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Gli italiani e le tre erre

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2007 08:39
05/11/2007 08:39
 
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Gli italiani e le tre erre

Razzismo Rom Rumeni. Tre erre che sintetizzano il nero avvoltoio che agita in queste notti il sonno degli italiani. La peggiore, lo dico subito, mi sembra la prima che vede nel diverso, nello zingaro (come suona stranamente antiquata questa parola) il nemico numero uno, più pericoloso del camorrista o del mafioso che «incapretta» la sua vittima o la dissolve in una colata di cemento. E subito dopo, quasi per derivazione genetica, individua nel «rumeno» il suo equivalente. Forse in questi anni ci siamo perduti troppo appresso al nostro particolare, alle lotte intestine della politica nazionale, alle correnti, agli scandali, sempre più lontana e remota la nostra cattiva coscienza nei confronti del «diverso». Abbiamo dimenticato il nostro girare la testa dall’altra parte quando i «cittadini di razza ebraica» furono cacciati dalle scuole e dagli uffici (pubblici e non solo); e nel ’46 (o forse era il ’47, non ricordo) sotto l’etichetta di «italiani brava gente», ci siamo riabilitati tutti in blocco con una vasta amnistia.

Dimenticando non solo la generale indifferenza con cui erano state accettate le orrende leggi razziali (e i profittatori che si erano arricchiti alle spalle degli «untermenschen») ma anche dell’indiscriminato massacro della popolazione locale durante la «gloriosa» conquista dell’Etiopia dove i somali e gli eritrei venivano raffigurati con gli anelli al naso e il gonnellino di paglia.

Nessun esame di coscienza, nessuna educazione scolastica. Persino i ragazzi che oggi sono all’Università, salvo pochi, sanno quale è stato il comportamento dei loro nonni nei confronti del «diverso» (ma anche del «simile» perché gli ebrei erano italiani a tutti gli effetti, e gli ebrei del Portico d’Ottavia più italiani dei piemontesi o dei calabresi perché vivevano già a Roma al tempo di Augusto). Si è preferito «dimenticare» e «guardare al futuro», senza capire che senza una coscienza della Storia alle nostre spalle anche il futuro finisce per traballare.

La morte di Giovanna Reggiani in quella stradina oscura di una «toppa» di periferia in pieno degrado, è un dolore collettivo forte, una violenza che colpisce tutti noi, e mi è sembrata straordinaria, e vorrei qui sottolinearla, la reazione della famiglia che ha subito detto che non andavano criminalizzati i cittadini rumeni. Anche se stranamente questa reazione così profondamente civile è stata scarsamente recepita, come se dovesse venire subito travolta dall’indignazione collettiva.

Mostruoso mi è apparso al contrario il raid dell’altra sera fuori il supermercato di Tor Bella Monaca. Organizzato in gruppo con un apparato da Klu Klux Klan: dieci ragazzi muniti di passamontagna e bastoni contro quattro uomini inermi con le mani occupate dalle borse della spesa, spesa acquistata con i soldi sudati su un lavoro di sicuro sottopagato. Perché se i «rumeni» vivono in baracche di lamiera e cartone non è per amore del degrado (avete mai provato a lasciare una sedia rotta e un tavolino traballante accanto a cassonetti della nettezza urbana in periferia? E controllato in quanto breve tempo spariscono?) ma perché devono sottostare all’arbitrio di datori di lavoro di scarso scrupolo e granitica sicurezza di impunità. Io li vedo, i «rumeni» ogni mattina sotto il cavalcavia dell’Olimpica a Tor di Quinto in attesa che qualcuno li ingaggi; e delle volte sono ancora lì ad aspettare a mezzogiorno, le mani in tasca. Allora chi è più colpevole, l’italiano «brava gente» o il rumeno fatto sgomberare in quattro e quattrotto con le sue sedie e il materasso recuperato fra i rifiuti, costretto a mimetizzarsi in baracche indegne di un paese civile lungo le sponde di un fiume ingombro di immondizia?

Senza dimenticare che a chiamare aiuto perché venissero in soccorso della signora scaraventata nel breve dirupo a ridosso di quella maledetta stradina, è stata una donna rumena. E con grande coraggio ha detto nome e cognome del colpevole.

Rosetta Loy - da L'Unità del 4 ottobre 2007


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