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Libri e siti Web

Ultimo Aggiornamento: 12/03/2008 00:52
22/02/2008 12:40
 
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Come per il cinema, apro questa discussione per scambiarci i link dei siti più interessanti in quanto a Libri.

Sempre con il circuito Blogo.it vi segnalo BooksBlog nel quale potete trovare recensioni, classifiche, news , eccetera eccetera.. [SM=g6954]
Anche questo è un vero e proprio blog a cui potete partecipare con voti e commenti.

Interessante è anche questo sito: La Divina Commedia on-line.

Anche qua aspettiamo il vostro contributo e sotto con i link! [SM=g1436925]

(che sò ripetitiva forse?! [SM=g1436955] )

12/03/2008 00:46
 
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Casa editrice I SOGNATORI
Ho trovato questa casa editrice dopo lunghe e approfondite ricerche.
E devo dire che me ne sono innamorato IMMEDIATAMENTE!
Hanno hanno un blog che rende bene l'idea dell'innovazione che questa brava gente si vuol proporre di dare all'asfittica editoria italiana.

Ma quello che indubbiamente mi ha colpito sono i punti cardine della loro linea editoriale. Sei punti che spiegano in maniera altamente dettagliata perchè do incondizionato appoggio a questa ventata d'entusiasmo e innovazione! Dateci un'occhiata, vi farà molto riflettere su come vanno le cose...


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http://ihaveaneed.splinder.com



Life's not the same, since that day you went away I recall like the drops of summer rain that fell on me... come back to me, come back to me...



12/03/2008 00:52
 
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Per chi avesse la costanza di leggere fino in fondo ecco i sei punti sopra citati.





1) La grande truffa del contributo editoriale

La maggior parte delle case editrici italiane, al momento di pubblicare un esordiente chiede, anzi obbliga lo scrittore, a “contribuire” (da qui il nome) alle spese che verranno affrontate per stampare e pubblicizzare l’opera. Una richiesta che a qualcuno potrà sembrare sensata, ma che invece nasconde una vera e propria truffa.

Accettare o meno una richiesta di contributo è fondamentalmente una questione "etica". La nostra posizione è molto chiara al riguardo: fare il gioco delle case editrici che obbligano (perchè di un obbligo si tratta) gli esordienti a pagare il contributo significa "pompare" denaro nelle loro casse, potenziandole a scapito di quelle (ormai pochissime) che invece non chiedono alcun contributo. Si rafforza, così, un sistema volto a dare spazio soltanto a chi può permetterselo economicamente.. Non ci vuole poi tanto a farsi pubblicare in Italia, insomma: basta piegarsi alla logica imperante ed avere un gruzzolo da parte, indipendentemente dal talento di cui si è in possesso. Ma tra farsi pubblicare in questo modo e farsi pubblicare senza contributo c'è la stessa differenza che intercorre tra l'andare a letto con una donna innamorata, e l'andare a letto con una bellissima donna che richiede un contributo per le sue prestazioni. Non è un caso, dunque, che in Italia il mercato del libro sia saturo di libri scadenti: chiunque, anche con un talento mediocre, può farsi pubblicare, basta possedere qualche centinaia di euro, e il gioco è fatto. Farsi pubblicare da una casa editrice che non richiede contributo è molto più difficile, perché edita solo quei lavori in cui crede fermamente. E questo spaventa gli esordienti, che fuggono a gambe levate verso quella concorrenza pronta a dare spazio, come si suol dire, a cani e porci.

Detto questo, c’è anche da dire che conosciamo bene gli enormi costi di un’attività editoriale, e sappiamo che restare a galla in un mercato sovraffollato come quello italiano è complicatissimo. D’altronde tutti vogliono farsi pubblicare, ma in pochissimi vogliono fare qualcosa per garantire la sopravvivenza della piccola editoria, appoggiandola anche economicamente tramite l’acquisto dei libri che essa edita, con orgoglio e passione. A meno che non si verifichi un cambiamento di rotta, le piccole case editrici sono destinate ad estinguersi, e di questo passo gli esordienti avranno di volta in volta un alleato in meno nella lotta al sistema sclerotizzato dell’editoria italiana. E si arriverà al punto in cui tutti gli esordienti, indistintamente, per veder pubblicata un’opera dovranno sborsare tra gli 800 e i 7000 euro, a fronte dei pochi euro coi quali è possibile sostenere chi va controcorrente.

Comunque, noi non chiederemo mai il contributo: a questo punto, meglio chiudere i battenti e ritirarsi dignitosamente, piuttosto che passare dalla parte del nemico.

Noi ce l’abbiamo, un’etica…





2) Il nostro “no” alle librerie

“SULLE LIBRERIE”
di Aldo Moscatelli

Sono un lettore come tutti voi. E come tutti voi, conosco la magia delle librerie. Nei lunghi pomeriggi universitari, ero solito trascorrere il mio tempo bighellonando da una scansia all’altra; prediligevo gli orari morti, quando le librerie sono vuote e regna un silenzio confortante ed ossequioso.

Da scrittore, ho spesso sognato di poter vedere un mio libro riposto negli scaffali, od esposto (quanto ero ingenuo!) in vetrina. Mi piaceva l’idea di scorgere qualche ignaro lettore intento a sfogliare le pagine dei miei libri, nella speranza di cogliere un sorriso d’approvazione.

Chi ha avuto modo di leggere “Lo scrittore inutile”, racconto di chiusura de “Il cimitero dei giocattoli inutili”, sa bene di cosa parlo.

Divenuto editore, mi sono scontrato con una realtà ben diversa. E ho capito che in libreria non ci sono soltanto i libri, amici e compagni di tutta una vita. Ci sono anche persone, e interessi economici più o meno leciti. Così, quando a febbraio ho cominciato questa avventura nel mondo dell’editoria, dopo aver racimolato le informazioni necessarie, ho deciso di fare a meno delle librerie “classiche”.

Per tre motivi in particolare:

1) La ricerca di un canale di distribuzione, lo sconto librario e compagnia bella, fanno lievitare il prezzo di copertina del 30% e anche più. Ora, in un paese in cui tutti si lamentano del caro prezzi, e in cui i libri arrivano sugli scaffali alla modica cifra di 16-18 euro, mi è parso giusto andare controcorrente. Con tutti i rischi che ne derivano. È chiaro che il lettore preferisce tastare con mano il prodotto. La strada de I sognatori, in tal senso, è decisamente in salita. Abbiamo puntato tutto su qualità e costi contenuti: speriamo che i lettori apprezzino il fatto che ci sia qualcuno, in Italia, desideroso di far risparmiare loro qualche euro.

2) Come già accennato, la logica delle librerie è ormai esclusivamente commerciale. In sé, la cosa non stupisce, né deve stupire. Tuttavia, inserendo la libreria classica all’interno di un contesto più ampio, ci si rende conto che essa è concausa di molti problemi legati al mondo dell’editoria. Ad esempio: che fine fanno i libri delle case editrici emergenti? Buttati in un angolo a prendere polvere, a meno che non ci siano rapporti “di altro tipo” tra libraio e casa editrice. Quanti libri scritti da scrittori emergenti finiscono in vetrina? Nessuno, a meno che lo scrittore non abbia pubblicato per i soliti noti. Terza domanda: se un cliente entra in libreria e, rivolgendosi a un addetto, chiede consiglio su quale libro acquistare, quante possibilità ci sono che l’interrogato suggerisca il titolo edito da una piccola casa editrice, e scritto da un autore esordiente?

Ora, ogni volta in cui mi capita di parlare di questo argomento, c’è sempre qualcuno pronto a citare la libreria “alternativa” che agisce in maniera differente. Che esistano non lo metto in dubbio, però io non ne ho mai trovata una. Qualche giorno fa ho fatto visita ad una libreria che, in base al parere di un’amica, si distinguerebbe per lo spazio promozionale offerto alla piccola editoria. Sarà… ma in vetrina campeggiavano Moccia, Dan Brown, Melissa P. e Fabio Volo. L’unica scrittrice emergente era Licia Troisi. Che pubblica per Mondadori. Ho detto tutto.

3) Il fattore che in maggior modo mi tiene a debita distanza dalle librerie, come editore, è l’opzione dei resi. Per il sottoscritto, un ricatto bello e buono. Una libreria, infatti, può tranquillamente restituire le copie di un libro rimaste invendute, indipendentemente dalla promozione e dalla visibilità concesse all’opera. È pacifico che, relegando i lavori della piccola casa editrice in uno scaffale nascosto nella toilette, le copie resteranno invendute. Ma al libraio tutto questo importa poco: male che vada, potrà restituirle senza rimetterci un centesimo.

Riepilogando:

- i servigi (o pseudo tali) delle librerie incidono sul prezzo di copertina;
- il gioco varrebbe pure la candela, se le librerie si impegnassero sul serio nella promozione delle opere pubblicate da piccoli editori. Ma sappiamo che così non è: chi già gode di budget faraonici e campagne pubblicitarie a tappeto, usufruisce della maggiore visibilità. Poco importa se i libri piazzati in vetrina vengano considerati un po’ da tutti delle schifezze immonde. Ripeto, il discorso cambierebbe se la medesima opportunità di successo (cioè di vendita) venisse concessa a tutti, indiscriminatamente;
- l’opzione dei resi avvantaggia troppo le librerie e sfavorisce eccessivamente le piccole case editrici. In tal senso, occorrerebbe operare dei distinguo, rendere il sistema più elastico, tutelare in qualche modo la piccola editoria di qualità. Se si parla di visibilità, I sognatori e Mondadori sono su pianeti differenti, ma se si parla di resi, vengono poste invece sullo stesso piano. E questo non mi sembra giusto.

Concludendo, non è da escludere che in un prossimo futuro anche I sognatori possa adoperarsi per rendere più capillare la propria distribuzione, rivolgendosi alle librerie. Ma finché le nostre forze non ci consentiranno di correre simili rischi economici, le librerie continueremo a frequentarle soltanto come clienti.





3) Sul proliferare dei libri di facile consumo

La rete è piena di gente che parla malissimo di certi scrittori di successo, saliti alla ribalta per aver scritto il solito romanzetto di facile presa. Nulla di strano, per carità. Tuttavia, continuiamo a credere che il problema non stia tanto in chi scrive, ma in chi edita e in chi compra. Qualunque scrittore, infatti, dall’autore esordiente a quello affermato, dal più disonesto degli imitatori al giovane di talento, afferra una penna (o un portatile), inizia a pensare e poi scrive. Incipit-svolgimento-finale. Raccatta le bozze e le sottopone al giudizio di qualcuno. Quel che avviene dopo ha poco a che fare con lo scrittore. Sono le case editrici ad editare e promuovere (a suon di milioni) lavoretti di scarso valore. Lo scrittore non punta una pistola alla tempia dell’editore, quindi è quest’ultimo a peccare di disonestà culturale, se vogliamo essere precisi (i danni arrecati dagli scrittori incapaci sono altri: ne parleremo certamente più in là). C’è chi scrivere pensando ad Aristotele e chi scrive pensando al conto in banca: in entrambi i casi ci si espone al giudizio degli addetti ai lavori, e in seguito dei fruitori veri e propri. Se le case editrici operassero un filtro degno di tale nome, certi lavori non vedrebbero mai la luce. Ma tant’è.

Gli editori, a loro volta, promuovono quel tale romanzo perché sanno benissimo che un mucchio di gente lo acquisterà ad occhi chiusi. Ora, se i lettori fossero disposti ad offrire le medesime opportunità tanto allo scrittore sulla bocca di tutti quanto allo scrittore sconosciuto, le cose andrebbero diversamente. Purtroppo, però, la maggior parte degli italiani acquista quattro o cinque libri (i soliti noti, ovviamente) nel corso di un anno, tralasciando tutto il resto.

In questo modo, la sperequazione aumenta; gli esperti di marketing, quei gran cervelloni, si accorgono che a vendere sono soltanto gli instant-book. E le case editrici… le case editrici si adeguano, pubblicando quello che la maggior parte dei lettori, occasionali o non, richiedono.

Come risolvere il problema?

Non certo intervenendo alla fonte, dal momento che uno scrittore deve essere libero di scrivere quel che gli pare (o quel che può: il talento non è uguale per tutti). Ma se i lettori mandassero un segnale forte alle case editrici, e quest’ultime si decidessero una buona volta a scegliere con criteri differenti da quello meramente commerciale le opere da pubblicare, qualcosa forse cambierebbe.

Per dirla in due parole: non è tanto quel che si compra e che si legge a esacerbare il sistema, ma quel che non si compra e non si legge.

Facile, poi, che in assenza di pietre di paragone, un lettore inesperto (anche in buona fede) scambi il diario di una ninfetta sicula per un testo provocatorio, ignorando al contempo chi siano Nabokov, Bukowski, Ballard e Miller.





4) Sull’arroganza di certe case editrici (esperienze di vita vissuta)

ESPERIENZE TRAUMATICHE
di Aldo Moscatelli

Avviso: questo post potrà essere compreso appieno soltanto da chi NON considera un’opera letteraria, scritta da sé o da altri, come un banale insieme di fogli numerati.

Sul finire del 2003 contattai i tipi di una casa editrice campana per sottoporre alla loro attenzione alcuni miei racconti, poi terminati nella raccolta “Il cimitero dei giocattoli inutili e altri racconti calpestati”. Inviai il pacco tramite raccomandata con ricevuta di ritorno; la ricevuta tornò fra le mie mani a distanza di due settimane, regolarmente firmata. Iniziò così la solita, snervante attesa; ero pronto a pazientare per i consueti tre-quattro mesi, ma a un certo punto mi resi conto che le cose stavano andando un po’ per le lunghe. Inviai così una mail nella quale chiedevo (gentilmente) spiegazioni circa il ritardo nell’inoltro del responso. Mi fu risposto che (cito testualmente):

“Il suo lavoro non risulta pervenuto in forma cartacea a V., da qui il fatto che non le è stato risposto, anche perché non sapevamo a cosa rispondere”.

Naturalmente la notizia m’inquietò non poco, e chiesi immediatamente spiegazioni; ero in possesso della ricevuta controfirmata da un loro addetto (il nome era ben leggibile e mi fu confermato che la firma riportata apparteneva a una loro dipendente), a testimonianza di come il mio pacco fosse regolarmente giunto in redazione. La loro risposta, di una freddezza e di una maleducazione uniche, verté su pochi concetti insulsi, tra i quali (cito ancora una volta testualmente):

1) “riceviamo circa 800 testi all’anno, e rispondiamo a circa il 99% degli autori, fra l’altro senza chiedere un centesimo come tassa di lettura”;

2) “il suo sgomento è esagerato”;

3) “lei è libero di esternare tutta la delusione che crede… ma in un Paese in cui si dà sempre tutto per scontato una risposta come la sua è pienamente coerente”;

4) “la sua fiducia nei riguardi del sistema editoriale italiano rischia di venir meno GRAZIE a noi? Cosa rispondere se non: si figuri!” (seguono tanti ghirigori a forma di sorriso).

A questi quattro punti replicai in questo modo:

1) “Non mi interessa nulla della vostra presunta semi-infallibilità, né vedo cosa possa centrare col mio caso. Avete smarrito i miei racconti e invece di chiedere scusa vi nascondete dietro sterili statistiche. Complimenti! Inoltre: asserite di non chiedere un centesimo per la lettura dei lavori. E ci mancherebbe pure! Ma cosa siete, una casa editrice o un’agenzie letteraria?”

2) “Il mio sgomento è esagerato? Certo, non siete voi ad aver perso soldi, tempo e speranze per un errore altrui, no? Non è che per caso siete voi a minimizzare, e a fingere che nulla di importante sia davvero accaduto? Cosa ancor più grave: senza neanche scusarvi per il disagio arrecato; ammettete sottovoce l’errore ma invocate a gran voce mille attenuanti pur di non chiedere limpidamente scusa. È così umiliante per voi dare ragione a uno scrittore esordiente?”

3) “Posso esternare tutta la delusione che voglio, eh? Già, tanto a voi che importa? Io sono l’anonimo scribacchino, il numero archiviato in un fascicolo. Delle mie rimostranze potete fregarvene, perché siete dall’altra parte della barricata; in caso contrario (o se mostraste almeno un minimo di empatia) vi scrollereste di dosso quella spocchia da giudici supremi e capireste davvero in cosa avete sbagliato: non tanto nell’aver smarrito un pacco (certe cose capitano a tutti, me compreso), quanto nell’esservene fregati dell’errore commesso. Qualora nella vostra mail vi foste degnati di scrivere cose del tipo: “abbiamo perso il suo pacco, siamo mortificati e speriamo che lei voglia concederci una seconda possibilità, nella speranza che l’incidente occorso rimanga isolato”… beh, non avrei avuto alcun problema a rispedirvi i racconti. Perché, mettetevelo bene in testa, qui nessuno pretende miracoli: ci si aspetta soltanto di essere letti e valutati. Voi lo avete fatto? No! E allora tacete. È il vostro vittimismo, piuttosto, a ben rappresentare il nostro Paese: voi, che pretendete di essere ringraziati anche davanti agli errori più grossolani, sperando che la gente presti maggiore attenzione alla quantità delle promesse sbandierate piuttosto che alla qualità dell’effettivo servizio prestato.

4) “Sì, la mia opinione nei confronti del sistema editoriale è ormai finita sotto le scarpe, anche grazie a voi. Ma non siate timidi, o modesti: devo ringraziarvi eccome! Mi avete svelato anticipatamente il vostro vero volto, arricchendomi con un’esperienza in più (della quale farò tesoro in futuro). Meglio così, credetemi. Il fatto stesso che, nonostante la notevole estensione della vostra mail, non mi sia stata rivolta alcuna scusa per l’incidente verificatosi, è indice (a mio parere) della vostra superbia, nonché espressione di un certo modo di considerare la figura dello scrittore esordiente qui in Italia. Ad ogni modo, vi invito a chiudere qui la questione e a non inviarmi ulteriori mail. In caso contrario, vi informo sin da ora che eventuali, nuovi messaggi di posta elettronica riceveranno lo stesso trattamento riservato ai miei racconti: ovvero, non verranno letti, ma ignorati e immediatamente cestinati”.

A distanza di dieci giorni mi giunse una mail da parte del direttore editoriale in persona. L’oggetto faceva riferimento a certe misteriose scuse…

Le pretendevano da me o si trattava piuttosto di un intempestivo mea culpa?

Mistero dei misteri…





5) Le esperienze “traumatiche” di altri scrittori esordienti

Il signor P. ci ha fatto notare che nel Rifugio degli esordienti è segnalata come “non a pagamento” una casa editrice che invece chiede il contributo agli scrittori. Nulla di cui sorprendersi, in tal senso; fortunatamente c’è un numero crescente di esordienti che rifiuta a priori l’idea di pubblicare col contributo. Si tenta quindi di mascherare la verità in due modi: o tacendo sulla richiesta di denaro o negandola apertamente. A che pro? Semplice: in questo modo gli scrittori invieranno comunque il proprio lavoro e chi lo riceverà tenterà di convincerli a sganciare i soldi con lodi sperticate, promettendo mari e monti sul piano distributivo e pubblicitario, coscienti di poter trovare (e probabilmente ci riescono davvero) il proverbiale pollo da spennare.

Anche G. ci ha raccontato la sua esperienza, che è poi quella di tanti esordienti: ha scritto un romanzo, lo ha spedito in giro per l’Italia, soltanto due case editrici le hanno risposto (con la solita lettera fotocopiata, però), poi ha scovato una micro-casa editrice che le ha concesso fiducia e le ha pubblicato il romanzo a costo zero. In tal senso, la caparbietà di G. è assolutamente ammirevole. E allora diamola un’opportunità, a questa piccola e coraggiosa editoria! Sì, pubblicità e distribuzione saranno difficoltose ma, con l’aiuto di tutti, noi piccoli potremo crescere e dare filo da torcere a chi intravede, nei sogni degli scrittori di talento, qualcosa su cui lucrare. C’è da dire che l’impegno col quale operano le piccole case editrici non a pagamento è enorme. C’è un dato incontrovertibile a sostegno della nostra tesi, ed è questo: laddove gli editori a pagamento, ottenendo il contributo, coprono praticamente tutte le spese (e non solo), e possono quindi fregarsene se poi un’opera viene venduta concretamente, le case editrici non a pagamento devono invece sudare sette camicie per poter rientrare nelle spese. E l’unica arma a loro disposizione è la vendita: hanno tutto l’interesse, dunque, a piazzare le copie. Il futuro dell’editoria italiana passa anche attraverso l’operato delle piccole case editrici, ne siamo certi.

V. M. ha invece espresso un’esigenza umanissima degli scrittori esordienti, attraverso queste poche parole: “Quando inviamo un nostro manoscritto ad una casa editrice, credo che una risposta la meriteremmo. Magari anche negativa, ma motivata”. Lo crediamo anche noi, l’abbiamo già detto e lo ripetiamo: i responsi-fotocopia non servono a un tubo, e non sono professionali. La nostra casa editrice fornisce (senza chiedere un centesimo) schede di valutazione lunghe e dettagliate, indipendentemente dal responso. Cerchiamo di offrire qualcosa in più perché, francamente, ce ne freghiamo di ciò che fanno gli altri. Le normali case editrici inviano letterine prestampate? Fatti loro. Esistono le agenzie letterarie? E chi se ne frega. Combattiamo certi malcostumi da tempo, non ci lasceremo certamente mediocrizzare da chi sostiene che “la realtà è questa e bisogna accettarla perché tutti fanno così”.

Qualcun altro, infine, ha sollevato un problema ancor più delicato, sostenendo che pure gli scrittori esordienti, accettando il ricatto del contributo, alimentano “questo circuito perverso”. Noi ci spingiamo oltre: non solo alimentano il circuito, ma sviliscono se stessi, il proprio talento (per chi ce l’ha) e la professione di scrittore. Confondono le acque, oltretutto, perché c’è gente convinta che uno scrittore, anche se pubblicato col contributo, sia superiore a uno scrittore rimasto anonimo per non aver ceduto al medesimo ricatto. Così non è. La differenza fra i due non è qualitativa, ma economica. Segno che la meritocrazia ormai non esiste più, o sopravvive a stento.

Sul fatto che gli scrittori siano concausa del problema, dunque, non ci piove. Da mesi ci sgoliamo ripetendo che bisogna cambiare la situazione. Che gli esordienti devono maturare un’etica forte. Che bisogna portare pazienza. Che bisogna evitare le case editrici a pagamento e incentivare quelle, coraggiose, che pur con un misero budget a disposizione si fanno in quattro per aiutare gli scrittori capaci ad uscire dall’anonimato.





6) L'incuria di certi scrittori esordienti

Non passa giorno senza che qualche scrittore, contattandoci, non ci avverta che:

“per evitare spiacevoli incomprensioni, dichiaro di non essere disposto a pubblicare mediante contributo editoriale”.

Un’affermazione del genere lascia intendere che chi ci ha contattato, non solo non ha la più pallida idea di chi siano i sottoscritti, ma non si è premurato neanche di leggere la home page del sito. Avrà rintracciato l’indirizzo chissà dove, e poi via: romanzo in allegato e mail di routine. Noi non pretendiamo che qualcuno vada a leggersi ogni pagina del sito (operazione che porterebbe via, comunque, non più di mezz’ora), ma almeno il “programma d’intenti”, in modo da conoscere la nostra politica editoriale. Per non parlare del concetto stesso di “mail prestampata”, aborrita da certi scrittori esordienti quando sono le case editrici ad inviarle; per poi rivalutarle, invece, quando sono loro a non avere tempo…
Ci sono inoltre scrittori che dichiarano:

“dopo aver attentamente studiato il vostro catalogo, ho deciso di inviarvi questa raccolta di poesie, certo che potrà trovare adeguata collocazione all’interno del suddetto catalogo”.

Piccolo particolare: noi non pubblichiamo poesie…
In casi come questi, si passa dalla superficialità alla presa in giro. Un conto, infatti, è limitarsi a non leggere, un conto è fingere di aver letto (attentamente!) e dichiararlo per farsi belli. Fin qui abbiamo avuto il tempo (e la pazienza) di rispondere ogni volta che, come già specificato nel sito, la nostra casa editrice non prende in considerazione lavori di quel genere. Oggi, stanchi dell’approccio dilettantistico palesato da alcuni scrittori esordienti, abbiamo deciso di ignorare mail e lavori non in linea con quanto espressamente richiesto, inserendo l’avvertenza sul sito. È chiaro che i frettolosi, quelli che spediscono poesie e saggi che nessuno ha chiesto, non leggeranno l’avviso; tuttavia, potremo permetterci di ignorarli e di risparmiare (anche noi) un po’ di tempo.
Il mondo editoriale non è, come vorrebbe qualcuno, tutto bianco o tutto nero. Vi sono molteplici fasce intermedie, per cui generalizzare e categorizzare non ha alcun senso. C’è casa editrice e casa editrice, così come c’è scrittore esordiente e scrittore esordiente. In quest’ultimo caso, alcuni di essi mostrano attenzione e scrupolosità, altri denotano atteggiamenti superficiali che vanno soprattutto a loro svantaggio. Per fare i soliti esempi: a che pro spendere fior di euro per l’invio cartaceo di poesie e saggi, senza aver avuto PRIMA l’accortezza di appurare se quella determinata casa editrice è interessata a quel genere di pubblicazione?
E ancora: perché spedire un romanzo a una casa editrice a pagamento, se poi non si ha alcuna intenzione di contribuire alle spese? Non è meglio svolgere una piccola ricerca, prima di recarsi alle poste? Ma evidentemente alcuni scrittori preferiscono dilapidare risorse piuttosto che impiegare qualche minuto della propria vita a reperire le dovute informazioni.
È proprio questo il punto: tutto quel che facciamo – con particolare riferimento alla mole di informazioni presenti sul nostro sito, e inserite ormai da due mesi – ha lo scopo precipuo di far risparmiare agli scrittori tempo e/o denaro. Se scriviamo a chiare lettere “NON prendiamo in considerazione poesie e saggi”, è perché ci rammarica l’idea che qualcuno, per via di una nostra eventuale negligenza, possa gettare al vento soldi e speranze.
Idem per quel che riguarda l’invio dei lavori; anche su questo fronte, il nostro sito è molto chiaro: chi desidera inviarci del materiale cartaceo, magari romanzi poco voluminosi, è liberissimo di farlo. Chi invece predilige l’opzione dell’invio in allegato mail, è tenuto ad acquistare un lavoro presente nel nostro catalogo. Ora: fotocopiare e spedire (in posta prioritaria) un lavoro di 150 pagine costa circa dieci euro; i libri presenti nel nostro catalogo, invece, hanno un prezzo di copertina pari o inferiore a tale cifra. È chiaro (se la matematica non è un’opinione…) che uno scrittore, davanti alla necessità di spedire tomi superiori alle 150 pagine, ha tutto l’interesse ad avvalersi della spedizione in allegato. Cosa ancora più importante: in allegato è possibile spedire anche due lavori simultaneamente (due romanzi da 200 pagine l’una, per esempio), sempre dietro acquisto di un solo libro.
Nonostante questo, giungono in redazione quasi giornalmente dattiloscritti cartacei di centinaia e centinaia di pagine. Basta contare i francobolli o dare un’occhiata all’etichetta adesiva impressa sul plico, per scoprire quanto ha speso il mittente: in media, dai 4,50 ai 6,50 euro, con punte anche maggiori. Tutti i lavori, adeguatamente fotocopiati, presentano fascette laterali in plastica dura, e spesso sovraccoperte in cartoncino o in plastica. Per farla breve: c’è chi arriva a spendere più di 15 euro per fotocopiare, impaginare e inviare il proprio lavoro, quando basta spedirlo in allegato per risparmiare qualche euro e (soprattutto) portarsi a casa un libro.
Lungi da noi annoiarvi con la solfa del “bisogna aiutare concretamente la piccola editoria” (concetto che tanto resta a portata di pochi, e da pochi attuato), o elencare i motivi per i quali certe persone rinunciano volontariamente alle opportunità da noi offerte. Ma per tornare all’argomento iniziale, di una cosa siamo certi: molti scrittori rintracciano l’indirizzo della nostra sede leccese in giro per la rete (sul Rifugio, per esempio), prendono nota e poi spediscono direttamente il dattiloscritto, senza neanche premurarsi di visitare il nostro sito.
Perdendo, in questo modo, l’opportunità di risparmiare un po’ di soldi, di conoscerci meglio, e di evitare figuracce scrivendo mail lapidarie come questa:

“vi spedisco in allegato il mio ultimo romanzo. Attendo contratto”


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