La riflessione di Laurie sfonda una porta aperta, dato che la maggior parte degli eroi degli shojo mi han sempre lasciata indifferente, se non portata a farmi quattro risate.
Anche io, come Laurie, preferisco i maschietti che fanno capolino dalle pagine degli shonen, questo perché non sono dei pazzi furiosi pieni di paranoie, cose non dette/non fatte/ non pensate ecc.
Per la mia esperienza, credo esistano sia due tipi diversi di sensibilità, a seconda se chi stia ai testi sia un maschietto o una femminuccia ( e su questo non ci piove), sia due tipi profondamente diversi di racconto, altrimenti non staremmo qui a chiamarli 'shojo' e 'shonen'.
[ Una doverosa precisazione: detesto e aborrisco con tutto il cuore e tutta l'anima l'allungamento riportato con le 'u' (shoUnen e shoUjo), poiché, sebben non sia sbagliato, ma anzi filologicamente il più corretto, può dare adito a fraintendimenti. Sentitevi liberi di scrivere come meglio vi aggrada, sappiate solo che io non li uso per libera scelta.]
Lo 'shojo' come tipo di racconto, deve rispettare alcuni prerequisiti, che cambiano col passare del tempo, ma che si rifanno a tutta una serie di stilemi e topoi tipicamente femminili.
Ecco allora i lustrini, i nastri, i fiori, gli sfondi inesistenti, le storie incentrate sui sentimenti, e, salvo alcune e poche benedette eccezioni (' Versailles no bara', 'Haikarasan ga Toruu', ed altre opere degli anni '70 per lo più) i maschietti androgini che sono più effemminati delle fanciulle.
Questo perché lo shojo è un prodotto per le femminucce, che nel 90% dei casi si assommano ( in Giappone) ad una massa di ragazze che imparano ad essere fanciulle rispecchiandosi nei patemi d'animo delle protagoniste dei manga. Mirabile, a questo proposito, una frase pronunciata da Mikako Koda in 'Gokinjo Monogatari' riguardo il mestiere della madre ( fumettista) "Per me i sussulti di un giovane cuore innamorato sono praticamente arabo".
Considerate anche che molti di questi stilemi vengono estremizzati. Ed ecco che alcune fanciulle sensibili si trasformino in piagnone stratosferiche ( vedi Lady Georgie) oppure in ragazzine infoiate, come la succitata Aine.
Diverso il caso degli shonen. Anche negli shonen trovano spazio i sentimenti, ma non sono il fulcro principale della storia, e anche quando ciò succede, il tutto è filtrato attraverso una lente maschile, più ad ampio raggio( Vedi 'Oh mia dea' e 'Video Girl Ai').
Prendiamo ad esempio One Piece, dove i sentimenti non sono necessariamente un lui che ama riamato una lei, oppure Slam Dunk, dove il nostro eroe Sakuragi ama, non corrisposto, la bella (???) Haruko, oppure i sentimenti di Ryota per Ayako, o il rancore che prova Mitsui per il basket.
Hanamichi e Ryota sono innamorati di due ragazze, Mitsui di un pallone a spicchi, eppure i loro caratteri non sono plasmati ad uso e consumo dei loro sentimenti. Sono personaggi tridimensionali, che hanno altri interessi oltre ai sentimenti.
La cosa paradossale è che mentre per uno shojo, incentrato sui sentimenti, serve una scrittrice con le palle esagonali per sfornare personaggi maschili credibili e che piacciano anche ai ragazzi ( vedi Ren di 'Nana' oppure André di 'Versailles no bara', o anche 'Shinobu' di 'Haikarasan ga Toru'), per lo shonen anche il più becero degli scrittori, come Kurumada, risulta a tutto tondo non appena fa aprire bocca al suo Seiya ( tacciato altrove d'idiozia perché onnipresente come ogni protagonista che si rispetti deve essere) e gli fa dire ad una pignonissima Miho il suo punto di vista sulla vita e sul cosa significhi essere giovani e non potersi godere la cosiddetta 'età felice' per salvare il mondo.
Consiederiamo poi che un autore è costretto a seguire dei binari ben tracciati dalle case editrici, che richiedono agli autori delle storie di un certo target. Ecco allora che per un fumetto che deve uscire su una rivista come "Amie" si presupporrà un cast più in linea con l'età media delle lettrici e a cui capitino storie in cui le fanciulle alla lettura possano immedesimarsi, mentre per uno che esca su 'Zipper', rivista di settore per giovani stilisti, la stessa autrice si potrà prendere delle libertà in più, pur scrivendo uno shojo.
Ovviamente, mi sto riferendo a "Tenshi nanka janai" e a "Paradise Kiss", entrambi di Ai Yazawa, entrambi shojo manga ed entrambi con una protagonista 'perfettina' che però seguono strade diverse e pervengono ad esiti diversi, pur terminando entrambi con un happy ending che più happy non si può.
Riassumendo, ritengo che la difficoltà nel rendere credibile un maschietto in uno shojo manga medio ( e quindi all'interno di un prodotto stereotipato e confezionato come fosse una torta con gli ingredienti già dosati) sia dovuta in parte dalle capacità di chi sta ai testi&maite, ma soprattutto dalle imposizioni di genere che ci sono a monte.
[Modificato da |Francine| 05/04/2007 0.22]