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Fonderia Brighenti - Bologna

Ultimo Aggiornamento: 28/12/2010 17:56
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08/10/2007 22:22





Dei numerosi fonditori attivi a Bologna nel corso dei secoli sappiamo per lo più quanto si ricava dalle campane stesse e non molto di più (con rare eccezioni), a causa del generale disinteresse che i ricercatori di storia locale hanno quasi sempre nutrito per l’argomento.

Fa eccezione la fonderia Brighenti, di cui si possiede l’archivio, arrivato a noi in discrete condizioni (malgrado le lacune riguardanti anni spesso cruciali), gelosamente conservato dagli eredi (i figli di Cesare, l’ultimo fonditore della famiglia). Quello che sappiamo si deve sostanzialmente a loro, che in più occasioni hanno pubblicato contributi sulla storia della famiglia; lo integrano informazioni facenti parte del bagaglio dei campanari locali (specie relative alle campane stesse).

Il ceppo della famiglia risale al ‘600, e proviene da S. Martino in Argine (BO); l’attività tradizionale di famiglia era quella di capomastro/architetto, che fu condotta da numerosi rappresentanti, fino all’ultimo, Vincenzo, morto nel 1893. Si dedicarono soprattutto all’edilizia religiosa, costruendo e ristrutturando i particolar modo chiese e campanili. Si avviava un figlio – di solito l’ultimogenito – ad un’attività differente da quella dominante in famiglia per diversificare i settori produttivi, evitando che troppi si dedicassero ad un lavoro che poteva non bastare per tutti. Fu così che Sebastiano (n. 1735 – m. ?) avviò l’ultimo suo figlio, Gaetano, al lavoro di fonditore di campane.


GAETANO (n. 1777 – m. 1847) e GIUSEPPE I (n. 1798 – m. 1837)

Gaetano rileva nel 1813 (a 36 anni) la fonderia di campane appartenente ad Angelo Rasori (tuttavia ancora attivo almeno fino al ’29), situata in alcuni angusti locali nei pressi di porta Galliera (oggi non più esistenti in quanto coinvolti nelle demolizioni di fine secolo per l’apertura di via dell’Indipendenza).
Non si sa nulla dei suo trascorsi: l’ipotesi più probabile è che la sua formazione avvenga presso lo stesso Rasori, del quale sarà stato con ogni probabilità dipendente per lungo tratto (si iniziava a lavorare in giovane età), da un certo momento in poi con la verosimile qualifica di “primo uomo”. Tra l’altro anche gli ideali estetici ed i criteri costruttivi – pur non identici – non sono lontanissimi.

La direzione dell’azienda viene ben presto affidata al figlio Giuseppe, che compila quasi tutti i registri a partire dal 1817 (in particolare è di suo pugno fino alla morte un quadernetto tecnico che copre l’intero arco 1817-1847), e che firma quasi tutti i lavori eseguiti negli anni 1818-1837 (un caso di paternità di Gaetano e Giuseppe insieme, pochissimi del solo Gaetano). Appartengono a questo periodo molti eccellenti concerti: mi limito a ricordare (ma sarebbero tutti degni di menzione) Vimignano 1827, Castel S. Pietro 1828, Granarolo 1833, S. Giacomo a Castelfranco 1834, S. Luca 1835, S. Giorgio di Piano 1837 (progettato ed iniziato da Giuseppe, completato da Gaetano dopo la morte del figlio).

Morto Giuseppe, Gaetano conduce da solo l’azienda per alcuni anni, fondendo alcuni concerti di buona qualità (per es. Veggio 1840, Castel di Casio 1842, ma soprattutto il notevolissimo S. Giacomo a Bologna del 1842-44). Richiama quindi presso di sé il nipote Clemente (nato nel ‘20, ultimo figlio del fratello Vincenzo), che aveva già lavorato presso la fonderia in un periodo imprecisato (era evidentemente giovanissimo), allontanandosene temporaneamente per collaborare con Serafino Golfieri. Il ruolo non secondario ricoperto ben presto da Clemente è provato da alcuni notevoli concerti firmati da Gaetano e Clemente: Sassomolare 1844, Liserna e Castel d’Aiano 1845, ma soprattutto l’eccezionale S. Francesco di Bologna del 1847 (malamente elettrificato nel 1968, con rottura e rifusione della mezzanella).


CLEMENTE (n. 1820 – m. 1894)

Nel 1847, alla morte dello zio, Clemente assume la gestione della fonderia, iniziando il più lungo periodo in cui l’azienda è stata retta dal medesimo titolare. Innumerevoli i concerti fusi in quasi mezzo secolo di attività, tutti degni di nota, alcuni eccellenti. Ricordiamo Tignano 1855 (grossa in tono minore 1883), Castel dell’Alpe 1857, S. Bartolomeo a Bologna 1857, Zola Predosa 1863, Bagno di Piano 1864, S. Martino in Argine 1868, Gragnano 1871, Mascarino 1873, Trasasso 1876, Crocette di Pavullo (MO) 1878, Calcara 1883, Pieve di Roffeno 1889.

Al periodo immediatamente successivo agli esordi come titolare si riferisce l’episodio della fusione di cannoni destinati al Governo Repubblicano Bolognese (insediatosi il 9 febbraio 1849): nella primavera, con la lavorazione in corso, gli austriaci nuovamente occupanti la città scoprono casualmente il fatto; Clemente è arrestato e condannato a morte, sentenza che per l’intercessione del Cardinale Legato viene commutata nella confisca dei beni della fonderia (se ne conserva l’elenco). Alle difficoltà conseguenti (si deve pensare che venisse applicata una sorta di interdizione temporanea dall’esercizio legale dell’attività) è legata la collaborazione tra Clemente e Serafino Golfieri, che ha prodotto tra l’altro i concerti cittadini della Croce del Biacco (1849) e dell’Annunziata (1850, ora a Pennabilli, PU). Il contratto relativo a quest’ultimo prevede che la fusione si svolga nella fonderia Brighenti, che evidentemente era operativa malgrado il citato sequestro.

La produzione ben presto spazia in tutte le zone dove si sta estendendo la tradizione del doppio alla bolognese, cui Clemente fornisce gli strumenti ideali a realizzare il passaggio dal “terzo” al “quarto”, provvedendo spesso anche all’equipaggiamento di ceppi e battagli ed al montaggio: soprattutto nel bolognese, ma anche nel modenese, nella Romagna viciniore (ma non va dimenticato il “quarto” – non più esistente - del duomo di Forlì, un concerto in re bemolle del peso totale di 60 q.li circa, secondo il Bonacini) e nel ferrarese.

Non mancano concerti fusi per il meridione (Duomo di Barletta 1880) e per l’estero (Russia, India ed Indie Inglesi). Si inizia pure l’attività estremamente redditizia di noleggiare campane agli impresari teatrali per rappresentazioni per lo più liriche. Notevole il livello di agiatezza della famiglia, che dispone di un discreto patrimonio anche immobiliare. Continua pure la fusione di pezzi meccanici, per lo più bronzine per campane e per macchine varie.

Non si deve tuttavia ritenere che l’impostazione del lavoro fosse di tipo semi-industriale: la fonderia era la stessa degli avi, col solito piccolo forno da 20 q.li, nei soliti locali che consentivano l’impiego di non più di 4-5 operai (oltre a titolare e figlio). Questa la situazione che eredita Giuseppe II nel 1894, alla morte del padre.


GIUSEPPE II (n. 1852 – m. 1910)

Pare che nel periodo ’89-’94 i registri della fonderia vengano compilati indifferentemente da Clemente e dal figlio Giuseppe . Certamente la direzione dell’azienda Clemente non l’affidò mai a nessun’altro: all’interno della famiglia lo si è sempre ricordato come persona di riconosciuta autorità, ma anche dal carattere autoritario. Nel ’93 compare su di una campana il nome di Giuseppe accanto a quello del padre (la grossa in tono di sesta della basilica di S. Luca a Bologna). Dal ’94 inizia a firmare i bronzi il solo Giuseppe. Inizia così un periodo breve, ma assai importante per l’azienda. Numerosi i concerti fusi da Giuseppe II, tutti conformi allo standard della produzione di Clemente, alla quale del resto lo stesso Giuseppe aveva fattivamente contribuito da sempre, durante la lunga e “monocratica” gestione paterna: bisognerebbe ricordarli tutti (o quasi), ma ci limitiamo a citare S. Benedetto del Querceto 1894, Merlano 1895, Samoggia 1896, S. Maria di Zena (vulgo Monte delle Formiche) 1901, S. Agostino (FE) 1902, Guzzano di Camugnano 1902, Quaderna 1906.

Sotto la gestione di Giuseppe II l’azienda conosce il periodo di maggior prosperità. Partecipa ad esposizioni nazionali ed internazionali riportando premi (Parigi 1900, Milano 1906) e continua ad essere presente sul mercato internazionale (Brasile ed India). Aumenta il prestigio e la visibilità della ditta, che ottiene da Pio X la qualifica di “Fonderia Pontificia” (1907), mentre lo stesso Pontefice nomina Giuseppe “Cavaliere del Pontificio Ordine di S. Gregorio Magno” (1908). Alla fine del secolo Giuseppe trasferisce la fonderia dalla vecchia sede di cui l’azienda è affittuaria (proprietario il comune) alla nuova, subito fuori porta Lame, dotata di ampi locali e di un forno della capacità di 45 q.li. Di tale prospera gestione è prova altresì la florida condizione economica della famiglia, che mantiene le buone condizioni di vita già assicuratele da Clemente.


CESARE (n. 1884 – m. 1963)

Alla morte di Giuseppe (28 aprile 1910) la conduzione dell’azienda passa al figlio Cesare, che fin dal 1898 aveva preso a lavorare in fonderia. Nel primo decennio di attività compaiono lavori più che soddisfacenti, allineati alle buone realizzazioni degli anni precedenti: ricordiamo Anconella 1910 e S. Andrea Pélago (MO) 1920. Ma non mancano esempi opposti, per es. Malfolle 1911. Si presenta insomma da subito quella che sarà la più costante caratteristica della produzione di Cesare: qualche concerto buono (nessun capolavoro degno di quelli degli avi) annegato in un mare di realizzazioni a volte mediocri, spesso insoddisfacenti. Ricordiamo i più degni: S. Martino di Casalecchio 1938, S. Antonio da Padova a Bologna 1939, Renazzo 1946, Spirito Santo 1947, S. Caterina di Saragozza a Bologna 1947, SS. Trinità a Bologna 1947, Vergato 1950. Accanto a questi andrebbe ricordata – ma ce ne asteniamo - la serie veramente cospicua dei concerti famigerati presso i campanari bolognesi. Come si è visto dalle date, parecchi lavori risalgono al periodo delle rifusioni post-belliche: paradossalmente, le cose peggiori non si collocano in questo ambito, mentre ci si potrebbe aspettare che lo scadente titolo della lega passata dallo Stato condizionasse negativamente proprio la qualità di questa produzione.

Cesare gestisce in proprio la fonderia dal 1910 al 1915 e dal 1945 al 1951, mentre dal ’19 al ’43 è in società con fratelli Clemente e Vincenzo. La fonderia sospende l’attività nel periodo delle due guerre, dal ’15 al ’18 e dal ’43 al ’45, in questo caso a seguito della quasi totale distruzione dei capannoni a seguito dei bombardamenti di inizio settembre ’43.

Dopo la prima guerra mondiale la fonderia partecipa alla campagna di rifusione delle campane requisite dagli austriaci nelle zone del Trentino e della Venezia Giulia. In funzione dell’accresciuta mole di lavoro (legata non solo alle campane) viene costruito un nuovo forno – che si aggiunge al precedente da 45 q.li – della capacità di 120 q.li. Nel periodo di massima espansione l’attività si estende a fusioni artistiche e a fusioni tecniche e meccaniche, comprendendo pure un’officina meccanica (produzione di bruciatori a nafta), arrivando ad impiegare una cinquantina di addetti.

Fatta eccezione per i periodi delle rifusioni, la produzione di campane risulta marginale per la ditta, impiegando non più di quattro o cinque addetti, e nemmeno a tempo pieno. Ciò non toglie che di tutta la dinastia Cesare sia quello che ha fuso più campane (ricordiamo anche, riferibile agli anni ’30, un concerto di sei campane per il duomo di Sirausa).

Nel ’42-’43 la ditta riceve l’incarico di procedere alle requisizioni per conto dello Stato.
Per ragioni varie, su cui sorvoliamo, l’unico settore in piena attività resta nel secondo dopoguerra il reparto campane; malgrado ciò, per la totale crisi degli altri settori di attività, la ditta è costretta a modificare la ragione sociale, che dal ’52 risulta essere “s.r.l. F.E.M. Brighenti” (Fonderia Emiliana Metalli Brighenti), essendo Vincenzo amministratore unico e Cesare direttore tecnico (l’altro fratello, Clemente, era morto nel ’41). Riprende la produzione di campane (ricordiamo anche un concerto fornito per il Sud America) ed altre produzioni artistiche e tecniche. La ditta cessa infine l’attività il 28 giugno 1958.



[Modificato da claudio musolesi 08/10/2007 22:33]
09/10/2007 08:41

Nicolino da Verona
Grazie Claudio per l'esauriente profilo storico, sarebbe bello avere anche curiosità tecniche sulla loro lavorazione.

Le campane di Brighenti hanno un suono molto pieno e rotondo, che credo abbia forgiato il gusto di voi emiliani. L'effetto d'assieme dei loro bronzi esprime sempre una ottima sinergia e personalità, ma si dovrebbe, per valutare meglio, sentire qualche campana suonare singolarmente.

Abbiamo diversi racconti (nei diari di campanari nostri) di visite del Brighenti a Verona, specie a Santa Anastasia; peccato che non siano rimaste fotografie!
[Modificato da moeskoisland_h_s 09/10/2007 08:45]
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11/10/2007 22:49

Fonderia Brighenti - Bologna: qualche dato tecnico


Stimolato da Nicola – e con la speranza di non annoiare altri – fornisco i pochi dati tecnici di cui sono a conoscenza relativi ai criteri con cui lavoravano i Brighenti.


Sagoma

Tutti i fonditori della famiglia hanno sempre praticato sagome piuttosto pesanti. Qualche esempio: S. Giorgio di Piano (Gaetano e Giuseppe I, 1837) fa3, cm. 110,7, kg. 895; Castel S. Pietro Terme (Giuseppe I, 1828) fa#3, cm. 102,7, kg. 688; Casalecchio di Reno (Cesare, 1938), mi3, cm. 120, kg. 1145.

Gaetano, il capostipite, afferma in un suo manoscritto (purtroppo inaccessibile: bisogna accontentarsi dell’inizio, riprodotto in un articolo degli eredi) di progettare le sue campane seguendo la scala escogitata sul finire del settecento da Rinaldo Gandolfi. Costui fu un singolare personaggio che nella Bologna della seconda metà del ‘700 incarnò perfettamente taluni ideali dell’Illuminismo: fu matematico ed Accademico Clementino, costruttore di strumenti di precisione per gli ingegneri del tempo, orologiaio, fonditore di cannoni e di campane (e non fu il solo: interessi ed attitudini analoghe ebbero anche Francesco Comelli e Domenico Maria Fornasini, quest’ultimo l’unico interessante come fonditore di campane).
Le pochissime campane del Gandolfi rimaste si rivelano all’ascolto nemmeno lontanamente paragonabili a quelle fuse da Gaetano; la rifusione nel 1782 (per opera di Domenico Fantuzzi) del concerto di S. Maria della Carità, fuso dal Gandolfi nel 1771, attesta l’insoddisfazione del committente; io stesso ricordo di aver visto una campana del Gandolfi (in possesso privato in Bologna) storta e sghemba come mai mi è capitato. Insomma, il dato rappresentato dalla dichiarazione di Gaetano sarà pure attendibile, ma appare per lo meno di difficile valutazione, considerate le apparentemente non eccelse doti del modello rappresentato dal Gandolfi.

All’interno della famiglia i mutamenti di sagoma vanno dagli esempi moderatamente allungati (pochi punti percentuale) e con culatta parecchio bombata dei primi tempi alla sagoma leggermente corta praticata (in modo non esclusivo, però) da Cesare. La produzione di Clemente (il meno “avventuroso” della famiglia, insieme al figlio Giuseppe II) attesta esempi – riferibili agli stessi anni, tra l’altro – di sagome esterne ottenute con due e con tre raggi di circonferenza (indagine condotta dal collega Mirko Rossi e da altri).


Lega

Non sono a conoscenza di analisi eseguite sulla composizione della lega. Negli scritti in cui gli eredi compendiano i dati d’archivio compare la notizia che Clemente praticava la proporzione 77/23, affiancata dall’altra secondo cui la produzione più antica usava il 75/25, via via variata fino ad arrivare all’80/20 delle rifusioni post-belliche operate da Cesare. Personalmente credo che quest’ultimo abbia impiegato proporzioni ancor meno pregiate, sia nei lavori svolti per conto dello Stato che in altri. Tra l’altro circola la voce (di fonte documentata e degna di fede) che il fratello Vincenzo (l’amministratore) alterasse a volte la proporzione dei materiali pronti per il caricamento del forno, all’insaputa di Cesare (il tecnico).


Criteri di lavorazione

Tutto assolutamente tradizionale, fino alla chiusura dell’attività. Gli stampi venivano realizzati col sistema della sagoma in legno (quindi non riutilizzabile). La fusione avveniva in forni a riverbero alimentati a legna. Gli stampi erano collocati nella buca, davanti al forno (per piccole campane si poteva usare il crogiolo, ma solo all’epoca di Cesare).


Caratteristiche foniche

Il timbro della migliore produzione è come dice Nicola, “molto pieno e rotondo”, ora più chiaro e brillante ora più buio, ora più pungente ora più dolce. Non so nulla della struttura tonale, che non mi risulta sia mai stata analizzata (chi degli esperti vuol contribuire a farci conoscere delle nostre campane cose che non sappiamo è il benvenuto): di certo lo squillo brighentiano classico è ricco di armonici, con vibrazione assai prolungata.
L’accordo non è sempre accuratissimo, le inesattezze variando dai pochi esempi sconcertanti ad altri assai meno eclatanti: comunque l’imperfezione non è la norma. Come al solito tutto peggiora con Cesare.
12/10/2007 08:43

Nicolino da Verona
Wow!!

Grazie Claudio, certo che ne sai di cose... allora tu ami svilirti come il tenente Colombo, nascondendo parecchia scienza.

Ovviamente ho tirato giù il tutto e lo metterò in bella veste grafica da distribuire ai veronesi interessati (col tuo permesso)...
Io non arriverò mai a sapere altrettanto dei fonditori di casa mia!!

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12/10/2007 17:17

Wow!! Grazie mille Claudio,il capitolo Brighenti mi è sempre stato oscuro ed ora tutto è decisamente più chiaro!!

Se posso mi offro volontario per le varie analisi,sarebbe interessante analizzaare intanto le campane più rappresentative di ogni generazione e poi confontare il tutto.. si può fare??

Della fonderia non è rimansto più nulla apparte l'archivio storico?? a cosa si è data la famiglia?? quali sono le motivazioni della chiusura del "reparto campane"??

Grazie!!
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12/10/2007 20:31

complimenti claudio
Eccezionale claudia questo tuo "riassunto" della storia della fonderia brighenti.. A sentirti direi che sembreresti uno dei figli di Cesare da come hai descritto la storia della fonderia
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12/10/2007 21:25

leoooo!
hai scritto claudia!
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13/10/2007 12:43

grave
Spero che claudio mi perdoni dopo questa gaf
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16/10/2007 23:37

Un'altro po' di Brighenti


Ancora una volta mi spoglio dell’impermeabile del tenente Colombo per vestire i panni di “Claudia Brighenti”, rispondendo a Flavio.

Dei materiali della fonderia sono rimaste agli eredi alcune casse contenenti stampi per immagini di santi, capigliere, cartigli, fregi, iscrizioni. La maggior parte di questa collezione è stata donata al Museo d’arte industriale “Davia Bargellini”, fatta eccezione per un certo numero di pezzi che gli eredi hanno voluto tenere per sé (credo seguendo più che altro criteri estetici). Io e Giovanni una dozzina d’anni fa demmo una rapida occhiata a questo ben di Dio, conservato nei magazzini del Museo civico medievale: un’esperienza abbastanza emozionante, una via di mezzo tra scoprire una tomba etrusca e mettere le mani nelle tasche di qualcuno. Tra l’altro ci sono cose provenienti da altri fonditori, come gli stampi di Golfieri con i cherubini effigiati sulle trecce della mia amata “grossa” di Monzuno. A quel tempo l’unico fondo oggetto di attenzione era quello costituito dalle immagini dei santi, che era in corso di catalogazione.

Al momento della chiusura, nel ’58, Cesare aveva 74 anni, il che spiega perché – in mancanza di continuatori – sia cessata anche la produzione di campane, insieme con tutto il resto. I due figli di Cesare a quell’epoca avevano già intrapreso altre strade: Giuseppe (n. 1932) è ingegnere elettrotecnico ed ingénieur en génie atomique; ha diretto uno dei reattori nucleari del laboratorio di Montecuccolino; Giovanni (n. 1934) è ingegnere civile, è stato titolare della cattedra di “tecnica dei sondaggi” e direttore dell’Istituto di scienze minerarie.

Infine, caro Flavio, la tua offerta di analizzare dal punto di vista tonale un campione rappresentativo di campane dei Brighenti è graditissima, e va proprio nella direzione di arricchire le conoscenze di tutti, in una dimensione di costruttiva collaborazione. Decidi tu tempi e modi. Intanto, grazie.

Ciao

Claudio
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17/10/2007 14:47

Fuoco alle polveri allora..

Ho semplicemente bisogno di registrazioni digitali di alcuni colpi di ogni campana e poi... semplicemente un pò di pazzienza per elaborare il tutto!!

Da questo tipo di analisi possiamo analizzare l'equilibrio delle parziali che ogni generazione aveva raggiunto e quindi le varie tipologia di campane!

Io sono pronto subito,prima si comincia,meglio è!!

Grazie Claudio!
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18/10/2007 21:30

Ho paura che la faccenda delle registrazioni digitali ci crei qualche problema. A parte il ricorso ad un fonico professionista, ci potrebbe essere una persona attrezzata e - forse - disponibile: indagheremo.

Grazie per ora.

Ciao

Claudio
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28/12/2010 17:56

Oggi, in quel di Brusata, frazione di Novazzano, ho trovato una campana del 1797 firmata "ANGELUS RASORI FUDIT". Strano, eh? Chissà come ci è arrivata una campana bolognese in Canton Ticino!

www.youtube.com/watch?v=a-eVOCuh1B8

Ciao a tutti,
Romeo
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