Anche attraverso un Comitato Nazionale di Bioetica i cui documenti cercano improbabili mediazioni politiche o normative su materie controverse dove le scelte dovrebbero essere lasciate alla libera coscienza morale delle persone. Se mai un comitato di bioetica dovrebbe suggerire come istruire leggi che rispettino le libertà e i diritti individuali in materia di salute, malattia, vita e morte. Invece, più spesso, i documenti assumono l’etica della maggioranza, quasi sempre cattolica, del Comitato, e quasi mai riescono a rappresentare l’autentica natura, l’origine e le dimensioni pratiche delle controversie e della pluralità degli orientamenti morali presenti nel paese sulle diverse questioni.

È singolare, o forse comprensibile tenendo conto delle esigenze di immagine, che l’acuirsi del conflitto tra la religione cattolica e la scienza, in modo particolare rispetto le scienze biomediche, sia avvenuta praticamente in contemporanea con due tentativi della Chiesa di ricostruire buoni rapporti con la comunità scientifica. Almeno così sono stati superficialmente interpretati, anche dalla cultura laica, l’ammissione dell’errore dei teologi che perseguirono Galileo Galilei e condannarono la dottrina copernicana, e il riconoscimento che l’evoluzione biologica non è “solo un’ipotesi”.

Nel novembre del 1992 venivano presentati a Giovanni Paolo II, nell’ambito di un convegno organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze sull’Emergere della complessità in matematica, in fisica, in chimica e in biologia, i risultati dei lavori della Commissione Pontificia di studi sulla questione copernicana. Lo studio dei rapporti tra Galileo Galilei e la Chiesa erano stati auspicati dallo stesso Giovanni Paolo II tredici anni prima, in un discorso tenuto alla Pontificia Accademia nell’ambito di una seduta che commemorava il primo centenario dalla nascita di Albert Einstein, e la Commissione era stata istituita nel 1981. La rilettura dei documenti d’archivio da parte della Commissione Pontificia portava a riconoscere la “buona fede” di tutti gli attori del processo a Galileo. Comunque i teologi contemporanei di Galileo venivano riconosciuti incapaci di separare la dimensione della fede, suggerita dalla lettera delle Sacre Scritture, dalle osservazioni fattuali, e i giudici di Galileo responsabili di un errore di giudizio soggettivo. In particolare, aver ritenuto che la rivoluzione copernicana potesse rappresentare una minaccia alla tradizione cattolica, che attraverso la condanna dello scienziato pisano causò gravi sofferenze al fondatore della scienza moderna. Su queste basi si riconoscevano i torti della Chiesa nei riguardi di Galileo.

Giovanni Paolo II commentava invitando a relegare il «doloroso malinteso», la «reciproca incomprensione» tra scienza e fede nel passato. «Dal caso Galileo – affermava il Papa si può trarre un insegnamento che resta d’attualità in rapporto ad analoghe situazioni che si presentano oggi e possono presentarsi in futuro ». Naturalmente gli scienziati venivano invitati a tener conto che la loro ricerca riguardava solo «l’orizzontalità dell’uomo e della creazione», senza dimenticare che solo lo sviluppo «verticale» dell’umanità coglie, attraverso l’esperienza religiosa «quanto c’è di più profondo nell’essere umano allorché, trascendendo il mondo e se stesso, egli si volge verso Colui che è il Creatore di ogni cosa».

Vale la pena di soffermarsi brevemente su come la Chiesa Cattolica ragiona in merito al caso Galileo Galilei, in quanto il caso storico viene regolarmente portato a livello pubblico come esempio ogni qual volta la Chiesa censura moralmente alcune ricerche, come quelle sugli embrioni e le cellule staminali embrionali, e agisce politicamente per influenzare le legislazioni nazionali allo scopo di ottenere leggi che vietino tali ricerche. I cattolici tendono a rispondere che gli argomenti che istituiscono un paragone con il caso Galileo non sarebbero pertinenti.

Nel discutere il caso Galileo Galilei, i teologi e il Papa si avventuravano in alcune considerazioni epistemologiche, circa il fatto che comunque quella copernicana era un’ipotesi non ancora dimostrata, e che in effetti dopo la sua dimostrazione i libri di Galileo furono tolti dall’indice di quelli proibiti. Lasciamo stare che non si provi nemmeno un po’ di vergogna per aver istituito un “indice di libri proibiti”, che è stato in vigore ufficialmente fino al 1966 (aggiornato l’ultima volta nel 1948). E lasciamo anche stare la questione se l’embrione è persona dal concepimento. Tesi ridicola, ma dove si fa confusione tra diversi livelli di concettualizzazione, ed è meno facile mostrare come la morale cattolica strumentalizza e ricostruisce in modo falsato i fatti scientifici. C’è un caso più esemplare, “lapalissiano”, come ama dire il neosanfedista Giuliano Ferrara, che dimostra come la Chiesa sia ancora orientata a negare i fatti. Si tratta della condanna morale dell’uso del preservativo per evitare di contrarre il virus Hiv che causa l’Aids, in cui la posizione della Chiesa è ancora quella di non riconoscere un “fatto” scientificamente validato.

Cioè che il preservativo protegge dalle infezioni. La Chiesa non si limita cioè a dire, come è suo diritto, che i credenti che usano il preservativo commettono peccato, ovvero agiscono in modo non etico secondo una particolare dottrina religiosa. Ma sostengono falsamente e irresponsabilmente che «il preservativo non preserva». Come suol dire Monsignor Sgreccia. L’episodio recentemente accaduto in Spagna, dove il portavoce della Conferenza episcopale, che aveva semplicemente riconosciuto il fatto che il preservativo protegge dall’infezione da Hiv è stato costretto a “ritrattare”, dimostra, se mai ce n’era bisogno, che la Chiesa avrà anche perso un po’ di “pelo”. Certamente non “il vizio” di manipolare la verità per mantenere un qualche potere di influenza culturale e politica almeno sulle persone più ignoranti.

Ancor più esplicito nell’ammonire gli scienziati a riconoscere che solo la religione ha accesso a quanto di più autentico vi è nell’ontologia umana, Giovanni Paolo II lo è stato nell’intervento sull’evoluzione biologica tenuto nel 1996. In quel discorso, di fatto, non c’era nulla di nuovo rispetto a quanto contenuto nell’enciclica di Pio XII Humani generis (1952).

Mentre il vero obiettivo era di porre dei divieti ben precisi. Il Papa diceva che la ricerca sulle basi biologiche della natura umana può legittimamente riguardare gli aspetti organici, ma deve tenersi lontano dal problema delle origini evolutive della coscienza (e dell’autocoscienza) nonché dei sentimenti morale, estetico e religioso. Questi problemi, per il Papa, sono di pertinenza della filosofia e della teologia, e un approccio materialistico alla natura umana rappresenta una minaccia alla dignità dell’uomo.

I laici e gli scienziati che hanno salutato come illuminata la posizione del Papa e continuano a citarlo per sostenere che la Chiesa non è contro la teoria dell’evoluzione sono degli ingenui. Non si sono resi conto che tale posizione, di fatto, mira a delegittimare il lavoro di quei neuroscienziati, biologi evoluzionisti, antropologi e filosofi che da alcuni decenni vanno definitivamente smantellando una serie di capisaldi delle metafisica filosofica e religiosa. E che quando si dice che il solo fatto di interessarsi alle basi evolutive di quei connotati della natura umana che vengono riconosciuti come “spirituali” costituisce una minaccia alla dignità dell’uomo, si creano i presupposti ideologici per chiedere a livello politico di limitare la libertà della ricerca.

Il Cardinale Ratzinger ha colto chiaramente (o forse suggerito) il pensiero del Papa, visto l’impegno che ha dedicato e dedica a denunciare il diffondersi di idee che assumano la dottrina evoluzionistica come una sorta di “theologia naturalis”. Ratzinger, per esempio, ha attaccato, in un contributo pubblicato sul famoso “MicroMega” del 2000 dedicato a Filosofia e religione, non tanto l’evoluzionismo biologico, ma l’evoluzionismo esteso o epistemologico.

In particolare, se la prendeva con la teoria biologica della conoscenza di Popper, che vede nell’evoluzione un processo conoscitivo e nel vivente un meccanismo per la soluzione di problemi. Con un improbabile capriola argomentativa, Ratzinger liquidava come irrazionale l’impostazione popperiana, affermando la “razionalità” del cristianesimo (sic!). Anche il recente libro scritto dal presidente del Senato, Marcello Pera, ex filosofo della scienza ed evidentemente anche ex popperiano, insieme al Cardinale Ratzinger contiene una serie di utili indicazioni sulla natura del pregiudizio antinaturalistico della dottrina teologica oggi prevalente nella Chiesa.

In questo quadro si può leggere anche la sprovveduta operazione di impoverimento dell’istruzione scientifica in Italia, che caratterizza la riforma Moratti. Soprattutto sul versante dell’insegnamento delle scienze. Al di là delle dichiarazioni ispirate da una dell’educazione che vorrebbe essere liberale e volta a promuovere l’autonomia personale – visione drammaticamente carente in un paese dove le chiese cattolica e marxista hanno alimentato una pedagogia prescrittiva e costrittiva – nel fondo la riforma non rispetta i principi che dovrebbero ispirare, appare confermato proprio dall’esplicitazione di una parte dei cosiddetti “livelli essenziali di prestazioni”. Guarda caso quelli riguardanti l’educazione scientifica. Infatti, sia per quanto concerne la scuola primaria, ma soprattutto per la scuola secondaria di 1° grado spicca l’assenza di alcuni importanti obiettivi di apprendimento delle scienze, a fronte di una massiccia presenza di obbiettivi tesi a ’istruire’ paternalisticamente il comportamento. In tal senso, i contenuti rischiano di non risultare adeguati all’esigenza di predisporre lo studente a sviluppare individualmente un’organizzazione dinamica della conoscenza e della personalità per prepararsi a un futuro di apprendimento continuo e mettersi in condizione di rispondere adattativamente ai cambiamenti sempre più rapidi.

Per quanto riguarda il tema dell’evoluzione, i contenuti della riforma si inserivano, prima che fosse istituita l’improbabile Commissione dei saggi che dovrebbe spiegare come si insegna l’evoluzione ai bambini, esattamente nella linea pro-teoria dell’evoluzione e antievoluzionismo (inteso come orizzonte esplicativo anche per le funzioni cognitive superiori dell’uomo o dimensioni spirituali come piaceva chiamarle un tempo) propugnata da Giovanni Paolo II. La teoria dell’evoluzione biologica sarebbe stata insegnata, se la Riforma Moratti riguardante il I° ciclo fosse andata tranquillamente in porto, non come il quadro di riferimento concettuale all’interno del quale trovano un senso i problemi della biologia, incluse diverse questioni medico-sanitarie nonché temi tradizionalmente ascritti agli studi umanistici, ma probabilmente come un modello di spiegazione del cambiamento adattativo circoscrivibile ad aspetti morfologici e funzionali elementari dei viventi. Insomma, evitando accuratamente il diffondersi dell’“idea pericolosa” insita nel darwinismo.

Non vi è dubbio che l’attacco più consistente alla scienza, negli ultimi anni, la Chiesa l’ha portato aizzando un esercito di bioeticisti confessionali contro gli sviluppi delle ricerche e delle tecnologie della medicina riproduttiva e dell’ingegneria cellulare. Come mai abbia scelto di fare dell’equiparazione fecondazione eterologa/adulterio ed embrio-ne/persona una sorta di “bagnasciuga” per provare ad arrestare il processo di secolarizzazione della società, è un enigma. E sarà interessante vedere come si trarranno fuori dall’impaccio. Visto che tutti i sondaggi dicono che è sparuta minoranza quella che segue i precetti cattolici quando sono in gioco la salute e il benessere personale e familiare.

E visto che anche un certo numero di teologi cattolici, ricordando anche le lezioni di Jacques Maritain e di Richard McCormick, nonché di ricercatori cattolici si aspettano che la Chiesa modifichi le sue posizioni circa l’identificazione dello zigote con una persona umana.

Probabilmente vale anche nel caso delle dottrine della Chiesa, quello che il fisico Max Plank diceva di come si rinnovano le teorie scientifiche: non perché gli scienziati capiscono o si convincono che quelle nuove sono migliori, ma perché quelli che credevano nelle vecchie muoiono. Dovremo forse attendere che una nuova generazione di teologi recuperi quel buonsenso e realismo che a sprazzi e molto raramente, nel passato, la Chiesa Cattolica è persino riuscita a manifestare.


(14-5-2005)
[Modificato da pcerini 09/05/2008 12:19]
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09/05/2008 17:51
 
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Per quanto riguarda la scienza e la fede ti mostrerò un tratto del discorso di Benedetto xvi 2006 alla sapienza.
DISCORSO DI BENEDETTO XVI

La crescente "avanzata" della scienza, e specialmente la sua capacità di controllare la natura attraverso la tecnologia, talvolta è stata collegata a una corrispondente "ritirata" della filosofia, della religione e perfino della fede cristiana. In effetti, alcuni hanno visto nel progresso della scienza e della tecnologia moderna una delle principali cause della secolarizzazione e del materialismo: perché invocare il controllo di Dio su questi fenomeni quando la scienza si è dimostrata capace di fare lo stesso? Certamente la Chiesa riconosce che l'uomo "coll'aiuto della scienza e della tecnica, ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta intera la natura" e che pertanto "molti beni, che un tempo l'uomo si aspettava dalle forze superiori, oggi ormai se li procura con la sua iniziativa e con le sue forze" (Gaudium et spes, n. 33). Al contempo, il cristianesimo non presuppone un conflitto inevitabile tra la fede soprannaturale e il progresso scientifico. Il punto di partenza stesso della rivelazione biblica è l'affermazione che Dio ha creato gli esseri umani, dotati di ragione, e li ha posti al di sopra di tutte le creature della terra. In questo modo l'uomo è diventato colui che amministra la creazione e l'"aiutante" di Dio. Se pensiamo, per esempio, a come la scienza moderna, prevedendo i fenomeni naturali, ha contribuito alla protezione dell'ambiente, al progresso dei Paesi in via di sviluppo, alla lotta contro le epidemie e all'aumento della speranza di vita, appare evidente che non vi è conflitto tra la Provvidenza di Dio e l'impresa umana. In effetti, potremmo dire che il lavoro di prevedere, controllare e governare la natura, che la scienza oggi rende più attuabile rispetto al passato, è di per se stesso parte del piano del Creatore.

La scienza, tuttavia, pur donando generosamente, dà solo ciò che deve donare. L'uomo non può riporre nella scienza e nella tecnologia una fiducia talmente radicale e incondizionata da credere che il progresso scientifico e tecnologico possa spiegare qualsiasi cosa e rispondere pienamente a tutti i suoi bisogni esistenziali e spirituali. La scienza non può sostituire la filosofia e la rivelazione rispondendo in mondo esaustivo alle domande più radicali dell'uomo: domande sul significato della vita e della morte, sui valori ultimi, e sulla stessa natura del progresso. Per questa ragione, il Concilio Vaticano II, dopo aver riconosciuto i benefici ottenuti dai progressi scientifici, ha sottolineato che "il metodo di investigazione (...) viene innalzato a torto a norma suprema di ricerca della verità totale", aggiungendo che "vi è il pericolo che l'uomo, troppo fidandosi delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e più non cerchi cose più alte" (Ibidem, n. 57).

La prevedibilità scientifica solleva anche la questione delle responsabilità etiche dello scienziato. Le sue conclusioni devono essere guidate dal rispetto della verità e dall'onesto riconoscimento sia dell'accuratezza sia degli inevitabili limiti del metodo scientifico. Certamente ciò significa evitare le previsioni inutilmente allarmanti quando queste non sono sostenute da dati sufficienti o vanno oltre le capacità effettive di previsione della scienza. Significa però anche evitare il contrario, vale a dire il silenzio, nato dalla paura, dinanzi ai problemi autentici. L'influenza degli scienziati nel formare l'opinione pubblica sulla base della loro conoscenza è troppo importante per essere minata da una fretta inopportuna o dalla ricerca di una pubblicità superficiale. Come il mio predecessore Papa Giovanni Paolo II una volta ha osservato: "Gli scienziati, quindi, proprio perché "sanno di più", sono chiamati a "servire di più". Poiché la libertà di cui godono nella ricerca dà loro accesso al sapere specializzato, hanno la responsabilità di utilizzare quest'ultimo saggiamente per il bene di tutta la famiglia umana" (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 11 novembre 2002)




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Discendiamo all'inferno fin che siamo vivi (cioè riflettendo su questa terribile realtà) - diceva Sant'Agostino - per non precipitarvi dopo la morte".
nell'aldilà

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